SAINT-GENIÈS, Bertrand
de. – Nacque probabilmente attorno al 1280/1285, secondo una deduzione di Pier Silverio Leicht basata sul suo cursus scolastico. Stando alla leggenda agiografica, essendo egli morto a 90 anni nel 1350, la data di nascita si dovrebbe porre invece attorno al 1260.
I Saint-Geniès erano originari del Quercy (diocesi di Cahors), ma inurbati a Tolosa verso la fine del Duecento. Di vocazione militare-signorile, alcuni intrapresero carriere ecclesiastiche o universitarie, soprattutto in campo giuridico. Un Guglielmo de Saint-Geniès (morto nel 1292), frate predicatore, fu maestro nello Studium tolosano, ma non è accertato il grado di parentela con Bertrand.
Nel 1311 Saint-Geniès, doctor decretorum, era membro della facoltà giuridica di Tolosa. Nel 1314 sottoscrisse gli statuti dell’università e nel 1315 era professore in utroque. La sua origine aristocratica e la formazione giuridico-universitaria erano idonee alla carriera curiale; tanto più che a partire dal 1313 è documentato quel legame con il cardinale vescovo di Porto, Jacques Duèse (poi Giovanni XXII), che fu determinante per la sua vita. In quell’anno, grazie al porporato, egli ottenne di percepire i frutti di due piccoli benefici curati nella diocesi di Cahors. Fu dispensato dalla residenza e dal ricevere ordini sacri oltre il suddiaconato. La prassi era diffusissima, ma rivela che Saint-Geniès aveva ormai intrapreso la strada della carriera ecclesiastica, sia pure non concepita ancora come irreversibile, e stretto promettenti legami personali di alto livello.
In concomitanza con l’ascesa di Giovanni XXII – eletto papa il 7 agosto 1316 – Saint-Geniès lasciò lo Studium tolosano e si avvicinò alla curia avignonese.
Jacques Duèse proveniva da Cahors, era giurista e fu cancelliere degli Angioini di Napoli. La sua pronunciata tendenza nepotistica era ben nota e si rivelò non solo nelle preferenze riservate ai propri consanguinei, a parenti pure lontani e membri della sua familia, ma anche nella fiducia e negli incarichi curiali affidati a un numero incalcolabile con certezza di chierici e laici provenienti dal Quercy, e quindi suoi conterranei.
Il 21 ottobre 1316 il papa riservò pertanto un canonicato ad Angoulême a Saint-Geniès, che nel marzo 1318, ormai gratificato del titolo di cappellano papale, ottenne anche una cantoria nella collegiata di Saint-Felix di Caraman. Nel febbraio del 1321 fu promosso al decanato di Angoulême e nel gennaio del 1328 ricevette l’arcidiaconato di Noyon. Per tutti i benefici, Bertrand ottenne la dispensa dal divieto di cumulo e dall’obbligo di residenza, poiché soggiornava in curia. Data l’esperienza giuridica (mantenne sempre il titolo di professore in utroque), dal 1321 lo si trova anche quale uditore di cause del sacro palazzo. La fiducia accordatagli dal pontefice si intuisce dal crescere delle mansioni: fu spesso incaricato di recuperare crediti apostolici e di conferire benefici, soprattutto in Francia, ma pure in Italia e altrove. Nel 1332 fu nunzio per una questione vertente fra le autorità municipali e gli studenti dello Studium tolosano. Nel 1333-34 fu impegnato in Italia, a Roma e a Napoli, in una nunziatura di nove mesi, nel corso della quale affrontò sia questioni di dinamiche familiari romane, sia trattative di più ampio respiro connesse con i rapporti tra il Papato, gli Angioini e il vertice imperiale nella delicata congiuntura di quel periodo favorevole al Bavaro. E al rientro in curia, il 4 luglio 1334, Giovanni XXII lo nominò patriarca d’Aquileia; nella circostanza, fu per la prima volta qualificato come sacerdote, oltre che come professore e decano.
Nelle settimane successive, dalla cancelleria pontificia uscirono numerose lettere accompagnatorie, che dovevano aiutare il nuovo patriarca ad affrontare le questioni più urgenti, tra le quali il debito suo e dei predecessori verso la Camera apostolica, ammontante a 25.000 fiorini. Saint-Geniès dovette rinunciare ai suoi vecchi benefici, ma riuscì a trasmetterli a suoi familiari. L’8 luglio 1334 ottenne il permesso di amministrare la sua diocesi prima ancora di ricevere il mandato di provvisione; il 20 agosto gli fu consentito di contrarre un mutuo di quattromila fiorini.
Nove lettere papali indirizzate al neopatriarca uscirono dalla cancelleria in un solo giorno, il 12 settembre. Tra l’altro, limitatamente alla vasta diocesi aquileiese erano concesse a Bertrand competenze su benefici già riservati alla sede apostolica; gli fu accordato di conferire il tabellionato a quattro chierici non coniugati, di celebrare le messe solenni anche in luoghi sottoposti a interdetto e di visitare per un triennio la provincia aquileiese. A ben guardare, si trattava di privilegi che comportavano introiti finanziari.
Nel Trecento, la sede metropolitica aquileiese era uno dei più antichi e ricchi benefici della Chiesa e vantava un ragguardevole peso politico, poiché era una sorta di principato ecclesiastico in una zona di raccordo tra mondo germanico e italico, in un momento di notevoli tensioni tra il Papato e l’imperatore Ludovico il Bavaro. Vacante dalla morte di Pagano Della Torre (18 dicembre 1332), essa era un traguardo assai ambito per gli ecclesiastici.
Prima di scegliere Saint-Geniès, Giovanni XXII respinse alcune candidature eccellenti, anche raccomandate dagli Angioini; con lui, il papa intendeva assicurarsi un alleato fedele contro l’imperatore, che non fosse sgradito agli Angioini, ma nemmeno fosse loro emanazione diretta. Inoltre Saint-Geniès aveva già provato le sue doti di giurisperito e di diplomatico, e forse era pure consapevole dei suoi doveri religiosi e pastorali. Infine, un cenno va fatto alla consuetudine nepotistica del pontefice, giacché premiò in Saint-Geniès un conterraneo e un parente del cardinale Bertrand di Montfavès, tra i porporati a lui più vicini e favoriti.
Da parte sua Saint-Geniès dimostrò di sapersi mantenere fedele al soglio avignonese, senza tuttavia rinunciare a tutelare gli interessi della sua diocesi e metropoli, come del suo principato. In tal senso occorre interpretare sia i privilegi ottenuti da Giovanni XXII, sia i successivi contrasti con Benedetto XII (1334-42), soprattutto riguardo alcune scelte politiche e beneficiali.
I quasi sedici anni (1334-50) di patriarcato di Saint-Geniès sono documentati da una serie cospicua di registri notarili, nonché da numerose testimonianze narrative. Particolare rilievo riveste una sua memoria, indirizzata al decano del capitolo di Aquileia e databile approssimativamente al 1349, nella quale riepilogò le tappe salienti del suo governo e le spese sostenute. Seguendo quel memoriale, si possono sunteggiare alcuni tratti della sua politica: i rapporti con le potenze esterne, l’organizzazione del proprio ‘Stato’, la pastorale episcopale e le pretese metropolitiche.
Quanto alla ‘politica estera’, i principali competitori del patriarcato d’Aquileia erano i conti di Gorizia, i duchi d’Austria, Rizzardo III da Camino conte di Cèneda e la Repubblica di Venezia. Spesso si trattava di vertenze annose, ma complicate da collegamenti con instabili schieramenti di più vasta portata, riassumibili con i tradizionali nomi di guelfi e ghibellini. Giovanni XXII fu costantemente avverso a Ludovico di Baviera e alleato degli Angioini di Napoli e d’Ungheria. Di tale linea politica, che rimase stabile, il patriarcato d’Aquileia era una pedina importante, e Saint-Geniès dovette cercare di contemperare gli interessi aquileiesi con quelli papali, assecondando il mutevole attivismo di Benedetto XII e Clemente VI (1342-52). L’equilibrio era precario e Saint-Geniès fu spesso rimproverato dai papi per azioni militari contro Venezia o per un tentativo di alleanza con gli Scaligeri, schierati con il ghibellinismo. Nonostante i rimbrotti, specialmente durante i primi anni di governo, il patriarca fu capace di riaffermare o recuperare alcuni diritti aquileiesi dei quali si erano impadroniti i Caminesi o Venezia. Più lodate furono la sua ferma opposizione all’imperatore o la sua disponibilità a rivestire incarichi diplomatici per conto del Papato. Il prezzo fu un endemico stato di guerra, con ingenti spese militari e pesanti interferenze straniere nella vita del patriarcato. Una congiuntura politica sfavorevole, infine, cagionò pure lo stato di isolamento nel quale Saint-Geniès si trovò al termine della sua vita, attaccato dai goriziani e da un ampio schieramento di friulani ribelli.
Per ciò che concerne l’organizzazione interna del patriarcato, va detto innanzitutto che in Friuli Saint-Geniès trovò una realtà in cui primeggiava la famiglia lombarda Della Torre, che aveva espresso tre patriarchi fra il 1274 e il 1332, ma non era riuscita a imporre un dominio incontrastato. Contro di essa reagivano sia famiglie aristocratiche, sia comunità urbane, che avevano conosciuto uno sviluppo fra il XIII e il XIV secolo. Si susseguirono pertanto lotte armate, che furono solo parzialmente sedate nei primi anni di governo di Saint-Geniès, fino a che non divenne troppo sbilanciato il rapporto del presule con la consorteria coordinata dai Savorgnan e dal Comune di Udine, suscitando l’avversità di Cividale e di stirpi signorili, come i Della Torre o i di Castello, appoggiate dai conti di Gorizia. Dal 1345-46, circa, la contrapposizione divenne irrecuperabile, in un crescendo di violenza che portò al tragico epilogo, con l’uccisione di Bertrand durante uno scontro armato.
Al di là delle questioni politiche, il patriarca tentò misure di tutela del commercio e alcune riforme istituzionali intese a irrobustire l’apparato amministrativo, spesso in collaborazione con il Parlamento della Patria friulana, ossia con l’assemblea rappresentativa delle famiglie castellane, del clero e delle comunità cittadine che aveva assunto un crescente peso durante il Trecento. Ad esempio, a Udine, dal 1340 un capitano sostituì la figura del gastaldo, secondo una tendenza che potenziava il controllo militare del territorio. A Cividale Saint-Geniès tentò di favorire la crescita di uno Studium generale.
L’intensa attività politica di Saint-Geniès ha spesso eclissato agli occhi degli storici il suo operato come vescovo e metropolita, svolto in prima persona o mediante vicari. In genere egli fu generoso verso le istituzioni religiose, soprattutto i frati predicatori, con donativi di codici e suppellettile liturgica. Si ricorda anche una considerevole committenza artistica, specialmente legata alla promozione dei santi locali e all’abbellimento e restauro delle chiese principali della diocesi. Sono inoltre attestate numerose ordinazioni di chierici, consacrazioni di chiese e fondazioni religiose, un’attenta amministrazione dei benefici, alcune visite pastorali, la convocazione di sinodi diocesani e l’allestimento di opere caritative e assistenziali. Anche le prerogative metropolitiche, ribadite con i concili provinciali del 1335 e 1339, furono rivendicate dal patriarca, che consacrava i suffraganei e faceva valere la propria giurisdizione sulle chiese soggette.
La morte di Saint-Geniès avvenne il 6 giugno 1350, nel contesto delle guerre intestine friulane: fu infatti ucciso durante una battaglia che vide sconfitti gli udinesi e i collegati ai Savorgnan. Il suo corpo fu sepolto nel duomo di Udine.
L’impressione per la fine violenta e un ricordo positivo, almeno in una parte del Friuli, favorirono la nascita di una fama di santità, sul modello di Tommaso Becket. Il patriarca Niccolò di Lussemburgo (1351-58), fratellastro dell’imperatore Carlo IV, promosse il culto soprattutto a Udine. Furono redatte immediatamente una raccolta di miracoli e una leggenda agiografica, attribuita al suo cappellano Giovannetto de Conchis, che influenzarono stabilmente l’immagine del patriarca, sebbene alcuni cenni polemici contro ignoti ‘detrattori’ lascino intendere l’esistenza di voci dissonanti rispetto al coro dei devoti.
Nella biografia agiografica Saint-Geniès è rappresentato con le doti di un principe giusto ed equanime, valoroso e vittorioso, cui si aggiungono e si fondono armonicamente quelle del pastore pio, severo e paterno, amato e temuto, sollecito e buono. Egli univa in sé le virtù dei santi re e dei santi vescovi dell’agiografia bassomedioevale e appariva pertanto il modello ideale di patriarca, funzionale alle intenzioni di Niccolò di Lussemburgo, che intendeva così legittimare il proprio potere e il tentativo di imporre la propria autorità in un Friuli per nulla pacificato.
Come sovente accade per i santi, la figura di Saint-Geniès fu soggetta a numerose riletture. I veneziani sottolinearono la coincidenza della loro conquista di Udine (6 giugno 1420) con l’anniversario del patriarca, leggendovi un segno di benevola continuità. Sul finire del Cinquecento, il patriarca Francesco Barbaro volle conferire una legittimità giuridica al culto assai vivo e ottenne da Clemente VII l’autorizzazione di alcune funzioni religiose. La beatificazione equipollente fu ottenuta nel 1756, mediante un processo canonico che non sancì il titolo di martire e fu promosso nel clima della sofferta soppressione del patriarcato di Aquileia, forse intesa da Benedetto XIV come una compensazione per la novella arcidiocesi di Udine. In tempi più recenti, il lavorio sulla figura di Saint-Geniès di storici, eruditi, artisti e appassionati cultori ha continuato e continua a testimoniare un interesse mai sopito verso di lui; ove convivono molteplici ordini di interpretazione, tutti, anche se in grado variabile, influenzati dalle circostanze del presente, dalle attese e dalle intenzioni con cui si interroga quella lontana figura e quei passati avvenimenti.
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