CANELLI (Canellis, Cannellis, Cannelles), Bertrando da
Apparteneva con tutta probabilità alla nobile famiglia piemontese dei signori del consorzio di Canelli e di Calamandrana, che nel 1237 aveva venduto i suoi castelli al Comune di Asti.
La famiglia era imparentata in qualche modo con il re di Sicilia Manfredi, ed anche se è molto difficile stabilire i rapporti precisi di questa parentela, è probabile tuttavia che passassero attraverso la famiglia Lancia, anch'essa piemontese, alla quale apparteneva la madre di Manfredi, Bianca. Con l'ascesa al trono di Sicilia di Manfredi nel 1258 troviamo infatti anche alcuni membri della famiglia Canelli nell'entourage del giovane re. Francesco Semplice da Canelli nel 1262-63 svolgeva per Manfredi funzioni di vicario generale in Toscana e viene ricordato come "consanguineus regis". Nello stesso anno un altro Canelli, Alberto, figura come gran precettore dei templari nel Regno di Sicilia. Si era trasferito nel Regno anche un Pietro da Canelli, considerato come ribelle nel primo periodo della dominazione angioina (Reg. della Canc. angioina, a cura di R. Filangieri, IV, Napoli 1952, pp. 69, 72).Dopo la sconfitta di Manfredi nel 1266, Alberto si rifugiò in Lombardia, ma Pietro d'Aragona, marito della figlia di Manfredi, Costanza, nel 1279 sollecitò il suo trasferimento in Aragona, e con successo: nel 1281 compare infatti come commendatore dell'Ordine nel regno di Valencia. Anche un altro templare della stessa famiglia, Guglielmo, che in epoca imprecisata era stato gran precettore di Lombardia, intratteneva rapporti con la corte aragonese: la regina Costanza nel 1290si adoperò personalmente in suo favore presso il maestro dei templari G. de Beaujeu, e Giacomo II nel 1294 chiese al maestro J. Molay il permesso di trattenere Guglielmo, "qui nobis consanguinitatis linea est coniunctus" (Acta Aragonensia, III, p. 32), alla sua corte.
L'ipotesi sull'origine italiana del C. è confortata anche dalla data della sua prima apparizione alla corte aragonese: i libri dei conti della corte registrano infatti, fra il 1268 e il 1269, due pagamenti in suo favore. In quegli anni avevano trovato rifugio presso il principe ereditario Pietro e sua moglie Costanza numerosi fuorusciti italiani di parte ghibellina; tra i più noti Ruggiero de Lauria e i fratelli Corrado e Manfredi Lancia. Il C. era allora sicuramente in giovane età e in conseguenza tutta la sua educazione si dovette svolgere in quell'ambiente di cultura catalana. Ciò potrebbe spiegare la circostanza che il cronista messinese Bartolomeo da Neocastro soglia qualificarlo come "miles catalanus". Del resto anche Ruggiero de Lauria era considerato da molti catalano. Non è dunque molto probabile che il C. appartenesse alla famiglia catalana dei Canyelles, come suggerisce il Soldevila (Pere el Gran, I, p. 35).
II C., come gli altri italiani, ricevette dal re l'investitura di alcuni feudi; con tutta probabilità nel regno di Valencia, da poco conquistato alla corona d'Aragona. Il suo nome figura infatti tra quelli dei feudatari di questo regno, convocati dal re il 28 maggio 1277, per partecipare alla guerra contro i Saraceni. Successivamente, quando il 30marzo del 1282 Pietro III invitò la nobiltà dei suoi regni a partecipare alla spedizione in Africa che si sarebbe conclusa con l'intervento in Sicilia dopo la rivolta del Vespro, il nome del C. venne incluso nell'elenco dei feudatari ai quali si rivolse il re. Da quel momento egli compare tra i più fidati collaboratori di re Pietro prima, e di Alfonso III e di Giacomo II poi, che lo incaricarono spesso di importanti e delicate missioni nel corso del lungo conflitto per il possesso della Sicilia.
Insieme a Eximeno de Arteda, nel novembre-dicembre del 1282 il C. avviò le prime trattative con Carlo d'Angiò dopo l'intervento aragonese in Sicilia, e, secondo il Neocastro, gli avrebbe anche portato il cartello di sfida al duello di Pietro d'Aragona. Nella primavera del 1283 partecipò alla spedizione siculo-aragonese in Calabria, ma successivamente dovette abbandonare la Sicilia al seguito di re Pietro.
Nel 1285, durante l'invasione francese della Catalogna, fu incaricato della difesa di Gerona, e dopo la morte di re Pietro avvenuta nel novembre del 1285, gli fu affidata anche la custodia del principe di Salerno, Carlo, caduto in mano agli Aragonesi nel giugno del 1284 nel corso della battaglia navale combattuta nel golfo di Napoli, e rinchiuso nel castello di Barcellona.
Nel 1287 l'attività diplomatica del C. si fece particolarmente intensa. Il 27 febbr. 1287 Giacomo d'Aragona, succeduto al padre nel Regno di Sicilia, lo incaricò, insieme con Gisberto di Castelletto, di avviare con Carlo di Salerno, ancora prigioniero in Catalogna e succeduto nel frattempo anch'egli al padre, trattative di pace sulla base dei primi accordi intercorsi nel 1285, mentre Carlo era ancora trattenuto nel castello di Cefalù. Ciò significava che Carlo doveva rinunciare definitivamente all'isola di Sicilia, alle isole di Malta, Gozo, Pantelleria e Lipari e al tributo di Tunisi, dando in sposa a Giacomo e a suo fratello Federico le due sue figlie maggiori. Altre clausole riguardavano la conclusione di una tregua in vista della pace definitiva. L'ostinata opposizione di Onorio IV fece fallire però questo tentativo, né è noto il ruolo svolto dai due inviati nel corso delle trattative che alla fine di luglio si conclusero con un altro accordo, il cosiddetto trattato di Oléron. In esso Alfonso III d'Aragona si impegnava a liberare il principe di Salerno, il quale a sua volta prometteva di negoziare entro tre anni la pace tra Alfonso e Giacomo da un lato, e il Regno di Napoli, la S. Sede e il re di Francia dall'altro. In quel momento il C. e il Castelletto erano già tornati in Sicilia, da dove nel luglio furono nuovamente mandati in Catalogna con due altri importantissimi incarichi politici: dovevano chiedere ad Alfonso III la conferma della rinuncia ai suoi diritti sulla Sicilia, fatta già il 2 nov. 1285 prima della morte di re Pietro III, ma anche prima della sua incoronazione, nonché il rinnovo del patto di reciproca assistenza in guerra, concluso dai due fratelli il 25 nov. 1285. Inoltre gli ambasciatori dovevano farsi consegnare da Alfonso il gran giustiziere di Sicilia Alaimo da Lentini e i suoi due nipoti Adenolfo da Mineo e Giovanni da Mazzarino, accusati di alto tradimento. Il re d'Aragona il 4 ag. 1287 rilasciò i diplomi richiesti e lo stesso giorno mise nelle mani del solo C. i tre prigionieri, con il consenso di Alaimo che accettò di essere giudicato da Giacomo; al C. era stata data però anche la facoltà di ucciderli, nel caso che qualcuno avesse tentato di liberarli attaccando la nave. Servendosi probabilmente di questa facoltà e sicuramente dietro precise istruzioni di Giacomo il C. fece gettare in mare i prigionieri affidati alla sua custodia, davanti alla costa siciliana.
Nel 1288 comandò un piccolo corpo di armati, ottanta cavalieri, mandato da Alfonso III in Africa per sostenere le rivendicazioni su Tunisi di 'Othmãn, un nipote dell'ultimo califfo del Marocco della dinastia degli Almohadi. La spedizione, sostenuta dalla flotta comandata da Ruggiero de Lauria, non si concluse però con il successo sperato, e, tornato in Spagna, il C. riprese con più fortuna la sua attività diplomatica.
Si sa che verso la fine del 1289 Alfonso III lo mandò in Sicilia per chiedere al fratello l'invio di venti galere. Giacomo dal canto suo nell'aprile del 1290 lo inviò in Catalogna per chiedere al fratellastro omonimo la restituzione della somma di 25.000 soldi barcellonesi che gli aveva prestato in precedenza. Nel giugno dello stesso anno, poi, gli affidò una missione di grande importanza politica: insieme con Gisberto di Castelletto doveva trattare ancora una volta la questione siciliana, tentando di concludere la pace e garantire a Giacomo il possesso della Sicilia, delle isole vicine e della Calabria. Con una serie di documenti in data del 14 giugno 1290 Giacomo costituì suoi procuratori il C. e il Castelletto con il compito di negoziare con Carlo II d'Angiò, nel frattempo liberato dalla prigionia, con Filippo IV di Francia e suo fratello Carlo di Valois e con i legati pontifici in Francia, i cardinali Gerardo da Parma e Benedetto Caetani. Lo stesso giorno Giacomo, disperando ormai di potere realizzare il matrimonio angioino, nominò il C. suo procuratore per rappresentarlo alla celebrazione delle nozze con Guglielma Moncada. Purtroppo non si hanno notizie dell'ambasceria svolta dal C. e dal Castelletto in Francia, dove durante tutto il 1290 si svolsero trattative per trovare una soluzione al grande conflitto europeo aperto dal Vespro, che si preannunciava poco vantaggiosa per la Sicilia. Ai negoziati avviati all'inizio del 1291 a Tarascona con la partecipazione dei legati pontifici e di rappresentanti francesi, inglesi, aragonesi e maioricani, gli ambasciatori siciliani non furono ammessi e effettivamente Carlo II riuscì a garantirsi, negli accordi conclusi prima a Brignoles (19 febbr. 1291) e poi a Paniçars (8 apr. 1291), la neutralità aragonese nella guerra contro la Sicilia.
Pare che il C. sia tornato in Spagna al seguito di Giacomo II, che nel 1291, dopo la morte del fratello Alfonso, aveva assunto la corona aragonese, lasciando suo luogotenente in Sicilia il fratello Federico. Il 10 genn. 1292 Giacomo concesse al C. un sussidio di 12.000 soldi di Barcellona sulle entrate del regno di Sicilia, per l'acquisto "de loco vocato Canellis" (in un altro documento la località è detta "de Canellis"). Non è specificato però dove si trovava la località, ma è difficile pensare che si trattasse di Canelli in Piemonte.
Da quel momento non si hanno più molte notizie sul C., che tuttavia rimase sempre assai legato alla corte aragonese dove forse svolgeva addirittura funzioni di precettore dei figli, di Giacomo II. Nel 1311 era vicario di Villafranca e Montblanch.
L'anno successivo fu incaricato ancora una volta di un'importante ambasceria in Italia. Giacomo II lo mandò (7 giugno 1312) dal fratello Federico, re di Trinacria, per dissuaderlo dal concludere l'alleanza con Enrico VII di Lussemburgo, ma troppo tardi: già l'8 giugno Federico III annunciò al Parlamento siciliano l'intesa raggiunta con il re dei Romani e nello stesso mese un'ambasceria siciliana capeggiata dal conte Manfredi Chiaromonte si recò a Roma per assistere all'incoronazione imperiale di Enrico e firmare il trattato d'alleanza. Tramite il C. Federico fece sapere al fratello che non era possibile negare l'aiuto richiesto dall'imperatore o dal papa.
Fallito così il tentativo di evitare il riaccendersi della guerra tra Federico e Roberto d'Angiò che Giacomo II voleva impedire ad ogni costo, anche per tutelare meglio i suoi interessi in Sardegna che gli era stata concessa in feudo dalla Chiesa, il C. si recò alla corte angioina di Aversa. Riuscì ad ottenere da re Roberto un sussidio per la conquista della Sardegna.
Pare che il C. anche in seguito abbia fatto da intermediario tra la corte aragonese e quella siciliana. Sappiamo che nell'aprile del 1314, ora qualificato come consigliere anche da Federico, portò lettere del re dalla Sicilia in Aragona.
Dopo questa data non si hanno più sue notizie e non è nota la data della sua morte.
Fonti e Bibl.: Sulla famiglia Canelli cfr.: Codex Astensis, a cura di Q. Sella, II, Romae 1880, nn. 417-431; N. Gabiani, Asti nei principali suoi ricordi storici, II, 1, Asti 1929, p. 272; per Alberto e Guglielmo: K. Schottmüller, Der Untergang des Templerordens, Berlin 1887, ad Indicem;J. F. Böhmer, Regesta Imperii, V, a cura di J. Ficker-E. Winkelmann, Innsbruck 1881-1901, n. 4734; per Francesco Semplice: R. Davidsohn, Forsch. zur Geschichte von Florenz, II, Berlin 1900, n. 840; Id., Storia di Firenze, II, Firenze 1956, pp. 735, 744 s., 749 s., 759 s.; per il C. stesso vedi: De rebus Regni Siciliae,I, Palermo 1882, ad Indicem;I.Carini, Gli archivi e le biblioteche di Spagna, II, Palermo 1884, ad Indicem;G. La Mantia, Docum. su le relazioni del re Alfonso III di Aragona con la Sicilia, in Anuari de l'Institut d'estudis catalans, Barcelona 1908, pp. 352-58; Acta Aragonensia, a cura di H. Finke, I, Berlin-Leipzig 1908, pp. 297, 303, 309 s.; Codice diplom. dei re aragonesi in Sicilia, a cura di G. La Mantia, I, Palermo 1917; II, a cura di G. La Mantia-F. Giunta, ibid. 1956, ad Indices;Bartholomaei de Neocastro Historia Sicula, in Rer. Ital. Script., 2 ed., XIII, 3, a cura di G. Paladino, ad Indicem;M. Amari, La guerra del Vespro sicil., Milano 1886, I, p. 337 e passim; L. Klüpfel, Die äussere Politik Alfons III. von Aragonien, Berlin-Leipzig 1911-12, p. 112; E. Haberkern, Der Kampf um Sizilien in den Jahren 1302-1337, Berlin-Leipzig 1921, p. 41; J. E. Martinez Ferrando, Jaime II de Aragón,Su vida familiar, Barcelona 1948, ad Ind.;F. Soldevila, Pere el Gran, I, L'infant, Barcelona 1950-52, p. 35; II, 1, ibid. 1962, p. 90; V. Salavert y Roca, Cerdeña yla expansión mediterránea de la corona de Aragón, I-II, Madrid 1956, ad Indices;H.Wieruszowski, Politics and Culture in Mediaeval Spain and Italy, Roma 1971, ad Indicem.