BERNARDO
Vescovo di Parma, secondo di questo nome, venne eletto e consacrato probabilmente intorno al 1170, come successore di Aicardo da Cornazzano, deposto dalla sua dignità perché fautore dell'antipapa Vittore II e dell'imperatore Federico I.
Incerto, e tutt'ora discusso., l'anno in cui B. fu eletto alla cattedra episcopale. è sicuro comunque che, nonostante la ribellione di Parma alla parte imperiale (1167), Aicardo da Comazzano era ancora vescovo in quella città nel 1169 (Schiavi, I, p. 91; II, p. 238); tuttavia da un documento del 31 ag. 1170 si evince che Aicardo a questa data era già stato deposto e che B. era già da qualche tempo vescovo di Parma.
Il documento in questione (conservato presso l'Archivio Capitolare di Parma) - relativo a un giudicato tenutosi alla presenza di B. a proposito di certe decime da versarsi alla Chiesa parmense - è stato datato dall'Affò al 1° sett. 1172 (II, p. 242 n. d e doc. in appendice). Più recentemente il Pelicelli (I vescovi…, p. 165 s.) ha potuto retrodatare la carta al 31 ag. 1170. Secondo il Pelicelli, inoltre, l'elezione di B. dovette avvenire nel 1169: una prova di ciò trova in una lettera, con cui Alessandro III dava incarico "Bernardo electo Parmensi" di giudicare intorno ad una vertenza sorta fra certo I., arcidiacono di Reggio, ed il "nobile uomo" G. de Baiso (Ph. Jaffé-S. Loewenfeld, Regesta pontif. Rom., II, Lipsiae 1888, n. 13510). Tale lettera, che lo Jaffé data "circa 1179" e che invece non può essere posteriore, in ogni, caso, al 31 ag. 1170, è stata dal Pelicelli attribuita appunto al 1169.
Il 3 giugno 1171 B. presenziava alla stesura dell'atto relativo ad una concessione livellaria, fatta da Giberto e Ranieri, canonici della cattedrale, ai fratelli Manfredo e Carino di Cittanova; quattro anni più tardi, nel 1175, alla presenza del diacono Alberto, rappresentante del vescovo di Parma, i consoli di questa città riconoscevano solennemente alla Chiesa parmense il diritto di esigere ed incamerare le imposte dovute da quanti intervenivano alla fiera di S. Ercolano. Il 3 dicembre dello stesso anno B. dirimeva una vertenza fra l'abbate del monastero di S. Giovanni Evangelista di Parma e il pievano di S. Martino circa il diritto ad incamerare le donazioni e le offerte fatte alla chiesa di S. Giorgio. Acuitosi il contrasto fra B. e il vescovo di Piacenza per una disputa circa i diritti sulle chiese di S. Martino in Speculo e di S. Cristina - site in territorio piacentino, ma aggregate alla diocesi di Parma - Alessandro III affidava il compito di comporlo al vescovo di Brescia, Giovanni, il quale riconobbe le due chiese di pertinenza della diocesi di Piacenza, condannando il procuratore di B. a risarcire la Chiesa piacentina dei danni subiti (11 ott. 1176; cfr. Registrum Magnum del Comune di Piacenza, Torino 1921, p. 16); il 12 novembre di quello stesso anno il papa confermava la sentenza (Kehr, V, p. 456, n. 68).
A B. furono indirizzate da Alessandro III in questo periodo altre tre lettere, di cui non si è in grado di precisare l'anno, mancandone l'indicazione in due di esse e l'intera data nell'ultima. In una, scritta da Tusculum il 27 di giugno, Alessandro III invita i vescovi di Parma e di Reggio ad appianare alcuni contrasti tra i monaci di Nonantola e alcuni loro parrocchiani, costringendo questi ultimi a restituire i beni usurpati alla chiesa de Cellis di spettanza a quel monastero (Jaffé-Loewenfeld, Regesta pontif. Rom., n. 14302). Nella seconda lettera, datata da Anagni il 25 novembre, ordinava ai vescovi di Reggio e di Parma di curare la restituzione di alcuni beni, posti in curte Nogara e pertinenti all'abbazia di Nonantola (ibid., n. 13138). Con la terza, rispondendo ad un quesito postogli da B. a proposito del matrimonio di un cittadino parmense il quale, accusato di omicidio, era latitante, Alessandro III ordinava di istruire lo stesso il processo, qualora B. potesse valersi di valide testimonianze, e di condannare canonicamente l'accusato, anche se a piede libero (Kehr, V, p. 419, n. 24).
Il 26 nov. 1179 B. intervenne alla sentenza pronunziata dagli assessori dei consoli di Parma contro i signori di Pizzo e in favore del capitolo della cattedrale (Affò, II, p. 390). Il 13 luglio del 1180 Alessandro III gli ordinava di far restituire dai suoi diocesani le proprietà usurpate al monastero pavese di S. Maria Teodota, pena la scomunica, avendo egli, "de consilio episcoporum et assensu Friderici imperatoris", annullate le vendite, le infeudazioni e le alienazioni compiute in Italia settentrionale "a schismaticis" (J. von Pflugk-Harttung, Acta pontif. Rom., III, Stuttgart 1886, p. 281, n. 304).
La lettera, inviata anche ai vescovi Oberto di Tortona, Tedaldo di Piacenza, Offredo di Cremona ed ai canonici di Borgo San Donnino, non dovette sortire gli effetti sperati: il 17 maggio 1182 (o 1183, l'anno non è sicuro) Lucio III tornava sull'argomento, invitando i vescovi ad agire con maggiore solerzia (ibid., p. 299, n. 329).
Nel quadro dell'azione svolta da B. per definire i diritti e gli obblighi della Chiesa parmense è da vedere anche la carta del 27 febbr. 1183, contenente la confessione di certo Tebaldo e del suo nipote Adelgerio, che, "adeuntes Bernardi Dei gratia Parmensis pontificis et comitis", ammisero di aver ricevuto 13 lire di imperiali gravanti sulla corte di Sissa e su Coltaro dai canonici della cattedrale. per conto di Armando da Cornazzano (Pelicelli, I Vescovi…, p. 167 B). Il 10 maggio di quello stesso 1183, per cercare di porre un rimedio alle difficoltà finanziarie in cui si dibatteva la fabbrica della cattedrale, B. le rinnovava la donazione, già concessa sessant'anni prima dal predecessore Bernardo (I). è del 4 genn. 1186 una lettera inviata da Urbano III ai vescovi di Piacenza, di Parma e di Pavia, con la quale si ricordava a B. essere il monastero di S. Maria de Columba (Chiaravalle della Colomba, in diocesi di Piacenza) esente per privilegio apostolico; e che pertanto erano da colpire con la scomunica quei laici, da sospendere "ab officio" quegli ecclesiastici, che, vantando diritti giurisdizionali, avessero cercato di esigere le decime inerenti ai beni pertinenti a quel monastero (Kehr, V, p. 524, n. 11, con l'indicazione delle fonti). In quello stesso anno, il 26 di luglio, B. presenziava all'atto con cui il canonico Egisto, "massaro" del capitolo, cedeva all'arciprete Giovanni di Compagine ognidiritto e ragione sulla chiesa che si stava erigendo in quella località (Arch. Capitolare di Parma, pergamene nn. 196 e 197). Incaricato dal cardinale legato Pietro Diano di risolvere la vertenza tra il capitolo della cattedrale ed un certo Guido, soprannominato Boezio, a proposito dei diritti sulla chiesa di S. Secondo, il 3 giugno 1192 B. concludeva l'inchiesta dichiarando che Guido non poteva vantare alcun diritto (Ibid., pergamena orig. ined. ricordata da Pelicelli, I Vescovi, p. 171 A: cfr. Kehr, V, p. 422, n. 7, sotto la data 9 giugno).
Assai complessa e finora poco studiata è la personalità. di B., il quale dovette esercitare, sugli avvenimenti contemporanei, un peso ben maggiore di quanto si possa desumere dagli aridi cataloghi e dalle sillogi episcopali, o dalle stesse opere storiografiche moderne, sia come uomo politico, nel quadro della lotta combattuta tra i comuni della pianura padana e l'Impero, sia come intelligente mecenate ed amministratore in un grande piano di opere pubbliche e di sistemazione edilizia della città di Parma. A lui si deve infatti il terzo ampliamento della cinta muraria cittadina, le opere di ingegneria militare a difesa dei borghi extramuranei - che vennero così a far parte integrante della città -, i lavori per il nuovo palazzo vescovile, la fondazione della chiesa di S. Cecilia a Co' di Ponte (Oltretorrente).
Non solo alla rapida e continua espansione della città, importante nodo stradale e commerciale, furono dovuti i lavori per la costruzione delle nuove mura e per la rettificazione e il restauro di quelle antiche: evidenti preoccupazioni di sicurezza interna e di difesa da attacchi esterni dovettero infatti indurre B. a fornire la città di un valido baluardo. Già fedele alla parte imperiale sino al 1167, poi con qualche incertezza entrata a far parte della Lega lombarda, Parma non poteva non apparire sospetta alle altre città della Lega, e, in particolare, a Piacenza e a Reggio, onde ragioni di ordine militare,e strategico potrebbero aver indotto il vescovo a rettificare a levante la cerchia muraria, rinforzando così le difese contro Reggio, e a fortificare l'importante testa di ponte costituita dai borghi sorti lungo la via Emilia, sulla sinistra del torrente Parma: questi ultimi rappresentarono infatti il posto avanzato parmense verso Borgo San Donnino (Fidenza), e cioè contro Piacenza.
Intorno al 1172 B. aveva dato inizio anche ai lavori di ampliamento e di rammodernamento dell'antico palazzo vescovile, costruito oltre un secolo prima dal vescovo Cadalo (per la controversa data di edificazione, v. Schiavi, II, pp. 320 ss.). I lavori dovettero procedere assai spediti se già sul finire del 1175 B. poteva datare una sentenza: "Parme, in palatio novo episcopi". Di quale entità siano stati i lavori eseguiti, ed in che misura essi abbiano modificato l'antica fabbrica, non è dato sapere altro che vagamente, per mancanza di studi specifici. La formula di datazione topica contenuta nel documento sopra citato, tuttavia, insieme con un'altra contenuta in un documento del 4 sett. 1178, non solo ha permesso di anticipare, rispetto alla data fissata dall'Affò e generalmente accettata, quella del 1192, il termine in cui vennero ultimati i lavori ordinati da B. (cfr. anche Pelicelli, p. 166 B), ma potrebbe avvalorare l'ipotesi di una costruzione di un nuovo edificio cui sembra facciano riferimento documenti posteriori a Bernardo.
B. favorì la costruzione del ponte di Pietra sul Taro (1170-1175): forse in questa occasione egli donò alla Confraternita degli ospitalieri l'ospedale e la chiesa di S. Niccolò, da cui la Confraternita stessa avrebbe poi preso il nome (v. anche Affò, II, p. 249). Intorno al 1194, secondando il parere del legato pontificio in Lombardia, cardinale Pietro Diano creò una nuova parrocchia in Co' di Ponte.
Nel contesto di siffatta attività edilizia si potrebbe azzardare l'ipotesi che per impulso di B. fosse stato chiamato Benedetto Antelami Del 1178 è, infatti, il pannello, firmato e datato, con il famosissimo rilievo della Deposizione, ora conservato presso il duomo di Parma; mentre di poco posteriore è la cattedra episcopale scolpita sempre dall'Antelami a Parma. Del decennio 1180-1190 sono la progettazione del duomo di Borgo San Donnino, le poche sculture attribuibili al maestro sulla facciata di questo e contemporanea agli ultimi anni di B. - dopo una breve interruzione - la progettazione del battistero di Parma., iniziato intorno al 1194-95.
La politica seguita da Parma negli anni gompresi tra il 1170 ed il 1194 non fu così semplice e lineare come vorrebbe far apparire certo indirizzo storiografico, tutta volta ad una meta comune con le altre città della Lega. Troppi elementi concordano nel provare una linea di condotta tendente a garantire a Parma e al suo vescovo la più larga indipendenza nei confronti delle altre città padane, ottenuta appoggiandosi alla potenza dell'Impero.
B. continuò infatti a esercitare la propria potestà "deliberandi et diiudicandi seu distringendi, veluti si praesens adesset comes palatii", con funzioni dunque superiori a quelle del semplice conte, quali gli competevano sulla base dei privilegi rilasciati alla Chiesa parmense da Corrado II. L'azione probatoria dei diritti feudali, conservata nel suo originale presso l'Archivio Capitolare di Parma e ricordata dal Pelicelli (p. 167 B), afferma che "qui dicitur episcopus Parmensis est comes civitatis pro imperatore", e che a lui spetta il governo del contado: e a noi consta che B. investiva i consoli cittadini e che governò "per gastaldos" le terre di Colorno, Rigoso, Terenzo, Bardone, Berceto e Castelgualtieri, costituenti appunto il contado di Parma (Arch. Segr. Vat., AA, arm. I, XVIII, 3913). Non risulta che B. abbia giurato fedeltà all'imperatore: eppure, se si pone mente al fatto che egli esercitò in piena legalità e senza contrasti i poteri derivantigli dai privilegi di Corrado II, quando invece nella dieta di Roncaglia era stata decretata la devoluzione di tutte le "regalie" alla Camera imperiale pena il bando, non si può non ammettere che Federico I, dopo Aicardo da Comazzano, abbia investito anche B. del comitato e della vicaria imperiale su Parma, secondo il dettato di quei privilegi. Una prova ulteriore dei buoni rapporti esistenti fra l'imperatore ed il vescovo di Parma e della politica filoimperiale da quest'ultimo perseguita, nonostante l'apporto parmense alla vittoria di Legnano, è data dagli avvenimenti posteriori alla tregua di Venezia (1° ag. 1177). Dopo essersi recato a Roma nel marzo 1179 per partecipare ai lavori del terzo concilio lateranense, B. accoglieva con tutti gli onori, nel giugno del 1181, in Parma lo stesso imperatore; quindi, scaduta la tregua concessa da Federico I e giurata la pace fra i rappresentanti di quest'ultimo e quelli della Lega nei colloqui di Piacenza (30 apr. 1183), convocata la dieta generale a Costanza, vi inviava a rappresentarlo Iacopo Bava, Corrado Bolzoni, i giudici Maladdobbato e Vetulo. Il 25 giugno 1183 Federico I, con solenne privilegio, abrogava le disposizioni di Roncaglia; con il cap. VIII della costituzione di Costanza, in particolare, venivano ufficialmente riconfermati i poteri ed i diritti feudali spettanti a Bernardo. Con gesto significativo, inoltre, Federico I volle sottolineare il carattere particolare, quasi di città imperiale, posseduto da Parma, investendo personalmente del consolato Iacopo Bava.
Contro i poteri giurisdizionali confermati e riconosciuti al vescovo B., in quanto conte di Parma, dal privilegio di Costanza insorsero tuttavia più volte le autorità laiche del Comune, tanto che il vescovo si vide costretto ad appellarsi all'imperatore ed al pontefice (Arch. Segr. Vaticano, G. Garampi, Schedario dei Vescovi, LVIII: De appellatione ad imperatorem et pontificem… interposita a Bernardo episcopo adversus Co. Parma super iurisd. civitatis, arm. XIII, XIV, 69, n. 26).
L'11 febbr. 1185 il vescovo era a Reggio, al seguito di Federico I. In questa occasione non solo risolse alcuni contrasti d'interesse con la Chiesa reggiana, ma sottoscrisse anche, insieme con l'arcivescovo di Magonza, il presule di Reggio e altri dignitari ecclesiastici e laici, il diploma con cui l'imperatore investiva i fratelli di Canossa dei feudi di Bibianello, Canossa e Gesso (Archivio di Stato di Reggio, Raccolta Turri: Archivio Canossa). Il 27genn. 1186 era presente alle solenni cerimonie, celebratesi in S. Ambrogio a Milano, per le nozze di Costanza d'Altavilla, nipote di Guglielmo II re di Sicilia, con il figlio di Federico I, Enrico VI. In questa occasione egli fu uno dei dignitari dell'Imperò che assistettero anche alla fastosa funzione in cui Enrico venne incoronato re d'Italia ed a Costanza fa imposta la corona di Germania. Quindi, sempre al seguito della corte imperiale, B. passò a Pavia, dove Federico I, l'11 di febbraio, fece ampia donazione alla Chiesa parmense, investendo il vescovo del dominio assoluto sul castello di Rignano (poi detto Castrignano), su San Michele de' Gatti, Bonignano, Cerreano e Paderno; lo innalzò inoltre alla funzione di "messo imperiale" investendolo di quei poteri di giudice d'appello che il privilegio di Costanza aveva riservato all'imperatore.
Assai interessante è la motivazione della donazione: "considerantes fidem ac sinceram devotionem dilecti ac fidelis principis nostri Bernhardi Parmensis episcopi, propter clara servitiorum suorum merita, quae nobis et imperio intrepida devotione semper exhibuit…" (Affó, II, p. 392). Se per certa parte vi si trovano, infatti, le formule di rito in simili diplomi di donazione, vi sono altresì accenni che mal si conciliano con la facile tesi di una dimostrazione di magnificenza fatta per accattivarsi un antico avversario. A parte il titolo di "fidelis princeps" con cui viene salutato B. (e che potrebbe spiegarsi anche con la vicaria imperiale esercitata su Parma in forza dei diplomi di Corrado II), la frase "propter clara… merita, quae nobis… intrepida devotione… exhibuit" non può non sottintendere che B. mai era venuto meno alla sua fedeltà a Federico I, pur quando questo avrebbe potuto tornargli a danno.
Da questo momento è sempre più facile cogliere le ragioni, il significato e gli obiettivi della politica filo-imperiale perseguita da Bernardo. Nel 1186, quando Federico I impose a Cremona la sua reconciliatio,ilvescovo di Parma si trovava, fra i grandi dell'Impero, nell'accammento svevo sotto Castel Manfredi, e fu lui a notificare ai Cremonesi la disposizione relativa all'obbligo del giuramento per il denaro da versarsi entro l'8 di giugno; così come la sua firma compare, insieme con quelle degli altri notabili di parte imperiale, in calce ai documenti di pace (Mon. Germ. Hist., Legum sectio IV, I, a c. di L. Weiland, Hannoverae 1893, p. 437). Rientrato a Parma, B. investì della sua carica Pagano da Medulago, cremonese, eletto podestà dai Parmensi; fra il luglio e l'agosto rinnovò e fece giurare i patti di non aggressione e di alleanza che erano stati stipulati con Reggio e con Modena. Nel 1188,risorta Cremona dopo il rovescio del 1186, si alleava a quest'ultima e rinnovava gli accordi col marchese Malaspina.
Chiari appaiono, in questo quasi convulso ricercare e stringere alleanze, i timori che dovevano animare, in quello scorcio del sec. XII, insieme con i responsabili delle altre città lombarde, anche il vescovo B., ben giustificati timori nei confronti di Milano tornata all'antica - se non a maggiore - potenza, dopo il privilegio di Costanza.
Protetti da questi accordi, i Parmensi scesero in campo, insieme col marchese Malaspina, proprio in quest'anno 1188: occupato Borgo San Donnino con il pretesto di difenderne la libertà minacciata dalle mire espansionistiche di Piacenza, le truppe parmensi entrarono in territorio piacentino, investirono Castelnuovo, la Torre del Seno e Casalalbuzo, che, una volta occupato, distrussero. I Milanesi, accorsi, subito in aiuto degli alleati, si rivolsero contro il Malaspina, entrarono nella valle del Taro e strapparono al marchese alcuni castelli.
Le pericolose conseguenze di questa guerra che, minacciando l'instabile equilibrio su cui si fondava la "concordia" fra le città lombarde, rischiava di coinvolgere in un generale conflitto tutte le forze della pianura padana, indussero i rettori della Lega a chiedere a Parma di inviare i suoi rappresentanti a un congresso della Lega da tenersi a Verona e nel quale si sarebbero discusse le ragioni del dissidio con Piacenza. Se tale congresso fu effettivamente tenuto, non sappiamo; certo è che, preoccupato dalle conseguenze di una conflagrazione generale alla quale non avrebbe potuto rimanere estraneo l'Impero, intervenne a comporre l'attrito Clemente III.
Il papa inviò come "Apostolicae Sedis legati" in Italia settentrionale "ad pacem reformandam" due insigni personalità, il parmense Pietro Diano, presbitero cardinale dei titolo di S. Cecilia, ed il diacono cardinale del titolo di S. Maria in via Lata, Sofredo, delegandoli ad appianare in suo nome le divergenze tra Piacentini e Parmensi. Le discussioni e le trattative si protrassero per oltre tre mesi; solo alla fine dell'anno, dopo che i rappresentanti delle due città riuscirono ad accordarsi sulle pregiudiziali, nella cattedrale di Borgo San Donnino fu letto, alla presenza dei due cardinali, uno schema di trattato che Vetulo, giudice parmense, si impegnò con giuramento a far accettare al governo della sua città. Il cardinal Sofredo si portava allora a Parma, dove, il 1° genn. 1189, riunitisi sotto la presidenza di B., presenti il cardinale legato e Guidotto da Sesso, prevosto della cattedrale, i responsabili del governo cittadino, veniva solennemente giurata e firmata la convenzione fra Parma e Piacenza; analoga cerimonia avveniva anche a Piacenza (Registrum Magnum del Comune di Piacenza, Torino 1921, p. 258). Nel giugno di questo stesso anno 1189, seguendo l'esempio di uno dei suoi predecessori, il vescovo Lanfranco, B. promulgò una costituzione, con cui fissava a 16 il numero dei canonici della cattedrale (Arch. Capitolare di Parma, pergamena originale ricordata dal Pelicelli, p. 171 A). Poco dopo accoglieva nel palazzo vescovile Federico I, che moveva verso la terza crociata, accompagnandolo poi sino a Bologna. Riapertesi (inizio dell'anno 1191), alla morte di Federico I, le ostilità tra Bergamo e Cremona, da un lato, e Milano e Brescia dall'altro, anche Parma, legata da interessi concomitanti e da trattati di amicizia alle due avversarie di Milano, riprese la lotta contro Piacenza per il possesso di Borgo San Donnino, proseguendo le ostilità anche dopo il grave rovescio subito dalle alleate alla Malamorte (7 luglio) e la pace del 4 genn. 1191, imposta ai contendenti dal nuovo imperatore Enrico VI. Coerente alla sua linea politica, B. non solo non mancò di mostrare il proprio lealismo nei confronti del nuovo sovrano, al seguito del quale si recò nel 1191 a Bologna e dal quale ebbe riconosciuti e confermati solennemente i propri privilegi feudali (fra il 1192 ed il 1193, la data non è certa), ma s'inserì autorevolmente nella Lega diretta da Bergamo e da Cremona, lega che, per essere in funzione antimilanese, doveva necessariamente appoggiarsi all'Impero. E quando Enrico VI, che preparava una nuova spedizione nel regno di Sicilia, per non privarsi dell'aiuto che poteva venirgli dalle città padane, volle stabilire tra esse una tregua, se non una pace duratura, B. accondiscese di buon grado a trattare la pace con la Lega che faceva capo a Milano (1194).
B. morì, secondo l'antico Calendario-necrologio della cattedrale di Parma, l'8 nov. 1194; il suo corpo venne solennemente inumato nella cattedrale.
A lui si deve anche una attenta opera di catalogazione e di sistemazione dei documenti e dei privilegi esistenti nell'Archivio vescovile (v. i regesti apposti, durante il suo episcopato, dai suoi notai, in calce ad ogni singola carta).
Fonti e Bibl.: G. D. Mansi, Sacr. Concil. nova et ampliss. Collectio…, XXII, Venetiis 1767, coll. 215, 463; Migne, Patr. Lat., CC, coll.1082 s., 1187 s., 1291; J. von Pflugk-Harttung, Iter Italicum, Stuttgart 1883, p. 304; Id., Acta pontif. Rom. inedita, Stuttgart 1884, pp. 281, 299, 337, 353; Il Calendario-Necrologio del sec. XIII dell'Archivio Capitolare di Parma, in A. Schiavi, La diocesi di Parma, II, Parma 1940, p. 29; P. F. Kehr, Italia pontificia, V, Berolini 1911, pp. 354 s., 418-420, 455-456, 524; P. M. Campi, Dell'historia ecclesiastica di Piacenza, III, Piacenza 1651, pp. 363 s.; L. A. Muratori, Antiquitates Italicae Medii Aevi, II, Mediolani 1739, col. 666 (per errore "Gerardus" invece di "Bernardus"); G. Tiraboschi, Storia dell'augusta badia di S. Silvestro di Nonantola, II, Modena 1785, pp. 278, 309; I. Affò, Storia della città di Parma, II, Parma 1793, pp. 242 s., 249, 254, 262 s., 267 s., 269 s., 286 s., 383, 392 a.; F. Cherbi, Le grandi epoche… della chiesa vescovile di Parma, I, Parma 1835, pp. 310-318; II, ibid. 1837, p. 320; III, ibid. 1839, p. 524; G. Cappelletti, Le Chiese d'Italia, XV, Venezia 1859, pp. 162 s., 186; B. Pollastrelli, Degli atti della Pace di Costanza…, Piacenza 1862, p. 8; N. Pelicelli, I Vescovi della Chiesa parmense, Parma 1936, pp. 165-172; A. Schiavi, La diocesi di Parma, I, Parma 1925, p. 91; II, ibid. 1940, passim; F.Bernini, Storia di Parma, Parma 1954, p. 42; G. L. Barni, in Storia di Milano, IV, Milano 1954, pp. 30, 90 ss., 97 ss., 108 ss., 125 ss., 137, 139; Dict. d'Hist. et de Géogr. Ecclés., VIII, col. 721; Encicl. catt., II, coll. 1438 s.