PORTA, Bernardo
PORTA, Bernardo (Berardo). – Nato a Roma nel 1758 (Fétis, 1854), avrebbe studiato musica con un allievo di Leonardo Leo, un tal Magrini (Choron, 1811). Le scarse e vaghe notizie sulla formazione e la sua attività di musicista negli anni anteriori al suo arrivo a Parigi si rifanno essenzialmente alle informazioni fornite da dizionari ottocenteschi.
Intorno al 1775 costituì in Tivoli una «Aggregazione di dilettanti di suono»: di tale società filarmonica si conosce se non altro il libretto a stampa di un Componimento sacro per musica «ad onore di s. Cecilia verg. e mart.» musicato da Porta (Roma 1777; versi del tiburtino don Fausto Del Re). Sul finire del decennio Porta sarebbe stato al servizio di un principe di Salm in Roma. Nel 1780 avrebbe composto la sua prima opera, un dramma giocoso dal titolo La principessa d’Amalfi destinato al teatro Argentina che non risulta essere mai stato rappresentato. A Porta sarebbe spettata la «sopravvivenza» di Pasquale Anfossi (maestro di cappella in Laterano dal 1792 alla morte, 1797), ovvero il diritto di subentrargli dopo la morte: «mais la révolution dérangea tout» (Choron, 1811).
Porta dev’essere arrivato a Parigi non dopo il 1788. In quell’anno fece stampare sei quartetti e una cantata con dedica al barone Charles Ernest de Bagge, ciambellano del re di Prussia, facoltoso mecenate melomane, compositore dilettante, personalità eminente della massoneria parigina; la cantata fu eseguita nella residenza del barone il 24 marzo. Si era trasferito a Parigi su stimolo del pittore Jacques-Louis David, che nel 1801 dichiarò di aver incontrato Porta a Roma nei tardi anni Settanta e di nuovo nel 1787: «Je lui dis: mon cher Porta, si vous voulez venir demeurer chez moi, je vous emmène. Je l’emmenai avec moi, il s’est fait connaître par son talent en musique» (Ledbury, 2014, p. 73). È probabile che il pittore abbia favorito i suoi primi contatti artistici nell’ambiente del teatro d’opera. Alla fine del 1788 Porta presentò all’Opéra-Comique Le diable à quatre ou La double métamorphose, su un vecchio libretto di Michel-Jean Sedaine: varato il 14 febbraio 1790 (undici recite), ripreso per quattro sere nel 1793, fu il suo opéra-comique più acclamato. Mise poi in musica altri due libretti di Sedaine, Pagamin de Monègues ou Le calendrier des vieillards per il Théâtre Louvois (29 marzo 1792; il dramma era stato commissionato in origine a Pierre-Alexandre Monsigny, in una versione che era stata rifiutata dall’Opéra nel 1785) e La blanche haquenée per l’Opéra-Comique (22 maggio 1793). Sotto il Terrore, come molti contemporanei, Porta compose diversi lavori di soggetto rivoluzionario. La «sans-culottide dramatique» in cinque atti La réunion du 10 août ou L’inauguration de la République française, parole di Gabriel Bouquier e Pierre-Louis Moline, debuttò all’Opéra il 5 aprile 1794, annunciata nei giornali come rappresentazione «pour le peuple»: mediante un collage di dialoghi recitati, canti rivoluzionari, danze e cortei militari, essa inscenava il crollo della monarchia e la presa del palazzo delle Tuileries di due anni prima. Il dramma ebbe 38 repliche prima d’essere ritirato dal cartellone alla fine del Terrore. Il meno ambizioso Agricol Viala ou Le héros de treize ans, libretto di François-Xavier Audouin, debuttò il 1° luglio 1794 all’Opéra-Comique. Tra le opere teatrali composte da Porta negli anni Novanta ci fu una manciata di vaudevilles per il Théâtre de l’Ambigu-Comique, tra cui Le pauvre aveugle ou La chanson savoyarde (24 luglio 1797), testo di Jean-Baptiste-Augustin Hapdé e François-André Danican Philidor: nessuna di queste pièces riscosse particolare successo.
Le opere di maggior peso e impegno di Porta andarono in scena all’Opéra sotto il Consolato. Il 10 ottobre 1800 debuttò la «tragédie lyrique» Les Horaces: il suo capolavoro, a detta dei contemporanei. Il libretto di Nicholas-François Guillard si rifaceva all’Horace di Corneille e al balletto Les Horaces et les Curiaces che ne aveva tratto Jean-Georges Noverre (1774); già musicato da Antonio Salieri (Versailles 1786), nel 1800 fu incisivamente modificato per esaltare i valori repubblicani e rivoluzionari assunti dal mito degli Orazi dopo il 1789. Il finale originario del second’atto venne rimpiazzato con il giuramento dei tre Orazi al cospetto del padre, secondo l’iconografia del famoso dipinto di David, Le serment des Horaces (1785). I critici lodarono il quadro scenico in cui Porta volle espressamente ricreare i gesti del dipinto chiedendo ai cantanti di posare «en attitude en formant le tableau» nel proclamare «Nous jurons»; il quartetto vocale del giuramento (con coro finale) richiama lo stile degli inni rivoluzionari, linee vocali omofoniche dal piglio declamatorio, topoi marziali, linguaggio armonico semplice e squadrato, forti contrasti dinamici, squilli di corni e trombe. L’aspetto più innovativo della nuova versione fu il ballet d’action al terz’atto, che inscenava il combattimento degli Orazi contro i Curiazi (nella versione del 1786 la sanguinosa battaglia, consumata fuori scena, veniva riferita mediante una narrazione). Taluni recensori rimasero tuttavia interdetti da una pantomima priva di accompagnamento musicale (Courrier des spectacles, 19 vendémiaire, an IX; Journal de Paris, 20 vendémiaire, an IX); nella partitura manoscritta (Paris, Bibliothèque de l’Opéra, A-375.1-3) compare una seconda versione del ballet d’action, composta di lungo senza interruzioni: la musica di scena potrebbe dunque essere stata aggiunta in un secondo momento. Malgrado l’evidente legame col contesto politico, Les Horaces ebbe un’accoglienza altalenante, e solo nove recite. Una satira dal titolo Les Ignaces se ne fece beffe: «Port’ailleurs ta musique, Porta» (Courrier des spectacles, 21 vendémiaire, an IX). La notorietà dell’opera fu grandemente acuita dalla coincidenza con la conspiration des poignards (il cosiddetto complot de l’Opéra): la sera della “prima” la polizia napoleonica catturò un gruppo di artisti sospettati di nutrire simpatie realiste e di aver pianificato un attentato a Bonaparte; quattro di loro furono poi ghigliottinati, ma si disse che la polizia avesse inscenato il complotto per sventare un progetto filomonarchico di rovesciamento del governo.
Il 10 febbraio 1804 debuttò Le connétable de Clisson; fu l’ultima opera di Porta a calcare le scene. Il libretto di Étienne Aignan è liberamente ispirato a un evento della Guerra dei Cent’anni: Olivier de Clisson è intento a celebrare una vittoria, quando viene richiamato al campo di battaglia poiché le truppe inglesi hanno rotto l’armistizio. L’ambientazione del terz’atto è influenzata dal dramma gotico del primo Ottocento (prigioniera in una torre, la fidanzata di Clisson, Alix, intona una flebile romance). Vari critici attribuirono il relativo favore incontrato da quest’opera al contesto politico, ossia alla guerra franco-britannica dopo la rottura della pace di Amiens e ai progetti di un’invasione dell’Inghilterra; e osservarono che i riferimenti al patriottismo francese e alla doppiezza inglese vennero applauditi con fervore, sebbene in generale il libretto fosse mal congegnato e la musica mancasse di novità, varietà e colorito.
Sotto l’Impero, Porta tentò ripetutamente, ma invano, di resuscitare Les Horaces e di far rappresentare altre opere sue mai allestite, in particolare Le vieux de la montagne (libretto di Jean-Baptiste-Gabriel-Marie de Milcent), parzialmente completato già nel 1802.
Secondo una moda diffusa, l’opera, ambientata in un paese esotico (il Libano), è intessuta sul salvataggio in extremis di due amanti naufraghi minacciati da un tiranno. Nel grande coro di odalische del second’atto Porta tenta la couleur locale profondendo nell’orchestrazione trilli di flauti e abbellimenti cromatici. Dal 1806 al 1810 Porta fu al servizio della figliastra di Napoleone, Ortensia di Beauharnais, regina consorte d’Olanda, e le dedicò una raccolta manoscritta di 27 arie con orchestra, conservata nel Napoleonmuseum im Schloss Arenenberg di Salenstein (Canton Turgovia, Svizzera), Mus. Ms. A-19 (Ms. 7262). Le prime quattro di esse, composte su versi di Pietro Metastasio in un melodioso stile italiano, riflettono forse la predilezione dei Beauharnais per la musica italiana: nel primo decennio del secolo l’imperatrice Giuseppina, mamma di Ortensia, aveva patrocinato il teatro dell’opera buffa (il Théâtre Italien).
Dal 1817 al 1822 Porta insegnò armonia e composizione nella Institution royale de Musique classique et religieuse diretto da Alexandre Choron, il quale nel 1811 descrive il compositore come «un de nos meilleurs maîtres de composition». Poco si sa circa le attività didattiche di Porta; è però probabile che per tutta la carriera abbia insegnato musica. Parecchie sue raccolte di musica da camera, pubblicate a Parigi dai tardi anni Ottanta in poi, furono composte per principianti, in particolare i duetti per violoncelli e i duetti e trii per flauti. Da una lettera non datata indirizzata a Mme. Barbe-Rose Naderman, dell’omonima famiglia di editori musicali, risulta che Porta affidava di regola alla moglie la gestione delle proprie pubblicazioni (Paris, Bibliothèque de l’Opéra, LA-Porta Bernardo-2); è questa la sola notizia circa la situazione familiare del compositore. Negli ultimi anni Porta deve aver patito ristrettezze economiche, visto che rivolse agli amministratori dell’Opéra frequenti richieste di una pensione, che secondo le norme dell’Impero gli sarebbe spettata: ma tale beneficio gli venne negato in seguito ai rivolgimenti amministrativi introdotti dalla restaurazione.
Morì a Parigi l’11 giugno 1829.
Fonti e bibl.: A. Choron - F. Fayolle, Dictionnaire historique des musiciens, II, Paris 1811, p. 173; L.-G. Michaud, Biographie universelle, ancienne et moderne, supplément, LXXVII, Paris 1845, pp. 428 s.; F.-J. Fétis, Biographie universelle des musiciens, VII, Paris 1854, pp. 103 s.; [F.-H.-J.] Castil-Blaze, L’Académie impériale de musique, II, Paris 1855, pp. 73-76, 93; C. Pierre, Les Hymnes et chansons de la Révolution, Paris 1904, pp. 835-837; G. Radiciotti, L’arte musicale in Tivoli nei secoli XVI, XVII e XVIII, Tivoli 1907, pp. 17 s.; A. Tissier, Les spectacles à Paris pendant la Révolution, Genève 1992, I , pp. 84, 245, 296, II, pp. 59, 89, 92, 96, 296; The New Grove dictionary of music and musicians, XX, London - New York 2001, p. 177; Die Musik in Geschichte und Gegewart, Personenteil, XIII, Kassel 2005, pp. 790 s.; L. Quetin, “Les Horaces” de Guillard, de 1786 à 1800. Mutation de la dramaturgie musicale à la fin du XVIIIe siècle, in Entre deux eaux. Les secondes lumières et leurs ambiguïtés (1789-1815), a cura di A. Vasak, Paris 2012, pp. 257-272; M. Ledbury, Musical mutualism: David, Degotti and operatic painting, in Art, theatre, and opera in Paris, 1750-1850, a cura di S. Hibberd - R. Wrigley, Farnham 2014, pp. 56 s., 61, 69, 73.