BERNARDO
Ventottesimo vescovo di Piacenza, nacque nella prima metà del sec. IX, probabilmente proprio a Piacenza; ordinato diacono, entrò a far parte dei capitolo della cattedrale. Nell'889, morto il vescovo Paolo (e non Mauro II, come in P. B. Gams, Series episcoporum…, Leipzig 1931, p. 746; e nemmeno Everardo, come in Dict. d'Hist. et de Géogr. Ecclés., VIII, col. 725, n. 215) verso la fine dell'anno precedente, B. venne eletto a succedergli dal capitolo della cattedrale, con l'unanime consenso delle autorità laiche cittadine, del clero e del popolo.
La diocesi di Piacenza dipendeva gerarchicamente dalla sede metropolitica di Ravenna, che era da qualche tempo vacante, e ciò significava che B. non avrebbe potuto essere consacrato sino a quando non fosse stato eletto e consacrato il patriarca di Ravenna.
Nell'urgenza di veder consacrato il vescovo eletto, il capitolo della cattedrale di Piacenza, d'accordo con il clero e con le autorità cittadine, si rivolse direttamente a Stefano V, affinché provvedesse egli stesso alla consacrazione di Bernardo. Il papa, dopo essersi accertato della regolarità e della canonicità dell'elezione, valutate le precarietà e la gravità del momento politico, stimò pienamente giustificata dalle circostanze quella che era una patente violazione delle prerogative e dei diritti giurisdizionali della sede metropolitica di Ravenna. Fu così che B. venne consacrato vescovo di Piacenza da Stefano V, intorno agli inizi dell'890.
Da storici della Chiesa e da studiosi di storia locale sia la richiesta dei Piacentini sia il sollecito intervento della Sede, apostolica sono stati visti soprattutto come un episodio di quella lotta che venne tenacemente condotta dai vescovi piacentini per lo svincolamento della loro sede dalla soggezione gerarchica nei confronti della legittima sede metropolitica di Ravenna. Tale tesi, tuttavia, se vale a spiegare eventi della successiva storia politica e religiosa di Piacenza, non può assolutamente accettarsi per le vicende relative all'elezione ed al pontificato di Bernardo. Un'attenta e spassionata analisi delle lettere pontificie riguardanti l'episodio, così come pure la stessa attività pastorale di B., mostrano chiaramente come sia Stefano V sia il capitolo piacentino fossero mossi da preoccupazioni eminentemente pastorali e, in seconda linea, da timori di carattere temporale, per le ripercussioni che avrebbe avuto anche all'interno della stessa diocesi piacentina la crisi istituzionale e politica che stava allora sconvolgendo l'Italia.
Subito dopo aver consacrato B., Stefano V inviò "omnibus sacerdotibus, atque iudicibus, clero et populo seu universae generalitati Placentiae commorantibus" una lettera in cui, dopo aver ricordato i motivi che lo avevano indotto ad accogliere la richiesta di consacrazione di B., ordinava tassativamente sia al nuovo presule sia ai suoi successori l'obbedienza assoluta alla sede metropolitica di Ravenna, che, proseguiva il papa, lo stesso B. si era impegnato a osservare. Il papa aggiungeva inoltre che chiunque avesse osato ribellarsi in qualunque modo all'autorità patriarcale sarebbe stato sospeso a divinis se vescovo (fosse pure B. od un suo successore) o chierico, scomunicato, se laico; e in tale stato di contumacia sarebbero rimasti "quousque solutionis gratiam a Ravennate archiepiscopo perceperit" (lettera Qualiter sancta Ravennas, in Migne, n. XI, coll. 799 s.). Il papa, dunque, non solo non aveva fatto nulla per liberare Piacenza dalla sua soggezione gerarchica, ma aveva sottolineato ai responsabili di quella sede quali fossero i loro doveri; si era fatto premura, anche, di comunicare tempestivamente alla Chiesa ravennate il contenuto della sua lettera. Inoltre, non appena gli venne notificata l'avvenuta elezione del nuovo patriarca di Ravenna, Domenico, Stefano V si affrettò a rendergli ragione del proprio operato con l'epistola Ob hocdivina, datata il 25 marzo 890 (Migne, n. X, col. 798).
In essa il pontefice sottolineava le ragioni che lo avevano indotto ad "usurpare" le prerogative di quella sede patriarcale consacrando un vescovo suffraganeo di quella: la prolungata vacanza di quella cattedra metropolitica ravennate; la crisi politica che sconvolgeva l'Italia; le pericolose ripercussioni che avrebbe avuto, all'interno della diocesi di Piacenza, il fatto che il B., benché canonicamente eletto, dovesse attendere la propria consacrazione, e quindi dovesse attendere ad entrare in carica sino a quando non fosse stato eletto e consacrato il suo nuovo metropolita; le preoccupazioni, infine, d'indole pastorale, che destava il prolungarsi di un simile concorso di circostanze. Stefano V sottolineava anche, nella sua lettera, le severe disposizioni che egli aveva dato a B., ribadendo i concetti della soggezione del vescovo e della sua Chiesa dalla sede metropolitica di Ravenna.
Chiarita in tal modo la sua posizione nei confronti di Roma e di Ravenna, B. iniziò il suo ministero, dedicandosi attivamente ai suoi compiti di pastore di anime e riordinando le gerarchie ecclesiastiche all'interno della diocesi; ristabilendo la disciplina nei monasteri compresi nell'ambito della diocesi, cercò di porre un freno agli abusi ed ai disordini insorti in occasione della vacanza della sede episcopale. La sua attività pastorale, tuttavia, non gli fece perdere di vista quei compiti temporali che Carlo il Grosso in un diploma dell'881 aveva attribuito ai vescovi piacentini. Tra la fine dell'89o e gli inizi dell'891, infatti, ricevette onorevolmente Ermengarda, figlia dell'imperatore Ludovico II e badessa del monastero cittadino di S. Sisto, giunta con gran seguito a Piacenza. Fedele alla politica di Stefano V, dopo un primo momento di incertezza, guardò favorevolmente all'azione politica di Guido III di Spoleto, di cui divenne anzi uno dei più attivi fautori in Italia settentrionale e di cui fece riconoscere la suprema autorità dai Piacentini.
Ben presto raccolse i frutti di questa azione. Coronato Guido imperatore in Roma dallo stesso Stefano V il 21 febbr. 891, il papa si affrettava ad inviare a B. una lettera con cui venivano riconosciuti e confermati tutti i privilegi e le donazioni dai suoi predecessori concesse ai vescovi di Piacenza. Il pontefice dichiarava altresì di riconoscere "praecepta et instrumenta chartarum, et iura sive traditiones" fatte alla Chiesa piacentina da sovrani, da clerici, "aut catholicis hominibus" (Migne, n. XXVII, coll. 812 s.).
Anche nelle disposizioni contenute nella lettera si volle vedere un riconoscimento di quella esenzione della Chiesa piacentina dalla dipendenza gerarchica del patriarcato di Ravenna che tanta parte ebbe nella successiva storia di Piacenza; e nel "patrocinio apostolico", sotto il quale il papa Stefano V avrebbe posto la Chiesa piacentina, si è voluta vedere una riprova degli abili e fortunati maneggi segreti compiuti da B. per raggiungere i due scopi, dell'indipendenza gerarchica della sua Chiesa e della propria supremazia temporale su Piacenza stessa. In realtà, quest'ultima gli derivava, in quanto vescovo di Piacenza, dal già citato diploma di Carlo il Grosso dell'881; mentre l'accenno al "patrocinio apostolico" è mera formula generica, riferentesi all'attività pastorale di B., a questioni di carattere ecclesiastico-disciplinare ed ai rapporti di forze interni alla diocesi piacentina: Stefano V si limitava a riconoscere privilegi precedenti e ad enumerare comunità monastiche, che, sottoposte gerarchicamente al vescovo di Piacenza, gli dovevano obbedienza come al loro capo e pastore, proprio in virtù di quei privilegi ricordati dal papa, non solo, ma anche per il fatto di trovarsi compresi nell'ambito territoriale della diocesi piacentina. Si ricordi, inoltre, che i passi relativi ai monasteri di Bobbio, Mediano, Capo Trebbia, Monte Spinoli,nonché quello relativo alla pieve q. v. Basilica Wiliani, sono interpolati, e quindi non comparivano nell'originale, le cui disposizioni, dunque, erano limitate appunto alla diocesi piacentina.
La lettera pontificia rappresenta dunque una precisa e ferma presa di posizione nei confronti di urgenti difficoltà di ordine ecclesiastico-disciplinare interne alla diocesi: difficoltà insorte o favorite dalla vacanza della sede episcopale e dall'altra contemporanea e più lunga vacanza, quella della sede metropolitica; difficoltà e disordini che il nuovo vescovo B. era stato evidentemente incapace di superare da solo, e per i quali aveva fatto ricorso all'autorità pontificia. Stefano V fa nella sua lettera esplicito e continuo riferimento a diritti, propri del presule e della Chiesa piacentina, usurpati da laici o, addirittura, da ecclesiastici e monaci. Anzi, proprio a questi ultimi egli ha dedicato la parte più ampia delle sanctiones che sono contenute o previste dalla sua epistola, proseguendo: "Et si quid inordinatum in praedicta Ecclesia esse dinoscetur, a tua providentia et sollicitudine ordinetur, nostra plenissima auctoritate suscepta…". Non dunque "esenzione" dalla sede metropolitica; e nemmeno, come scrive anche il Campi, compiti di "vicegerente" del papa affidati al B.: ma un richiamo all'obbedienza dovuta al legittimo presule da parte di quanti gliela dovevano canonicamente. La lettera del 13 nov. 891, inviata, poco dopo la sua elezione al soglio pontificio, da papa Formoso a B., lettera che il Poggiali a torto ritiene "infondata e falsa" (pp. 15 s.), ripete quasi ad verbum la lettera di Stefano V testé esaminata.
Che B., in mezzo ai compiti pastorali, non abbia tralasciato gli altri suoi compiti civili, è provato dal fatto che egli, quale "vassus domni imperatoris", giudicava, insieme col conte di Piacenza Sigefrido e con i "iudices augusti" Natale ed Adelgrauso, in Piacenza nel giugno 891; così come l'importanza dell'appoggio che egli dette alla causa di Guido di Spoleto è testimoniata da una serie di cospicue donazioni fatte da quest'ultimo, divenuto imperatore, sul finire di quello stesso anno 892 in favore della Chiesa di Piacenza.
Con la prima di queste donazioni Guido concedeva alla Chiesa di Piacenza 47 iugeri di terra nel plebato di Sparoera sul Po (nei pressi del monastero di S. Savino); con la seconda, 41 iugeri nella curtis di Rivolta lodigiana, che veniva per l'occasione staccata dal territorio di Lodi (cosa che venne fatta anche per la località Roncarolo, pure da Guido concessa alla Chiesa piacentina); con una terza, 60 iugeri nell'isola di Mezzano. Altra donazione minore, quella riguardante una curtis sita in località Centenaro. Nell'ottobre di quello stesso anno B. aveva vantaggiosamente permutato alcuni beni della sua Chiesa col diacono Gariberto e con Primicerio, figlio del fu Garibaldo da Gosolengo.
B. morì a Piacenza, nei primi mesi dell'893 e fu sepolto nella chiesa di S. Giovanni Evangelista.
Fonti e Bibl.: J. D. Mansi, Sacrorum conciliorum nova et amplissima collectio…, XVIII, Venetiis 1767, coll. 26 s.; Stephani papae V Epistolae, Diplomata et Privilegia, in Migne, Patr. Lat., CXXIX, n. X, coll. 798 s.; n. XI, coll. 799 s.; n. XXVII, coll. 812 s.; G. Tononi-P. Piacenza, Quattro doc. dei secc. IX, X e XI, in Atti e memorie delle RR. Deputazioni per le Provincie modenesi e parmensi, s. 4, VII, 2 (1897-1898), pp. 219 s.; Ph. Jaffé-S. Loewenfeld, Regesta Pontif. Rom., I, Lipsiae 1885, pp. 433-435, passim; P. F.Kehr, Italia Pontificia, V, Berolini 1911, p. 48 n. 149, p. 49 n. 150, p. 445 n. 15, p. 445 n. 16; P. M. Campi, Dell'historia ecclesiastica di Piacenza, I, Piacenza 1651, pp. 233-235 e 472-473; G. Poggiali, Mem. stor. Di Piacenza, III, Piacenza 1757, pp. 41-47; P. L. Galletti, Del primicero della Santa Sede apostolica…, Roma 1776, p. 73; J. A. Amadesii, In antistitem Ravennatum chronotaxim…, Faventiae 1783, pp. 52, 220 s.; I. Affò, Storia della città di Parma, I,Parma 1792, p. 301; G. Bertuzzi, I piacentini vescovi, Piacenza 1938, pp. 2 s.