ROSSELLINO, Bernardo
Scultore e architetto, fratello del precedente, nato a Settignano nel 1409, morto a Firenze il 23 settembre 1464. Sul periodo di formazione non si hanno notizie né è certo se egli sia il "magister Bernardus" che nel 1433 lavorava a Roma nella cappella di Eugenio IV. Ma fin nella sua prima opera certa, il compimento della facciata della Misericordia ad Arezzo (1433-1435), ch'era stata iniziata nel 1375-77, appare la piena coscienza delle forze allora più attive nella tradizione fiorentina: la chiarezza struttiva del Brunelleschi, la dinamica plastica di Donatello. La loro fusione, già tentata da Michelozzo, s'opera più intimamente nel R., per un più profondo senso del chiaroscuro, e dopo mal noti lavori ad Arezzo per la Badia di Santa Fiora e Lucilla (1435), e a Firenze, per la Badia (1435-41), dove resta, nel chiostro degli Aranci, il frammento d'un tabernacolo (1436), s'esprime nel monumento di Leonardo Bruni in S. Croce (circa 1444-1451) in aspetti nuovi che resteranno modello agli artisti seguenti. Il robusto contrastare delle masse sia nella composizione architettonica sia in quella delle forme plastiche, dove il severo disegno michelozziano s'addolcisce di ritmi ispirati al Ghiberti, vi è intensificato dall'intensa vita luminosa attinta a Donatello.
Sono questi caratteri persistenti nell'opera del R.: nell'Annunciata di S. Lorenzo a Empoli (1447), in una porta nel palazzo comunale di Siena (1446), nel tabernacolo di S. Egidio a Firenze (1450), nelle tombe d'Orlando Medici (morto nel 1455) alla SS. Annunziata, di Neri Capponi (morto nel 1457) in S. Spirito, di Antonio Chellini (morto nel 1461) a S. Miniato al Tedesco, e, al massimo grado, nella tomba della B. Villana (1452-53) in S. Maria Novella risultante di sole figure in moto, in estrema delicatezza di trapassi chiaroscurali.
I rapporti con l'Alberti, tuttora non ben definiti, rendono difficile la valutazione di B. R. come architetto. Incerta la sua parte nell'esecuzione del palazzo Rucellai (circa 1450-1455), sebbene appaia sicura l'ideazione albertiana della facciata, mentre nel cortile è una diversa e più spoglia robustezza. E a Roma, dove egli attese per Niccolò V a lavori di cui si può identificare solo il restauro di S. Stefano Rotondo, è tuttora da stabilire quanto vada riferito, come idea e come esecuzione, a lui o all'Alberti nell'inizio della trasformazione edilizia del Vaticano e della Basilica di S. Pietro. Sembra che il R. gettasse i fondamenti del nuovo coro e forse innalzasse, sulla facciata, la loggia della benedizione, poi distrutta. Ma si tratta sinora d'ipotesi da cui derivano, ancor più dubbie, quelle di una sua partecipazione a costruzioni coeve: Palazzo Venezia e l'esterno della basilica di S. Marco.
Peraltro, negli edifici, eretti dal R. nel 1462-63, a Pienza, la città ideata da Pio II, le basi fiorentine del suo stile mostrano di non aver subito, nel classicismo albertiano di Roma, varianti sostanziali. Nel palazzo Piccolomini torna alle forme fiorentine dell'Alberti, sviluppando in più robusta funzionalità architettonica il partito della facciata Rucellai. Nel rimaneggiamento del Palazzo pretorio mostra ancora la sua saldezza di seguace di Michelozzo. E se, per la pianta del duomo, la volontà del papa gl'imponeva forme gotiche, le attinge a quelle chiarite e semplificate nel duomo nuovo di Siena, mentre nell'originale facciata sembra animare di plastica vigoria la membratura del Battistero di Firenze. Persiste così in lui, non tocca del nuovo classicismo romano, la consapevolezza di forme tradizionali, già canone del rinnovamento brunelleschiano. Per essa il R. immise nell'evoluzione dell'architettura senese, pur senza deviarla, nuovi germi, raccolti dai costruttori, su suo modello, del palazzo Piccolomini a Siena (ancora in lavoro nel 1506), da Antonio Federighi nel palazzo Nerucci, talora attribuito al R., e in tutta la sua attività seguente. E a Firenze contribuì a fissare rapporti plastico-architettonici feraci di sviluppi nelle generazioni seguenti.
Altri lavori minori s'hanno, a Firenze, per la SS. Annunziata, per il duomo, dove partecipò, capomaestro, al compimento della lanterna della cupola (1461-64), a Pistoia, nella tomba di F. Lazzari per San Domenico (1463), condotta, dopo la sua morte, dal fratello Antonio. Gli si attribuiscono inoltre il bel lavabo nella sagrestia di S. Lorenzo; con più incertezza un'Annunciata in terracotta nel duomo d'Arezzo, la tomba del beato Lorenzo da Ripafratta in S. Domenico a Pistoia, e altre cose minori. (V. tav. XL).
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