GABRIEL (Cabriel, Gabrieli, Gabriello), Bertucci (Bertuccio)
Figlio di Giacomo e di Samaritana di Bertucci Pisani, nacque a Venezia intorno al 1423 dal ramo di S. Giovanni in Bragora della ricca e influente famiglia del patriziato veneziano di origine tribunizia.
Quasi nulla si sa dei suoi fratelli maggiori - Giovanni, nato intorno al 1410; Francesco, nato nel 1411; Pietro, nato nel 1416 - e della sorella Francesca, nominata nel testamento della madre, dettato nel 1411. Siamo, in ogni modo, informati che Giovanni, nella primavera del 1428, si trovava imbarcato su una delle galee della "muda" di Alessandria.
Il G. cominciò la sua carriera nelle magistrature veneziane nei primi anni Quaranta, alternando, come era consuetudine, gli incarichi in patria (avvocato del Proprio nel 1442; giudice dell'Esaminador nel 1445; ufficiale all'Armamento nel 1447; giudice del Proprio nel 1455) a quelli nel Dominio di Terraferma (camerlengo a Treviso nel 1444-45 e a Bergamo negli anni 1451-54). Tra il 1448 e il 1449 fu anche del tribunale della Quarantia, mentre dal 1455 fu spesso in Senato, dove svolse un'intensa attività. Il 14 ott. 1473, poco dopo il suo rientro da Cattaro, dove era stato conte per più di due anni, fu chiamato a far parte della zonta "monetarum falsarum" che doveva coadiuvare il Consiglio dei dieci nella lotta contro la fabbricazione e lo spaccio di monete false, allora avviata a supporto di quel vero e proprio "terremoto monetario" (Mueller, p. 292) innescato dai provvedimenti di drastica riduzione del circolante adottati nell'estate del 1472. La zonta si occupò specialmente della caccia a falsari e spacciatori e del rapido espedimento dei processi contro quanti di loro fossero caduti nelle mani della giustizia: soprattutto alla fine del 1473 e per tutto il 1474 vennero eseguite numerose sentenze esemplari in piazza S. Marco.
Il G. fu membro attivo della zonta fino alla fine del 1474 e venne anche impiegato in una delicata missione diplomatica a Bologna per ottenere l'espulsione di Rinaldo Bevilacqua, che era stato segnalato nelle campagne intorno a questa città; il Bevilacqua era il falsario più ricercato dal governo veneziano, vera e propria bestia nera del Consiglio dei dieci, che nell'autunno del 1473 era intervenuto con forza presso Ercole I d'Este duca di Ferrara ottenendo il suo bando dal Ducato.
Le trattative andarono per le lunghe perché le autorità di Bologna si dimostrarono del tutto restie a collaborare. Il 19 genn. 1474, disperando di un felice esito della missione, il Consiglio dei dieci richiamò a Venezia il G. e pose - forse dietro suggerimento di quest'ultimo - una consistente taglia sulla testa del Bevilacqua.
Appena scaduto dalla zonta, il G. venne eletto ambasciatore presso Sigismondo d'Asburgo, duca del Tirolo, per indurlo a riappacificarsi con Carlo il Temerario, duca di Borgogna, che godeva allora dell'amicizia e dell'appoggio della Serenissima nella lotta contro Luigi XI, re di Francia.
La legazione del G. rientrava nel quadro della politica distensiva avviata dal governo veneziano agli inizi del 1475 - quando si era delineato il riavvicinamento tra Sigismondo e un altro avversario di Carlo il Temerario, l'imperatore Federico III - nel tentativo di evitare che i due principi si coalizzassero ai danni del duca di Borgogna. Data la situazione generale, il compito del G. era disperato: già all'inizio di luglio il governo veneziano si risolse a richiamare in patria il suo ambasciatore presso il duca del Tirolo.
Neppure un anno dopo il G. ricevette un nuovo incarico diplomatico, questa volta assai semplice, giacché doveva accompagnare in Ungheria Beatrice d'Aragona - figlia di Ferdinando I, re di Napoli e in quel momento alleato di Venezia - che andava sposa al re Mattia Corvino. Compito specifico del G. fu quello di far sì che il viaggio attraverso il Trevigiano e il Friuli si svolgesse senza intralci.
La promessa sposa fu accolta con gran pompa a Chioggia e a Venezia, da dove ripartì il 29 ottobre. Il viaggio si svolse senza intoppi, benché scorrerie turche fossero state segnalate in Carinzia. Il G. presenziò anche alle cerimonie e alle feste con cui furono solennizzate quelle nozze regali. Nell'occasione venne anche creato cavaliere dal sovrano ungherese.
Rientrato a Venezia all'inizio del 1477, il 13 luglio 1478 fu eletto a rappresentare la Serenissima presso il re di Francia in occasione dell'ambasceria che il duca di Milano e le Repubbliche di Firenze e Venezia avevano deciso, di comune accordo, di inviare Oltralpe per mantenere i contatti e concertare una linea politica unitaria nei riguardi del Regno francese fino alla soluzione della crisi internazionale apertasi in seguito alla congiura dei Pazzi e all'assassinio di Giuliano de' Medici (aprile 1478). Ricevuta la commissione dal Senato il 17 agosto, il G. partì immediatamente e - passando per Milano, dove si unì all'oratore sforzesco e a quello fiorentino, e per Lione - giunse a Tours il 4 novembre.
Rimase presso la corte francese quasi venti mesi intrattenendo stretti rapporti con eminenti personalità dell'entourage di Luigi XI, come Ph. de Commynes e acquisendo una buona conoscenza del paese e dei suoi costumi. A buon diritto, quindi, la sua missione può essere considerata come la prima ambasceria veneziana stabile in terra di Francia (Barozzi - Berchet, p. 8). È però difficile valutare obiettivamente l'azione da lui svolta nel corso del suo mandato, dal momento che qua e là dai carteggi del rappresentante sforzesco e di quello fiorentino traspaiono giudizi non troppo lusinghieri sulla sua attività, della quale sembrano deplorare la scarsa incisività e soprattutto l'inadeguatezza rispetto al ruolo di primo piano che la Repubblica di S. Marco svolgeva nelle vicende italiane ed europee dell'epoca. D'altro canto, anche l'oratore sforzesco a Venezia, Leonardo Botta, avanza apertamente contro di lui l'accusa di essersi dimostrato "insufficiente e di poco ingegno", tanto da indurre il suo governo a richiamarlo in patria.
Perduto il carteggio tra l'ambasciatore e Venezia, la corrispondenza ufficiale contenuta nei registri del Senato mette però bene in evidenza che gli scarsi risultati dell'azione del G. presso la corte francese furono soprattutto la diretta conseguenza della cautela e dell'indecisione che caratterizzarono tutta la politica estera della Serenissima tra gli ultimi mesi del 1478 e i primi del 1479. Le difficoltà della diplomazia veneziana vennero ulteriormente acuendosi nei mesi successivi all'ascesa al potere, in Milano, di Ludovico il Moro (settembre 1479). Presa di contropiede dal riavvicinamento tra Milano e Napoli e spiazzata dall'audace mossa di Lorenzo de' Medici, il Magnifico, che si recò a Napoli per trattare direttamente con il re Ferdinando, Venezia rimase tagliata fuori dalla pace conclusa tra i due. Delusa anche dal disimpegno di Luigi XI dalle questione italiane dopo il consolidamento della posizione del Magnifico, la Repubblica dovette a malincuore riavvicinarsi a Sisto IV, anch'egli escluso dalla nuova alleanza tra Napoli, Firenze e Milano, e frustrato nelle sue aspirazioni di costituire un dominio territoriale autonomo per il nipote Girolamo Riario: nell'aprile del 1480 fu stipulata l'alleanza veneto-pontificia e il Riario venne nominato capitano generale della Lega.
Il G. assistette impotente al deterioramento dei rapporti tra Venezia e gli antichi alleati e non riuscì a evitare un certo raffreddamento nelle relazioni con la corte francese, poco propensa a giustificare la resistenza opposta dal rappresentante veneziano alla crociata e alla pace tra Lorenzo e Ferdinando, e sicuramente ostile all'alleanza di Venezia con Sisto IV. In questa situazione, a partire dai primi mesi del 1480 il G. cominciò a dar segni di insofferenza per il prolungarsi della sua missione, tanto da chiedere a più riprese licenza di rimpatriare.
Rientrato a Venezia nell'estate del 1480, fu subito chiamato a far parte del Consiglio dei dieci, del quale fu anche capo nei mesi di ottobre e dicembre e poi ancora nel febbraio 1481. Egli riprese anche l'attività in Senato, come savio del Consiglio prima e poi come savio di Terraferma. Il 16 febbr. 1481 fu nominato capitano a Bergamo e fu subito sostituito come capo dei Dieci. Non poté però assumere il nuovo incarico. Colpito da grave malattia, il 24 aprile di quello stesso anno dettò il testamento.
Il G. morì a Venezia in una data anteriore al 7 luglio 1481.
Aveva sposato nel 1444 Suordamor di Tommaso Michiel, da cui aveva avuto tre figli: Vincenzo, nato intorno al 1450, Gardesia e Gabriella. Dopo la scomparsa di Suordamor (che aveva fatto testamento il 13 luglio 1456 ed era morta nel 1460) aveva sposato in seconde nozze, nel 1466, Diana di Giacomo Pizzamano. Da lei ebbe altri cinque figli: Trifone, nato intorno al 1472, Francesco, nato nel 1474, Jacopo, morto nel 1510, Samaritana e Ludovica.
Nel suo testamento il G. stabilì che il patrimonio familiare, assai cospicuo, fosse diviso in parti uguali tra i figli maschi con la clausola che mantenessero la madre o matrigna (cui andavano restituiti gli 800 ducati di dote). Per le figlie nubili era prevista una dote matrimoniale o di monacazione; ai due generi - Pietro Lambardo e Marco Pasqualigo - lasciava "unum mantilem et duas toaleas… pro quolibet quos emi Mediolani in signum dilectionis". Una somma importante - 600 ducati, ricavati dalla vendita delle sue vesti, di parte dell'argenteria e investiti alla Camera di Comun - andava alla Repubblica.
Dal testamento si ricavano anche le testimonianze di una vera e propria passione del G. per i lavori di oreficeria e gioielleria e in particolare per le opere degli artigiani d'Oltralpe, che aveva avuto modo di apprezzare alla corte di Luigi XI: in Francia aveva infatti acquistato un numero imprecisato di cofani d'avorio, i più belli dei quali lasciò alle figlie maritate. Che egli fosse probabilmente un vero intenditore in materia sembra confermato anche da una testimonianza del 1495, secondo la quale un elenco delle reliquie conservate nella Ste-Chapelle di Parigi da lui compilato nel 1478 sarebbe servito - grazie alla sua precisione - a identificare gli oggetti trovati in possesso di un illustre prigioniero della battaglia di Fornovo.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, Segretario alle Voci, Misti, regg. 4, cc. 9v, 11r, 13r, 15v, 90r, 92r, 133rv, 137r, 138r; 5, c. 26r; 6, c. 59r; Maggior Consiglio, reg. 23 (Regina), c. 143r, 5 dic. 1474; Consiglio dei dieci, Misti, regg. 18, cc. 25v-27r, 33v-34r, 35v, 38v-40r, 42r, 44rv, 47rv, 53r-54v, 56r-57v; 20, cc. 27v-31r, 35v-38r, 42v, 44r-46r; Senato, Terra, regg. 6, c. 10v; 7, cc. 64v, 69v, 70v, 81v; 8, cc. 18r, 19r, 21r, 85r, 112v, 117v; Senato, Secreta, regg. 27, cc. 5v-6r, 10v-11r, 13v, 22r, 26v, 98v, 101r-102r; 28, cc. 100r-111r, 117rv, 139rv; 29, cc. 18rv, 28r-29v, 55rv, 58r, 61v-62v, 133v, 144v, 148v, 149v, 154r, 163v; Avogaria di Comun, 163 (Balla d'oro), 264; Ibid., Matrimoni con notizie di figli, cass. 5, schede: Giacomo Gabriel fu Giovanni, Bertuccio Gabriel fu Giacomo (bis); Ibid., Matrimoni patrizi per nomi di donna, voci: Gabriella, Gardenesia e Samaritana Gabriel; Notarile testamenti, b. 1235, n. 11, 13 luglio 1456 (test. di Suordamor Michiel); b. 1229, n. 176 (test. del G.); b. 1227, n. 152, 5 nov., 1495 (test. di Francesca Loredan moglie di Francesco Gabriel q. Bertuccio); Misc. codd., I, Storia veneta 18: M. Barbaro - A.M. Tasca, Arbori de' patrizi…, II, c. 187; Venezia, Arch. degli Istituti di rieducazione, Ospedale dei derelitti, E.207.5, c. 1490 (test. di Vincenzo q. Bertuccio); Arch. di Stato di Milano, Archivio Visconteo-Sforzesco, Carteggio 554, cc. 116, 155, 185-187, 213, 218, 225, 227, 237, 239 s., 245 s.; Venezia, Biblioteca del Civico Museo Correr, Mss. Cicogna 3782: G. Priuli, Pretiosi frutti…, II, p. 47; Mss. Cicogna 2329: V. Molin, Storia delle famiglie venete esistenti, p. 2; Venezia, Biblioteca nazionale Marciana, Mss. It., VII, 16 (=8305): G.A. Cappellari Vivaro, Campidoglio veneto, II, c. 100v; Relazioni degli Stati europei lette al Senato dagli ambasciatori veneti nel secolo decimosettimo, a cura di N. Barozzi - G. Berchet, s. 2, Francia, I, Venezia 1857, p. 8; I Libri commemoriali della Repubblica di Venezia. Regesti, a cura di R. Predelli, V, Venezia 1901, pp. 108, 333; Aragoniai Beatrix, magyar Kiràlyné életére vonatkozò okiratok (Acta vitam Beatricis reginae Hungariae illustrantia), a cura di A. Berzeviczy, in Monumenta Hungariae Historica, s. 1, Diplomataria, XXXIX, Budapest 1914, pp. 2426 s., 2430 s.; Lorenzo de' Medici, Lettere, III, Firenze, 1977, a cura di N. Rubinstein, pp. 101, 180, 198, 210 s., 220 s., 315 s.; IV, ibid. 1981, pp. 97 s., 140, 261; Relazioni di ambasciatori veneti al Senato, a cura di L. Firpo, V, Francia, Torino 1978, p. IV; M. Sanuto, Le vite dei dogi (1474-1494), a cura di A. Caracciolo Aricò, Padova 1989, pp. 19, 74, 85, 88, 120, 134, 179; Corrispondenze diplomatiche da Napoli. Dispacci di Zaccaria Barbaro (1º novembre 1471 - 7 novembre 1473), a cura di G. Corazzol, Roma 1994, ad indicem; E.A. Cicogna, Delle inscrizioni veneziane, III, Venezia 1830, pp. 208, 223; P. Perret, Histoire des relations de la France avec Venise, du XIIIe siècle à l'avènement de Charles VIII, Paris 1896, II, ad indicem; A. Berzeviczy, Béatrice d'Aragon, reine de Hongrie (1457-1508), Paris 1911, pp. 127-140; R.C. Mueller, L'imperialismo monetario veneziano nel '400, in Società e storia, VIII (1980), p. 292; C. Antoniade, Les ambassadeurs de Venise au XVIe siècle, Madrid 1984, p. 146.