BERTOLDO di Andechs
Nacque nel 1180 o nel 1181, ultimo figlio maschio di Bertoldo IV duca di Merania e marchese d'Istria. Avviato alla carriera ecclesiastica, divenne preposito di Bamberga quando suo fratello Ekbert fu nominato Vescovo di quella Città (1203). Nel 1205 seguì in Ungheria la sorella Gertrude andata sposa al re Andrea Arpad e, forte della protezione del cognato, pose subito la sua candidatura alla sede vescovile di Kalocsa. La ottenne sul finire del 1207dopo aver vinto le molte perplessità di papa Innocenzo III, che lo riteneva troppo giovane e impreparato. Lo stesso B. dovette essere consapevole che la sua cultura era inadeguata alla carica ricoperta, e pensò di recarsi a Vicenza per completare gli studi, ma fu tosto richiamato in sede, poiché al pontefice parve indecoroso che un arcivescovo mostrasse pubblicamente la sua ignoranza. Rientrato in Ungheria, continuò rapidamente a salire di dignità in dignità: nel 1209 voivoda di Transilvania, nel 1213 conte di Bács-Bodrog e, sempre nello stesso anno, reggente del regno assieme alla sorella durante l'assenza del re suo cognato. La sua troppo rapida ascesa e l'invadenza di altri Meranesi, che cercavano alla loro volta di far fortuna in Ungheria, suscitarono le gelosie dei magnati che, ordita una congiura, trucidarono la regina (1213) e imprigionarono Bertoldo. Questi però riuscì a salvarsi con la fuga e ad allontanarsi dall'Ungheria.
Nonostante questo duro scacco, B. riuscì a riprendersi e a costruirsi con tenacia e accortezza un solido dominio nel patriarcato di Aquileia. Nel 1217 scese in Friuli al seguito dei duca d'Austria: è facile che già allora, avendo intuito prossima la fine del vecchio patriarca Wolfger, si sia preoccupato di assicurarsi la successione. La notorietà della sua famiglia, la parentela con il conte di Gorizia avvocato della Chiesa aquileiese, la sua personale energia gli procurarono il favore di molti. Fu così che, alla morte del Wolfger (23 genn. 1218), nonostante le opposizioni di una forte minoranza che sosteneva la candidatura dei canonico Wodolrico, fu designato patriarca dal capitolo di Aquileia; il papa Onorio III, pur avendo in un primo momento annullato l'elezione e avocato a sé la nomina del successore di Wolfger, si risolse infine (27 marzo 1218) ad affidargli la Chiesa aquìleiese che sotto il suo governo, disse, "sarebbe stata più sicura contro i malvagi". Nell'autunno del 1219 il nuovo patriarca dovette fronteggiare la ribellione dell'intera nobiltà libera friulana, alleatasi con il Comune di Treviso; e quando anche il conte del Tirolo e il duca di Carinzia si schierarono a fianco dei rivoltosi, sembrò che egli dovesse venir travolto. B. riuscì tuttavia ad ottenere la neutralità dei duca d'Austria e di Venezia e a provocare un intervento del papa in suo favore, intervento che, se non ebbe alcun effetto immediato, pure servì a risollevare il suo prestigio. Quindi cercò di comporre pacificamente la contesa e si recò a Treviso a trattare: mentre i baroni friulani sembravano propensi all'accordo, gli altri collegati invece, e soprattutto i Trevigiani (che non volevano perdere il momento propizio per impadronirsi dei possessi patriarcali e aprire il Friuli alla loro penetrazione commerciale), si opposero alle trattative. B. allora uscì dal suo isolamento stringendo un'alleanza con Padova e con i vescovi di Feltre e Belluno; quindi, raggiunto Federico di Svevia che si recava a Roma per cingervi la corona imperiale, si mise al suo seguito. Dall'imperatore ottenne due diplomi (nov. e dic. 1220) che gli confermavano il ducato e la contea del Friuli e specificavano i suoi diritti feudali nel patriarcato; nello stesso tempo riusciva ad ottenere dal papa la facoltà di scomunicare i Trevigiani qualora avessero cercato di impadronirsi dei beni della Chiesa aquileiese. Rafforzata in tal modo la sua autorità, ottenne la sottomissione delle maggiori famiglie feudali del Friuli e costrinse Treviso, dopo una campagna bellica condotta con molta vigoria, ad accettare un arbitrato. Il 30 ag. 1221 il cardinale Ugo d'Ostia pronunciò a Bologna la sentenza che sancì la vittoria del patriarca.
Dopo la composizione del conflitto, B. continuò fino al 1245 la politica filo-imperiale che era nella tradizione dei presuli aquileiesi e che, oltre a corrispondere a quelli che erano allora gli interessi della sua chiesa e del suo principato, doveva trovare una particolare risonanza nel suo animo per gli antichi vincoli di sangue e di amicizia che legavano la casa di Merania agli Hohenstaufen. Tuttavia. pur aderendo al partito imperiale, ebbe l'accortezza di evitare i contrasti troppo scoperti con la Sede apostolica, di cui temeva l'inimicizia. Nel 1230 seppe guadagnarsi la riconoscenza sia del papa sia dell'imperatore per la sua opera di mediazione durante i preliminari della pace di San Germano, ed ottenne anche l'onorifico incarico di presenziare a Gerusalemme alla riconsacrazione dell'altare del S. Sepolcro.
Nel marzo del 1232, di ritorno dalla dieta di Ravenna, B. scortò in Friuli l'imperatore che veniva a incontrarvi il figlio Enrico, re di Germania, con cui Federico II era in disaccordo, e per la riconciliazione col quale il patriarca si stava adoperando. Un atto solenne di pacificazione tra i due principi, redatto a Cividale il 20 aprile, sembrò concludere felicemente la vicenda. Tre anni più tardi tuttavia Federico II dovette accorrere in Germania a domare una nuova ribellione del figlio Enrico che, fatto prigioniero, venne affidato per qualche tempo in custodia al patriarca, in attesa del momento opportuno per tradurlo in uno dei castelli regi del Mezzogiorno.
Nel corso di questi avvenimenti si era reso evidente che il territorio aquileiese offriva all'imperatore l'unica sicura via di comunicazione con la Germania, mentre i comuni lombardi, che gli erano ostili, tenevano chiusi gli altri valichi alpini. Era quindi naturale che Federico avesse cara la fedeltà dei patriarca e la premiasse con numerosi favori. Da parte sua B., che da questa amicizia traeva la forza per tenere a bada i pericolosi vicini (primo fra tutti Ezzelino da Romano che estendeva il suo dominio nell'intera marca Trevigiana), manteneva frequenti contatti con l'imperatore: fu con lui a Vienna nel 1237 e all'assedio di Brescia l'anno dopo, e non si peritò di raggiungere Federico II a Vicenza, nel maggio del 1239, pur sapencio che il papa lo aveva scomunicato. Incorse perciò anche il patriarca aquileiese in un'analoga sanzione, da cui fu ben presto sciolto per i buoni uffici del re d'Ungheria e del re di Galizia, suoi nipoti.
Nel 1242 B. andò a Foggia per chiedere a Federico il permesso di poter distruggere i ponti sulla Livenza, il fiume che segnava ad occidente il confine del suo principato: sperava così di por fine alle scorrerie dei Trevigiani i quali, da quando nel 1239 si erano ribellati a Ezzelino ed erano passati nel campo guelfa, avevano ripreso l'antica ostilità verso il patriarcato. Qualche tempo dopo B. si dispose all'offensiva e, unitosi a Ezzelino, invase il territorio di Treviso.
Improvvisamente nel 1245 il patriarca capovolse la sua politica ed entrò nello schieramento guelfo. Ancora all'inizio di quell'anno si era adoperato in favore di Federico; ma quando lo vide nuovamente colpito dalla scomunica papale, anziché presentarsi alla dieta convocata dall'imperatore a Verona, si recò a Lione per presenziare al concilio ecumenico che si concluse con la solenne condanna, scomunica e deposizione dell'imperatore.
Vi fu allora chi espresse dubbi sulla sincerità di questa conversione politica. Ma B. invero aveva compreso che la lotta tra i due poteri si era troppo inasprita perché fosse possibile una pacifica composizione e che quindi, non essendoci posto per una politica di equidistanza, era indispensabile una scelta. La fedeltà all'imperatore avrebbe comportato i rischi di una scomunica non passeggera e avrebbe reso necessaria l'infida alleanza con Ezzelino per proseguire la dispendiosa guerra contro Treviso. La consapevolezza del declino delle fortune ghibelline in Italia e la previsione delle future difficoltà (forse prospettategli da Gregorio di Montelongo, l'abile legato papale che fu poi suo successore) lo indussero al detto rivolgimento che ebbe rilevante portata storica, perché sciolse definitivamente il patriarcato dai suoi secolari legami con l'impero e lo sottrasse agli influssi germanici.
Allineatosi nel campo guelfo, dovette affrontare due nuovi avversari, Ezzelino e il conte Mainardo di Gorizia, agguerriti e forti di amicizie tra la nobiltà friulana. Strinse alleanza con Venezia (1248); poi con Brescia, Mantova, Ferrara, e con Ulrico, figlio del duca di Carinzia. Le fasi della guerra sono mal note: il conte di Gorizia ebbe l'adesione delle città istriane e ottenne qualche successo in Carniola, ma non riuscì ad attaccare il nucleo dello stato patriarcale anche perché B. seppe soffocare sul nascere ogni tentativo di sedizione. La morte di Federico II affrettò la fine del conflitto, conclusosi con il trattato di Cividale dell'8 genn. 1251, cui il patriarca costrinse Mainardo. Poco dopo, il 23 -maggio, B. venne a morte.
Il suo lungo patriarcato è certo uno dei più memorabili nella storia del principato aquileiese. Con un'accorta partecipazione alle vicende politiche dell'Italia e dell'Impero, B. riuscì a costituirsi una posizione di forza che gli consentì di resistere alla pressione dei nemici esterni e di accrescere all'interno l'autorità e le prerogative patriarcali, limitando i poteri politici della nobiltà friulana e dei comuni istriani. In Istria poté esercitare quei diritti marchionali che erano stati riconosciuti al suo predecessore da Ottone IV, ma non fu in grado di arginare la penetrazione veneziana; così la dominazione da lui imposta in seguito a laboriose vicende belliche e diplomatiche venne meno in breve tempo dopo la sua morte.
Più proficua risultò la sua politica friulana che rafforzò il potere centrale, e, dopo la repressione dell'iniziale rivolta dei feudatari, assicurò al paese un lungo periodo di pace. Egli favorì l'ascesa della feudalità minore e della borghesia cittadina, promosse l'incremento di Udine e sperò di risollevare dalla secolare decadenza la capitale Aquileia, modificando la condizione giuridica degli abitanti e facendo eseguire dei lavori di bonifica. La nuova situazione sociale del Friuli trovò riflesso nel Parlamento in cui avevano voce i prelati, la nobiltà libera e quella ministeriale, le comunità cittadine. Questa istituzione, sorta appunto negli anni del patriarcato di B., ebbe lunga vita e primaria importanza nella storia civile del Friuli.
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