BESSARIONE
Nato a Trebisonda il 2 genn. 1403, probabilmente ricevette il nome di battesimo di Basilio. Di famiglia artigiana, venne affidato dai genitori al metropolita della sua città, Dositeo, e da questo venne portato, all'età di tredici anni circa, a Costantinopoli. Qui B. iniziò la sua prima educazione alla vita religiosa, alle lettere e alla filosofia sotto la guida di Ignazio Cortasmeno, metropolita di Selimbria. Alla scuola di retorica di Giorgio Crisococca ebbe come compagni, tra gli altri, Francesco Filelfo e forse Giorgio Scolario. Quando entrò nell'Ordine basiliano, il 30 genn. 1423, prese il nome di Bessarione. Divenne staurophoros nel 1423, diacono nel 1426, prete nel 1431. Dopo quest'ultima, data, ma prima del 1433, si recò a Mistra, nel Peloponneso, per studiare scienze matematiche con Gemisto Pletone. Da una lettera scritta da B. ai figli del Pletone in occasione della morte del loro padre, avvenuta nel 1452, percepiamo la sua costante venerazione per il maestro. Tuttavia, con quella abilità che gli era propria di unire in un insieme armonioso diverse correnti di pensiero, B. riuscì a concifiart l'entusiasmo per la storia dell'Ellade, per la scienza naturale e per la fflosofia platonica, che gli era stato inculcato a Mistra, con reducazione scolastica e ascetica che gli veniva dal suo primo apprendistato. Già prima della sua venuta nel Peloponneso, B. era stato al servizio di Giovanni VIII di Costantinopoli: nel 1426, infatti, partecipò ad una ambasceria presso Alessio IV Cornneno, imperatore dì Trebisonda, la quale va forse posta in rapporto con la corte che l'imperatore di Costantinopoli faceva a Teodora Comnena. A Mistra B. godette del favore di Teodoro II Porfirogenito e si avvalse della sua influenza per cercare di conciliare il despota con l'imperatore Giovanni VIII, suo fratello. Dopo essere stato richiamato a Costantinopoli, B. dapprima fu nominato hegumenos del monastero di S. Basilio nel 1436 e poi, nel 1437, metropolita di Nicea. I suoi consigli ebbero una qualche parte nella decisione di Giovanni VIII di accettare l'invito rivoltogli dal papa Eugenio IV a partecipare al concilio di Ferrara, e il 24 novembre dei 1437 B. si imbarcò per l'Italia al seguito deTimperatore. Arrivarono a Venezia l'8 febbr. 1438 e a Ferrara al principio di marzo. B. e Marco Eugenico vennero nominati oratori principali dei Greci. Quando il concilio si riunì ufficialmente H 9 ott. 1438, B. pronunciò il discorso inaugurale, un'appassionata perorazione in difesa della carità e dell'unità. AINnizio dei negoziati, B. difese strenuamente il punto di vista gretco, attaccando come "illecità", nelle sessioni del 1° e del 4 febbraio, l'"aggiunta" al Simbolo fatta dalla Chiesa romana. Nelle riunioni che seguirono, i suoi rari interventi lo mostrano ancora in contrasto con le pretese degli occidentali, pieno di comprensione e interesse per gli argomenti avanzati dai loro oratori e in particolare dal cardinal Cesarini. Nelle ultime settimane che passò a Ferrara B. si dedicò a un profondo esame degli autori della Patristica greca e latina. Dopo che il concilio fu trasferito a Firenze e la discussione passò dalla formulazione, del Credo alla sostanza stessa del dogma, egli continuò questo lavoro.
Si trattava di un'onesta ricerca che mirava a trovare una giustificazione dottrinaria dell'unione e con la quale Bi si proponeva di passare al vaglio dell'intelletto il suo ardente desiderio personale di porre fine allo scisma. Frutto di queste fatiche fula famosa Oratio dogmaticado urdone,tenuta dinnanzi alla delegazione greca il 13 e il 14aprile del 1439.Partendo dall'assioma dell'unità della verità, a cui si rifacevano sia i Padri greci sia i Padri latini, B. dimostrava, per mezzo di un'analisi grammaticale e dialettica dei testi greci, l'accordo fondamentale tra orientali e occidentali. La peroratio, che si proponeva di render chiara la serietà della minaccia turca, mostra come religione e sentimenti nazionali si fossero fusinella sua mente in un'unità indissolubile. L'unica possibilità che i Greci avevano di sopravvivere, come nazione e come cristiani, stava nell'unìone con i loro fratelli occidentali, che - egli ne era convinto - partecipavano insieme con loro dell'unica fede verace. Con l'indicare la via che portava alla formulazione su cui finalmente si raggiunse un accordo, e con rappianare molti degli altri dissensi, egli apportò un contributo fondamentale alrunione. Nella cerimonia che si tenne in Santa Maria del Fiore il 6 luglio del 1439egli venne scelto, insieme con il Cesarini, per proclamare l'atto di unione.
Il 19 ottobre i Greci partirono per Costantinopoli dove arrivarono il 1° febbr. 1440. Prima di imbarcarsi B. aveva avuto comunicazione dal papa del fatto che gli era stata concessa una pensione di 300 fiorini, che sarebbero stati aumentati a 600 se egli avesse deciso di stabWni presso la Curia. In Costantinopoli egli seppe che era stato nominato cardinale prete della basilica dei SS. XII Apostoli (18 dic. 1439).
Durante il suo breve soggiorno in Grecia B. si occupò di alcune questioni che sorgevano dall'unione. Fu così che il 1° maggio del 1440 egli fu presente all'elezione di Metrofane, il nuovo patriarca unitario di Costantinopoli; si dedicò inoltre a profonde ricerche sui manoscritti di s. Basilio, controllando i testi più autorevoli sulla processione dello Spirito Santo. Era di ritorno a Firenze il 10 dic. 1440: lo troviamo tra i firmatari dell'atto di unione tra la Chiesa cattolica e quella giacobita il 5 febbr. 1442. Nello stesso anno, alla presenza del papa, consacrò la chiesa francescana di Santa Croce. Quando nell'autunno del 1443 il papa trasferì il concilio al Laterano, anche B. si trasferì a Roma. Qui riorganizzò le funzioni nella chiesa di cui era titolare e, con il permesso del papa, vi si fece costruire vicino una casa.
La brevità del suo soggiorno in Grecia non era certo dovuta alle accoglienze ostili che l'unione vi aveva ricevuto, ma egli si affrettò a prendere il suo posto nella Curia per potersi dedicare più efficacemente alle due cause cui da allora in poi consacrò la sua vita pubblica: l'unione delle Chiese e la crociata contro i Turchi. Fece seguire agli argomenti teologici sviluppati durante il concilio una serie di scritti apologetici indirizzati ai Greci, in cui l'unione veniva difesa dai vari attacchi che le erano mossi contro, e in particolare da quelli di Marco Eugenico divenuto suo acerrimo nemico. Poiché ben presto divenne chiaro come non fosse possibile contare sull'imperatore Giovanni VIII, il papa e B. concentrarono le loro speranze sul presunto erede, Costantino, despota della Morea. Nell'estate del 1444 quando la guerra contro i Turchi sembrava giunta a una svolta favorevole e prima che la notizia del disastro di Varna fosse arrivata a Roma, B. scrisse un lungo memoriale, nel quale cercava di persuadere il despota a fare del Peloponneso una specie di fortezza che con le sue risorse naturali e con gli uomini e le munizioni raccoltivi sarebbe servita di centro alla resistenza dei Greci contro i Turchi. Inoltre egli si faceva patrocinatore di una riforma delle leggi antiquate e di un programma intensivo di educazione per tutti, non soltanto per l'insegnamento delle materie teoriche, ma anche per il tirocinio nelle varie arti e mestieri. B. consigliava di far venire maestri e artigiani dall'Italia e offriva di darsi da fare per trovare le persone adatte.
Il memoriale mostra il suo sforzo costante per riuscire a rendere generale quella fusione delle due civiltà di cui B. stesso era il migliore rappresentante. Egli era rimasto ben legato alla sua complessa formazione, che affondava le radici nell'antichità greca e nella tradizione cristiana dei Bizantini, e riusciva a manifestare tale impronta anche nel suo aspetto esteriore: per tutta la sua vita continuò a indossare l'abito di monaco basiliano, e le fonti contemporanee sono piene di annotazioni, talora rispettose, talora ironiche, sulla sua lunga barba. Al tempo stesse, però, egli si trovava perfettamente a suo agio nella figura e nei compiti di un cardinale romano, e con ancor maggiore disinvoltura si muoveva nella società degli umanisti romani. Si era impadronito ben presto del latino (forse dopo aver compiuto dei brevi studi a Padova poco dopo il suo ritorno da Costantinopoli) e anche dell'italiano, in modo da poter svolgere le sue mansioni senza difficoltà.
Ben presto cominciò a occuparsi dei problemi dell'Ordine basiliano in Italia e in Sicilia. Nel novembre 1446 fu tenuto nella chiesa dei SS. XII Apostoli un capitolo generale (approvato da Eugenio IV il 14 dic., 1446), che si riunì sotto la presidenza di B. e a cui presero parte abati della Puglia, della Calabria e della Sicilia. B. compose inoltre un compendio della regola di s. Basilio. Nel 1451 Nicolò V ratificò il decreto che dava a B. il diritto di visita su tutti i monasteri greci. Nel 1456 Callisto III nominò B. archimandrita di S. Salvatore a Messina. Nel 1462, Sotto Pio II, egli scambiò questo moriastero con la badia di Santa Maria in Grottaferrata. Entrambi questi monasteri, come del resto la maggior parte delle case basiliane nell'Italia di quel tempo, attraversavano un periodo di decadenza materiale e spirituale. B. si diede cura di sanare le loro finanze, di ricostruire i loro edifici e di riformare la loro vitareligiosa. Fu in parte per incoraggiare la conoscenza del greco tra i monaci basiliani che B. fondò a Messina due cattedre di questa lingua (una di esse doveva venir più tardi, occupata da Costantino Lascaris). Egli ebbe anche forti legami con i frati minori, l'ordine più attivo nel predicare la crociata. Nella sua qualità di abate codi S. Giovanni Evangelista a Ravenna, cedette agli osservanti il priorato di S. Mamante (1444) e, in quanto abate di S. Stefano in Pinis a Spalato, diede loro il priorato di Santa Maria della Palude (1450). Il 10 sett.1458 B. divenne protettore dei frati minori e nel 1462 fu, in questa Veste, uno degli arbitri nella disputa tra Giacomo della Marca e Giacomo da Brescia sul sangue di Cristo. L'anno seguente B. ebbe dal papa il permesso (bolla del 30 giugno 1463) di trasferire ai frati minori la chiesa dei SS. XII Apostoli.
Nei primi anni del pontificato di Nicolò V una rapida successione di promozioni ecclesiastiche e di benefici piovve sul Bessarione. Il 5 maggio 1447 ebbe il vescovato di Siponto che poi scambiò (28 marzo 1449) con quello di Mazzara in Sicilia. Fu cardinale vescovo di Sabina dal 5 marzo 1449 al 23 apr. 1449, quando divenne cardinale vescovo di Tuscolo. Fece parte della commissione di cardinali per la ricognizione delle reliquie di s. Lorenzo, e partecipò ai lavori che precedettero la canonizzazione di s. Bernardino da Siena (1449). La sua prima carica di importanza politica venne nel 1450, quando Nicolò V (bolla del 26 febbraio) lo nominò legato a latere per Bologna, per la Romagna e la Marca di Ancona. La città di Bologna era passata attraverso un periodo di lotte civili, che minacciavano di renderla facile preda dei suoi più potenti vicini e dei nemici del papa in genere. Nel 1447 Nicolò V aveva fatto un patto con Bologna, che, pur lasciando il governo locale e i vari poteri amministrativi in larga misura nelle mani del Comune, salvaguardava la sovranità del pontefice. Continuando con fermezza, ma anche con tatto, la politica del papa, B. riuscì a mantenere la pace e l'ordine nella città, fondandosi sull'aiuto del partito dominante e del suo capo Sante Bentivoglio.
Sembra che B. si sia trovato in disaccordo con Sante una volta sola in occasione dei matrimonio di quest'ultimo con Ginevra Sforza nel 1453,quando il cardinale impose risolutamente la messa in atto della legge suntuaria del 1451La legge fu anche criticata da Nicolosa Sanuti, amante ufficiale di Sante, in un'orazione che fu alle origini di una disputa letteraria a cui prese parte Guarino Veronese.
B. si sforzò di privare i capi esuli della fazione nemica ai Bentivoglio dei loro castelli, posti nelle vicinanze di Bologna, assicurando in tal modo al Comune il controllo della campagna e diminuendo il pericolo di attacchi futuri.
I documenti mostrano la parte che B. ebbe nell'incrementare la prosperità economica di Bologna e in particolare la vivace attività edilizia di quegli anni. è a lui soprattutto che si devono il restauro e l'abbellimento di varie chiese fuori e dentro la città; come ad esempio la cappella della Madonna di San Luca. Egli mostrò anche un vivo interesse per lo sviluppo dei bagni della Porretta e per l'erezione del primo orologio pubblico di Bologna. Più che a ogni altra cosa, però, consacrò le sue energie a risollevare l'università che durante gli anni delle guerre civili aveva attraversato un periodo di decadenza: gli edifici furono restaurati e ingranditi, gli statuti vennero riorganizzati, stipendi adeguati vennero stabiliti per i professori, e gli studenti più poveri poterono approfittare dell'aiuto generoso del Bessarione. Egli stesso provvide alla nomina di insegnanti competenti. Nel 1451-52la cattedra di retorica fu tenuta dal giovane segretario di B., Niccolò Perotti. Fu nella sua qualità di professore di retorica che il Perotti diede il benvenuto all'imperatore Federico III, quando questi passò da Bologna nel suo viaggio a Roma del 1452,con un discorso latino che gli valse la nomina a poeta laureato da parte dell'imperatore. Une pisodio curioso di questa fase della carriera di B. fu il suo incontro con Stefano Porcari che era stato mandato in esilio a Bologna da Nicolò V in punizione del suo tentativo di istigare i Romani contro il dominio papale. Egli doveva presentarsi ogni giorno al cardinale, che sembra abbia trattato questo umanista repubblicano con la stessa indulgenza con cui lo aveva trattato Nicolò V. Tuttavia quando, all'inizio del gennaio 1452,il Porcari riuscì a sfuggire alla sorveglianza di B. e a scappare a Roma, il legato fece a tempo ad avvertire il papa che poté sventare un tentativo dei cospiratori.
Il 23 marzo 1455 B. venne informato della malattia mortale di Nicolò V e partì immediatamente per Roma. La sua partenza fu accolta con rammarico nel Comune, che ormai lo considerava suo benefattore e che continuò a ritenerlo suo speciale patrono nella Curia.
Nel frattempo Costantinopoli era caduta nelle mani dei Turchi (29 maggio 1453). La notizia arrivò a B., in Bologna, all'inizio di luglio. Tra i molti fuggiaschi cui B. diede aiuto morale e materiale era Michele Apostolis.
Nelle lettere private B. esprime il proprio dolore per la distruzione della nazione greca e non raffrena la sua amarezza per l'indifrenza e la miopia occidentali; talora, però, una stanca rassegnazione sembra essere il sentimento dominante. Tuttavia, nella sua corrispondenza ufficiale, scritta in latino, B. non considerò mai la perdita di Costantinopoli come definitiva. In una lettera dei 13 luglio 1453, indirizzata a Francesco Foscari, B. implora il doge di fare uso della sua autorità per porre fine alle discordie tra gli stati italiani e per guidare la lotta contro il nemico comune. All'appello ai più alti sentimenti di onore e di religione si unisce quello all'interesse materiale dei Veneziani: è assolutamente necessario agire con rapidità, per evitare la perdita delle isole e delle piazzeforti più importanti del Peloponneso che erano sotto il dominio dei Veneziani. Nel caso di una guerra vittoriosa Venezia avrebbe potuto essere, come già in passato, la padrona di un vasto impero coloniale. Evidentemente, B. sperava che potesse assumere le funzioni di Bisanzio come grande potenza cristiana in Oriente; negli anni seguenti però la Repubblica non si mostrò pronta nemmeno a proteggere i suoi territori.
Nel conclave del 4 apr. 1455 B. fu sul punto di diventar papa; ma i pregiudizi sulla sua nazionalità e forse anche il timore del suo rigore morale si opposero a che egli venisse scelto. Dopo l'elezione di Callisto III, B. si recò a Napoli in visita privata per tentare di conquistare Alfonso d'Aragona alla causa della crociata, che veniva bandita energicamente dal vecchio papa. Fu ricevuto splendidamente dal re, ma non ebbe altri successi per la questione che gli interessava. Nominato vescovo di Pamplona da Callisto III nel periodo della guerra civile di Navarra (26 luglio 1458) e confermato da Pio II (12 sett. 1458), B. rinunciò al beneficio (24 dic. 1461) per non fomentare ulteriori dissidi. Durante l'ultima malattia di Callisto III nel 1458, B. fu uno dei tre cardinali incaricati di mantenere la pace e l'ordine nella città.
Quando Pio II venne eletto papa il 16 ag. 1458, B. fu scelto per fargli le congratulazioni del Sacro Collegio. Egli non aveva votato per il cardinale Piccolomini per timore che la sua salute delicata non gli permettesse di compiere i doveri dell'ufficio papale. Tuttavia Pio II abbracciò con energia la causa della crociata e il 12 ottobre convocò un congresso che doveva deliberare su questa impresa. Come luogo di riunione venne scelta Mantova. Il papa e i cardinali che lo accompagnavano vi arrivarono nel maggio del 1459, ma per lunghi mesi dovettero aspettare in forzata inattività gli altri partecipanti. Nel frattempo i Turchi avevano conquistato Atene e stavano invadendo il Peloponneso. Ogni ritardo diventava insopportabile per il Bessarione. Convinto che sarebbe stato meglio dare un aiuto anche piccolo, ma immediato, invece di aspettare un'eventuale impresa in grande stile, egli riuscì a persuadere il papa ad appoggiare alcune imprese pressoché disperate.
Erano intanto arrivati dei messaggeri da parte di Tomaso Poleologo che, con l'aiuto degli Albanesi, combatteva in Morea contro i Turchi e che sosteneva che con poche centinaia di soldati avrebbe potuto scacciare il nemico dalla penisola. B. scrisse al padre provinciale dei frati minori, Giacomo della Marca, chiedendo che i francescani lo aiutassero a reclutare a questo scopo 300 uomini. La spedizione, che pure ebbe qualche successo all'inizio, si sbandò poi a causa della discordia che regnava tra le truppe raccogliticce. Un'impresa ancora più strana B. raccomandò al papa: quella dell'avventuriero Gerardo de Canipis e della sua Societas Iesu.
Il 6 sett. 1459 il papa e B. poterono inaugurare ufficialmente il congresso di Mantova. Nel suo discorso B., dopo aver descritto le atrocità commesse dai Turchi a Costantinopoli, ammonì i presenti contro la crescente minaccia che veniva dall'Oriente, fece il calcolo delle truppe e degli armamenti necessari per opporsi al nemico e implorò i principi di riunirsi e di compiere i sacrifici necessari per la salvezza comune.
Tuttavia né gli stati italiani né la Francia fecero promesse di nessun genere. Gli stati e i principi della Germania si interessavano solo dei loro dissensi interni. Nonostante tutto, però, quando i rappresentanti dell'iniperatore finalmente arrivarono, si raggiunse un accordo, che rinnovava una promessa fatta a Nicolò V dalla dieta di Francoforte (1454). I particolari dovevano venir stabiliti in due diete, da tenersi a Norimberga il 2 marzo e a Vienna il 30 marzo, in presenza di un legato papale. Questo incarico fu dato a Bessarione. Egli avrebbe dovuto proclamare la crociata e la decima, raccogliere i soldati e nominare il loro comandante in capo, ma prima di tutto comporre la pace tra i principi tedeschi: compiti, tutti questi, che erano impossibili nell'atmosfera ostile della Germania prima della Riforma.
B. partì da Mantova il 19 genn. 1460 e dopo un breve soggiorno a Venezia (29 gennaio-1° febbraio) viaggiò rapidamente nonostante il clima rigido, spesso su slitte, passando per Bressanone (13 febbraio), Sterzing (16 febbraio) e Augsburg (23-24 febbraio), sino a Norimberga, dove arrivò il 28 febbraio.
B. inaugurò la dieta il 2 marzo con un eloquente appello alla pace in Germania, ma né i principi né gli ambasciatori presenti, presi com'erano dal pensiero della lotta imminente tra i seguaci dei Wittelsbach e degli Hohenzollern, gli prestarono grande attenzione. Nemmeno una lettera dei cardinal Carvajal, che annunciava delle nuove incursioni in Ungheria e che fu letta da B. all'assemblea riunita, valse a cambiare il loro stato d'animo. Ogni decisione venne rimandata a un altro congresso che doveva esser tenuto a Worms il 25 maggio e a cui B. decise di esser presente. Dopo aver lasciato Norimberga, il 18 marzo, si recò a Würzburg e poi lungo il Meno e il Reno, passando per Aschaffenburg, Francoforte, Magonza e Oppenheim, raggiunse Worms, donde poi tornò indietro per la stessa via. Prima che giungesse a Worms si era già arrivati a guerra aperta fra i due partiti tedeschi, e B. non poté che informare il papa del suo fallimento. Passò la Pasqua a Norimberga e il 16 aprile partì per compiere la seconda parte del suo viaggio. Giunse a Regensburg: il 26 aprile e a Vienna il 4 maggio. Qui venne ricevuto dall'imperatore con grandi onori e le sue prime relazioni a Pio II sono abbastanza ottimistiche. Tuttavia, poiché non era ancora arrivato nessun principe e solo pochissimi ambasciatori erano presenti, la dieta, originariamente fissata per il 30 marzo, dovette esser rimandata prima all'11 maggio e poi al 1° settembre.
B. mandò molte lettere ai vari principi tedeschi, esortandoli a intervenire alla dieta di persona o almeno a mandare dei loro rappresentanti che avessero la necessaria competenza e autorità; in questo senso scrisse anche alle varie città, cercando di comunicare a tutti il suo estremo senso di urgenza. Nei mesi seguenti, si diede da fare, con vari tentativi, per ristabilire la pace in Germania e per indurre Federico III ad astenersi dalle ostilità in Ungheria. Il cardinale, che era in grande amicizia con l'imperatore, divenne padrino dei suo unico figlio, il futuro imperatore Massimiliano.
L'inizio della dieta dovette venir rimandato ancora una volta a causa dei pochi e riluttanti intervenuti. Nessuno dei principi tedeschi era presente. Quando il 17 settembre, giorno di inaugurazione della dieta, venne letta la bolla papale che dava pieni poteri al legato, senza tener conto del parere dell'assemblea, i vari delegati, capeggiati dal rappresentante dell'arcivescovo Dieter di Magonza, si sentirono insultati. Negarono che i loro principi avessero alcun dovere di mandare truppe e denaro e si dichiararono incompetenti a raggiungere un accordo decisivo. In tutto ciò B., che voleva disperatamente un'azione positiva,non vide altro che ritardi e tergiversazioni. Le sue richieste di adempimento delle promesse fatte dalla "nazione Germanica" a Nicolò V in Francoforte e a Pio II in Mantova divennero sempre più imperiose, ma i delegati si tennero sulle loro posizioni. Nell'ottobre del 1460 le trattative terminarono. L'ultimo scambio di lettere mostra che si era arrivati a un punto morto. B. fece domanda per venir richiamato, ma il papa, dopo essersi consultato con gli altri cardinali, gli chiese di rimanere, perché sperava di riuscire a persuadere per vie diplomatiche uno dei principi tedeschi a porsi a capo della crociata. Pertanto B. passò altri undici mesi a Vienna. Finalmente il papa sírese conto che bisognava ormai abbandonare la speranza di avere un aiuto tedesco. L'unico compito che rimaneva a B. era quello di concludere una pace tra l'imperatore e gli Ungheresi e dopo la tregua di Laxenburg: poté finalmente tornare in patria. La missione in Germania era stata per lui un "martirio" e gli aveva rovinato la salute. Lentamente, a piccole tappe, tornò a Venezia passando per Leoben e Udine. La Repubblica gli fece una splendida accoglienza e, poco dopo la sua visita, stabilì che B. venisse nominato membro del Maggior Consiglio (21 dic. 1461) e che il suo nome fosse scritto nel Libro d'oro. B. arrivò a Bologna il 23 ottobre e a Roma :il 20 novembre.
Nel frattempo la sua città natale, Trebisonda, era caduta in mano dei Turchi e già nella prima parte dell'anno la Morea aveva ceduto. L'ultimo despota, Tomaso Paleologo, fuggì in Italia portando con sé da Patras l'ambitissima testa dell'apostolo Andrea. I due figli e la figlia del despota arrivarono m Italia dopo la morte dei padre, avvenuta nel 1465. B. divenne il loro tutore e si hanno tre sue lettere, in greco volgare, ai membri della casa dei principi, in cui si danno istruzioni per la loro educazione. Nelle solennità che Pio II ordinò per celebrare l'arrivo a Roma della reliquia di s. Andrea, B. ebbe una parte dominante. Egli fu alla testa dei cardinali che ebbero l'incarico di prendere la reliquia a Narni dove era stata deposta. L'11 apr. 1462, vicino a Ponte Molle, B. consegnò al papa lo scrigno con il cranio del santo. Il giorno dopo pronunciò il sermone in S. Pietro, invocando l'aiuto degli apostoli Pietro e Andrea contro i Turchi.
Il 1° apr. 1463 B. divenne vescovo di Negroponte e il 15 maggio 1463, dopo la morte di Isidoro di Kiev, fu innalzato alla carica di patriarca di Costantinopoli.
Nel frattempo i Turchi avanzavano nella Bosnia e nella Croazia. In Venezia il partito della guerra salì al potere con l'elezione dei doge Cristoforo Moro. In giugno l'ambasciatore veneziano presso la Curia annunciò al papa che la Repubblica aveva deciso di combattere contro i Turchi per difendere se stessa e il cristianesimo. Il 5 luglio 1463 B. fu mandato a Venezia come legatus a latere per garantire alla Signoria l'aiuto finanziario del papa, indurla a fare una dichiarazione ufficiale di guerra e a discutere i particolari della campagna. B. arrivò il 22 luglio e fu ricevuto con onori principeschi. Dopo una settimana di trattative ricevette formale assicurazione che la Repubblica era sul punto di rompere i rapporti diplomatici con i Turchi. Il 28 agosto venne dichiarata la guerra e fu prochunata la crociata in piazza San Marco. Il 28 settembre arrivò a Venezia la bolla di Pio II che annunciava che egli avrebbe guidato la crociata e il 7 novembre arrivò il suo breve che chiedeva al doge di porsi a capo della flotta. B. credette che ormai la liberazione della Grecia fosse vicina. Per sette mesi egli lavorò di buon accordo con le autorità veneziane ai preparativi di guerra. Pensando alla guerra vicina egli fece testamento, prendendo provvedimenti per la chiesa dei SS. XII Apostoli e dando istruzioni per la sua tomba. Questo testamento venne più tardi sostituito da un altro che conteneva più o meno le stesse disposizioni, ma con alcune amplificazioni e modificazioni (Roma, 10 apr. 1467). Alla fine di luglio B. fece vela verso Ancona per raggiungere la flotta del papa, ma poté soltanto assistere alla sua morte. Fu allora impossibile riuscire a persuadere i cardinali a continuare la crociata, ma dietro consiglio di B. le galere pontificie e il denaro raccolto per questa impresa da Pio II vennero affidati per tale scopo ai Veneziani.
Il 28 luglio 1464, quando cominciò il conclave, B. fa eletto decano. Vennero redatti allora dei capitoli che limitavano il potere del pontefice e aumentavano quello dei Sacro Collegio e che furono firmati da tutti i cardinali. Quando Paolo II, dopo l'elezione, sostituì a questo documento un testo diverso e obbligò i cardinali a firmarlo, offese molti di loro e in particolare B., uno degli autori della versione originale. Sia per questa ragione sia per motivi di salute, egli si allontanò alquanto dalla vita pubblica e si consacrò agli studi. Si recò di frequente a prendere le acque a Viterho dove era stato promotore della ricostruzione dei bagni,di Pipino. Nel 1466 diede disposizioni per avere la sua tomba pronta nella chiesa dei SS. XII Apostoli.
Nonostante tutto, egli continuò a occuparsi ancora, attivamente, della causa della crociata. Sin dal novembre del 1464 era divenuto membro del comitato di tre cardinali che amministrava i proventi del monopolio dell'allume destinati alla crociata; nel 1466 fu posto a capo degli affari ecclesiastici della Boemia, insieme con il Carvajal e il d'Estouteville. Nel 1468 riuscì a intercedere con successo presso il papa per il Platina che era stato imprigionato dietro l'accusa di cospirazione in quanto membro dell'Accademia romana di Pomponio Leto; come espressione di gratitudine l'umanista compose (1469) un panegirico in onore dei cardinale. L'8 ott. 1468 B. fu di nuovo trasferito dal vescovato di Tuscolo a quello di Sabina. Allorché nello stesso anno Federico III fece la sua seconda visita a Roma, B. lo accolse con un discorso di benvenuto.
La caduta di Negroponte in mano dei Turchi, avvenuta il 12 luglio 1470, ebbe l'effetto temporaneo di far sentire ai principi italiani la necessità di comporre le loro divergenze. Il papa si sforzò di arrivare a una generale alleanza difensiva e venne assistito con zelo appassionato da B. Egli scrisse vari discorsi contro i Turchi che mandò a diversi principi italiani. Copia ne fu inviata anche a Guillaume Fichet, rettore dell'università di Parigi, che ne offrì un esemplare a Luigi XI e ne fece diffondere un'edizione a stampa.
Dopo la morte di Paolo II la cerchia di umanisti che faceva capo a B. sperò in una sua elezione al soglio pontificio ed egli ebbe un certo numero di voti nel conclave del 6-9 luglio 1471. Il papa eletto, Sisto IV, seguì tuttavia, per ciò che riguardava la crociata, la politica dei suoi predecessori e nominò B. legatus a latere per la Francia, la Borgogna e l'Inghilterra. Suoi compiti erano: cercare di arrivare a una pace tra Luigi XI e i duchi di Bretagna e di Borgogna; ottenere aiuti per la crociata; discutere. il concordato e altre questioni di importanza nazionale, per cui vi erano delle trattative in corso tra il re e la Curia. Sin dagli inizi lo zelo che B. poneva in questo suo incarico non andò disgiunto da varie apprensioni, alimentate dagli ammonimenti dei suoi amici. Nella prima parte dei 1472 B. diede le sue dimissioni, ma in seguito a un amichevole invito del re - e all'appello al suo senso del dovere fatto sia dal Fichet sia dall'Ammannati - il 13 marzo decise di sobbarcarsi a questo compito e il 20 apr. 1472 partì da Roma. Durante il viaggio si fermò a Urbino per impartire la cresima a Guidobaldo, figlio minore di Federico da Montefeltro, i cui figli maggiori (e illegittimi), Antonio e Buonconte, erano suoi figliocci, e a Gubbio.
I cordiali rapporti di B. con la famiglia ducale risalivano almeno al 1456, quando egli era stato fatto abbas commendatarius di Santa Croce di Fonte Avellana.
Da Cesena (7 maggio) B. andò a Bologna (9-12 maggio). Qui prese disposizioni per il matrimonio per procura della sua pupilla Zoe (Sofia) Paleologa con lo zar di Russia, Ivan III, che doveva avvenire in Roma durante la sua assenza. Ben consapevole come era dell'esito incerto del suo viaggio, B. mandò ai minoriti della Scuola della carità di Venezia una preziosa croce da cerimonia che aveva destinato loro da tempo. Si recò poi a Modena (12 maggio), Reggio Emilia (13 maggio), Parma (14 maggio), Borgo San Donnino (15 maggio) e Piacenza (16-18 maggio), dove celebrò la Pentecoste. Attraversando il ducato milanese, B. fu molto festeggiato per ordine di Galeazzo Maria Sforza, che lo ricevé con grandi onori a Pavia (20-21 maggio). Dopo una entrata solenne a Milano (22 maggio), B., ormai convinto della buona volontà del duca verso di lui e la sua causa, proseguì verso la Francia via Novara (26 maggio) e Chivasso (28 maggio). Passando per il Moncenisio- e Grenoble, B. fu a Lione il 20 giugno.
Nel frattempo gli avvenimenti di Francia avevano fatto sì che la visita di B. non fosse più tanto importante per, Luigi XI, e il duca di Milano, attraverso i suoi ambasciatori, fomentava i sospetti del re che B. fosse "Borgognone". B. dovette aspettare a lungo prima di avere il suo salvacondotto. Finalmente incontrò il re a Cháteau Gontier (23-24 agosto).
La missione di B. si risolse in un completo insuccesso e non si arrivò nemmeno a discutere alcuno dei problemi più importanti. Contrariò il re con il suo rifiuto di scomunicare i duchi di Borgogna e di Bretagna e fu anche obbligato a tornare in Italia senza aver visto questi due principi. Deluso e malato, fece il viaggio di ritorno passando per Tours (29 agosto), Dun-le-Roy (5 settembre) e Lione (13 settembre). Riattraversato il Moncenisio, raggiungeva Susa (29 settembre) e Torino (10-5 ottobre). Galeazzo Maria Sforza evitò un incontro con B., molto desiderato dal cardinale; B., avendo visitato Casale (6 ottobre) e Vercelli (7 ottobre), si recò a Ferrara e Ravenna (verso il 10 novembre). Qui si spense il 18 nov. 1472.
Le sue spoglie vennero trasportate a Roma, dove il 3 dicembre nella basilica dei SS. XII Apostoli venne celebrato il servizio funebre alla presenza del papa. Niccolò Capranica, vescovo di Fermo, tenne l'orazione funebre in suo onore. Venne sepolto nella tomba che egli stesso si era fatto preparare nella chiesa. Il luogo è ora contrassegnato dalla sua effigie in bassorilievo e dalla sua insegna: "due braccia (raffiguranti le chiese latina e greca) sorreggono la croce: emblema dell'Unione alla quale dedicò la sua vita" (Loenertz).
Per ciò che riguarda le sue mire politiche più alte si può dire che la carriera di B. fu colma di delusioni. Tuttavia egli trovò la sua più completa espressione nelle attività dì studioso e di mecenate e non vi è dubbio che qui egli ebbe anche i suoi risultati più duraturi. Quasi subito dopo il suo arrivo in Italia si era reso noto tra gli umanisti italiani come studioso dai molti interessi. Non appena fu stabilito nella Curia, cominciò ad attirare intorno a sé una cerchia di studiosi che a poco a poco divenne il centro dell'umanesimo romano. B. divenne anche il protettore naturale dei Greci che immigravano in Italia, come Giorgio da Trebisonda, Teodoro Gaza, Andronico Callisto e Michele Apostolis. Fra gli umanisti italiani, che nei vari periodi della sua vita frequentarono la sua casa, vi furono da un lato alcuni membri dell'Accademia Romana, come Pomponio Leto., Flavio Biondo, il Platina e Domizio Calderini, e dall'altro alcuni ecclesiastici come Francesco della Rovere (il futuro Sisto IV), Andrea Giovanni de' Bussi, Niccolò Perotti. Fu grazie all'intercessione di D. che Lorenzo Valla ottenne da Nicolò V il permesso di tornare da Napoli a Roma (1448);in quel periodo egli si consultava anche coi B., su problemi di traduzioni dal greco. Negli ultimi anni della sua vita, la cerchia di B. divenne nota con il nome di "Accademia di Bessarione". Ad essa appartenevano, da. una parte studiosi che, benché aiutati da B. con doni, ospitalità e protezione, pure avevano una posizione indipendente, e dall'altra studiosi che erano invece inipiegati dal cardinale come segretari per i suoi affari pubblici o per i suoi studi. Fra questi ultimi il principale è Niccolò Perotti, che fu compagno di B. per sedici anni. A Vienna, nel 1461,B. aveva fatto la conoscenza - forse grazie a Niccolò da Cusa - dell'umanista e astronomo Georg Peurbach e del suo allievo Giovanni Regiomontano. Dopo la morte del Peurbach, il Regioniontano accompagnò B. quando questi tornò in Italia, e negli anni successivi si dedicò ai suoi studi sugli astronomi e sui matematici greci come familiaris dei cardinale, facendo frequenti soggiorni nella sua casa e collaborando con lui.
Nelle riunioni regolari dell'"Accademia", venivano discusse sia questioni di teologia, filosofia e letteratura, sia problemi di critica testuale degli autori greci e latini. I membri collaboravano tra di loro e con il cardinale in lavori letterari e nella preparazione di testi per la biblioteca. Benché non si abbiano documenti che provino l'esistenza di un'organizzazione ben definita pure è chiaro che l'"Accademia" di B. fungeva da centro di studi per Te?zo del quale il metodo e i principt filologici - ereditati in parte dalla tradizione bizantina - dovevano venir trasmessi alle future generazioni di umanisti.
Queste attività erano m stretto rapporto con la famosa biblioteca di Bessarione. Già dal tempo del suo primo arrivo in Italia egli possedeva un gran numero di codici greci, una parte dei quali era stata lasciata provvisoriamente a Modone. Quando divenne cardinale, B. continuò a ingrandire la sua collezione con libri nell'una o nell'altra lingua che comprava o ordinava a vari librai e studiosi o che faceva copiare dai vari copisti a cui dava lavoro in casa sua. I suoi rappresentanti in Grecia erano sempre alla ricerca di codici; altri codici greci egli comprò da alcuni importatori, come l'Aurispa. Quando si recava in viaggio per ragioni ufficiali B. ne approfittava anche per darsi alla ricerca di codici nelle biblioteche dei vari monasteri. Fu probabilmente in uno di questi viaggi, fatto per visitare i monasteri basiliani, che scoprì a San Nicola di Casole in Terra d'Otranto le Postomeriche di Quinto Smirneo e il De raptu Helenae di Colluto. Nel periodo in cui fu legato papale in Germania comprò manoscritti a Norimberga e a Vienna. Fece anche fare una copia della famosa collezione canonica che apparteneva al monastero di Fonte Avellana. La parte latina della sua biblioteca era notevole, ma la collezione di B. di manoscritti greci era la più grande di tutte quelle che esistevano in Occidente in quel tempo. Dalla sua corrispondenza con Michele Apostolia sappiamo che subito dopo la caduta di Costantinopoli B. decise di mettere insieme una raccolta che comprendesse codici di tutte le opere greche sopravvissute, sia sacre sia profane, e di prendere provvedimenti per la sua biblioteca di modo che dopo la sua morte non andasse dispersa e venisse tenuta a disposizione di tutti gli studiosi. In tal modo egli sperava di riuscire a salvare la grande tradizione ellenica dalla minaccia di distruzione totale che allora la sovrastava, cosicché fosse possibile rivolgersi ad essa quando la Grecia fosse risorta come nazione. Per questa opera egli scelse Venezia, aia per la sua posizione geografica a cavallo fra Oriente e Occidente, sia per la sua stabile organizzazione politica, sia per i numerosi debiti di gratitudine che aveva verso la Repubblica. Dopo aver annullato una precedente donazione al monastero di San Giorgio, nell'estate dei 1469 B. inviò al doge e al Senato l'atto di donazione della sua biblioteca, insieme con la famosa lettera in cui esponeva i motivi e le condizioni del dono. Si riservò l'uso di quei manoscritti che ali potessero servire per tutta la sua vita. Secondo Pinventario che era incluso nell'atto di donazione B. possedeva allora 482 manoscritti greci e 264 latini. Una prima consegna, forse di 30 casse, arrivò a Venezia nella primavera dell'anno seguente. Il resto, più i libri coniprati da B. negli anni tra il 1469 e il 1472, tra cui alcuni mcunaboli, arrivò dopo la morte del cardinale e in tal modo il numero dei volumi della "Bibliotheca Nicaena" raggiunse quasi il migliaio. Nel 1537 Iacopo Sansovino ricevette l'incarico di costruire la "Libreria" che doveva accogliere la donazione di Bessarione. Tra il 1554 e il 1564 i libri vennero trasportati in questo edificio dove ancora oggi formano il nucleo della Biblioteca Nazionale Marciana.
Lostesso B. raccolse nel codice Marciano gr.533 alcuni dei suoi primi scritti e delle lettere in ordine cronologico. Gli Opuscula piùimportanti composti prima del suo arrivo in Italia sono: il Panegirico per il suo patrono Besserione (non prima del 1423); la Monodia per l'imperatore Manuele Paleologo (m. 1425); l'orazione indirizzato all'imperatore Alessio IV Comneno di Trebisonda; tre Monodie per l'imperatrice Teodora di Trebisonda (1426-27); un epitaffio giambico e una Monodia per la principessa Cleopa (m. 1433); un altro per Teodora, la moglie di Costantino, futuro imperatore di Costantinopoli; descrizioni in giambi di arazzi che rappresentavano l'imperatore Manuele e la moglie Elena; un trattato sulle virtù morali dedicato a Demetrio Lascaris per conto del padre Giovanni Lascaris (c. 1436);un panegirico su Trebisonda e un'omelia. Nel suo breve soggiorno a Costantinopoli del 1440B. scrisse tre Consolationes per l'imperatore Giovanni VIII Paleologo in occasione della morte di sua moglie Maria Comnena e, nei primi mesi dei 1444,a Roma, scrisse il memoriale sul Peloponneso indirizzato al despota Costantino.
Tutti gli scritti teologici di B., con una sola eccezione, derivano dalle discussioni del concilio di Firenze: il De processione Spiritus Sancti contra Palamam pro Becco e il Contra capita Maximi Planudis de processione Spiritus Sancti vennero scritti nella seconda metà del 1439;fu composto fra il 1440 e il 1445il De Spiritus Sancti processione ad Alextum Lascarin Philanthropinum (che contiene un sommario degli avvenimenti principali del concilio e un'apologia dell'unione oltre a un'esposizione delle varie ricerche di manoscritti fatte da B. a Costantinopoli). Il Contra Marcum Aphesium de processione Spiritus Sancti è posteriore, ma dello stesso periodo. Dopo la sua nomina a patriarca di Costantinopoli B. promulgò la sua Encyclica ad Graecos (Viterbo, 27 maggio 1463),in cui esortava i Greci ad aderire all'unione e in cui dava conto della sua carriera. Nel 1464B. dedicò a Paolo II una traduzione di tutti questi suoi scritti teologici e dei due grandi discorsi tenuti nel concilio (Oratio Ferrariao habita e Oratio dogmatica do Unione).In questo periodo scrisse anche il Desacramento Eucharistiae.Nel saggio In illud: Sic eum volo manere: quid ad vos? (circa 1449)B. cercò di dimostrare la necessità di adoperare i metodi della critica testuale per l'interpretazione della Volgato. In tal modo egli veniva a suffragare con la sua autorità una corrente di pensiero a cui si rifacevano anche le Annotationes in Novum Testamentum di Lorenzo Valta, i cui sforzi venivano incoraggiati oltre che da B. anche da Niccolò da Cusa.
Nei primi anni dopo il suo ritorno in Italia B. incaricò Giorgio di Trebisonda di tradurre l'In Eunomium di Basilio e ne offrì la versione, con un'epiatola dedicatoria, a Tomaso di Sarzana (il futuro Nicolò V). Egli stesso tradusse il De nativitate Domini di Basilio e lo dedicò a Eugenio IV. Al cardinal Cesarini offrì la sua traduzione dei Memorabilia di Senofonte (1444). Verso il 1450 finì la traduzione della Metafisica di Aristotele (che era in realtà una revisione della versione fatta da Guglielmo di Moerbek), cui aggiunse la versione del frammento dell'opera omonima di Teofrasto. Ne diede una copia a Niccolò da Cusa (1453),e offrì l'opera a Alfonso di Aragona. Alle sue Orationes ad principes Italiae contra Turcos (1470)aggiunse una traduzione della Prima Olintiaca di Demostene, poiché era persuaso dell'attualità degli argomenti usati dall'autore. Nel 1470B. mandò a Paolo II una breve memoria dal titolo Deerrore Paschatis,probabilmente composta in collaborazione col Regiomontano.
La corrispondenza di B. con Giorgio Gemisto Pletone (tra il 1440e il 1452)mostra come nello studio di Platone e dei neoplatonici B. abbia continuato a cercare la guida dei suo maestro per l'interpretazione di certi concetti e di certi passi. Negli anni che precedettero il 1455B. prese anche parte alla controversia tra platonici e aristotelici con due saggi sul problema del fine naturale: una breve memoria Quod natura consulto agit,in cui si rispondeva alle critiche fatte a Pletone da Teodoro di Gaza, e il Denatura et arte contro Giorgio di Trebisonda, in cui finalmente B. si decise a rompere i rapporti con il suo antico protetto a causa dei suoi perfidi intrighi. La nota di B. Adversus Plethonem de substantia fuall'origine di una discussione tra aristotelici e platonici della sua cerchia. Questa si trasformò in una disputa a cmi B. pose fine, con autorità nel 1462.La controversia venne trasferita nella letteratura latina e resa nota a un pubblico più vasto da Giorgio di Trebisonda nel 1455con le sue Comparationes Aristotelis ot Platonis.Egli accusava malignamente il platonismo di essere una fonte di eresia e di immoralità e sosteneva che le teorie di Aristotele si attenevano al dogma cristiano. Fu contro queste distorsioni del vero che B. scrisse la sua opera più importante e notevole, Inealumniatorem Piatonis.La scelta dei problemi discussi è determinata in gran parte dai fini del libro, ma B. riesce ad andare ben oltre la semplice apologia e a dare un quadro d'insieme della filosofia platonica e aristotelica. Egli guarda la dialettica e la metafisica di Platone con occhi neopiatonici e di conseguenza riduce al minimo le differenze tra la dottrina platonica e aristotelica, pur opponendosi fortemente alla tendenza a "far cristiano" l'uno o l'altro filosofo. è grazie al suo appassionato interesse per le teorie politiche di Platone che la posizione di B. differisce in modo così significativo da quella del platonismo medioevale. Egli lavorò al testo greco dei libro in vari periodi tra il 1456 e il 1466, con la continua partecipazione dei suoi familiares.Nella sua forma definitiva l'opera comprende quattro libri a cui venne aggiunto come quinto il Deerroribus interpretis Legum Platonis (una critica della traduzione delle Leggi di Platone fatta da Giorgio di Trebisonda) e come sesto il De natura et arte.La traduzione latina (in cui parecchi capitoli vennero notevolmente accorciati) deve molto alla collaborazione dell'"Accademia" di Bessarione. Pubblicata nel 1469 da Sweinheym e Pannartz, ebbe entusiastiche accoglienze tra gli umanisti italiani.
L'opera fondamentale è ora L. Moliler, Kardinal Bessarion als Theologe, Humanist und Staatsmann, I, Darstellung,Paderborn 1923; II, Bessarionis in calumniatorem Platonis (edizione), ibid. 1927; III, Aus Bessarions Gelehrtenkreis (edizione di testi inediti), ibid. 1942: sul vol. II si veda J. Sykutris, in Byz. Zeitschr.,XXVIII(1928), pp. 133-142; le altre opere di B. si troveranno in Migné, Patr. Graec.,CLXI. Si vedano anche L. Bréhier, Bessarion.in Dict. d'Hist. et Géogr. Ecclés.,VIII, Paris 1935, coll. 1196-99; R. Loenertz, Bessarione,in Enc. Catt.,II, Città del Vaticano 1949, coll. 1492-98 (questo ottimo sommario apporta implicitamente varie correzioni a Moliler, vol. I). Si hanno delle vaste bibliografie sia nelle opere citate sopra, sia in C. Frati, Diz. bio-bibliografico…,Firenze 1934, pp. 76-94 (con M. Parenti, Aggiunte al "Dizionario"…,Firenze 1957, pp. 129-30). Nuova edizione di opere di B. in Bessarion Nicænus, De Spiritus Sancti processione ad Alexium Lascarin Philanthropinum,a cura di E. Candal. in Concilium Florentinum, Documenta et Scriptores,serie B, vol. VII, fasc. 1, Roma 1958; 2, Roma 1961. Si aggiunga poi: H. Prutz, Pius II. Rüstungen z. Türkenkrieg und die "Societas Iesu" des Flandrers Gerhard des Champs 1459-1460, in Sitzungsberichte d. bayer Ak. d. Wissensch.,Philos.-plifiol.-hist. Kl., 1912, 4, München 1912; E. Nasalli-Rocca di Comeliano, Il Cardinale B. a Piacenza,in La Rinascita.III (1929), pp. 624-631; P. Ourliac, Louis XI et le Cardinal Bessarion,in Bull. de la Soc. Archéol. du Midi de la France,3. s., V (1942), pp. 33-52; P. Joannou, Un opuscule inédit du Cardinal Bessarion,in Analecta Bollandiana,LXV(1947), pp. 107-138; G. Hofman, Acht Briefe des Kardinals Bessarion,in Orientalia Christiana Periodica,XV(1949), pp. 277-290; G. Hofman, Zwei bisher unbekannte Briefe des Kardinals Bessarion, ibid.,XX(1954), pp. 151-152; I. Goñi Gaztambide, Besarion y la guerra civil de Navarra,in Anthologia Annua,IV (1956), pp. 239-282; E. Meuthen, Zum Itinerar der deutschen Legation Bessarions 1460-61, in Quellen und Forschungen aus italien. Archiven und Bibliotheken,XXXVII(1958), pp. 328-333; L. Labowsky, Bessarion Studies,in Mediaeval and Renaissance Studies,V(1961), pp. 108-162; Id.,Il cardinale B. e gli inizi della Biblioteca Marciana,in Venezia e l'Oriente fra tardo Medio Evo e Rinascimento,a cura di A. Pertusi, Venezia 1966, pp. 159-182; C. H. Clough, Cardinal B. and Greek at the Court of Urbino,in Manuscripta,VIII (1964), pp. 160-171; H. D. Saffrey, Aristoteles, Proclus, B.,in Atti del XII Congresso intern. di filos.,Firenze 1960, pp. 153-158; Id., Recherches sur quelques autographes du Cardinal B., in Mélanges Eugène Tisserant,III, Città del Vaticano 1964, pp. 263-297; R. Weiss, Two unnoticed "Portraits" of cardinal B.,in Italian Studies,XXII (x967), pp. 1-5.