BERNARDUS GELDUINUS
Scultore attivo a Tolosa alla fine dell'11° secolo. Il suo nome è noto solo dalla segnatura posta a conclusione dell'epigrafe che corre lungo il bordo esterno del piano superiore della mensa d'altare impiegata, dal 1952, all'incrocio del transetto della collegiata tolosana di Saint-Sernin; la lastra, rinvenuta nel corso della prima metà dell'Ottocento, era stata successivamente murata nel coro.In assenza di una notazione cronologica diretta, l'identificazione della mensa con quella che il Chronicon Sancti Saturnini riferisce consacrata da papa Urbano II il 24 maggio del 1096 insieme con la chiesa è una ipotesi resa credibile solo dall'esplicito riferimento che si fa nell'epigrafe stessa a una sua offerta a s. Saturnino da parte dei canonici. Oltre all'epigrafe, la mensa presenta una larga cornice con una decorazione a lobi accompagnati da motivi floreali, secondo una soluzione che trova, tra i secc. 9° e 11°, una serie cospicua di testimonianze, tutte legate alla regione di Narbona (Durliat, 1966): ciò potrebbe far ipotizzare una provenienza dello scultore da tale zona. Questo dato tuttavia rimane labile una volta constatata la profonda novità formale che B. introdusse, attraverso la scultura figurata, in quel tipo di arredo, che, in quelle forme, ha un seguito del tutto isolato solo nella tavola d'altare del priorato di Saint-Alain di Lavaur (Durliat, 1964a). Sotto il bordo esterno decorato con tre file sovrapposte di embrici - motivo desunto dalle coperture dei sarcofagi - un ampio tratto rientrante accoglie, sui quattro lati, un'articolata decorazione: sulla fronte principale due angeli volgono la testa all'indietro reggendo un clipeo, esternamente rettangolare e circolare all'interno, in cui compare una figura di Cristo sbarbato e a mezzo busto, benedicente con la mano destra e con un libro nella sinistra. Lo affiancano due angeli, nella stessa posa, che reggono croci astili e indicano il Cristo; alle estremità altri due angeli sollevano dei veli che coprono loro la vista non obbligandoli, come gli altri, a distogliere lo sguardo dall'abbagliante visione divina. Sui lati corrono decorazioni simmetriche formate da sette tondi vegetali all'interno dei quali si dispongono figure a mezzo busto. A sinistra un Cristo, nuovamente imberbe e con le palme delle mani aperte in avanti, è affiancato dalla Vergine e da s. Giovanni Evangelista, quindi da s. Pietro, da s. Paolo e da altri due apostoli. A destra si dispongono al centro tre figure, variamente interpretate sia come altri tre apostoli, sia come Cristo affiancato da due apostoli - in simmetria con quanto avviene sugli altri due lati -, sia come s. Saturnino e gli altri due santi martiri le cui reliquie erano state riposte nell'altare al momento della consacrazione. Altri quattro tondi si affiancano a quelli centrali: solo i due a destra sono originali, mentre gli altri sono dovuti a un restauro moderno. I tondi originali rappresentano un grifone e una figura umana seduta che si regge, con entrambe le mani, a tralci: insieme sono stati interpretati come un'evocazione del mitico volo di Alessandro Magno. Sul retro infine corre un fregio di uccelli, simmetricamente affrontati e con il capo volto all'indietro, allacciati a coppie da un tralcio.A B. vengono solitamente riferiti, in tutto o in parte, i sette rilievi murati solo in tempi relativamente recenti sulla parete interna del deambulatorio della stessa chiesa, intervallati dalle finestre della cripta o, come nel caso di quello centrale, sovrapposti alla tamponatura di un'apertura. Come per la tavola d'altare, anche per i rilievi le notizie risalgono alla prima metà dell'Ottocento, tuttavia non vi sono ragioni per dubitare della loro pertinenza alla chiesa già in epoca antica. Essi raffigurano un Cristo in maestà, la cui mandorla è affiancata dai simboli degli evangelisti, un cherubino e un serafino, due angeli e due apostoli, tutti a figura intera, al di sotto di arcate rette da semicolonne. Esiste tra i rilievi una marcata differenza di dimensioni che rende problematico ipotizzarne la provenienza da un unico contesto. I rilievi con la Maiestas, il cherubino e il serafino sono alti, compreso lo zoccolo di base, m. 1,20: questo li fa pensare legati insieme, ipotesi del resto confermata, oltre che dalla posa, dalle iscrizioni che corrono al di sopra delle arcate, dalle quali si desume come il cherubino si disponesse alla destra e il serafino alla sinistra di Cristo. Gli altri quattro rilievi sono alti m. 1,61, ed è quindi difficile immaginare una loro possibile connessione organica con i precedenti, per i quali si pensa in genere a una funzione come paliotto o come retablo (Delaruelle, 1929). Del resto il tentativo di ricomporre i sette pezzi, compreso l'altare, in un insieme unitario all'ingresso del presbiterio - ipotizzando per i più grandi una sistemazione simile a quella delle figure sotto arcate dei pilastri del chiostro di Moissac - si scontra con la totale assenza di una possibile verifica archeologica (Hearn, 1981; Lyman, 1982). Oltre alla differenza dimensionale esiste anche un'obiettiva diversa qualità stilistica: le figure degli apostoli e degli angeli, pur realizzate sulla base di uno stesso lessico, si staccano rispetto al Cristo, al cherubino e al serafino per un senso solido e realistico delle membra e dello spazio che manca a quelle figure segnate invece da un gusto metallicamente risentito delle forme e da una forte stilizzazione dei volti. La stessa differenza si è voluta vedere (Lyman, 1967) già nell'altare, distinguendo tra i modi della parte frontale, collegata alla Maiestas, e quelli dei fregi laterali, dove il fare è più duttile e rapportabile a quello degli angeli e degli apostoli.Tutto ciò rende naturalmente problematico il recupero dello stile individuale di uno scultore che in ogni sua manifestazione appare completamente calato nell'atmosfera collettiva tipica di un cantiere medievale di ampie dimensioni come quello di Saint-Sernin. Lo denuncia anche il riconoscimento, nel contesto dell'edificio, di pezzi di plastica architettonica che riflettono la maniera di B. senza tuttavia poter essere riferiti a lui come esecuzione: si tratta di una serie di capitelli situati al livello delle tribune, nei due bracci del transetto, tra i quali spicca quello posto al centro del lato meridionale, con una rappresentazione della Maiestas iconograficamente prossima a quella dei rilievi del deambulatorio, ma stilisticamente vicina ai fregi laterali dell'altare. Sull'abaco di un capitello del braccio settentrionale compare invece la singolare rappresentazione di due figure che, pur avendo la posa volante degli angeli, tali non sono; esse reggono una tavola nella quale si è voluto vedere (Durliat, 1963) un riferimento all'altare per via della marcata cornice rientrante. La seducente ipotesi che siano i ritratti dello scultore e di un suo collaboratore deve fare i conti con la constatazione che le due figure presentano una stilizzazione lineare dei panneggi, per dilatate pieghe cordonate dagli andamenti concentrici, che, più che legarsi ai modi dell'altare, ricorda quelli di una mensola recuperata nel 1790 in occasione della ricostruzione dell'abside centrale della cattedrale aragonese di Jaca (Moralejo Alvarez, 1973). Eseguita da uno scultore proveniente da Tolosa, oltre che testimoniare della diffusione dei modi di quella che certamente va intesa come una bottega, questa mensola propone anche il problema spinoso della cronologia di Bernardus Gelduinus.A Jaca i lavori si dovettero interrompere intorno al 1096-1098, quando avvenne la conquista di Huesca con il conseguente trasferimento della sede episcopale, e dovevano già essere in corso negli anni precedenti, dal momento che la donazione ad laborem effettuata da donna Urraca può essere solo genericamente riferita a un anno anteriore al 1094. Dato che la mensola ha il suo modello nell'altare di Saint-Sernin, da cui ricava una serie di dati iconografici specifici, viene confermata la labilità di un aggancio troppo deciso dell'altare alla data della consacrazione del 1096. Resta tuttavia altrettanto difficile conciliare con la situazione documentaria e archeologica di Saint-Sernin l'ipotesi (Sheppard, 1960; Lyman, 1967) di un'attività precoce della bottega, all'inizio degli anni ottanta: la plastica architettonica limita infatti con chiarezza il suo intervento a una fase assai avanzata del cantiere, corrispondente alle parti alte del transetto, senza che vi siano ragioni sostanziali di ordine archeologico per pensare a una coesistenza di gruppi diversi. La prima fase appare infatti dominata da intendimenti plastici che bene si sostanziano nell'opera dello scultore della Porte des Comtes, i cui modi ricorrono anche nel deambulatorio e nelle zone inferiori del transetto, sul cui braccio meridionale si apre il portale. Rispetto a quella maniera gustosamente violenta nei tratti, fatta di un sentire plastico in cui l'azione prevale sulla forma, B. si fa portatore di un pensare nuovo in cui l'osservazione di un antico locale e provinciale, ma anche dell'arte paleocristiana e carolingia, è componente sostanziale alla ricerca di un diverso valore della forma e delle sue capacità espressive in termini di spazio.In questo senso il ruolo di stimolo svolto da B., nel quadro della plastica sviluppatasi lungo la via del pellegrinaggio a Santiago de Compostela, fu estremamente significativo. Lo testimonia il chiostro dell'abbazia di Moissac, compiuto entro il 1100, dove, più che di una sua presenza, si colgono echi della sua maniera nelle figure poste sotto arcate dei pilastri e negli abachi di alcuni capitelli ispirati all'altare di Saint-Sernin (Durliat, 1990). Dai rilievi del deambulatorio di questa chiesa deriva anche il fregio, assai deteriorato, che sovrasta il portale del castello aragonese di Loarre, sulla strada tra Jaca e Huesca; esso si lega in particolare alla Maiestas Domini, ripresa sia iconograficamente sia stilisticamente, anche se lateralmente sembra sviluppare in maniera autonoma il motivo dell'acqua come fonte di vita spirituale (Moralejo Alvarez, 1973; Durliat, 1990).Un punto nodale di continuità è poi rappresentato, nello stesso Saint-Sernin di Tolosa, da tre capitelli reimpiegati nella Porte Miègeville, realizzata nel suo insieme entro il 1118, data della morte di Raymond Gayrard, il santo canonico che, come testimoniano le due redazioni della sua vita, aveva sovrinteso, dalle fondamenta fino al livello delle finestre, alla costruzione delle navate, lungo la cui parete meridionale il portale si apre. Non è chiaro se i tre capitelli, che rappresentano la Strage degli innocenti, la Cacciata dal paradiso terrestre e l'Annunciazione con la Visitazione, fossero destinati a un portale - completato solo in un secondo momento e sulla base di un diverso progetto - oppure fossero stati pensati per un'altra parte dell'edificio, visto che solo per quello con la Strage degli innocenti era prevista una collocazione addossata quale è l'attuale. Il tentativo di riferirli a una stessa sistemazione interna con le lastre del deambulatorio (Lyman, 1982) discorda con la totale mancanza di un riscontro archeologico. Resta il fatto che dal punto di vista stilistico i capitelli trovano il loro collegamento più diretto nei quattro rilievi maggiori, tanto da aver fatto pensare a una stessa mano, quella già attiva nelle parti laterali dell'altare (Lyman, 1967). Rispetto alla solenne monumentalità e al gusto statuario delle figure dell'interno, i capitelli mostrano tuttavia un fare più sciolto e dinamico, un senso più aperto dello spazio, un valore più dolce e morbido del modellato. Nell'acquisita capacità di una scioltezza narrativa, essi puntualizzano il significato e l'importanza del contributo dato dalla bottega di B. alla conquista di una plasticità di ampio respiro, nel momento che precede le realizzazioni della stessa Porte Miègeville e di quelle, in parte a essa correlate, dei portali della cattedrale di Santiago de Compostela e della chiesa di San Isidro a León.
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