TREVISAN, Bernardo.
– Nacque presumibilmente a Padova nel 1406 da padre medico, di nome Marco, e sarebbe morto nel 1490 (Lenglet Du Fresnoy, 1742, pp. 234-246).
A lui è ascritto un trattato alchemico risalente forse alla fine del Quattrocento e pubblicato in volgarizzamento francese nel 1567 dall’editore Guillaume Silvius di Anversa, con il titolo di Livre de venerable Docteur Allemant Messiere Bernard Conte de la Marche Trevisane de la philosophie naturelle des métaux.
I dati presenti nei fondi archivistici padovani e veneziani non permettono di confermare le informazioni di Nicolas Lenglet Du Fresnoy. Né Bernardo né il supposto padre Marco risultano aver ottenuto o aver presenziato al conferimento di titoli accademici. Un «Marcus Trivisanus» ricevette la «licentia in artibus» il 16 aprile 1429 (Acta graduum..., I, a cura di G. Zonta - I. Brotto, 1970, p. 227) e un «Marcus de Tervisio» presenziò alla «licentia et publica in artibus» di «Ludovicus Iohannis» (pp. 276 s.), con cronologie difficilmente conciliabili con quella tramandataci su Bernardo. Non vi è inoltre alcuna traccia archivistica di loro nelle differenti famiglie Trevisan, nobili padovani o patrizi e cittadini veneziani, per gli anni che interessano la cronologia accreditata da Lenglet Du Fresnoy. Con questo esito concordano due ricerche commissionate al Museo civico di Padova rispettivamente nel 1894 e nel 1928. Va esclusa l’appartenenza di Bernardo alla famiglia Collalto, l’antica casata comitale trevigiana, che ancora nel XV secolo ne conservava la denominazione (Passolunghi, 1987, pp. 193-269).
Nella storiografia più recente, tale identificazione risale alla ricerca che, per conto dell’amico Emilio Teza (1831-1912), il già primo direttore del Museo civico di Padova Andrea Gloria commissionò ad Andrea Cappello su «Marco e Bernardo Trevisan». Secondo Cappello doveva essersi trattato di un «errore», che avrebbe portato a confondere Bernardo con il più noto Bernardino (Padova, Archivio del Museo civico, Atti d’ufficio, b. 14, f. 1754, c. 2v). Di Bernardino, del resto, c’è ampia traccia negli Acta graduum patavini; di lui si sa anche che nacque nel 1526 (Riccoboni, 1591, p. 40, secondo cui era diciottenne nel 1544) e che morì nel 1583. Inoltre, Bernardino (e non Bernardo) Trevisan, figlio di Marco, fu medico e botanico, successore di Gabriele Falloppio (1523-1562) alla cattedra di botanica a Padova.
Fu dapprima Jacopo Facciolati, connettendo probabilmente le notizie di Lenglet Du Fresnoy, a ricordare Bernardino come alchimista celeberrimo (Facciolati, 1757, p. 349; Vedova, 1836, II, p. 369). In seguito, Teza pubblicò nel 1894 uno studio sul Livre di Bernardo Trevisan, in cui, sperando di confutare all’erudito veneziano Apostolo Zeno (1668-1750) la datazione di Bernardo al XIV secolo, tentò pur cautamente di attribuire il Livre a Bernardino Trevisan – operazione che gli sarebbe valsa la critica di Carlo Frati nel 1922 (p. 265) – evidentemente proprio perché influenzato da quanto riferitogli da Cappello (Teza, 1893-1894, p. 242).
Non fece invece il medesimo passo Bernard Jaffe (1896-1986), noto e accreditato studioso di storia della chimica, che nel 1928 fece compiere nuovamente alcune ricerche negli archivi padovani. Le notizie gli furono fornite dal bibliotecario Oliviero Ronchi (1874-1958) che constatò l’assenza di «ritratti» e «notizie intorno a un Bernardo conte di Treviso nato nel 1406» (minuta della risposta alla richiesta di Jaffe indirizzata al podestà di Padova F. Giusti del Giardino: Padova, Archivio del Museo civico, Atti d’ufficio, b. 83, f. 7739, c. 2r). Jaffe tuttavia non prese in considerazione questa notizia e si attenne alla biografia di Bernardo validata da Lenglet Du Fresnoy (Jaffe, 1957, pp. 9-19).
In realtà quanto ci è noto della supposta biografia di Bernardo, al netto delle informazioni fornite da Lenglet Du Fresnoy sul padre e sulle date di nascita e di morte, è contenuto nella seconda parte del Livre. Il Livre è infatti uno scritto articolato in quattro sezioni, precedute da un prologo. La prima è la sola ad avere un’edizione critica – benché «provvisoria» (Kahn, 2003, pp. 324-333) – ed è dedicata a coloro che per Bernardo furono i primi alchimisti. La terza e la quarta sezione sono rispettivamente la parte teorica e allegorico-pratica del trattato. Nella seconda parte Bernardo racconta dei suoi viaggi, dei maestri e dei truffatori che ha incontrato, del denaro che ha dilapidato nella ricerca della pietra filosofale. Non è possibile scindervi la componente autobiografica e quella caratteristica di un vero e proprio genere letterario che, nella grande e ad ampi tratti ancora inesplorata diffusione dell’alchimia nel XV secolo (Alchimia, 2007, p. LV), tende ad assumere alcune caratteristiche: tra queste il gusto per la mistificazione e il nascondimento della verità – uno dei tratti più duraturi della letteratura esoterica – e soprattutto un modello autobiografico destinato a divenire peculiare. Lo si può certamente ancorare a una tradizione di lungo periodo – se si considera, per impiegare un parametro di riferimento preciso, il racconto gnostico tradizionale –, ma nel XV secolo esso è l’esito di un processo osmotico con il tessuto letterario dell’epoca (Kahn, 2003, pp. 289-297).
Il più antico manoscritto noto del Livre (1516), un testo latino che riporta ampie sezioni dell’opera in francese, introduce l’autore quale «comes de la Marche trevysaine de Treves Alamani» (Paris, Bibliothèque nationale de France, lat. 7174, c. 1r [II foliazione]), evidentemente confondendo l’autore del Livre con l’alchimista del XIV secolo Bernardo di Treviri, autore della Responsio a Tommaso di Bologna (Kahn, 2003, pp. 274-288). Similmente, anche il Dialogus inter Naturam et filium philosophiae di Giles Duwes (m. 1535), stampato nel 1595 ma risalente al 1521, ne parla come di «comes Bernhardus» (De Vadis, 1595, p. 46). Più problematiche sono le presentazioni del secondo manoscritto più antico (1526-29 circa). Qui si parla del Livre come di un’opera composta «par [...] seigneur Bernard, Comte Trevisant quel acquist et subjuga la comté de Neges» (Paris, Bibliothèque nationale de France, fr. 2020, c. 37v). Oltre all’ambiguità Treviri/ Treviso, questo manoscritto dunque introduce una non altrimenti nota località che nella traduzione tedesca dell’opera (1574), il cui testo di partenza è peraltro quello latino di Guglielmo Gratarolo (1516-1528), è identificata con la diocesi di Liegi (Zaunick, 1977, pp. 62-65). Di qui, in ogni caso, prese ad assestarsi un’interpretazione univoca della supposta contea di Bernardo, che porterà Zeno a obliterare, in un primo tempo, l’ipotesi di un Bernardo «conte della Marca Trivigiana» (lettera a Giusto Fontanini del 2 marzo 1704, in Lettere di Apostolo Zeno, 1785, p. 184) – pur rammaricandosi poco dopo della genealogia dei Trevisan contestualmente ricostruita (p. 269).
Alla luce di questi dati, le possibili conclusioni relative alla provenienza di Bernardo restano quelle formulate da Didier Kahn. L’appellativo Trevisanus, con le sue varianti, potrebbe essere un errato scioglimento dell’abbreviazione di Treves – per uno pseudo Bernardo Treverensis identificato dalla tradizione manoscritta del Livre – in Trevisanus. In alternativa si può pensare che l’autore del Livre si fosse creato uno pseudonimo che richiamasse in qualche modo, a modello, la figura del più conosciuto Bernardo di Treviri (Kahn, 2003, p. 288).
Questa seconda ipotesi è corroborata dalle osservazioni di Furio Gallina (2015) circa la necessità di rifarsi a una genealogia nobiliare per ottenere credibilità e rispetto in territori lontani dall’Italia (p. 22). La precisa indicazione, pur priva di ogni riscontro, su una data di nascita – se non si tratta di un errore di lettura, 1506 in luogo di 1406 – e di morte nella documentazione di cui solo Lenglet Du Fresnoy attesta di disporre, farebbe pensare a un dossier di informazioni biografiche, comprendente il supposto titolo comitale, che fino a un certo momento veniva associato al nome di Bernardo Trevisan. In base a quanto si è visto, invece, possiamo dubitare che l’indicazione sul padre e sull’origine patavina di Bernardo appartenesse a un simile corredo biografico.
Nonostante le incertezze che permangono attorno alla figura storica di Bernardo Trevisan, la fortuna della sua opera è fuori discussione. La sua fama è peraltro legata alla produzione apocrifa che, oltre alla Responsio ad Thomam de Bononia, annovera almeno altri cinque testi (Kahn, 2003, pp. 320 s.; Gallina, 2015, pp. 42-44). Tre sono particolarmente celebri, tanto da essere noti anche a Isaac Newton (Teeter Dobbs, 1991, pp. 180, 183). Il più antico di questi è La parole délaissée o Verbum dimissum: un testo francese del XV secolo stampato per la prima volta nel 1618. Nel 1624 uscì il Traité de la nature de l’œuf des philosophes, traduzione francese della Epistola de ovo philosophico, risalente al XV secolo e attribuito a Guglielmo di Parigi. Del 1695 è invece la stampa del Songe-verd, testo di François Alary (fine del XVII secolo) ispirato a La parole délaissée. Vanno poi ricordate altre due opere, ritenute altrettanto spurie: il Tractatus [...] de lapide philosophorum esplicitamente ex Gallico Latinus factus pubblicato da Ludwig Combach nel 1647 e il Symbolum, uno scritto pubblicato in tedesco nel 1606 da Franz Kieser, di carattere teologico e che pertanto difficilmente s’intona al resto dei trattati attribuiti a Bernardo Trevisan.
Fonti e Bibl.: Padova, Archivio del Museo civico, Atti d’ufficio, b. 14, f. 1754 [1777], c. 2v; b. 83, f. 7739 [7807], c. 2r; Paris, Bibliothèque nationale de France, lat. 7174, cc. 1r-20r; fr. 2020, cc. 1r-37v. Acta graduum academicorum Gymnasii Patavini: ab anno 1406 ad annum 1450, I, 1406-1434, a cura di G. Zonta - I. Brotto, Padova 1970, pp. 227, 276 s.
Antonii Riccoboni Orationum..., II, Patavii 1591, p. 40; E. De Vadis, Dialogus inter naturam et filium philosophiae..., Francoforti 1595, p. 46; N. Lenglet Du Fresnoy, Histoire de la philosophie hermetique..., I, La Haye 1742, pp. 234-246; J. Facciolati, Fasti Gymnasii Patavini [...] ab anno MCCCCVI venetae dominationis primo ad Justitium anni MDIX, Patavii 1757, p. 349; Lettere di Apostolo Zeno..., I, Venezia 1785, pp. 184, 269; G. Vedova, Biografia degli scrittori padovani, II, Padova 1836, p. 369; E. Teza, Bernardino Trevisan e il conte Bernardo, in Atti e memorie della R. Accademia di scienze lettere ed arti in Padova, n. s., X (1893-1894), pp. 239-247; C. Frati, Ancòra a proposito di Fra Bernardino Trevisan, in La Bibliofilia, XXIV (1922), pp. 264-267; B. Jaffe, Crucibles: the atory of chemistry. From ancient alchemy to nuclear fission, Greenwich (Conn.) 1957, pp. 9-19; R. Zaunick, Der sächsische Paracelsist Georg Forberger. Mit bibliographischen Beiträgen zu Paracelsus, Alexander von Suchten, Denys Zacaire, Bernardus Trevirensis, Paolo Giovio, Francesco Guicciardini und Natale Conti, Wiesbaden 1977, pp. 62-66 (con l’elenco delle prime edizioni e delle ristampe delle opere di Trevisan alle pp. 65 s.); P.A. Passolunghi, I Collalto: linee, documenti, genealogie per una storia del casato, Villorba 1987, pp. 193-269; B.J. Teeter Dobbs, The Janus faces of genius. The role of alchemy in Newton’s Thought, Cambridge 1991, pp. 180, 183; D. Kahn, Recherches sur le “Livre” attribué au prétendu Bernard le Trévisan (fin du XVe siècle), in C. Crisciani - A. Paravicini Bagliani, Alchimia e medicina nel Medioevo, Firenze 2003, pp. 265-336; Alchimia. I testi della tradizione occidentale, a cura di M. Pereira, Milano 2007, p. LV; F. Gallina, Miti e storie di alchimisti tra il medioevo e l’età contemporanea, Resana 2015, pp. 22, 42-44.