DEL BALZO (de Baux), Bertrando
Apparteneva al ramo di Berre della nobile famiglia provenzale ed era figlio di Bertrando (II) che aveva seguito Carlo d'Angiò nell'Italia meridionale. Dal matrimonio di Bertrando (II) con Berengaria erano nati tre figli, Guglielmo, il primogenito, che successe al padre nella signoria di Berre in Provenza, Ugo, conte di Monforte e ciambellano di Carlo II d'Angiò, e infine il D., il rappresentante più importante della sua famiglia nel Regno di Sicilia.
Il D. nacque con tutta probabilità in Italia, ma nulla sappiamo della sua infanzia e della sua adolescenza. Nel 1308 - ed è questa la prima notizia della sua biografia - sposò Beatrice, figlia di Carlo II d'Angiò rimasta vedova di Azzo d'Este, imparentandosi in tale modo con la famiglia reale. Il matrimonio offrì al re l'occasione di aggiungere altri feudi a quelli che il D. già deteneva. Il re gli concesse infatti, oltre ad Aquaviva, le contee di Andria in Terra di Bari e di Montescaglioso in Basilicata (di esse facevano parte Montecaveoso, Pomarico, Uggiano, Camarda, Craco e Montepeloso), insieme con tutte le entrate e i diritti, compresa l'alta giurisdizione. Inoltre il D. fu investito di feudi nel Principato e in Terra di Lavoro, tra i quali spiccano i castelli di Sorrento e di Castellammare di Stabia. Al momento dell'investitura fu tuttavia concordato che il D. non avrebbe amministrato personalmente le contee e queste furono sottoposte all'amministrazione del re: in compenso il D. ricevette una pensione annua di 400 once. Quest'accordo non fu però confermato dal successore di Carlo II, morto il 5 maggio 1309, che per il resto riconfermò al D. tutti i suoi feudi e diritti. Roberto d'Angiò infatti già l'11 giugno 1309 rese noto che il D. aveva rinunciato spontaneamente a questo privilegio e strappato il documento relativo davanti ai suoi occhi.
La carriera militare del D. cominciò nel 1311, quando raccolse le milizie feudali di Capitanata, Basilicata e Terra d'Otranto per organizzare la resistenza contro il re dei Romani Enrico VII. L'anno successivo gli fu affidato per la prima volta un comando militare fuori del Regno, quando nel novembre, insieme con Tommaso da Marzano, dovette condurre in aiuto di Firenze un esercito di 500 cavalieri angioini. Cominciò allora la strepitosa ascesa del D. denominato d'ora in poi il "conte novello".
Nel 1313 la signoria di Firenze fu affidata per cinque anni a Roberto d'Angiò che assumeva così la tutela dei Comuni dell'Italia centrale riuniti nella lega guelfa. Due anni più tardi, nel 1315, le truppe angioine, rafforzate da contingenti fiorentini, affrontarono presso Montecatini l'esercito ghibellino comandato da Uguccione Della Faggiuola, subendo una gravissima sconfitta. Poco dopo il re, che nella battaglia aveva perso un fratello e un nipote, nominò il D. suo vicario a Firenze. Non è noto se allora il D. si trovasse già in Toscana. Tuttavia non riuscì a contrastare nella città il regime terroristico di Lando da Gubbio e fu perciò sostituito già quattro mesi dopo, all'inizio del 1316. In seguito il D. fu incaricato, insieme con Giovanni di Gravina fratello del re, di condurre nel Regno Caterina d'Austria, promessa sposa di Carlo duca di Calabria e sorella dell'antire Federico il Bello, la quale in precedenza era stata fidanzata con Enrico VII. Si trattava di un incarico onorifico (per le spese del viaggio erano state assegnate al D. 120 once d'oro), ma anche politicamente importante, perché con questo matrimonio Roberto d'Angiò si schierò apertamente dalla parte dell'Asburgo contro Ludovico il Bavaro. Quando il corteo si avvicinò a Firenze, nella città si sollevarono i numerosi avversari di Lando da Gubbio, forse anche con l'appoggio del conte novello.
Dopo la morte di Beatrice d'Angiò avvenuta nel 1316 a Firenze, nel 1321 il D. si risposò con Margherita d'Aulnay, figlia di Roberto di Teano e vedova di Ludovico di Fiandra. Nel giugno dello stesso anno, il D. comandò un esercito di cavalieri contro Federico d'Aragona che era sbarcato in Calabria ponendo l'assedio a Reggio. Nel 1323 infine - la data esatta non è nota - assunse di nuovo il comando delle truppe angioino-fiorentine, ma anche questa volta sorsero problemi e già nell'agosto il Comune di Firenze cominciò a sollecitare Carlo di Calabria, vicario del Regno per il padre, di sostituire il Del Balzo. Nell'aprile del 1324 questi assalì brutalmente Pistoia senza aver prima consultato il Consiglio del Comune che per questo lo accusò di aver spinto la città nelle braccia del signore di Lucca. Nel giugno, il Comune finalmente la spuntò: il 1° di quel mese il D. fu richiamato con la motivazione che altri incarichi importanti lo attendevano.
Questo non era vero, come risulta chiaramente da una lettera indirizzata dal principe al D., anche se presto gli fu effettivamente affidata una nuova missione militare. Nel 1326, infatti, comandò una flotta di ottanta galere mandata contro l'isola di Sicilia. Nel corso della spedizione, il D. saccheggiò e devastò le terre intorno a Palermo, Milazzo, Messina e Catania, evitando però la battaglia che Federico d'Aragona gli offriva.
Per ricompensarlo dei suoi servizi, il duca Carlo di Calabria gli assegnò, il 2 sett. 1326, i castelli di Maglione, di Collecchio e l'isola del Giglio con tutti i diritti connessi, da tenere in feudo sia dal re sia dal papa.
La concessione è da ricollegare probabilmente con il nuovo impiego del D. in Toscana. All'annuncio della discesa di Ludovico il Bavaro in Italia, Firenze aveva conferito la signoria a Carlo di Calabria, il quale, il 30 luglio 1326, fece il suo ingresso in città. Per rafforzare le sue truppe, il duca chiamò nelle acque della Toscana una parte della flotta che aveva operato in Sicilia, a bordo della quale si trovava anche il D. con 100 cavalieri. Sbarcato a Talamone, il piccolo esercito si diresse verso Firenze, dove il D., il 4 giugno 1327, fu nominato dal duca suo capitano generale. Alla notizia però che il Bavaro aveva lasciato Milano diretto verso Sud, Carlo di Calabria, il 28 dic. 1327, decise di lasciare la città temendo un attacco del Bavaro contro il Regno. Lo accompagnò anche il D., che già alla fine di novembre era stato sostituito nella carica di capitano generale. Il 31 marzo 1328, insieme con Carlo di Calabria e molti altri nobili, il D. prese la croce nel duomo di Capua contro il re tedesco che il 7 gennaio aveva fatto il suo ingresso trionfale nella città eterna.
Il 17 genn. 1328 Ludovico il Bavaro era stato incoronato imperatore a Roma, ma all'inizio di agosto, senza aver realizzato la progettata campagna contro il Regno, fu costretto ad abbandonare la città e si diresse di nuovo verso la Toscana. Alle reiterate richieste di aiuto del Comune di Firenze, il re di Sicilia mandò infine il D., che ancora una volta era stato nominato capitano generale, con 500 cavalieri. L'esercito raggiunse Firenze il 1° nov. 1328, in un momento in cui le sorti guelfe cominciavano a risollevarsi, anche in conseguenza della morte di Castruccio, avvenuta il 3 sett. 1328. Il 10 genn. 1329 il D. invase il territorio pisano senza che Ludovico, che si trovava a Pisa, avesse potuto opporgli resistenza. Ma la campagna non trovò neanche questa volta la piena approvazione del Consiglio di Firenze, che non voleva aggravare ulteriormente la guerra che da anni infieriva in Toscana e aveva fatto tanti danni, anche sul piano economico. Al D. fu rimproverato di non essersi limitato alla difesa del contado fiorentino e gli fu ordinato di non sconfinare più in territorio pisano. Alcuni Comuni della lega guelfa erano ormai propensi a concludere delle paci separate con le forze ghibelline e perciò il 18 febbr. 1329 i Fiorentini, che sopportavano il peso finanziario maggiore della guerra, scrissero a re Roberto sollecitandolo di pagare egli stesso le sue truppe, oppure di ritirarle. Nonostante le lodi per il capitano generale, si capisce chiaramente che anche questa volta i Fiorentini avrebbero visto ben volentieri la sua partenza. Roberto, tuttavia, non accolse l'invito e ai Fiorentini non restò altro da fare che invitare il D., che il 21 gennaio aveva di nuovo operato saccheggi nel territorio pisano, alla moderazione.
L'atmosfera si riscaldò di nuovo nel giugno, quando i cavalieri tedeschi comandati da Marco Visconti. che si erano ribellati contro Ludovico il Bavaro, si impadronirono di Lucca e offrirono la città in vendita. Firenze respinse l'offerta, ma Pisa sembrava propensa a concludere l'affare, situazione intollerabile per Firenze.
Il 24 giugno il Consiglio fiorentino informò re Roberto del progetto di muovere guerra a Pisa e lo pregò di non ritirare la sua flotta dalla costa pisana e di ingiungere inoltre al D., di cui era nota l'abitudine di fare di testa sua, di attenersi strettamente agli ordini del Comune. Il 28 giugno tutto era pronto per la guerra e al D. fu ordinato di muovere in direzione di Pisa "ad damna vasta et incendia inferendum". La vendita di Lucca a Pisa fu così impedita. Ma ormai tutti i protagonisti della lunga guerra erano stanchi e il 12 agosto fu stipulata una pace generale presso Montopoli. Libero da impegni nell'Italia centrale, il D. poté inseguire il Bavaro che si era ritirato nell'Italia settentrionale. Dal 15 settembre il D. operò nel territorio di Bologna, come capitano delle truppe francesi in Italia, alle dipendenze del cardinal legato Bertrando del Poggetto.
L'anno successivo, presso Modena, il D. cadde in un'imboscata e fu fatto prigioniero insieme con Raimondo Del Balzo e un fratello del re. Parma si assicurò subito i prigionieri con l'intenzione di scambiarli con Orlando de' Rossi, figlio dell'omonimo signore della città, imprigionato a Bologna dal legato pontificio. È significativo che il D. stesso fu incaricato delle trattative con il legato per lo scambio. Dopo aver consegnato alcuni ostaggi, gli fu permesso di recarsi presso il del Poggetto e infine anche a Napoli. La missione si concluse nel 1331 con lo scambio dei prigionieri.
In seguito troviamo il D. di nuovo in Toscana, dove il problema di Lucca non aveva ancora trovato una soluzione definitiva, nonostante la pace di Montopoli. I cavalieri tedeschi avevano infine ceduto la città, per il prezzo di 300.000 fiorini, a Gherardo Spinola, contro il quale Firenze continuò la guerra. Nell'ottobre del 1330 aveva posto l'assedio a Lucca, ma nel gennaio successivo scoppiò una rivolta tra le truppe assedianti perché il capitano fiorentino non era in grado di farsi rispettare dai mercenari francesi. Lo Spinola interruppe quindi le trattative già iniziate e si rivolse a Giovanni di Boemia, sceso in Italia alla fine del 1330 sulle orme del Bavaro, il quale mandò in aiuto di Lucca 800 cavalieri. Per far fronte a questa nuova situazione, i Fiorentini affidarono ancora una volta al D. il comando delle truppe, ma le loro speranze andarono deluse: il 25 febbraio il D. tolse l'assedio a Lucca e, di fronte all'esercito di Giovanni di Boemia, si ritirò nel Regno.
Per ricompensarlo dei molteplici servizi resi negli ultimi anni, Roberto d'Angiò lo insignì al suo ritorno del titolo di duca di Andria. Il D. era ormai uno dei vassalli più vicini al re, ed è significativo che Filippo di Taranto, sul letto di morte, incaricò proprio il D. di prestare alle figlie del defunto duca Carlo di Calabria l'omaggio e il giuramento di fedeltà vanamente chiestogli da un anno, riconoscendo, in tale modo la successione in linea femminile. Nel 1333 il D. fece parte della delegazione che accolse a Vieste Caroberto d'Angiò, re d'Ungheria, e suo figlio Andrea venuto ad unirsi in matrimonio con l'erede al trono Giovanna. Le nozze dei principi furono celebrate a settembre nel Castelnuovo a Napoli, contemporaneamente con quelle di Maria, figlia del D. e di Beatrice d'Angiò, con il delfino Umberto II di Vienne.
In quest'occasione furono concessi al D. altri feudi redditizi, dopo che già nel novembre del 1332 egli aveva ottenuto i castelli di Sant'Angelo, "Tulbio" e S. Chirico in Basilicata con una rendita annua di 280 once. Nel maggio del 1334 gli fu concessa ancora una rendita annua di 100 once tratte dal feudo del defunto Carlo di Calabria e nel giugno re Roberto gli affidò la custodia dei castelli di San Gervasio e di Lagopesole, anch'essi in Basilicata, carica rimunerata con altre 100 once. La rendita annua dei feudi provenzali ammontava a 400 once, anche se sappiamo che nel 1332 il D. non poté realizzare tale somma. Nel 1334, comunque, ottenne anche un nuovo feudo provenzale - il castello di Volonne presso Sisteron - che gli doveva rendere 100 once l'anno. Nel 1344 poi, dopo la morte del fratello Guglielmo, essendo diventato il capo dei de Baux del ramo di Berre, passarono al D. anche tutti gli altri feudi che la famiglia possedeva in Provenza, ai quali nel 1346 Giovanna I aggiunse ancora il castello e il territorio di Mison.
Nell'aprile del 1334 troviamo il D. di nuovo impegnato nella guerra contro Lucca come comandante delle truppe fiorentine. Nel giugno, dopo continue invasioni nel territorio lucchese, progettava di dare l'assalto alla città, ma le truppe di cui disponeva erano insufficienti per una tale impresa. Altre due volte si spinse fin sotto le mura di Lucca, devastando il contado e facendo ingente bottino. L'iniziativa era completamente nelle sue mani, perché le truppe lucchesi avevano lasciato sguarnita la città per unirsi in Lombardia all'esercito ghibellino.
Apprendiamo da una lettera di Roberto d'Angiò del giugno 1334 che il D. era stato mandato, insieme con altre personalità, alla corte pontificia di Avignone "per affari urgenti". Sembra che questa delegazione dovesse protestare contro l'accordo del 7 dicembre precedente tra la Francia e l'Impero, che costituiva una seria lesione degli interessi angioini. Ma visto che nel giugno il D. era ancora impegnato in Toscana, è possibile che abbia raggiunto la delegazione ad Avignone più tardi, dopo il settembre. Nel marzo del 1335 comunque, lo troviamo alla corte pontificia per prestare al nuovo papa Benedetto XII l'omaggio e il giuramento di fedeltà a nome di Roberto d'Angiò.
Dopo il ritorno in Italia assunse ancora una volta per breve tempo il comando delle truppe fiorentine e fu poi, nel 1337, vicario di Caterina di Valois nel principato di Acaia. Tuttavia già nel 1339 era di ritorno in Italia. Come comandante dell'esercito angioino difendeva allora in Piemonte i diritti di Giacomo di Savoia-Acaia, ancora minorenne, ma nel 1341 fu sostituito.
L'anarchia seguita alla morte di Roberto d'Angiò nel 1343 coinvolse il D. sempre di più nella politica interna del Regno. Si schierò dalla parte dei Durazzo che, in dispregio del testamento del defunto re, tramavano per procurare la corona a Carlo di Durazzo, il quale, il 21 apr. 1343, aveva sposato Maria d'Angiò sorella della nuova regina Giovanna. Questi progetti erano avversati, ovviamente, dalla fazione ungherese nel Regno e dalla famiglia reale ungherese in particolare. Nel luglio del 1343 giunse a Napoli la regina d'Ungheria Elisabetta per appoggiare il figlio Andrea, sposo della regina. Ma i Durazzo non demordevano e mandarono ad Avignone una delegazione di cui faceva parte, insieme con Ludovico di Durazzo, anche il D., per cercare l'appoggio pontificio. Il D., che per intervento dei Durazzo era stato nominato nello stesso 1343 maestro giustiziere, ottenendo così uno dei più alti uffici del Regno, non riuscì però a convincere il pontefice. Il papa tenne fermo alla sua decisione di fare incoronare Giovanna e Andrea. L'unico successo della delegazione fu che il Consiglio di reggenza, nel quale i Durazzo avevano una forte rappresentanza e che era stato destituito dal papa, fu nuovamente aurorizzato a governare, insieme con il cardinal legato Aimeric de Châtelus. Anche se nel gioco delle parti il D. si era schierato dalla parte dei Durazzo, la regina Elisabetta gli raccomandò il figlio prima di tornare in Ungheria.
Anche il papa, del resto, sembra essersi fidato del D., perché gli affidò la preparazione delle cerimonie per l'incoronazione. La quale tuttavia non poté essere celebrata perché Andrea fu assassinato ad Aversa, nella notte tra il 18 e il 19 sett. 1345. Il D. si recò subito sul luogo del delitto - l'autore del quale rimase sconosciuto - anche se presto fu evidente che vi erano coinvolti persino membri della famiglia reale, forse la regina stessa.
Pochi mesi dopo l'assassinio di Andrea, sia Ludovico sia Roberto di Taranto cercarono di ottenere la mano di Giovanna e con essa la dignità di re. Il D. informò segretamente di queste trame il papa che gli chiese di tenerlo al corrente anche in seguito. Il papa, che temeva un'invasione del Regno da parte degli Ungheresi, comunicò inoltre al maestro giustiziere che non intendeva assecondare i progetti dei Taranto. Nel marzo del 1346 Roberto e Ludovico di Taranto organizzarono una rivolta a Napoli. In quest'occasione il D. fu tra i difensori del Castelnuovo cinto d'assedio, dove si era asserragliata la regina. Fu lui a trattare le condizioni di resa e la consegna di alcuni membri della corte, accusati di aver partecipato all'assassinio di Andrea. Le circostanze di questi avvenimenti fanno pensare che il D. avesse agito d'accordo con il papa che forse era il vero motore della rivolta napoletana. All'inizio di giugno, il papa incaricò ufficialmente il D. dell'inchiesta sull'assassinio di Andrea riservandosi la decisione solo nel caso che vi fossero coinvolti membri della famiglia reale. Il D., posto al di sopra delle parti, iniziò subito la sua inchiesta e fece eseguire, il 2 e il 7 agosto, in modo particolarmente crudele, le prime condanne a morte. Tra i giustiziati fu il siniscalco Roberto de' Cabanni, ma diventò sempre più evidente il coinvolgimento nel delitto della famiglia reale stessa, soprattutto dei Taranto. Ciò costituiva un grave ostacolo per l'inchiesta condotta dal D., il quale confidò al papa di temere per la sua vita. Perciò fu incaricato del caso il nuovo legato pontificio Bertrand de Deux che, tuttavia, non fu all'altezza del suo difficile compito. Dopo essersi lasciato trascinare in un conflitto di competenze con il D. che non voleva partecipargli i suoi risultati, assolse infine sommariamente da ogni colpa la regina e i principi, prima di abbandonare precipitosamente il Regno, nel marzo del 1347, addossando al D. la responsabilità per il fallimento della sua missione. Di conseguenza i rapporti tra il D. e il pontefice si incrinarono, tanto più che il D. vedeva di buon occhio l'eventualità di un'invasione ungherese.
Alla fine, tutto prese una piega che era decisamente sfavorevole per il D.: Ludovico di Taranto, che il 22 ag. 1347 aveva sposato la regina contro la volontà dichiarata del papa e che sin dall'inizio era stato contrario alla persecuzione degli assassini di Andrea, ordinò un'inchiesta contro il maestro giustiziere stesso. Le indagini tuttavia non erano ancora concluse, quando il D. morì, tra il 15 settembre e la fine di ottobre 1347.
Dal secondo matrimonio del D. con Margherita d'Aulnay era nato un figlio di nome Francesco che gli successe come duca di Andria.
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