BERTOLLI
Famiglia di imprenditori. L'avvio delle attività industriali della dinastia dei B. va situato nei primi decenni postunitari. Il capostipite, Francesco (nato a Lucca il 12 apr. 1835), iniziò aprendo una sorta di emporio a San Donato, a pochi chilometri da Lucca, per l'acquisto all'ingrosso e la rivendita al dettaglio dei prodotti agricoli della zona (olio, vino e formaggio). Il passo ulteriore, reso possibile dal successo della modesta azienda commerciale e dalla conseguente accumulazione di un discreto capitale, fu l'apertura, nel 1875, nel pieno centro di Lucca (in piazza S. Michele), di uno sportello bancario che svolgeva operazioni di cambiavalute e forniva anticipi agli emigranti che partivano per il continente americano. E furono proprio questi emigranti a svolgere, quasi inconsapevolmente, il ruolo di primi agenti commerciali all'estero con le loro richieste di olio, formaggi e vini alla Ditta Francesco Bertolli (giuridicamente una società di fatto), nella quale cominciarono ben presto a lavorare i primi due figli maschi di Francesco, avuti dal suo matrimonio con Caterina Belli, Giuseppe (nato a Lucca il 29 dic. 1866) e Daniele (nato a Lucca il 9 ag. 1868).
Ai B. fu tuttavia subito chiaro che per consolidare la presenza sui mercati esteri era necessario conoscerli (e farsi conoscere) personalmente. Fu così che nel 1893 Giuseppe si recò a San Francisco, in California, dove prese contatti con i rivenditori dei prodotti esportati dalla ditta. Due anni più tardi, alla morte del padre, avvenuta a Lucca il 12 ott. 1895, egli assunse la direzione del ramo compravendita ed esportazione di olio e vino, mentre il fratello Daniele cominciò ad occuparsi esclusivamente dell'attività bancaria. L'entrata nella ditta di altri due fratelli (Gioele, nato a Lucca il 9 maggio 1879, e Giulio, nato a Lucca il 25 dic. 1881) avvenne attraverso una sorta di viaggio di istruzione e formazione che essi compirono negli Stati Uniti e nell'America del Sud (certamente in Brasile) tra il 1897-98 e il 1902-04, interessandosi - oltre che dell'importazione dell'olio toscano in questi paesi - del commercio di prodotti coloniali per conto della ditta di famiglia e di altre aziende lucchesi. Mentre Gioele e Giulio proseguivano il loro apprendistato fuori dai confini nazionali, attorno al 1900 entrava nella società Elia (nato a Lucca il 6 ag. 1883), l'ultimo dei cinque figli maschi di Francesco (le tre femmine - Diomira, Liduina e Annunziata - non furono mai coinvolte nelle attività economiche della famiglia).
All'inizio del secolo si poteva già parlare di una sorta di gruppo Bertolli suddiviso in tre aziende. La più importante era forse la Francesco Bertolli Esportazione, società in nome collettivo costituita il 16 febbr. 1898. Il capitale iniziale di 200.000 lire era stato sottoscritto da Giuseppe, Egidio Gambogi (possidente di Lucca e con proprietà in Brasile) e da Pietro Andreotti, fratello degli Andreotti che, insieme con Giulio e Gioele, erano i soci della Ditta Andreotti e C. di San Paolo del Brasile. L'oggetto della società era l'esportazione di olio, formaggi, vini e conserve in Brasile, Stati Uniti e nel Transvaal. Per avere un'idea della fioridezza di questa azienda basti pensare che nel primo anno di attività il giro d'affari risultò di circa 8,2 milioni di lire con un beneficio netto di oltre 81.000 lire. La Francesco Bertolli Esportazione era finanziata dalla Ditta Francesco Bertolli Ufficio cambi, una delle due branche in cui era stato suddiviso l'originario sportello di cambiavalute e prestiti. L'altra sezione era infatti stata denominata Ufficio marittimo e si era assicurata la iappresentanza per Lucca della principale società di navigazione dell'epoca, la Navigazione generale italiana (tale servizio venne mantenuto fino al 1930). Il lavoro svolto da questo ramo della ditta - sostanzialmente quello che Francesco aveva iniziato nel 1875 - consisteva nell'anticipare le spese di viaggio agli emigranti contro il rilascio di cambiali a tre o quattro mesi, avallate dai membri della famiglia che restavano in Italia. Alla scadenza il rimborso avveniva tramite chèques su Londra che venivano scontati dall'Ufficio cambi, il quale si avvaleva per il risconto della succursale di Livorno della Banca commerciale italiana. Si trattava di una attività - notava un dirigente livornese dell'istituto di credito milanese - che "in venti anni di movimento molto importante non (aveva) cagionato … che una perdita complessiva di due o tre mila lire contro utili molto rilevanti" (Confalonieri, p. 466).
Nel 1904 i B. firmarono una convenzione in base alla quale l'Ufficio cambi sarebbe stato assorbito dalla filiale livornese della Banca commerciale, allora in una fase di notevole espansione territoriale. L'accordo prevedeva un periodo transitorio di cinque anni, al termine dei quali i due contraenti avrebbero potuto, se lo desideravano, ritornare alla situazione di partenza. In questo arco di anni la direzione della banca sarebbe rimasta comunque a Daniele. In effetti nel 1909, allo scadere della convenzione, sparirono tutte le insegne Comit, mentre i fratelli B. informarono la elientela che da quel momento era a loro disposizione la Francesco Bertolli Banca e cambio. t difficile capire i motivi di questo momentaneo divorzio dalla Comit (la relazione del resto continuò, in forme diverse, anche negli anni seguenti). Certo è che nel frattempo i B., adeguandosi ad una congiuntura che ancora non era stata modificata dalla crisi internazionale del, 1907, si erano lanciati in una ristrutturazione completa delle loro attività industriali e commerciali, dotandosi anche di strumenti giuridici ed economici (le società anonime, che facevano allora le prime, timide comparse nell'altrimenti refrattario settore agro-alimentare) che testimoniano la sempre più solida posizione finanziaria della famiglia.
Innanzitutto, però, nel gennaio del 1907, essi provvidero a trasformare l'azienda bancaria dei padre da società di fatto in società in nome collettivo con la denominazione di Ditta Francesco Bertolli. Dotata di un capitale di 100.000 lire, sottoscritto in parti uguali dai cinque fratelli, la società manteneva come scopo sociale l'intermediazione bancaria e il commercio di vino e olio, dando lavoro complessivamente a undici tra operai e impiegati nelle due sedi di Lucca e Imperia. La produzione e la commercializzazione dei formaggi venne invece affidata alla Società romana per il formaggio pecorino. Costituita nel settembre del 1907 con un capitale iniziale di 3 milioni, una cifra più che ragguardevole per il settore, l'azienda disponeva di caseifici in Toscana, nel Lazio e in Sardegna, mentre la sede commerciale ed amministrativa era a Lucca. Per quanto riguarda infine il vino, in quello stesso anno i B. fondarono a Lucca la Società vinicola toscana con un capitale iniziale di mezzo milione di lire ed uno stabilimento a Castellina in Chianti. A completare questo piccolo impero industriale, bancario e commerciale giunse, nel 1912, la costituzione della società in nome collettivo Bertolli e Ponzi, un'impresa con un modesto capitale iniziale (45.000 lire, fornito per i due terzi dalla Ditta Bertolli), ma cui era affidato un compito di sicura redditività: costruire i recipienti di latta e gli imballaggi in legno per l'olio che la Bertolli vendeva sui mercati nazionali e soprattutto internazionali.
In un quadro in cui la produzione olearia scontava una carenza diffusa di educazione agronomica in grado di combattere meglio parassiti e malattie degli olivi, veniva svolta in impianti quasi sempre antiquati e soffriva della presenza di troppi intermediari, il complesso agrario e industriale creato dai B. si situava senz'altro tra i più avanzati a livello nazionale e sicuramente tra i primissimi in Toscana. Non sorprende quindi che durante la prima guerra mondiale il ministero degli Approvvigionamenti affidasse alla Francesco Bertolli il compito di coordinare l'acquisto dell'olio in provincia di Lucca, per il quale venne costituita una apposita sezione acquisto olio per conto dello Stato all'interno della ditta.
All'indomani della guerra, nel 1919, la strada intrapresa dai B. venne seguita anche da un altro produttore lucchese, Dino Fontana, a riprova di una nuova vitalità assunta dall'economia toscana anche in settori più tradizionalmente conservatori. Mentre la vecchia Ditta Fontana & C. veniva trasformata nella Società anonima lucchese vino e olio (SALOV), lo stesso Fontana, coadiuvato stavolta dai B. e con il significativo intervento della Banca commerciale, costituiva la Società anonima toscana raffinerie olio (SATRO) con un capitale iniziale di 2 milioni ed una capacità produttiva annua dello stabilimento, situato a Viareggio, di circa 60.000 quintali.
Il consolidamento della rete di rapporti economici e personali con altri produttori della zona non distolse la Bertolli dal proseguimento dell'opera di penetrazione sui mercati esteri. La tradizione del viaggio di formazione come primo passo per entrare nei ranghi attivi della famiglia venne confermata con il soggiorno a New York, a partire dal 1913 e fino all'immediato dopoguerra, di Francesco, primo figlio di Giuseppe, nato a Lucca il 23 dic. 1895 dal matrimonio di questo con Ersilia Puccinelli. Ma, nel 1921, mentre Francesco tornava in Italia con la moglie Ivonne Orselli, che aveva sposato l'anno prima, Giuseppe, moriva a Massarosa il 23 luglio. Da quel momento fu Gioele a prendere in mano le redini del gruppo, ferma restante una certa suddivisione dei compiti e delle competenze tra gli affari industriali e commerciali da un lato e quelli bancari dall'altro. Egli diventò il punto di riferimento della Ditta Francesco Bertolli, assunse la presidenza della Società anonima vinicola toscana e venne nominato amministratore delegato della Società romana per il formaggio pecorino. Nel 1924 ottenne l'onorificenza di cavaliere dei lavoro, conferitagli soprattutto per l'impulso dato all'affermazione dei prodotti agrari tipici italiani nel mondo.
Il settore nel quale operavano i B., nonostante i molti accorgimenti di natura tecnico-economica e amministrativa e il complessivo irrobustimento finanziario, restava tuttavia estremamente sensibile a numerosi fattori naturali ed economici. La produzione dell'olio di oliva negli anni Venti conobbe un andamento altalenante prima di essere colpita da una grave crisi (più acuta nelle regioni meridionali che altrove) tra il 1929 e il 1930. A peggiorare la già difficile situazione erano le importazioni di offl di oliva più scadenti dalla Grecia e dalla Spagna, resi tuttavia competitivi da costi di produzione decisamente più bassi (essenzialmente in virtù di salari più contenuti che in Italia). Le esportazioni risentivano evidentemente del disagio complessivo del settore e dello scarso supporto governativo, tanto che piombarono da 258.000 a 16.000 quintali tra il 1924 e il 1928.In una situazione del genere anche la Ditta Bertolli, che nei primi anni Venti esportava in media iSo.000, casse d'olio all'anno (per un valore di circa 50 milioni di lire, compresa tuttavia una quota derivante dalla vendita all'estero di vino), riuscì con difficoltà a mantenere le posizioni acquisite. Mentre per la Società romana per il formaggio pecorino, che produceva circa 25.000 quintali di formaggio all'anno, destinati in gran parte al mercato americano, i bilanci mostravano un autentico boom (i dividendi pagati passarono dall'8% del 1919 al 15% del 1925 e al 20% del 1927), la Vinicola toscana aveva conosciuto in quel periodo una crisi gravissima.
Aumentato il capitale sociale dalle iniziali 500.000 lire a 677.000 nel 1913 e a 2 milioni nel 1917, la società aveva pagato dividendi interessanti (pari all'8%) nel 1919 e nel 1920. Nei quattro anni successivi, però, avvenne il tracollo: 501.000 lire di deficit nel 1921, 337.000 nel 1922, 248.000 nel 1923 e 619.000 nel 1924. La leggera ripresa degli anni successivi non lasciava comunque prevedere un miglioramento sostanziale della situazione. D'accordo con la Banca commerciale (che aveva nel consiglio d'amministrazione della società Federico Becker), i B. decisero una svalutazione del capitale a 790.000 lire nel 1925 ed un suo ritorno ai 2 milioni precedenti l'anno successivo. L'apparizione di nuove perdite, seppure più contenute, nel 1927 e nel 1928, spinse verso provvedimenti più radicali.
Sfruttando le agevolazioni previste dal decreto del giugno del 1927 sulla concentrazione delle società per azioni, i B. decisero di operare la fusione tra la Vinicola toscana e la Ditta Francesco Bertolli. Nel novembre 1928 nacque così la società anonima Francesco Bertolli con un capitale di 5 milioni di lire. La sede legale della società venne trasferita a Roma, mentre quella amministrativa e commerciale rimase a Lucca; e nel suo patrimonio sociale entrarono lo stabilimento vinicolo di Castellina in Chianti e il deposito dell'olio al porto di Livorno. Il completamento della ristrutturazione del gruppo avvenne all'incirca un anno più tardi (nel frattempo, il 16 apr. 1929 era morto a Lucca Daniele Bertolli) con il passaggio alla società anonima Francesco Bertolli del ramo esportazione olii e vini della Francesco Bertolli Banca e cambio che, da quel momento (ma solo per pochi anni) si occupò unicamente di affari bancari. Nel 1930, infine, i B. liquidarono la loro partecipazione nella SATRO di Livorno.
Contemporaneamente a questa profonda riorganizzazione delle attività ormai tradizionali nella storia della famiglia, i B. allargarono i loro interessi anche ad altri settori, pur restando fermamente ancorati all'area lucchese. Seguendo l'esempio dell'altro industriale dell'olio di Lucca, Dino Fontana, operarono alcuni investimenti nell'industria cotoniera. Questo comparto tessile non era molto sviluppato in Toscana, tuttavia in Lucchesia avevano sede alcuni importanti stabilimenti per la fabbricazione dei cucirini, tra i quali quelli appartenenti alla Cucirini Cantoni Coats, la più rinomata impresa dei ramo. I B. erano presenti, ricoprendo diverse cariche (presidente, vicepresidente, amministratore delegato) nella Società anonima Filati cucirini, già Ditta E. Zeri di Lucca, nella Società anonima idroelettrica gallicanese-Cucirini italiani e nei cotonifici della Società anonima Filatura di Quiesa. Un altro settore sul quale puntarono, quello dei cementi e laterizi, aveva tradizioni più solide nella regione. Tra il 1929 e il 1933 Elia e Gioele Bertolli si insediarono alla testa della Società anonima Guido Puccetti-Fornace di calce di Massa Pisana e della Società anonima lucchese laterizi e affini (SALLA), costituita nel 1924, che aveva una potenzialità di cinque milioni di pezzi all'anno. Inoltre nel 1937 la Banca Bertolli assorbì la società anonima Fornace di calce di San Cerbone (un'azienda in liquidazione che produceva calce bianca e forte), facendone proseguire l'attività sotto la propria ragione sociale. Sul finire degli anni Trenta, infine, i B. misero piede in altri due settori contigui a quello dei laterizi, ma le cui produzioni potevano servire benissimo anche alle esigenze della Società anonima Bertolli. Alla vigilia della seconda guerra mondiale Gioele era infatti presidente della società anonima Vetrerie Bertolli e della società anonima Pucci e C.- Legnami.
La fuoriuscita da quella sorta di rassicurante guscio vinicolo-oleario nel quale il gruppo Bertolli era nato e cresciuto (ma che aveva mostrato di poter diventare pericoloso) coincise con un'altra importante, pur se episodica, scelta. Per un paio d'anni, tra il 1933 e il 1934, Gioele divenne consigliere della Federazione nazionale fascista del commercio enologico e oleario e presidente del gruppo provinciale dello stesso organismo sindacale. Inoltre nel 1934 egli venne nominato membro del Consiglio provinciale dell'economia corporativa di Lucca. È pur vero che dal 1927 Gioele figurava nell'albo dei cittadini (in pratica si trattava solo di industriàli) che potevano essere chiamati a fungere da consiglieri esperti nella Magistratura del lavoro istituita presso la Corte d'appello di Firenze. Tuttavia il biennio trascorso come rappresentante di categoria a livello nazionale e locale fu tanto più significativo in quanto l'esperienza non venne mai più ripetuta in seguito da nessun altro membro della famiglia.
Ferrea compattezza a livello familiare, iniziativa discreta in campo economico e scarso impegno sul piano pubblico (per non dire politico), uniti ad una non comune capacità di sapersi muovere con grande disinvoltura sui mercati internazionali, caratterizzarono i B. in tanti decenni di attività industriale, commerciale e bancaria. In effetti alla vigilia del secondo conflitto mondiale la società anonima Bertolli (che nel 1937 aveva assorbito la Bertolli e Ponzi, riunendo al proprio interno tutte le diverse fasi della preparazione del prodotto, compresa la fabbricazione dei recipienti e dei materiali da imballaggio) era senz'altro una delle principali imprese italiane del settore vinicolo-oleario, anche se probabilmente risultava più debole di molte concorrenti sul piano finanziario. Ad ogni modo, a differenza di altre aziende più famose e potenti in Italia (la Folonari, la Chiari e Forti, la Gaslini, la Martini e Rossi), la sua fortuna continuava a basarsi prevalentemente sulla diffusione del suo marchio fuori dai confini nazionali (anche se va ricordato che proprio nel corso di quel decennio la Bertolli aveva aperto le filiali di Roma, Genova, Torino e Milano). Durante gli anni Trenta le esportazioni della società non interessarono solo l'olio di oliva e il Chianti, ma anche il vermut e i vini bianchi di Orvieto e dei Colli Albani. I mercati di destinazione erano in Svizzera, Germania, Austria (a Vienna la famiglia Bertolli possedeva un grande albergo, il Palace hotel, in una delle vie del centro), nell'Africa orientale, in Libia, Egitto, Sudan, Stati Uniti, Canada, Brasile, Argentina e Uruguay. Agenzie della Bertolli erano state aperte a New York, San Paolo, Montreal, Tunisi, Londra, Chicago, Buenos Aires e Berlino.
Il bilancio complessivo alla fine del decennio presentava tuttavia anche parecchie zone d'ombra.
La crisi che aveva colpito l'economia internazionale all'inizio degli anni Trenta non aveva risparmiato i settori nei quali operavano i Bertolli. La Società romana per il formaggio pecorino (nel cui consiglio d'amministrazione figurava dal 1930 come consigliere e dal 1937 come amministratore delegato Mario, il secondo figlio maschio di Giuseppe, nato a Lucca, il 20 maggio 1897 e morto a Roma il 10 genn. 1986) aveva presentato perdite di poco inferiori al milione di lire nel 1930, 1931 e 1933 e di oltre 450.000 lire nel 1934. Solo nel 1932 e di nuovo a partire dal 1935 erano stati distribuiti i dividendi, linutati tuttavia ad un 6-7%, una quota pari ad un terzo dei livelli record degli anni Venti. La società anonima Francesco Bertolli aveva denunciato deficit di 100-150.000 lire nel 1932 e nel 1934 e di 676.000 lire nel 1933. Per questo motivo gli utili, riapparsi in bilancio nel 1935, vennero destinati quasi interamente alla riserva. D'altra parte va notato che la società non aveva modificato l'ammontare dei capitale sociale, rimasto fermo per tutto il decennio a 5 milioni, mentre nel settore vinicolo e oleario operavano imprese come la Cinzano, la Florio e gli Oleifici nazionali con un capitale di 50-60 milioni di lire, una dimensione ormai non più straordinaria neppure in campo alimentare, specie se un'azienda aveva interessi e ambizioni a livello internazionale. Andamento non dissimile presentarono, infine, anche i bilanci delle aziende che solo da pochi anni erano entrate a far parte dei gruppo Bertolli. È tuttavia probabile che in questi casi le inevitabili difficoltà connesse con l'avvio dell'attività facessero aggio sui problemi di ordine più generale che interessarono l'intera economia nazionale nel corso dei decennio.
All'indomani del conflitto bellico, nel maggio del 1946, la banca assunse la forma di una società per azioni. Le quote dei soci fondatori vennero suddivise tra Gioele, Giulio ed Elia nella misura di un quarto ciascuno, mentre il rimanente venne suddiviso fra i quattro figli maschi di Giuseppe: Francesco, Mario, Alberto (Lucca, 24 ag. 1907-ibid., 9 ag. 1981) e Ferruccio Daniele (Lucca, 17 nov. 1912-ibid., 12 genn. 1980). Il capitale iniziale della nuova società per azioni ammontava a 35 milioni, mentre i depositi erano valutati in circa 110 milioni. L'istituto operò con notevole oculatezza negli anni della ricostruzione, concedendo finanziamenti alle imprese locali i cui stabilimenti erano stati danneggiati nel corso della guerra e che desideravano riconquistare le posizioni detenute in precedenza sui mercati esteri. L'ammontare dei depositi, salito a 160 milioni alla fine del 1946, passò a 235 milioni nel 1948 e a 395 l'anno successivo, mentre i conti correnti aumentarono da 64 a 105 milioni tra il 1948 e il 1949. Nel consiglio d'amministrazione, retto da Gioele, oltre ai fratelli Giulio ed Elia, figuravano anche alcuni rappresentanti della seconda generazione Bertolli, Francesco e Alberto, figli dello scomparso Giuseppe, Francesco, figlio di Giulio, e Carlo Andrea, figlio di Elia (Lucca, 7 ott. 1925-Viareggio, 9 sett. 1969), secondo una tradizione familiare ormai consolidata negli anni e che prevedeva il progressivo inserimento nei posti direttivi degli eredi dei fondatori. In tal modo la morte di un rappresentante della generazione ottocentesca non comportava traumi particolari sul piano della gestione del patrimonio familiare. Così avvenne nel 1950 con la scomparsa di Gioele (avvenuta a Viareggio il 21 giugno) e di Elia (Lucca, 15 maggio). Le cariche più elevate nelle principali società del gruppo vennero assunte da Giulio, mentre altri nipoti del fondatore della dinastia cominciarono ad assumere incarichi di rilievo. Alberto, dopo essere divenuto amministratore delegato della banca, poco tempo dopo lo divenne della Bertolli s.p.a., nella quale fece la sua comparsa anche Piergioele, figlio diGioele.
Sotto la guida di Giulio (nominato cavaliere del lavoro nel 1956) la Bertolli tentò di darsi una struttura organizzativa che fosse al passo con le nuove esigenze dei mercato internazionale. Il ramo della produzione olearia venne rafforzato con la costituzione, nel 1952, della Società anonima raffineria olii il cui stabilimento di Livorno, nel quale lavoravano circa centocinquanta dipendenti, venne subito ceduto in affitto alla Bertolli. Anche la produzione vinicola fu potenziata con l'apertura di un nuovo impianto a Lecce. Le agenzie che operavano all'estero vennero rese autonome dalla casa madre. Nacquero perciò la Bertolli Trading Co. di New York, la Bertolli West Coast di San Francisco, la Bertolli Canada Ltd. di Moritreal, la Bertolli Australia Ltd. di Melbourne e la Chianti Bertolli di Francoforte, mentre una joint venture con la Galbani permise la costituzione della Sociedade Brasileira Bertolli-Galbani di San Paolo. A Bruxelles, inoltre, venne costituita una apposita società, la SPAL, incaricata della commercializzazione dei prodotti tradizionali della Bertolli, mentre in Italia il gruppo si allargò con la creazione della Società romana industria e commercio prodotti dell'agricoltura (ICPA). La cassaforte di famiglia a quel punto non era più la banca, che funzionava ormai né più né meno come un altro istituto di credito, ma una vera e propria holding, la Società finanziaria toscana, presieduta da Giulio Bertolli.
Costruitosi da tempo una chiara fama all'estero, il marchio Bertolli cominciò anche ad imporsi tra i consumatori italiani. Prova ne è che il giro d'affari della società raggiunse i 5 miliardi di lire nel 1953-54. Il successo sul mercato interno, cui contribuirono senz'altro alcune fortunate campagne pubblicitarie, va forse ricondotto innanzitutto alla rivoluzionaria innovazione - che spiazzò inizialmente la concorrenza - consistente nel presentare il proprio prodotto, l'olio, non più in lattina, bensì in una bottiglia di vetro trasparente.
La scomparsa di Giulio, avvenuta a Lucca il 13 marzo 1962, chiuse un'epoca.
L'importante sviluppo della capogruppo negli anni Cinquanta (quando oltre alle filiali estere furono potenziate anche quelle italiane) risultò forse sproporzionato alle sue stesse potenzialità. Appare evidente che la struttura, se non da multinazionale, certamente da grande impresa internazionale esigeva capacità finanziarie (da sempre insufficienti, come si è visto) e umane che inevitabilmente mancavano ad un gruppo rigidamente familiare, chiuso in se stesso e tutto sommato troppo radicato in una realtà locale, come quella di Lucca, non certo dotata di tutti gli stimoli e gli strumenti necessari per garantire il mantenimento di certi livelli. Già nel 1963 la Bertolli dovette accogliere tra i suoi azionisti la Montecatini, allora alle prese con le prime incursioni al di fuori del settore chimico. L'ingombrante presenza del colosso milanese (divenuto nel corso degli anni Sessanta l'azionista di maggioranza della società) non impedi ad un membro della famiglia, Alberto, di mantenere la presidenza della Bertolli fino al 1972, quando la Montedison cedette l'azienda alla SME, la finanziaria del settore alimentare dell'IRI. A quel momento anche i B. vendettero le ultime azioni possedute, sparendo sostanzialmente dalla scena industriale e bancaria lucchese. Due anni prima, nell'aprile del 1970, la Banca Bertolli era infatti già stata incorporata nella Banca commerciale italiana.
Fonti e Bibl.: Lucca, Archivio della Camera di commercio, Registro ditte: Bertolli s. p. a., Banca Bertolli, Bertolli e Ponzi, R. O. L.; Roma, Federazione nazionale dei cavalieri del lavoro, Archivio storico, fascicoli Gioele Bertolli e Giulio Bertolli. Per le fonti a stampa vedi Federazione nazionale dei cavalieri del lavoro, I cavalieri del lavoro1901-1926, Roma 1926, ad vocem; Biografia finanziaria italiana. Guida degli amministratori e dei sindaci delle società italiane per azioni, Roma 1929, p.66; E. Lodolini-A. Welczowsky, Guida degli amministratori e dei sindaci delle società anonime. Biografia finanziaria italiana, Roma 1934, p. 77; Annuario vinicolo d'Italia 1933, pp. X-XI; Id. 1934, p. X; Chi è? Dizionario biografico degli Italiani d'oggi, Roma 1948, p. 99; La Nazione, 22 giugno 1950 e 14 marzo 1962 (necrologi di Gioele e Giulio B.); G. Mori, Materiali, temi ed ipotesi per una storia dell'industria nella regione toscana durante il fascismo (1923-1939), in Il capitalismo industriale in Italia. Processo d'industrializzazione e storia d'Italia, Roma 1977, p. 463; A. Confalonieri, Banca e industria in Italia 1894-1906, III, Bologna 1980, pp. 465-466; È morto Mario Bertolli, imprenditore dell'olio, in l'Unità, 2 genn. 1986; È morto a Roma Mario Bertolli, in La Nazione, 2 genn. 1986; F Canosa, Fine di una dinastia di provincia. È morto Mario Bertolli, "re" dell'olio, in La Repubblica, 2 genn. 1986; Scomparso Mario Bertolli, in Corriere della sera, 2 genn. 1986; P. Bertolli, Una storia Bertolli, in Lucca. Bollettino economico della Camera di commercio industria artigianato e ggricoltura di Lucca, febbraio 1986, pp. 16-19. Vedi inoltre i vari volumi editi fino al 1925 dal Credito Italiano e successivamente dall'Assonime, Notizie statistiche sulle società italiane per azioni.