SAGREDO, Bernardo
– Nacque nella parrocchia di S. Giustina, a Venezia, nel gennaio 1505 da Giovan Francesco di Pietro e da Elisabetta Tiepolo di Bernardo.
Con procedura insolita, sin dal 30 aprile 1525 fu presentato all’Avogaria per l’estrazione della Balla d’oro che si verificò il successivo 4 dicembre, il che gli consentì di iniziare giovanissimo una carriera politica che si sarebbe poi rivelata straordinariamente lunga.
Delegata al fratello Nicolò la gestione dei propri beni, appena ventunenne si imbarcò come nobile nell’armata comandata da Alvise d’Armer e si trovava nelle acque di Civitavecchia quando, il 24 agosto 1526, venne promosso vicesopracomito; evidentemente con pieno merito, essendo definito «zentilissima persona» (M. Sanudo, I Diarii, 1895-1903, XLII, col. 501). Venezia allora partecipava alla Lega di Cognac ed era in guerra; la sua flotta fu impegnata soprattutto nella riconquista dei porti pugliesi. Nell’ambito di tali operazioni Sagredo fu nominato governatore di Mola e castellano di Trani, incarichi che ricoprì fra il 1528 e il 1529, nel quale anno, il 26 maggio, ottenne di rimpatriare per armare una propria galera e imbarcarsi nella squadra del capitano generale Girolamo Pesaro. Salpato da Venezia il 10 settembre 1529, svernò a Corfù e nell’estate seguente si distinse in varie circostanze per capacità e coraggio, sì da meritare a più riprese le lodi di Sanudo. Nei due anni che seguirono si spostò fra l’Albania e le Isole Ionie, sotto il comando del nuovo capitano generale Vincenzo Cappello, che accompagnò nel rientro a Venezia, avvenuto il 26 gennaio 1533. Qui, l’8 febbraio di quell’anno, sposava Cecilia Venier di Giovan Francesco, la cui famiglia deteneva la signoria dell’isola di Paros, nell’Egeo.
Scoppiata nel 1537 la guerra con i turchi, si impegnò direttamente a difendere Paros dall’assalto del corsaro Khair ad-dīn Barbarossa, ma di fronte alla sproporzione delle forze dovette arrendersi e fu fatto prigioniero. Condotto alla presenza del comandante nemico, costui lo liberò in seguito ai buoni uffici di alcuni rinnegati al servizio dei turchi, che testimoniarono la sua condotta leale e generosa anche nel corso delle ostilità. Riuscì in tal modo a raggiungere Venezia, dove l’anno successivo (18 ottobre 1538) fu rieletto sopracomito; si imbarcò dopo aver fatto testamento in favore dei fratelli, poiché sua moglie era morta senza avergli dato figli. Ma non tornò in Levante; il compito che gli venne affidato fu di distruggere il porto di Lignano, che gli abitanti di Marano – possedimento imperiale dopo la sconfitta di Agnadello – avevano fortificato in funzione antiveneziana; espletò l’incarico nel 1539, e fu questo un primo passo per il riacquisto di quella strategica località, verificatosi all’inizio del 1542.
Nuovamente a Venezia, quelli che seguirono furono per Sagredo anni dedicati all’economia familiare e a un nuovo matrimonio (12 luglio 1544) con Camilla Michiel di Tommaso, da cui ebbe Nicolò, Giovanni, Elisabetta e Giustina. Poté anche dedicarsi alla carriera politica e il 17 febbraio 1544 divenne savio esecutore alle Acque, e in questa veste fu inviato nel 1545 a ispezionare i corsi d’acqua al confine con il Mantovano, onde procedere alla loro ripartizione con il duca Francesco Gonzaga; nonostante tale compito esulasse dall’esperienza sinora acquisita da Sagredo, i pareri tecnici da lui forniti dimostrarono una notevole competenza del settore. Fu quindi il 23 luglio 1546 ufficiale ai Dieci offici, dopo di che prevalse nuovamente in lui l’interesse per il settore marittimo e il 23 ottobre 1547 riuscì a farsi eleggere – qualora si ravvisasse la necessità di attuare l’incarico – capitano in Golfo, ossia responsabile della flotta che custodiva l’Adriatico. Fu quindi nominato governatore di galera il 4 giugno 1551 e ancora il 24 marzo 1552, ma successivamente venne impiegato in Terraferma come rettore di Crema, ove rimase dalla fine del 1553 al giugno 1555. Tornato a Venezia fu eletto ‘tansador’, entrando a far parte della commissione incaricata di procedere alla revisione dell’estimo cittadino. Poi, un nuovo compito in Levante: il 20 dicembre 1556 ebbe la nomina di bailo e provveditore generale a Corfù, dove rimase due anni, sovrintendendo al rafforzamento delle fortificazioni poste a difesa dell’isola, che controllava l’ingresso nell’Adriatico. Seguirono anni segnati da incarichi minori e di breve durata: il 3 gennaio 1559 entrava a far parte di una commissione giudicatrice in una causa concernente il defunto Antonio Priuli, quindi (19 gennaio 1560) gli fu affidato il comando delle galee dei condannati e il 2 settembre dello stesso anno divenne provveditore sopra Beni inculti, proseguendo l’alternanza tra impieghi nel settore marittimo e in Terraferma. Che continuò con l’elezione (22 luglio 1562) a provveditore generale e sindaco a Cipro, incarico che avrebbe espletato, secondo il suo temperamento, con grande rigore, ma che appunto per questo gli avrebbe procurato umiliazioni e sofferenze. Iniziò la sua opera con una sistematica revisione dei beni comunitari e demaniali del regno, attirandosi ben presto il risentimento di quanti si sentirono danneggiati dalla verifica dei titoli di proprietà, e conseguente riscossione di imposte non pagate, o di beni usurpati o di soprusi invalsi sin dall’età feudale a danno dei ceti più deboli.
Tornato in patria, nella relazione presentata al Senato nel 1565 denunciava le minacce e le intimidazioni ricevute, tanto che un feudatario ebbe l’insolenza di dirgli che, se desiderava restare tranquillo, «non dovevo eseguir tanto le leggi come è il solito mio» (Skoufari, 2011, p. 63). Infatti il 20 dicembre di quello stesso anno vennero presentate varie accuse, pur palesemente false, contro quanto da lui operato nell’isola e solo dopo alcuni anni, e una sua appassionata difesa, il Consiglio dei dieci ne avrebbe sentenziato l’assoluzione.
Probabilmente Sagredo pensava fosse giunto il momento di ritirarsi dalla politica, e infatti negli anni che seguirono egli rivestì solo la carica di senatore; senonché fu richiamato in servizio nell’imminenza della guerra di Cipro, quando i turchi si apprestavano a invadere l’isola. Benché anziano, il 30 gennaio 1570 accettò di assumere il comando di una galera nell’armata comandata da Girolamo Zane, il quale tuttavia non si rivelò all’altezza della situazione e non riuscì a soccorrere Famagosta, unica piazzaforte rimasta in possesso dei veneziani. L’infelice esito della campagna coinvolse anche Sagredo, che fu incarcerato e processato con l’accusa di aver consentito maltrattamenti ai danni delle ciurme; venne assolto, ma non poté partecipare alla battaglia di Lepanto. Il 18 agosto 1571, infatti, si trovava ancora nelle carceri di palazzo ducale, dove redigeva un testamento in cui pregava il figlio Nicolò di pubblicare la sua autobiografia (si tratta della Istoria delle tre guerre, il cui manoscritto è conservato nella Biblioteca del Museo Correr), nella quale «ho scritto tutto el viazzo de vita mia [...], acciò si veda che io son stato bon ministro publico et che mai ho sparagnato fatica né pericoli [...] Et di più sempre nelle consulte ho parlato liberamente, per il che sono stato perseguitato come al presente son» (Archivio di Stato di Venezia, Notarile, Testamenti, b. 1257/174).
E tuttavia non si chiuse qui la sua carriera politica, benché, una volta libero, non assumesse più nell’immediato alcun incarico; solo dopo molti anni, il 16 ottobre 1594, venne nominato consigliere ducale di Castello. Tale sorprendente ripresa dell’attività a palazzo ducale può essere letta come un risarcimento morale tributatogli dai concittadini, che inoltre qualche mese dopo, nell’aprile del 1595, gli assegnarono diversi voti nell’elezione che portò al dogato Marino Grimani; ancora, l’11 marzo 1596 fu nominato procuratore di S. Marco de citra.
Morì a Venezia, quasi centenario, il 17 febbraio 1604 e fu sepolto nella chiesa di S. Francesco della Vigna, non nella cappella Sagredo che fu costruita più tardi, ma sotto al pavimento dove lo ricorda una lapide.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Venezia, Misc. Codd., I, St. veneta, 20: M. Barbaro - A.M.Tasca, Arbori de’ patritii veneti, VI, p. 507; Segretario alle voci, Elezioni in Maggior Consiglio, regg. 1, c. 187; 2, cc. 103, 194; 3, cc. 130, 159; 8, c. 110; Segretario alle voci, Elezioni Pregadi, regg. 2, cc. 55r, 68r; 4, c. 98; Notarile, Testamenti, b. 1257/174 (quello della moglie Camilla, del 19 giugno 1580, n. 211); Provveditori alla Sanità, Necrologi, reg. 831, sub 17-2-1604; Notarile, Atti, reg. 10651, cc. 274r-277v (si tratta di una divisione patrimoniale con i fratelli, del 1557); Venezia, Biblioteca del Museo Correr, ms. Cicogna 3757: B. Sagredo, Istoria delle tre guerre de’ Veneziani con Turchi (in realtà è la sua autobiografia); M. Sanudo, I Diarii, XLII, XLVI, L-LIV, LVI-LVIII, Venezia 1895-1903, ad ind.; Relazioni dei rettori veneti in Terraferma, XIII, Podestaria e capitanato di Crema, a cura dell’Istituto di storia economica dell’Università di Trieste, Milano 1979, pp. 7-9; al ritorno da Cipro, Sagredo stese due relazioni, una da lui letta in Senato e in buona parte edita in L. De Mas Latrie, Histoire de l’île de Chypre, III, Paris 1852, pp. 406-413, l’altra per il Consiglio dei dieci, ora pubblicata in M. Zorzi, La relazione di B. S., provveditore generale e sindaco a Cipro, in La Serenissima a Cipro. Incontri di culture nel Cinquecento, a cura di E. Skoufari, Roma 2013, pp. 87-107; B. Sagredo, Il viaggio della mia vita. La guerra europea 1526-1530, a cura di V. Venturini - M. Zorzi, Venezia 2016.
E. Skoufari, Cipro veneziana (1473-1571). Istituzioni e culture nel regno della Serenissima, Roma 2011, pp. 63, 68, 74, 78, 99, 101, 110, 116, 142, 162, 165, 181, 183 s.; V. Venturini, La lunga vita avventurosa di B. S., nobile veneziano, in Notiziario dell’associazione nobiliare regionale veneta, n.s., IV (2012), pp. 51-70; M. Zorzi, La giornata della Prevesa (27 settembre 1538) nelle memorie di B. S., in Amicitiae pignus. Studi storici per Piero Del Negro, a cura di U. Baldini - G.P. Brizzi, Milano 2013, pp. 335-349.