BERTCAUDUS
Scriba e calligrafo, attivo nell'officina scrittoria annessa alla scuola palatina della corte carolingia nell'età di Ludovico il Pio (836 ca.).Al nome di questo copista è legato uno dei più interessanti risvolti grafici della rinascita carolingia: il ripristino della capitale epigrafica romana e la sua introduzione come scrittura ornamentale, 'd'apparato', nell'intestazione e nei tituli dei manoscritti di lusso. Il ricordo di B., scriptor regius, e delle sue ricerche grafiche affiora quasi incidentalmente nelle righe di un'epistola inviata nell'836 da Lupo di Ferrières a Eginardo. Il passo finale della missiva, indirizzata a Seligenstadt, sollecita una copia di un opuscolo matematico di Vittore Aquitano e con essa l'invio di un esemplare dell'alfabeto "antiquarum litterarum [...] quae maximae sunt et unciales a quibusdam vocari existimantur" (MGH. Epist., VI,1, 1902, pp. 15-17) che B. aveva da poco ricomposto. Il seguito della corrispondenza non è conservato, tuttavia si può credere che la richiesta abbia avuto esito positivo. In effetti, due manoscritti carolingi contenenti il trattatello di Vittore Aquitano presentano una tavola con un alfabeto in capitali epigrafiche; si tratta del manoscritto di Berna (Burgerbibl., 250) e di quello di Basilea (Universitätsbibl., O. II 3), proveniente da Fulda, entrambi databili intorno alla metà del 9° secolo. Non è invece chiaro se nei due testimoni conservati debbano identificarsi l'originale e la copia approntata per Lupo a Seligenstadt o se, al contrario, si tratti di due copie esemplate a Fulda dal volume inviato da Eginardo (Bischoff, 1965).L'episodio illustra bene l'interesse per i libri rari che impegnava gli intellettuali della scuola palatina e fornisce un documento prezioso sul retroterra culturale che animò il revival antichizzante della matura età carolingia. Lupo di Ferrières non era del resto nuovo a esperimenti grafici di gusto antiquario: in anni non lontani, lo scriptorium di Fulda lo aveva visto promotore della rinascita di un'altra tipologia grafica di origine romana, la capitale rustica. L'epistola contiene però almeno un altro elemento d'interesse. La notazione conserva infatti una delle rarissime testimonianze medievali sulle forme della scrittura; tuttavia, l'espressione utilizzata non identifica la tipologia grafica comunemente denominata onciale ma una scrittura di origine non libraria: la capitale epigrafica romana. Di questa i frontespizi carolingi recuperarono la cristallina geometria delle forme, la spaziatura ampia e persino il modulo progressivamente decrescente, mutuato da prototipi monumentali. Scrittura pubblica per eccellenza, la capitale epigrafica era estranea al patrimonio grafico d'ambito librario dell'Alto Medioevo europeo; ciò spiega in parte la suggestione che essa esercitò sugli umanisti carolini. Forma grafica antica e ricercata, spesso vergata in oro, la capitale era destinata a dare sostanza all'aperta connotazione simbolica del segno grafico messa in opera nei manoscritti liturgici della tarda età carolina e ottoniana. Non a caso, le parole dell'epistola di Lupo evocano una celebre invettiva di s. Girolamo sulla pretenziosa veste grafica dei libri liturgici tardoantichi: "habeant qui volunt veteres libros, vel in membranis purpureis aureo argentoque descriptos, vel uncialibus, ut vulgo aiunt, litteris, onera magis exarata, quam codices" (Praef. in librum Job; PL, XXVIII, coll. 1083-1084).
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