BERNOULLI
. La famiglia Bernoulli, originaria di Anversa, si rifugiò per motivi di religione a Francoforte, quindi a Basilea. Ecco uno schema dei principali discendenti:
Molti altri membri di questa famiglia, alcuni dei quali ancora viventi, si sono distinti nelle scienze, nella medicina e nell'ingegneria. La famiglia Bernoulli non costituisce l'unico esempio di famiglie in cui è ereditaria una spiccata attitudine alla matematica; merita di essere confrontata con la famiglia italiana dei Cassini e con quella scozzese dei Gregory, la quale diede press'a poco nello stesso periodo di tempo diciassette professori all'università di Edimburgo.
Le notizie seguenti sono disposte in ordine cronologico.
Bibl.: Compiute notizie sulla famiglia Bernoulli si trovano in Gedenkbuch der Familie Bernoulli. Zum 300 Jahrestage ihrer Aufnahme in die Basler Bürgerrechte. 1622-1922, Basilea 1922.
1. Giacomo. - Nato in Basilea il 27 dicembre 1654, morì ivi il 16 agosto 1705. Studiò teologia per desiderio del padre, dedicandosi di nascosto alla matematica ed astronomia, e prese per divisa Fetonte che regge il carro del Sole, col motto Invito patre sydera verso. Nel 1676 viaggiò in Francia; fece poi un secondo viaggio in Olanda, ove conobbe alcuni matematici di Amsterdam e di Leida, i quali lo incoraggiarono a studiare la geometria del Descartes. L'apparizione di una cometa nel 1680 lo spinse a scrivere un'opera: Conamen Novi Systematis Cometarum pro motu eorum sub calculum revocando, et apparitionibus praedicendis, pubblicata nel 1682. Egli suppone che le comete siano satelliti di uno stesso pianeta che gira intorno al Sole, ma situato molto più lontano di Saturno, di guisa che il pianeta è sempre invisibile, mentre i satelliti sono visibili soltanto quando si avvicinano a noi. Naturalmente l'ipotesi è infondata e i calcoli errati; soltanto il Newton risolse pochi anni dopo in modo definitivo il problema.
Pure nel 1682 pubblicò una dissertazione De Gravitate Aetheris, in cui cerca di stabilire che la durezza dei corpi è un fenomeno che dipende dalla pressione dell'etere. Anche questo saggio è soltanto un'ipotesi artificiosa, che non corrisponde alla realtà.
Nel 1682, dopo aver conosciuto in Inghilterra il Boyle e il Hooke, fondò in Basilea un Collegium Experimentale phsycomechanicum, e si dedicò interamente agli studî matematici. Ebbe come primo allievo il fratello minore Giovanni, e con lui lesse con passione e con entusiasmo i primi scritti pubblicati dal Leibniz negli Acta Eruditorum di Lipsia. Capì presto l'importanza del primo saggio di calcolo differenziale pubblicato dal Leibniz nel 1684, e gli scrisse una prima lettera il 15 dicembre 1687, nella quale accennava alla soluzione per mezzo del calcolo infinitesimale di un problema già trattato da Galileo nel 1638, nei Discorsi intorno a due nuove Scienze, relativo al trave di uniforme resistenza.
Nel maggio 1690, dopo aver letto col fratello nella stessa opera di Galileo che una catena sospesa a due punti si piega in forma di una parabola, e forse anche dopo aver avuto indiretta notizia della dimostrazione del Huygens (in una lettera al Mersenne del 1646) che la catenaria non è una parabola, sebbene differisca poco da una parabola, pubblicò negli Acta Eruditorum del maggio 1690, senza speranza di risposta, un problema ai matematici, invitandoli a studiare la natura di questa curva. Il Leibniz risolse subito il problema, ma non pubblicò la soluzione, la quale fu data pochi mesi dopo dal Huygens coi vecchi metodi infinitesimali, e dal giovane Giovanni col sussidio del simbolismo del Leibniz. Non è però da tacere che rimase nel Huygens il grave dubbio, da lui comunicato in una lettera del 9 aprile 1693 al de l'Hospital, che, come egli dice, pour des raisons que je pourrais alléguer, il Leibniz avesse tratto la sua costruzione da quella di Giovanni.
A queste soluzioni Giacomo aggiunse, forse contemporaneamente al Huygens, in qual modo doveva variare lo spessore della catena sospesa, perché la sua curva fosse esattamente una parabola. La felice soluzione di questo problema cominciava a dimostrare l'importanza dei nuovi calcoli. Newton però già nei Principia nel 1687 aveva dato una prima soluzione d'un problema dello stesso genere, nella ricerca cioè del solido di minima resistenza. Giacomo generalizzò il problema, studiando altre curve importanti nella fisica, la curva elastica, la curva tracciata da una vela gonfiata dal vento, ecc. Studiando la spirale logaritmica trovò con sorpresa che l'evoluta, la caustica, la antievoluta e la pericaustica di questa curva, sono altrettante spirali logaritmiche, di guisa che espresse il desiderio che sul suo sepolcro fosse incisa una spirale logaritmica, con le parole: Eadem mutata resurgo.
Nel 1701, dopo una lunga ed incresciosa lite scientifica col fratello Giovanni, pubblicò in Basilea la classica memoria: Analysis magni problematis isoperimetrici. In essa ricerca la forma di quella tra le curve di data lunghezza, che soddisfa a un'assegnata proprietà di massimo o di minimo. Riconobbe la necessità di considerare tre elementi consecutivi infinitamente piccoli, considerati come rettilinei, della curva cercata, e vide che in tal modo si giungeva ad un'equazione differenziale. Questa memoria segna un primo passo importante nella storia del calcolo delle variazioni come vide Lagrange nel Calcul des Fonctions, 1806, p. 427.
Ma l'opera più importante, postuma, pubblicata a Basilea nel 1713 a cura del nipote Nicola è senza dubbio la sua Ars conjectandi, la quale costituisce il primo trattato importante di calcolo delle probabilità. Già nel Medioevo un commentatore di Dante aveva enumerato i casi possibili nel gioco della zara; Galileo aveva studiato combinazioni più complicate nel gioco dei dadi; il Pascal e poi il Huygens avevano studiato le probabilità di vincere in varî giochi d'azzardo. Giacomo B., in una lettera al Leibniz del 3 ottobre 1703, descrive il piano della sua opera intorno alla quale aveva lavorato per più di vent'anni, e di cui aveva perfettamente visto la novità e la somma utilità. Essa consiste nell'uso e nell'applicazione del calcolo delle probabilità nella vita civile, nei problemi morali ed economici. Il teorema fondamentale di questa teoria, che si chiama ancor oggi teorema di Giacomo Bernoulli, si riferisce alle idee di certezza, di probabilità, di possibilità, di certezza morale, di necessità, di caso, e dà a queste diverse idee un senso determinato. Il teorema è quasi evidente: se in un'urna contenente non si sa quante palle bianche e nere si estraggono p palle bianche e q palle nere, la probabilità che anche tutte le palle contenute nell'urna stiano nello stesso rapporto di p a q, cresce, avvicinandosi sempre più alla certezza, aumentando il numero totale delle palle estratte.
La certezza non è quella di un teorema di geometria, ma dobbiamo accettarla, accettando il postulato che G. formulò così: Quia tamen raro admodum omnimodam certitudinem assequi licet, necessitas et usus volunt, ut quod moraliter tantum certum est, pro absolute certo habeatur.
Per quanto ogni goccia di pioggia sia guidata dal caso, due passanti, sotto la stessa pioggia, sono bagnati ugualmente. Laplace, Gauss, Gibbs, per ricordare soltanto alcuni nomi, hanno creato nel sec. XIX meravigliose teorie, le quali ci guidano nell'applicazione all'astronomia, alla statistica, alla teorie delle assicurazioni, alla fisica dei gas, ecc. Tutte queste ricerche partono dai postulati e dal teorema scoperto da Giacomo B. Proprio in questo primo quarto del sec. XX, valendoci dei concetti del Bernoulli, cominciamo a renderci conto dell'intima struttura del complesso edificio atomico, inaccessibile forse a noi per ogni altra via.
L'Ars conjectandi contiene inoltre la definizione e le prime proprietà dei numeri che Eulero chiamò numeri di Bernoulli (v. pag. seg.).
Bibl.: J. Bernoulli, Opera, Ginevra 1744, in 2 voll. con ritratto; corrispondenza con Leibniz, in Leibniz, Math. Schriften, III, Halle 1855; un suo elogio in Fontenelle, Oeuvres, Parigi 1766, V, p. 92.
2. Giovanni. - Fratello del precedente, nacque in Basilea il 27 luglio 1667. Apprese la matematica da Giacomo, e insieme con lui riuscì a penetrare i nuovi metodi del calcolo infinitesimale esposti dal Leibniz negli Acta Eruditorum. Si occupò altresì di chimica, e scrisse nel 1690 una Dissertatio de effervescentia et fermentatione nova hypothesi fundata. Sebbene inconcludente, è un notevole sforzo per cercare di capire i misteri della fermentazione, che soltanto il Pasteur rivelò due secoli dopo. Le osservazioni che egli compie sulla formazione dei gas, ispirate dagli esperimenti del Mayow e del Borelli (De Motu Animalium, II, prop. 29), sono un indizio del lungo lavorio intellettuale che era necessario compiere perché la chimica giungesse alla chiarezza del Lavoisier. Nel 1694 con una Dissertatio physico-anatomica de motu musculorum conseguì il dottorato in medicina. Continuando nell'opera del Borelli, cercò di studiare il meccanismo del moto dei muscoli. Ma non aveva gli elementi necessarî per la soluzione del problema, studiato con successo soltanto dai fisiologi del sec. XIX.
A Ginevra nel 1690 strinse rapporti di amicizia con il matematico Fazio de Duillier, poi a Parigi con il marchese de l'Hospital, il quale lo ospitò nelle sue terre. Ivi, in quattro mesi, scrisse un trattato di calcolo differenziale che poi non pubblicò, poiché la parte essenziale di esso è contenuta nell'Analyse des infiniment petits, pubblicata poi dal de l'Hospital nel 1696. Il manoscritto di questo trattato è stato scoperto e pubblicato nel 1929. Assai più importanti sono le 29 lezioni di calcolo integrale scritte per uso del marchese de l'Hospital, pubblicate nel 3° volume delle opere del Bernoulli nel 1742. Più importanti ancora sono le memorie, negli Acta Eruditorum, in cui applica con sagacia il calcolo infinitesimale a nuovi problemi di analisi e di geometria. Ben presto si pose in grado di approfondire i Principia del Newton. Per testimonianza stessa del Leibniz, a lui e al fratello Giacomo si deve se il calcolo infinitesimale si diffuse rapidamente in Europa. Il suo insegnamento di matematica iniziato nel 1695 all'università di Groninga, ove egli rimase fino alla morte del fratello, al quale successe sulla cattedra di Basilea nel 1705, fu assai efficace. Basti pensare che fu suo allievo Leonardo Eulero (v.).
Nel 1694 pubblicò negli Acta Eruditorum, Lipsia 1694, p. 435, la prima forma di quello che oggi si chiama comunemente lo sviluppo in serie di Taylor. Ecco il passo stesso di Bernoulli (Opera, t. 1, p. 126):
Habetur haec series universalissima:
Egli applica questa serie per trovare gli sviluppi di log (1 + x), ex, sin x, sin-1 x, ecc., che fino allora erano stati scoperti con metodi particolari.
Il Taylor nel 1715 pubblicò con altra notazione, un po' più vicina a quella moderna, la stessa serie. Il Maclaurin riconobbe nel suo trattato del 1742 (pag. 612) la priorità di Bernoulli.
La ragione dell'incertezza della scoperta dipende da questo, che la serie, tanto in Bernoulli quanto in Taylor, è scritta senza ipotesi precise. Il resto della serie fu calcolato soltanto dal Lagrange nel 1797. Si veda il Formulario di G. Peano, Torino 1908, p. 301.
Nel giugno 1696 Giovanni, il quale era stato nell'anno precedente nominato professore di matematica a Groninga, annunciò negli Acta Eruditorum di aver scoperto la natura della curva che unisce due punti in un piano verticale, sulla quale un punto grave scende per la forza di gravità nel minimo tempo possibile. Giovanni chiamò brachistocrona questa curva; egli aveva scoperto che la curva era una cicloide. Il problema aveva origine in una dimostrazione data da Galileo nel 1638, che la discesa da un punto più alto a uno più basso, situato in uno stesso piano verticale, è più veloce qualora avvenga lungo un arco di circolo, che non per la linea retta congiungente i due punti. Il problema fu risolto immediatamente in modo assai elegante dal Newton, e fu pure risolto dal fratello Giacomo. L'importanza di questi problemi sta in ciò, che essi sono stati i primi passi che hanno condotto prima Eulero e poi il Lagrange alla scoperta del calcolo delle variazioni.
Nel 1697 il fratello Giacomo gli propose pubblicamente il problema famoso degli isoperimetri, che consiste nel trovare tra tutte le curve possibili che hanno lo stesso perimetro o la stessa lunghezza, quelle che, tra limiti dati, racchiudono la massima o minima area, ovvero, rotando intorno al loro asse, producono superficie di area massima o minima, ovvero solidi di volume minimo; o più generalmente ancora, trovare una curva tale che costruendo sul suo asse una seconda curva, le cui ordinate siano funzioni date delle ordinate e degli archi della prima curva, l'area della seconda curva fornisca un massimo ovvero un minimo.
Giovanni non capì la difficoltà del problema, di cui il fratello diede una prima soluzione nel 1701; ma soltanto Leonardo Eulero ne diede una soluzione generale nel 1744, nel suo Methodus inveniendi lineas curvas maximi minimique proprietate gaudentes. Il Lagrange infine, col suo calcolo delle variazioni, semplificò le dimostrazioni di Eulero, riducendole a casi particolari del suo nuovo calcolo.
Le opere di B. Giovanni contengono una grande quantità di scoperte, tra cui il primo tentativo d'interpretare i logaritmi dei numeri immaginarî, tentativo che fu poi chiarito con profondità dal Cotes ed esposto con semplicità da Eulero.
Nel 1719 pubblicò una dissertazione sulla fosforescenza del mercurio nel vuoto barometrico, che era già stata osservata da Jean Picard, ma non riuscì a chiarire la causa e le condizioni del fenomeno, la spiegazione del quale si ebbe soltanto nel secolo decimonono.
Fu più volte elogiato e premiato dall'accademia di Parigi, nel 1724 e nel 1726 per il suo Discours sur les lois de la communication du mouvement, pubblicato a Parigi nel 1727 (Opera, t. 3, pp. 1-107); nel 1730 per le Nouvelles pensées sur le système de M. Descartes et la manière d'en déduire les orbites et les aphélies des Planètes, Parigi 1730 (Opera, t. 3, pp. 134-173), le quali sono un tentativo per difendere la teoria dei vortici del Descartes contro le solide argomentazioni del Newton che l'avevano distrutta; e infine nel 1734 per l'Essai d'une nouvelle physique céleste servant à expliquer les principaux Phénomènes du ciel, et en particulier la cause physique de l'inclination des orbites des planètes par rapport au plan de l'équateur du soleil, Parigi 1735 (Opera, t. 3, pp. 263-364), ultimo tentativo per difendere i vortici e per cercare obiezioni contro il sistema del Newton. Malgrado gli sforzi di Giovanni B. e il riconoscimento dell'Accademia di Parigi, questi lavori non reggono. Essi sono probabilmente frutto dell'influenza non benefica esercitata dal Leibniz sul Bernoulli contro il Newton.
L'ultimo premio fu da lui diviso col figlio Daniele. Giustamente il D'Alembert, nell'elogio che scrisse di Giovanni B., rivendicò la riconoscenza che gli è dovuta per i progressi che egli fece compiere alla matematica pura. Invece le applicazioni che egli tentò alla fisica, all'astronomia, alla biologia, non riuscirono; probabilmente gli mancarono i necessarî elementi del successo.
Opere: Johann Bernoulli, Opera Omnia, Losanna e Ginevra 1744, voll. 4, in 4°; la sua corrispondenza col Leibniz: Commercium philosophicum et mathematicum, Losanna e Ginevra 1745, voll. 2, in 4°; fu ripubblicata in Leibniz, Math. Schriften, Halle 1855 e 1856.
3. Nicola. - Il maggiore dei tre figli di Giovanni, nato il 10 ottobre 1695, morì in Pietroburgo il 26 luglio 1726. Giovanissimo, manifestò viva attitudine alla matematica. Ebbe all'università come amico intimo e compagno, Leonardo Eulero. Viaggiò in Italia e in Francia, ed ebbe amici il conte Riccati e il Varignon. Pubblicò varî scritti negli Acta Eruditorum, e nelle memorie dell'Accademia delle scienze di Pietroburgo; alcuni sono riprodotti nel secondo volume delle opere del padre. Nominato nel 1725 professore di matematica all'Accademia di Pietroburgo, morì otto mesi dopo, il 26 luglio 1726. Un suo elogio si trova nei Commentarii Acad. Petropolitanae, vol. V-2.
4. Daniele. - Il secondo dei figli di Giovanni, nacque a Groninga il 9 febbraio 1700. Cominciò a studiare medicina, ma con l'aiuto del fratello maggiore Nicola si diede presto anche alla matematica. Studiò in Italia ed ebbe maestri Francesco Domenico Michelozzi e Giambattista Morgagni. Appena ventiquattrenne, fu, secondo i suoi biografi, invitato a presiedere un'accademia che avrebbe dovuto sorgere a Genova; ma questa notizia sembra priva di fondamento. Dopo una breve residenza a Pietroburgo, nel 1733, fu nominato professore a Basilea, dapprima di anatomia e di botanica, poi di fisica sperimentale e speculativa, e tale ufficio ricoprì fino quasi alla morte avvenuta il 17 marzo 1782 in Basilea. La sua Hydrodynamique, pubblicata nel 1738, rassomiglia alla successiva Mécanique analytique del Lagrange in questo, che tutte le sue ricerche derivano da un solo principio, che D. chiama conservazione delle forze vive. L'opera brilla, come dice il Lagrange, tanto per la semplicità dell'analisi quanto per l'eleganza dei risultati.
Le ricerche sulla natura e la propagazione del suono, alle quali il Newton per il primo aveva aperto la via nella sezione VIII dei suoi Principia, erano state continuate da Taylor, d'Alembert ed Eulero. Ad esseD. diede un interessante contributo analizzato dal Lagrange nelle sue prime memorie delle Miscellanea Taurinensia (Œuvres, t. 1, pp. 45, 145, 513).
È notevole la bella proposizione da lui scoperta, la quale afferma che allorquando un sistema qualsivoglia di corpi compie delle oscillazioni infinitamente piccole, il movimemo ai ogni corpo può essere considerato come composto di molti movimenti parziali e sincroni, ciascuno, a quello di un pendolo semplice.
Egli ebbe durante la sua vita non meno di dieci premî dell'Accademia di Parigi. Nella memoria del 1734, in cui condivise il premio col padre, accettò senza riserve, con dispiacere del padre, le teorie newtoniane. La sua memoria del 1740: Traité sur le flux et le reflux de la mer, condivise il premio con quelle di Eulero e del Maclaurin. Queste tre memorie (ripubblicate in: Newton, Principia, III, 1760) formano il più importante contributo su tale argomento nel tempo che corre tra Newton e Laplace.
Nel calcolo delle probabilità introdusse il concetto di probabilità morale, che si valuta col rapporto tra il guadagno o la perdita di un giocatore con le ricchezze da lui possedute. Applicò il calcolo delle probabilità a problemi concreti e, in uno scritto del 1760, alla vaccinazione, alla durata della vita matrimoniale nei due sessi, al rapporto tra le nascite dei maschi e delle femmine.
A 80 anni lasciò l'insegnamento nel quale fu sostituito da suo nipote Giacomo.
Opere: Dissertatio inaugur. de Respiratione, Basilea 1721; Positiones anatomico-botanicae, Basilea 1721; Exercitationes quaedam mathematicae Venezia 1794; Hydrodynamica, Strasburgo 1738. Manca un'edizione completa dei suoi scritti, pubblicati negli Atti delle accademie di Pietroburgo, di Parigi, ecc.
5. Giovanni. - Il più giovane dei tre figli di Giovanni Bernoulli, nacque in Basilea il 18 maggio 1710. Alla morte del padre gli succedette come professore di matematica, dopo aver insegnato cinque anni nella stessa università di Basilea come professore di eloquenza. Morì in Basilea il 17 luglio 1790. Vinse tre premî dell'Accademia delle scienze di Parigi.
6. Nicola. - Cugino dei tre precedenti, era figlio di un Nicola Bernoulli, uno dei senatori di Basilea, ove nacque il 10 ottobre 1687. Viaggiò in Inghilterra, ove visitò il Newton e il Halley. Poi insegnò matematica all'università di Padova, e successivamente logica e legge all'università di Basilea, dove morì il 29 novembre 1759. Pubblicò l'Ars conjectandi dello zio Giacomo, e varie memorie negli Acta Eruditorum e nel Giorn. dei Letterati d'Italia.
7. Giovanni. - Nipote del primo Giovanni Bernoulli, e figlio del secondo Giovanni Bernoulli sopra ricordato, nacque in Basilea il 4 novembre 1744. A 19 anni fu nominato astronomo a Berlino. Dopo un viaggio in Europa, fu nominato direttore della classe matematica dell'accademia di Berlino. Morì in Berlino il 13 luglio 1807. Nel 1774 tradusse in francese l'Algebra di Eulero.
8. Giacomo. - Fratello minore del precedente, nato il 17 ottobre 1759, ricevette le prime lezioni di matematica prima dal padre e poi dallo zio Daniele. A 21 anni sostituì lo zio nell'insegnamento della fisica sperimentale. Viaggiò poi in Italia e fu ammesso nel 1788 come membro dell'Accademia di Pietroburgo. Morì tragicamente annegato nella Neva il 3 luglio 1789, in Pietroburgo, pochi mesi dopo il suo matrimonio con una figlia di Alberto Eulero, figlio di Leonardo Eulero. Il suo elogio è pubblicato in Nova Acta Acad. Petropolitanae, VII.
Numeri di Bernouilli. - Gli antichi pitagorici conoscevano le somme dei primi 1, 2, 3, . . ., n, . . . numeri naturali, che chiamarono numeri triangolari. Archimede trovò la somma dei quadrati dei primi n numeri naturali. Agli agrimensori romani era nota la formula che dà la somma dei cubi dei numeri da 1 a n; a Giamshīd ibn Ma‛sūd, medico di Ūlūg Beg (sec. XV), quella che dà la somma delle quarte potenze; quest'ultima formula fu poi ritrovata dal Fermat.
Il tedesco Giovanni Faulhaber, morto nel 1635, pubblicò nella sua Academia Algebrae (Ulm 1631) le formule che dànno le somme delle potenze di grado m dei primi n numeri naturali, fino a m = 17, senza però dare alcuna dimostrazione universale e scientifica, come avverte Giacomo Bernoulli (Ars conjectandi, p. 95). B. Pascal diede per il primo nel 1655 (Œuvres, Parigi 1908, III, p. 346) una formula ricorrente che lega le somme delle potenze numeriche successive; posto sm = 1m + 2m + 3m + . . . nm, si ha:
Ma soltanto Giacomo Bernoulli diede nel 1713, nell'Ars conjectandi (p. g7), la formula generale, in cui sm conserva lo stesso significato:
dove i termini seguenti sono di segno alternato e gli esponenti delle successive potenze di n diminuiscono continuamente di due unità, finché si giunge al termine che contiene n ovvero n0.
In questa formula B1, B2, B3, . . . indicano dei coefficienti numerici. Si ha:
Questi numeri sono stati chiamati da Eulero numeri bernoulliani.
Essi sono legati da una semplice relazione ricorrente, che si ricava dalla formula del Bernoulli, facendo in essa n = 1.
Ecco la tavola dei successivi 20 numeri di Bernoulli:
Serebrennikov ha calcolato questi numeri fino a B90 nei Mémoires de l'Acad. de Saint-Pétersbourg, ser. 2ª, XVI (1905).
Ognuno dei numeri di Bernoulli Bn è uguale a un numero intero, alternativamente diminuito o aumentato della somma degli inversi di tutti quei numeri primi, che, diminuiti dell'unità, dividono 2n (teorema di Staudt e Clausen).
Questo teorema svela in parte la misteriosa connessione che è tra la teoria dei numeri di Bernoulli e certe difficili questioni di aritmetica superiore, come per es. l'ultimo teorema del Fermat.
Gli stessi numeri si erano però già presentati prima nell'analisi infinitesimale, in alcuni sviluppi in serie. Così si ha:
Questo sviluppo fu calcolato dal Newton nel 1669 eseguendo il quoziente (x cos x)/sin x, dopo avere sviluppato in serie i due termini, il qual metodo corrisponde all'osservare la relazione ricorrente che permette di calcolare ogni coefficiente per mezzo dei precedenti. Lo sviluppo stesso fu comunicato al Barrow e al Collins nel 1669, al Leibniz nel 1676, e fu pubblicato nel vol. 3° delle opere del Wallis, nel 1699.
I numeri di Bernoulli compaiono altresì naturalmente, come scoprì Eulero, nell'espressione delle somme infinite dei reciproci delle potenze pari dei numeri naturali.
Bibl.: E. Cesàro, Corso di analisi algebrica, Torino 1894, p. 466; Niels Nielsen, Traité élémentaire des nombres de Bernoulli, Parigi 1923.