Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Numerosi sono stati i campi di attività del filosofo inglese Bertrand Russell: dalla logica alla teoria della conoscenza, dalla metafisica alle indagini sui fondamenti della matematica. Altrettanto numerose sono state le fasi che possono essere individuate nel suo pensiero: l’idealismo iniziale, il realismo estremo intorno al 1900, la successiva fase “empiristica”, il monismo neutro. La sua influenza storica, straordinariamente ampia e profonda, è legata a due ragioni principali: la diffusione di uno stile di indagine filosofica basato sull’analisi puntuale di questioni rigorosamente definite e l’applicazione dei metodi della logica, e il grandioso tentativo di fondazione logistica della matematica sviluppato nei Principia Mathematica.
La formazione
Bertrand Russell
Logica e matematica
I principi della matematica
La tesi fondamentale dell’opera, che la matematica e la logica siano identiche, è una tesi che io non ebbi finora ragione di modificare. Essa fu dapprima impopolare, a causa della tradizione che associava la logica con la filosofia e con Aristotele, per modo che i matematici sentivano la logica estranea ai loro interessi, e coloro che si consideravano dei logici accettavano malvolentieri di essere costretti ad impadronirsi di una tecnica matematica nuova e piuttosto difficile. Ma tali sentimenti non avrebbero avuto alcuna influenza durevole, se non avessero trovato sostegno in più serie ragioni di dubbio. Queste ragioni sono, parlando in generale, di due specie opposte: le prime si connettono all’esistenza di certe difficoltà insolute nella logica matematica, le quali fanno apparire tale logica meno sicura di quanto si ritiene che sia la matematica; le seconde derivano dal fatto che, se si accettasse la fondazione logica della matematica, ciò giustificherebbe o tenderebbe a giustificare molte ricerche, come quelle di Giorgio Cantor, che da vari matematici sono considerate con sospetto a causa dei paradossi insoluti che tali ricerche hanno in comune con la logica. [...]
Sembra chiaro che vi debba essere qualche maniera di definire la logica in altro modo che con riferirla a un particolare linguaggio logico. La caratteristica fondamentale della logica è, ovviamente, ciò che si indica col dire che le proposizioni logiche sono vere in virtù della loro forma. La questione della dimostrabilità non può essere invocata, dato che ogni proposizione che, in un sistema, risulta dedotta dalle premesse, potrebbe, in un altro sistema, venir presa essa stessa come una premessa. Questo può non riuscire conveniente quando la proposizione sia complicata, ma non è impossibile. Tutte le proposizioni che risultano dimostrabili in un qualsiasi sistema logico ammissibile devono condividere con le premesse la proprietà di risultare vere in virtù della loro forma; e tutte le proposizioni che risultano vere in virtù della loro forma dovrebbero essere incluse in una logica perfetta. [...]
in Grande antologia filosofica, diretta da M.F. Sciacca e M. Schiavone, Milano, Marzorati, 1978
Bertrand Russell
Un nuovo paradosso
Prima di abbandonare le questioni fondamentali, è necessario esaminare più minutamente la strana contraddizione, già menzionata, sui predicati non predicabili di se stessi. Prima di tentare la soluzione di questo rompicapo, sarà meglio fare qualche deduzione in rapporto a esso, ed enunciarlo nelle sue varie forme differenti. Posso accennare che io fui condotto a esso nel tentativo di conciliare la dimostrazione di Cantor circa l’impossibilità che esista un numero cardinale massimo, con la supposizione molto plausibile che la classe di tutti i termini (che si è visto essere essenziale a ogni proposizione formale) abbia necessariamente il massimo numero possibile di elementi [...].
Trascuriamo queste conseguenze paradossali, e tentiamo di dare l’enunciato esatto della contraddizione stessa. Innanzitutto abbiamo l’enunciato in termini di predicati, che già venne dato. Se x è un predicato, x può essere o non può essere predicabile di se stesso. Ammettiamo che “non predicabile di se stesso” sia un predicato. Allora supporre che questo predicato sia, o non sia, predicabile di se stesso, è auto-contraddittorio. La conclusione, in questo caso, sembra ovvia: “la non-predicabilità di se stessi” non è un predicato.
B. Russel, Principi della matematica, Milano, Longanesi, 1963
Nato nel 1872 da un’importante famiglia di tradizioni politiche whig, nell’ultimo decennio dell’Ottocento Bertrand Russell studia matematica e filosofia a Cambridge. Nell’ambiente di Cambridge viene influenzato dall’idealismo allora dominante in Gran Bretagna, rappresentato a Cambridge dal giovane e promettente filosofo John Ellis McTaggart. A Oxford emerge invece la figura di Francis Herbert Bradley, anch’egli idealista, ma in una versione differente da quella di McTaggart: Bradley è un monista, convinto che la realtà consista in ultima analisi in un unico Assoluto, mentre McTaggart, pluralista, sostiene l’esistenza di una molteplicità di io finiti.
Negli anni di Cambridge Russell oscilla tra i due orientamenti idealistici, dedicandosi in particolare all’approfondimento della matematica. Risale a questo periodo il progetto di una sorta di enciclopedia in stile hegeliano (il cosiddetto “programma di Tiergarten”) che avrebbe dovuto comprendere una serie di trattati, dedicato ciascuno ai principi di una disciplina scientifica: le contraddizioni sorte in ognuna di esse avrebbero trovato una soluzione dialettica nella trattazione di quella successiva. Dubbi e difficoltà iniziano, però, presto a mettere in crisi la fede idealistica di Russell. Già durante gli studi per la preparazione del Saggio sui fondamenti della geometria (1897) il programma enciclopedico incomincia ad apparire di difficile realizzazione. In particolare Russell si rende conto che la nozione di relazione, fondamentale per la costruzione della matematica, non può essere spiegata in modo soddisfacente all’interno di una concezione idealistica. Negli stessi anni Russell si dedica anche allo studio della filosofia di Leibniz (1646-1716) – sfociato nella pubblicazione di Un’esposizione critica della filosofia di Leibniz, (1900) –, grazie al quale giunge alla conclusione che molti errori metafisici derivano dal mancato riconoscimento della realtà delle relazioni e del fatto che esse sono esterne ai loro termini. Ma il distacco definitivo dall’idealismo è determinato – negli ultimi anni dell’Ottocento – dall’opera di George Edward Moore (1873-1958), suo compagno di studi a Cambridge, che in quel periodo veniva proponendo una metafisica radicalmente realista.
Il realismo
Russell abbraccia questo programma di “rivolta contro l’idealismo”, elaborando nei Principi della matematica (1903) una filosofia che prospetta una duplice forma di realismo: da una parte opposizione all’idealismo nel negare qualunque intermediario di carattere mentale tra il soggetto e il mondo esterno, dall’altra opposizione al nominalismo e al formalismo in filosofia della matematica nel riconoscere l’esistenza di universali e di oggetti astratti di vario genere. L’ontologia proposta nei Principi della matematica – fortemente pluralista – prevede che gli elementi fondamentali della realtà siano i termini, ai quali viene riconosciuta la proprietà dell’esistenza. Essi si suddividono in cose (particolari) e concetti (universali), che possono combinarsi per dare origine a entità complesse, le proposizioni. Queste possono essere vere (e in questo caso coincidono con i fatti) o false. Nell’atto di giudizio il soggetto, concepito secondo il modello cartesiano, intrattiene una relazione con una proposizione.
L’obiettivo principale dei Prìncipi della matematica è quello di abbozzare una fondazione logicistica della matematica stessa: tentare cioè di ricondurla ai concetti e ai principi della logica. In quello stesso periodo un progetto analogo veniva elaborato da Gottlob Frege, alle prese con lo studio della teoria degli insiemi di Georg Cantor. Russell, in particolare, si accorge che gli assiomi da cui Frege si proponeva di derivare la matematica generavano una importante contraddizione (che ha preso il nome di “paradosso di Russell”): secondo gli assiomi di Frege è possibile costruire un insieme che è membro di se stesso se e solo se non è membro di se stesso. Questo paradosso può essere illustrato, sulla base di un famoso esempio proposto dallo stesso Russell, dal caso di un barbiere che rade tutti, e soli, i suoi concittadini che non si radono da sé. La difficoltà sorge quando ci si domanda se il barbiere rada o meno se stesso: in base alla definizione fornita, infatti, egli dovrebbe radersi da sé se e solo si rade da sé, una palese contraddizione, analoga a quella che si verifica nel caso degli insiemi. Un primo tentativo di ovviare a questo inconveniente viene offerto da Russell già nei Principi della matematica, ma l’elaborazione di una soluzione completa richiederà diversi anni.
Logica e matematica
Negli anni dal 1910 al 1913 Russell pubblica i tre volumi dei Principia Mathematica, scritti in collaborazione con Alfred North Whitehead (1861-1947), che era stato suo insegnante a Cambridge. In quest’opera viene condotto a compimento il programma di riduzione logicistica della matematica, condotto servendosi della notazione logica elaborata da Giuseppe Peano (1858-1932) e che è alla base anche della notazione utilizzata ai nostri giorni. Per risolvere i problemi generati dal paradosso scoperto anni prima, si può ricorrere alla teoria dei tipi. In base a questa teoria gli oggetti di discorso sono ripartiti in una gerarchia di tipi logici: gli oggetti individuali, per esempio, vengono assegnati al tipo 0, gli insiemi di tali individui al tipo 1, gli insiemi di tali insiemi al tipo 2 ecc. Una serie di proibizioni relative alla combinazione di oggetti appartenenti a tipi logici diversi impedisce la formazione di paradossi. Non è più possibile, per esempio, parlare di un insieme che è membro di se stesso, perché ciò violerebbe la gerarchia dei tipi logici, in base alla quale un insieme può avere come membri solo oggetti appartenenti al tipo logico immediatamente inferiore a quello dell’insieme stesso. La riduzione della matematica alla logica, infine, viene portata a termine nel sistema dei Principia Mathematica anche grazie all’introduzione di tre assiomi – di riducibilità, di scelta e dell’infinito –, il cui carattere puramente logico è tuttavia discutibile. L’assioma dell’infinito, per esempio, assume che esista un numero di oggetti sufficiente ad assicurare la possibilità di insiemi di qualunque grandezza; ma una premessa di questo genere appare di carattere empirico, in quanto la sua verità dipende dal fatto contingente che nel mondo esista o non esista un tale numero di oggetti.
Sul successo della riduzione logistica operata dai Principia Mathematica si sviluppa negli anni successivi alla loro pubblicazione un’ampia discussione. L’influenza di quest’opera è comunque enorme, non solo per quanto riguarda il dibattito sui fondamenti della matematica, ma per la filosofia in generale. L’imponente edificio dei Principia e la rilevanza dei suoi risultati costituivano una dimostrazione apparentemente inconfutabile della fertilità dell’applicazione di metodi logici alla soluzione di problemi filosofici, di cui Russell è divenuto un convinto assertore fin dai primi anni del Novecento. L’insistenza con cui Russell proponeva una filosofia concepita come analisi minuziosa di problemi ben definiti, condotta con metodi rigorosamente logici, piuttosto che come costruzione speculativa e un po’ fantasiosa, e l’esempio costituito dalle sue stesse opere, avrebbero rappresentato nei decenni successivi uno dei più potenti stimoli alla nascita di quella che oggi viene comunemente chiamata “filosofia analitica”.
Sviluppi filosofici
Nella decina di anni intercorsi tra la pubblicazione dei Principi della matematica e quella dei Principia Mathematica si sono verificati diversi mutamenti nelle posizioni filosofiche di Russell, sempre assai rapido nel modificare le proprie concezioni. Con l’articolo Sulla denotazione (1905) Russell propone un’analisi degli enunciati contenenti descrizioni definite (espressioni come “l’attuale re di Francia”) in base alla quale tali espressioni devono essere considerate come simboli incompleti, privi cioè di un significato autonomo. In questo modo risulta tra l’altro possibile evitare di assumere l’esistenza delle entità che esse avrebbero dovuto denotare, che in casi come quello citato ad esempio appaiono piuttosto discutibili. Le sole entità della cui esistenza possiamo essere certi sono secondo il Russell di questo periodo quelle di cui abbiamo conoscenza percettiva diretta. Il trattamento delle descrizioni definite in Sulla denotazione è stato spesso considerato come un modello di analisi logica, intesa come il procedimento con il quale mettere in luce la struttura logica profonda di un enunciato, nascosta sotto la struttura grammaticale di superficie.
Negli anni immediatamente seguenti anche la teoria del giudizio proposta nei Principi della matematica viene abbandonata, a favore della cosiddetta teoria del giudizio come relazione multipla. Secondo questa teoria il soggetto giudicante non entra in relazione con un’entità unitaria come la proposizione, ma con i singoli oggetti del giudizio: facendo un esempio, se Otello crede che Desdemona ami Cassio, Otello si trova in una particolare relazione con Desdemona, con Cassio e con la relazione di amare. È possibile in questo modo respingere la nozione di proposizione, non più necessaria.
In generale si può osservare in questo periodo dell’attività filosofica di Russell una tendenza ad allontanarsi dalle posizioni di realismo estremo dei Principi della matematica e un progressivo avvicinamento all’empirismo. Nel quadro di questa tendenza si può inscrivere anche la proposta costruzionista di La conoscenza del mondo esterno (1914), in cui Russell suggerisce una massima secondo la quale, laddove possibile, le entità inferite devono essere sostituite da costruzioni logiche. Gli oggetti fisici, per esempio, sono comunemente concepiti come entità la cui esistenza è ammessa basandosi sui dati sensoriali. Russell propone invece di considerare gli oggetti fisici come costruzioni logiche di dati sensoriali (ovvero come complessi aggregati di dati sensoriali).
Nel 1912-1913 Russell entra in contatto con Ludwig Wittgenstein, che si era recato a Cambridge per studiare con lui. Le discussioni tra i due filosofi ben presto si incentrano sulla questione della natura della logica. In parte frutto di queste discussioni è lo scritto Teoria della conoscenza (1913), in cui Russell cerca di rielaborare in modo unitario le proprie concezioni, ma che non fu pubblicato anche in seguito alle critiche di Wittgenstein. Un analogo tentativo di presentazione complessiva delle proprie posizioni filosofiche viene tentato da Russell nella Filosofia dell’atomismo logico (1918-1919), in cui ribadisce tra l’altro la legittimità del metodo analitico in filosofia, consistente nella scomposizione dei complessi negli elementi costituenti. Premessa di tale metodo è naturalmente un pluralismo ontologico a cui Russell non venne mai meno dopo il rifiuto dell’idealismo.
A partire dal 1919 le posizioni filosofiche di Russell, che aveva nel frattempo abbandonato il lavoro su temi strettamente logici, subiscono un profondo mutamento. All’incirca a questa data risale infatti l’adozione di una forma di monismo neutro, ispirato da William James (1842-1910) ed Ernst Mach (1838-1916), secondo cui la sostanza fondamentale della realtà non è né fisica, né mentale: il mondo fisico e quello psicologico risultano da un diverso modo di considerare complesse combinazioni degli stessi elementi indifferenziati. Una delle conseguenze di questa impostazione è costituita dall’abbandono della concezione cartesiana del soggetto che fino a quel momento Russell aveva condiviso. Appartengono a questa fase del pensiero di Russell, tra le altre opere, l’Analisi della mente (1921) e l’Analisi della materia (1927).
Oltre agli scritti di “filosofia tecnica”, si devono infine ricordare i numerosi libri di “filosofia popolare” di Russell, dedicati alla divulgazione e alla presentazione di concezioni morali liberali e progressiste, spesso sostenute da Russell anche con aspre battaglie politiche e civili (durante la prima guerra mondiale fu imprigionato per la sua attività di propaganda pacifista).