Best-seller
Gli eredi dello zio Tom
Che cosa è
un best-seller
di Giuliano Vigini
5 maggio
Si inaugura il Salone del Libro di Torino che vede la partecipazione di 1200 editori e oltre 1500 tra autori, esperti e moderatori. La presentazione di uno dei 'casi letterari' dell'anno, Con le peggiori intenzioni di Alessandro Piperno, è occasione di dibattito su come un libro diventi un best-seller: quanto contribuiscano, oltre al valore intrinseco dell'opera, la copertura mediatica e l'organizzazione della casa editrice.
Come si misura un best-seller
Nelle sempre più frequenti discussioni e analisi riguardanti i best-seller, spesso ci si dimentica di collocare innanzitutto il fenomeno all'interno di un preciso quadro di riferimento, senza il quale la stessa parola 'best-seller' appare un indistinto contenitore, riempito di libri genericamente 'molto venduti'. Naturalmente, la dimensione di un successo editoriale va rapportata all'entità della popolazione, all'economia e soprattutto al tipo di mercato nel quale si colloca, essendo evidente che 100.000 copie di un libro vendute nel più grande paese editoriale del mondo (gli Stati Uniti) sono un'inezia, mentre in Italia (che ha una popolazione cinque volte inferiore a quella degli USA e un mercato librario almeno dieci volte più piccolo) sono sicuramente una cifra rilevante, che farebbe subito balzare il titolo ai vertici delle classifiche.
Guardando alla realtà italiana nel suo complesso e prescindendo da quello che un singolo editore considera best-seller in relazione alla propria attività e dimensione aziendale (in questo senso, anche 10.000 copie possono rappresentare un notevole successo per una piccola casa editrice), si può ragionevolmente definire best-seller un'opera che venda almeno 50.000 copie, nell'arco di un anno, nei vari canali commerciali. Se d'altra parte si tiene conto che, in libreria, i titoli che in un anno riescono a superare la soglia delle 100.000 copie di vendita non sono quasi mai più di dieci, pur essendo aumentati negli ultimi quattro anni, e valutando che, sempre in libreria, non sono mai stati più di 150 - tra narrativa straniera, italiana, saggistica e varia - i titoli che hanno superano le 20.000 copie vendute, il tetto di 50.000 copie resta un traguardo commercialmente molto significativo. La base sostanziale del successo di una novità continua a essere misurata dal suo impatto in libreria, anche se è vero che, nell'attuale diversificazione dei canali, grande distribuzione, Internet, vendite speciali possono, a questi livelli di venduto, fare una notevole differenza.
Queste coordinate sono importanti, non solo per stabilire orientativamente entro quale ordine di grandezza un'opera si debba considerare best-seller in Italia, ma anche per capire la natura, l'evoluzione e le numerose sfaccettature del fenomeno, come si può rilevare dalla casistica dei best-seller del Novecento (cfr., al riguardo, i numerosi esempi riferiti in Cadioli-Vigini 2005). Negli ultimi anni, infatti, si sono verificate non poche trasformazioni nel mondo librario e negli assetti sia dell'editoria sia della distribuzione (Vigini 2004), oltre che nell'acquisizione dei diritti e nello 'scouting' editoriale: trasformazioni che hanno inciso anche sul quadro generale e sulla tipologia dei best-seller. In realtà, se da un lato si possono ritenere ancora validi gli ingredienti tradizionali nella creazione o nella 'confezione' di un best-seller, dall'altro occorre considerare altri fattori, che rendono oggi questo scenario molto più composito.
Si è soliti dire - e in gran parte è vero - che il primo ingrediente del best-seller è la sua imprevedibilità. Tuttavia, l'imprevedibilità o, se si vuole, la fortuna non sceglie a caso e soprattutto non è fondata sul nulla, nel senso che trova anch'essa degli elementi favorevoli che l'aiutano a manifestarsi. È più difficile anche per la fortuna dare una spinta decisiva a un romanzo senza intreccio, ritmo e coinvolgimento narrativo; senza forza di verità o abile dosaggio di sentimenti (capace, quindi, di sollecitare determinate corde); senza carica emozionale in grado di avvicinare alla realtà o di trasportare nel sogno.
Non ci si riferisce naturalmente alla qualità letteraria in senso stretto, che può anche essere modesta, non esistendo un rapporto di causa-effetto tra il valore letterario di un libro e la sua fortuna.
Tant'è vero che i libri programmati per bissare un grande successo precedente, sfruttandone l'onda di trascinamento, pur essendo spesso di scarso livello, continuano ugualmente ad avere una buona vendibilità, anche se meno travolgente. Del resto, quello che poi conta, in definitiva, non sono le copie che si vendono in Italia, bensì i diritti che, sull'onda del primo successo, si riescono a vendere all'estero e che danno al successo editoriale ben altra portata.
Qui si intende invece fare riferimento alla costruzione, all'impianto e ai meccanismi con cui la storia che si racconta riesce in qualche modo a suscitare interesse e soprattutto a stabilire una tale intensità di rapporto con il lettore da conquistarlo. Anche quando si parla di successo come risultato (incontrollato) di un tambureggiante 'passaparola' tra lettori - la più efficace e meno costosa forma di marketing diretto che si conosca -, evidentemente si consiglia e raccomanda un tipo di autore e di libro che hanno saputo creare un particolare piacere o delle forti sensazioni che si vogliono comunicare ad altri.
Per oltrepassare determinati livelli di vendita, deve trattarsi, in altre parole, di un libro che tocca interessi e sensibilità diffuse, e che in qualche misura riesce a essere trasversale a tutte le età, benché si possano registrare successi importanti anche per opere gradite soltanto a una certa fascia d'età o a una categoria di persone (i giovani o le donne, per esempio).
Le classifiche librarie
Se si esaminano le classifiche generali degli ultimi cinque anni (Tab. 1) relative ai primi dieci libri più venduti in Italia (oltre 100.000 copie), ci si trova davanti una fotografia del 'successo' dalla quale si può ricavare una serie di utili considerazioni.
Le classifiche dei primi mesi del 2005 hanno visto confermati ai vertici gli autori più noti, con i prepotenti ingressi, nella narrativa italiana, del nuovo romanzo, Privo di titolo, di Andrea Camilleri e di Con le peggiori intenzioni di Alessandro Piperno; nella narrativa straniera, di Il trionfo del sole di Wilbur Smith, oltre all'irresistibile ascesa, nella saggistica, di Memoria e identità del compianto Giovanni Paolo II: ultime 'conversazioni' di un indimenticabile testimone e comunicatore.
Il fenomeno più significativo di questi ultimi anni è la presenza prevalente, nei primi dieci titoli di classifica, degli autori italiani rispetto agli stranieri (26 contro 18). Questo sia per la presenza costante di Camilleri (con più romanzi) e di altri scrittori come Mazzantini, Baricco, Faletti o Ammaniti, che non soltanto si sono affermati, ma hanno trovato un pubblico fedele, sia per l'affacciarsi periodico di comici o personaggi, come Totti, che alimentano i filoni più commerciali e 'leggeri' (comico-satirici).
Resta invece confermato il consueto forte assorbimento di best-seller, ai livelli più alti della classifica generale, da parte delle case editrici maggiori (Tab. 2).
Tabella
Generalmente, sono sempre gli stessi editori che si contendono la partita, con qualche importante rafforzamento da un anno all'altro, per l'incidenza di un titolo particolarmente fortunato (come per Salani la serie di Harry Potter di Joanne K. Rowling). Rari gli outsider, come è avvenuto nel 2003 per Fazi, grazie al successo di Cento colpi di spazzola di Melissa P., e per Kowalski, grazie al Sono stata spiegata di Annamaria Barbera.
Questa 'superclassifica' della libreria non esaurisce naturalmente la lista dei best-seller nel senso quantitativo indicato all'inizio, stante che la somma delle copie vendute nei vari canali porta poi molte opere a superare abbondantemente quella soglia. Non solo nel campo narrativo. Anzi, sta notevolmente crescendo l'impatto della saggistica d'attualità firmata da giornalisti e opinionisti di richiamo (si pensi al successo dei libri di Bruno Vespa o Giampaolo Pansa), così come trova ampi riscontri commerciali ogni saggio o manuale che ruoti intorno a un personaggio televisivo di spicco o a una figura di riconosciuta autorevolezza. L'editoria, in realtà, è anche un grande gioco di specchi, dove giornalismo e spettacolo (comico), televisione (fiction e dibattiti) e cinema (soprattutto d'autore) offrono notevoli opportunità di lancio o consolidamento di un successo, che gli editori non mancano ampiamente di sfruttare.
Tutto questo ha reso molto più variegato e, in parte, anche più stagionale il mercato dei best-seller, che in ogni caso si è trasformato. Non è più il tempo del dominio assoluto degli scrittori anglo-americani (Stephen King, Ken Follett, John Grisham ecc.) o ispano-americani (Gabriel García Marquez, Paulo Coelho, Isabel Allende, Luis Sepúlveda), che, pur restando ai vertici, non riescono più a toccare le altissime vendite in prima battuta di alcuni anni fa.
La composizione del mercato è diventata più elastica e segue ormai una tempistica diversificata, in relazione a molteplici fattori (editoriali e commerciali) che vanno a influire sulla vendita.
La tipologia del best-seller
Volendo entrare più dettagliatamente nell'analisi del fenomeno, si potrebbe considerare il best-seller sotto tre diverse angolazioni, che naturalmente possono anche ben integrarsi l'una con l'altra: il best-seller come creazione letteraria, come prodotto editoriale, come strategia di canale.
Con 'creazione letteraria' si intende l'idea che dà vita all'opera e insieme la costruzione che poi conferisce a essa forma e sviluppo, in senso narrativo o saggistico. Non è detto che il successo derivi necessariamente dal fatto di avere scritto un capolavoro letterario o elaborato una riflessione del tutto originale. Nasce soprattutto dall'aver saputo centrare perfettamente un bersaglio: essere stato capace, cioè, di trasmettere, attraverso la finzione del racconto o la realtà del pensiero, una rappresentazione delle cose che ha procurato un diffuso piacere o soddisfatto un bisogno profondo, stabilendo con i lettori un particolare legame di partecipazione emotiva o spirituale.
I fenomeni editoriali che portano i nomi di Vittorio Messori (Ipotesi su Gesù, SEI, 1976), di Susanna Tamaro (Va' dove ti porta il cuore, Baldini Castoldi, 1994, unico libro nella storia delle classifiche librarie che sia rimasto primo assoluto per tre anni di seguito) o di Andrea Camilleri (Gli arancini di Montalbano, Mondadori, 1999) si potrebbero ben collocare all'interno di questa categoria.
In letteratura, il successo - come avviene, per esempio, nei romanzi degli scrittori inglesi e americani, sapienti 'ingegneri' di macchine narrative - è spesso associato alla capacità non solo di raccontare la storia principale, ma di intrecciare al suo interno tante altre storie che creano scene, ambienti e personaggi nuovi, che arricchiscono e colorano di continuo la narrazione. In questo caso, il best-seller è proprio un successo d'autore, determinato cioè dall'abilità di chi scrive di raccontare ed essere coinvolgente. Non a caso, una delle caratteristiche di questi best-seller è di trasformarsi subito anche in grandi successi internazionali, e tali divengono - a parte la forza e la bravura dell'editore nel lanciarli - per virtù proprie.
Il fatto poi che questi autori diventino anche dei 'seriali' - ossia 'costruiscano' ogni anno dei romanzi che immancabilmente scalano i vertici delle classifiche - testimonia che il talento, la formula e gli ingredienti usati (polizieschi, storici, fantastici, misterici, religiosi o parareligiosi ecc.) costituiscono una catena di montaggio in grado di produrre macchine narrativamente avvincenti, almeno per i gusti di gran parte del pubblico che, restando fedele agli autori che ama, continua ad alimentare il loro successo.
È il fenomeno che si potrebbe chiamare l''affezione d'autore', che porta una persona a leggere tutti i libri di uno scrittore, non solo perché li trova interessanti e piacevoli, ma spesso perché li sente come specchio del proprio mondo interiore o dell'ambiente in cui vive. Senza dimenticare che, da romanzi di successo, vengono tratti film che a volte rilanciano il libro, magari proprio nel momento in cui aveva già esaurito il suo ciclo vitale. Così come si dà il caso di film che fanno impennare le vendite di un libro che non era ancora riuscito, commercialmente parlando, a decollare.
Il fatto poi di arrivare in classifica contribuisce certamente a influenzare le vendite, soprattutto ad alimentare gli acquisti occasionali, nel senso che il best-seller finisce in una certa misura con il diventare anche uno status symbol: la persona che lo possiede lo considera un segno d'appartenenza culturale e sociale, da esibire tra gli amici e in società per mostrarsi al passo con le novità, le mode e le tendenze del momento. Da questo punto di vista, è come se avesse il 'dovere' di acquistarlo, per non esser tagliata fuori da ciò di cui tutti parlano.
Non c'è un unico genere di riferimento per il best-seller. Piuttosto esiste una scrittura, un modo di affrontare gli argomenti (con una certa levità o un certo stile), un tipo di rapporto che si instaura con il pubblico e, in qualche caso, anche una capacità di essere abili promotori di sé stessi: tutti elementi che concorrono a creare un best-seller. Potremmo annoverare nella categoria - tanto per restare in Italia - Luciano De Crescenzo, ma anche Luca Goldoni, Beppe Severgnini o Valerio Massimo Manfredi, oppure Sveva Casati Modignani e Maria Venturi.
Parlando invece del best-seller come 'prodotto editoriale', esso nasce da un insieme di idee ed elementi, interni ed esterni al libro, studiati per cercare di innescare quei processi mentali e psicologici che possono risultare determinanti per il successo.
Gli elementi costitutivi dell'idea vincente possono essere diversi: un titolo azzeccato (come Io speriamo che me la cavo di Marcello D'Orta, o Cioè di Luca Goldoni o Quando cucinano gli angeli di suor Germana); una collana indovinata, collocata inizialmente all'interno di un evento (come "Il battello a vapore" della Piemme); una copertina attraente e con un prezzo basso messo in grande rilievo (come nei "Miti" Mondadori); un personaggio intrigante e mediaticamente ben costruito (come Geronimo Stilton); un sapiente dosaggio di situazioni, sentimenti e personaggi (come nella collana "Harmony").
Lavorando su questi elementi anche attraverso una comunicazione efficace e un marketing aggressivo, si è arrivati a creare, se non un vero e proprio evento mediatico, un impatto forte in libreria e nell'opinione pubblica. Qualche volta all'istante, qualche altra volta a scoppio ritardato, come è capitato anche a opere poi diventate celebri e addirittura di culto, tipo L'amico ritrovato (1988) di Fred Uhlman.
Infine, è più che mai da considerare il best-seller come 'strategia di canale'. Il successo che hanno registrato in edicola i libri allegati a giornali e settimanali è diventato infatti un fenomeno imponente. Dopo aver riscontrato nel 2004 vendite per oltre 100 milioni di copie, continua ad autoalimentarsi senza cedimenti anche nel 2005. Inutile dire che allegati a quotidiani come Corriere della Sera o Repubblica, o a settimanali come Panorama o Espresso, Sorrisi e canzoni o Famiglia cristiana, intere collezioni o singoli titoli superano abbondantemente le 100.000 copie. Anche questa è una tipica operazione di marketing, che gioca un ruolo sempre più importante nelle strategie e nelle politiche finanziarie ed editoriali, perché, riuscendo a sfruttare e lanciare nel modo giusto un determinato prodotto (confezionandolo su misura, almeno nella veste e nel prezzo, per il canale edicola), si possono ottenere risultati decisamente positivi per i bilanci dei giornali (oltre che per quelli delle case editrici che cedono le licenze).
I best-seller 'invisibili'
Per concludere, bisogna però ricordare che, accanto ai best-seller delle classifiche librarie, esiste una categoria non meno ampia - e, a volte, anche di più forte impatto e più lunga durata - di best-seller 'invisibili', che non compaiono da nessuna parte, o perché sono commercializzati prevalentemente in librerie specializzate, o perché seguono canali, tradizionali o particolari, di vendita diretta. Si tratta di centinaia di migliaia di copie all'anno a titolo, come nel caso dei best-seller religiosi, le cui vendite sono concentrate per gran parte nelle librerie cattoliche.
Non c'è una classifica complessiva, salvo quella che viene stilata dalla rivista Letture, molto utile, ma non rappresentativa dell'intero universo delle vendite librarie nel circuito religioso.
La difficoltà di rilevazione nasce anche dal fatto che quello del libro religioso, oltre che essere un mercato nazionale, è anche un insieme di mercati locali, con forti impronte diocesane, capaci di assorbire in poco tempo migliaia di copie senza che nessuno possa registrarle.
Un caso assolutamente fuori del comune è stato negli scorsi anni quello del cardinale Martini, arcivescovo di Milano, le cui Lettere di Natale bruciavano ogni anno, in tre mesi (novembre-gennaio), oltre un milione di copie (di cui molta parte nelle sole librerie religiose di Milano) e le cui lettere pastorali si collocavano sempre tra le 90.000 e le 100.000 copie di vendita.
Per non parlare poi - anche escludendo la Bibbia (fuori concorso, perché se ne vendono, nelle varie edizioni integrali o parziali, milioni di copie ogni anno) - di tutti quei best-seller religiosi che fioriscono nella grande area biblica, catechetica e spirituale in forma di testi o di sussidi.
Qui si raggiungono a volte cifre inavvicinabili anche per gli habitués dell'alta classifica.
Accanto al settore religioso esiste tutta l'area giuridica ed economico-amministrativa, che certamente ha in alcune tipologie di opere di larga consultazione (codici, manuali, prontuari ecc.) testi che potrebbero senz'altro figurare nell'elenco dei best-seller. Così come c'è tutta una tipologia di libri (dai manuali di cucina alle guide turistiche), le cui vendite spesso esulano dai canali o dalle forme tradizionali di vendita, ma che - sul piano nazionale, regionale o locale - riescono ugualmente a raggiungere cifre assolutamente impensabili.
Esiste, di fatto, un mercato sommerso di best-seller che non sono e, in parte, non possono essere monitorati. Invisibili quanto reali, soprattutto per le tasche di chi li pubblica e di chi li vende.
bibliografia
A. Manguel, Una storia della lettura, Milano, Mondadori, 1997; Storia della lettura nel mondo occidentale, a cura di G. Cavallo e R. Chartrier, Roma-Bari, Laterza, 1995; J. Svenbro, Phrasikleia, anthropologie de la lecture en Grèce ancienne, Paris, La Découverte, 1988.
Cenni di storia della lettura
I diversi modi di leggere nel mondo antico
La ricostruzione delle pratiche di lettura nelle epoche passate si basa su documenti indiretti, ovvero sulle forme assunte nelle varie epoche dai libri e dalle altre testimonianze della cultura scritta. Uno dei più antichi esempi di scrittura è costituito da alcune tavolette sumeriche risalenti al 4° millennio a.C. e rinvenute nel 1984 a Tell Brak, in Siria. Su di esse compaiono una 'tacca', che secondo gli archeologi indicava il numero dieci, e due rozze figure rappresentanti una pecora e una capra. La natura del documento testimonia come la scrittura, e quindi la lettura, fossero inizialmente adibite a uso contabile, per tenere nota delle proprietà del singolo o della comunità. Ciò ha fatto ipotizzare (Manguel 1997; Cavallo-Chartrier 1995) che la lettura, riferita a cose che dovevano essere note a tutti, avvenisse pubblicamente e ad alta voce, abitudine poi perpetuata per testi di tipo militare, politico, religioso e anche d'intrattenimento.
Nel mondo greco-romano la lettura avveniva prevalentemente a voce alta o a voce sussurrata, comunque compitando il testo, che era scritto continuativamente, senza segni di interpunzione. La compitazione avveniva in piedi e la voce era accompagnata da gesti e movimenti del corpo. Questo carattere 'espressivo' condizionava a sua volta la stesura del testo, chiamato a mantenere intonazioni, cadenze e ritmi della tradizione orale, tenendo conto delle necessità dell'ascolto e della costruzione della memoria.
Sia in Grecia, a partire dal 6° e dal 5° secolo, sia fra i romani la lettura ad alta voce e quella canora erano tuttavia affiancate da quella silenziosa, come testimoniano, da un lato, la presenza in lingua greca di vari verbi per indicare l'azione di 'leggere', dall'altro alcuni passi di opere teatrali (per es. Ippolito di Euripide, Cavalieri di Aristofane), in cui sono rappresentati personaggi intenti a leggere silenziosamente. Nonostante la diffusione della lettura, sia sonora sia silenziosa, vi era una certa resistenza verso quest'attività, che poneva il lettore in posizione subalterna rispetto al testo. In diversi suoi scritti, Platone postulò la superiorità della conoscenza ascritturale, sostenendo che la scrittura, in quanto testo registrato, è un alibi della memoria e induce alla pigrizia mentale. Il rapporto lettore-scrivente è quello di un allievo sottomesso al suo maestro; da questa concezione deriva il carattere sprezzante dell'epiteto "un lettore" con cui Platone definiva Aristotele.
A Roma il pubblico di lettori non era costituito soltanto da persone colte: Cicerone nelle Tuscolanae disputationes (IV, 6 e I,6 in Cavallo-Chartier 1995) narra di alcuni volumi di pessimi poetae, disdegnati da intenditori dal gusto fine ma che avevano un loro circuito rappresentato da individui di modesta condizione sociale, artigiani e anziani, che leggevano (o ascoltavano) opere di historia per la voluptas, per il piacere della lettura, non per l'utilitas che se ne poteva trarre e che era il fine del lettore di istruzione elevata. Per quanto riguarda i formati, i prodotti scritti erano molti e diversi, da quelli esposti (iscrizioni e manifesti) ai documenti pubblici e privati, alle epistole, alle tavolette cerate usate nelle scuole; ma lo strumento principale della lettura era il libro in forma di volumen, cioè di striscia papiracea arrotolata, lunga circa 2,10 m, alta circa 30 cm, con il testo disposto su colonne affiancate, ciascuna con righe di circa 36 lettere (la lunghezza media di un esametro). La lettura avveniva svolgendo lentamente il rotolo tenuto con due mani, in modo da lasciare visibili al lettore non più di due colonne insieme; tale tecnica rendeva evidentemente difficile tornare indietro o andare rapidamente avanti alla ricerca di un passo e contribuiva alla lentezza complessiva dell'operazione.
Fra il 3° e il 4° secolo d.C. la sostituzione del libro in forma di codex al libro in forma di rotolo modificò profondamente le pratiche della lettura. Il codice, di solito di formato medio, poteva essere facilmente trasportato, conservato e sfogliato; inoltre conteneva una quantità di testo assai più ampia che non il rotolo. Il codice, determinando una maniera del tutto diversa di leggere i testi, creò nuovi spazi per la lettura: il nuovo lettore non era 'obbligato' a leggere dalle sue funzioni pubbliche, ma era libero di leggere per il piacere o l'abitudine o il prestigio della lettura.
Educazione religiosa e istruzione letteraria nell'Alto Medioevo
Il Medioevo ereditò dall'antichità una tradizione di lettura che abbracciava le quattro funzioni degli studi grammaticali (grammaticae officia): lectio, il processo di decodifica del testo (dalle lettere alle sillabe, alle parole fino alle frasi) per poterlo leggere ad alta voce secondo l'accentuazione richiesta dal senso; emendatio, prassi resa necessaria dalle condizioni della tradizione manoscritta, per la quale il lettore (o il suo maestro) correggeva la propria copia del testo, tentando di migliorarlo; enarratio, ovvero l'individuazione della forma retorica e letteraria e soprattutto del contenuto del testo; iudicium, la valutazione delle qualità estetiche o del valore morale e filosofico del testo.
Maestri e scrittori cristiani avevano applicato questa tradizione di insegnamento grammaticale all'interpretazione delle Scritture, con la conseguenza che educazione religiosa e istruzione letteraria risultavano strettamente connesse a ogni livello. L'apprendimento della lettura avveniva in maniera codificata: nelle scuole monastiche, una volta che si conosceva l'alfabeto, si passava alla tappa seguente, ovvero all'apprendimento delle frasi. Si imparava a memoria il Salterio, che era il solo libro di lettura agli inizi della scolarità; solo quando lo si sapeva recitare per intero si aveva il diritto di aprire la Bibbia. Scopo della lettura era la salvezza dell'anima. Tuttavia, in quest'epoca il libro era considerato un oggetto da scrivere come 'opera di pietà' e da conservare come tesoro, piuttosto che destinato alla lettura. Per questo si verificò una progressivo arretramento della diffusione dell'alfabetismo, anche presso i ceti dominanti.
In questo panorama la lettura collettiva cominciò a essere soppiantata da quella individuale, che si svolgeva nella forma della cosiddetta ruminatio, che era praticata tipicamente all'interno dei monasteri ed era costituita da un borbottio a bassa voce. In questa forma si espletava la lectio monastica, che serviva a fornire una base per la meditatio. Nella Regola di san Benedetto troviamo riferimenti alla lettura individuale e all'esigenza di leggere a sé stessi per non disturbare gli altri. La disposizione alla lettura silenziosa, benché indotta da considerazioni pratiche, è da associare a un mutamento di attitudine verso la parola scritta intesa non più come trascrizione del linguaggio orale, ma come mezzo per trasmettere le auctoritates del passato. Questa distinzione tra testo scritto e oralità era avvertita soprattutto dai lettori abitanti in aree che si erano trovate ai margini (o all'esterno) dell'Impero romano: per i parlanti di lingua celtica o germanica il latino era un sistema linguistico straniero, per cui spesso dovevano glossare il testo scritto con notazioni nei loro idiomi. A partire dal 10° secolo, anche per i parlanti di lingue romanze il latino scritto cominciò a rappresentare una forma diversa da quella orale, donde la necessità di glosse per interpretare con forme contemporanee o colloquiali le parole considerate arcaiche, obsolete o sconosciute. L'esigenza di un accesso più agevole ai testi avvertita da questi tipi di lettori stimolò grandi sviluppi nelle tecniche di rappresentazione del testo sulla pagina. Tra le novità la limitazione di varianti della stessa lettera che portò all'introduzione delle litterae absolutae, l'abbandono della scrittura continua, l'introduzione della littera notabilior per conferire maggiore enfasi visiva al principio di un testo o di una sezione, lo sviluppo della punteggiatura.
La rivoluzione culturale nell'età della Scolastica
A una situazione di lettura lenta e difficoltosa la rivoluzione culturale del 12° secolo sostituì un quadro completamente diverso. La cultura universitario-scolastica allora instauratasi in Europa aveva bisogno di libri rapidamente leggibili e consultabili da parte di molti: ne derivarono un forte aumento della produzione libraria e la creazione di un modello di libro con testo articolato, ben riconoscibile, corredato di commento, titoli, indici; reso, insomma, strumento di ricerca, di consultazione, di apprendimento professionale.
La lettura si trasformò progressivamente in un esercizio scolastico, poi universitario, regolato da proprie leggi. Non è un caso che il primo libro sulla lettura sia datato all'inizio degli anni Venti del 12° secolo: Ugo di San Vittore nel suo Didascalicon. De arte legendi poneva in primo piano il ruolo fondamentale della lettura nell'insegnamento. Inoltre, dato che la produzione letteraria era in continuo aumento, occorreva trovare nuovi metodi di leggere, più rapidi, che permettessero agli intellettuali di conoscere un gran numero di opere. Anche la ruminatio fu abolita: bisognava leggere velocemente e avere i mezzi per cercare facilmente gli argomenti che era indispensabile conoscere in un campo ben preciso. Come aiuto nella ricerca furono composti florilegi o raccolte di testi che consentivano di ritrovare rapidamente i passi cercati, fossero essi tratti dalla Bibbia, dai Padri della Chiesa o dagli autori classici, per dare maggiore peso alle proprie argomentazioni.
La lettura divenne di conseguenza una pratica rapida e silenziosa, esercitata di continuo su molti testi e svolta in luoghi adatti, come le biblioteche degli ordini monastici strutturate, dal 13° secolo in poi, in forma di salone oblungo attraversato da due file di banchi con i libri incatenati pronti per lo studio dei lettori. Contemporaneamente la voglia di leggere si espandeva anche fra i laici: nascevano le biblioteche 'cortesi' dei signori feudali, conservate nei castelli e nelle ville, e le raccolte librarie dei borghesi e dei mercanti, chiuse nei cassoni di casa, fra studiolo e letto, fatte di libri modesti, quasi sempre cartacei, spesso trascritti più o meno rapidamente dagli stessi possessori.
La lettura dall'Umanesimo all'età barocca
Quando, a metà del Quattrocento, nacque la stampa a caratteri mobili, l'Europa urbana era già ricca di lettori e possedeva più modelli di libri 'da leggere'. Ai grandi volumi in folio, adatti allo scrittoio, l'editoria rivoluzionaria del Cinquecento aggiunse i modelli del libro 'moderno' di piccolo formato: innanzitutto quello 'da mano' elegante e raffinato, lanciato sul mercato all'inizio del secolo da Aldo Manuzio, poi quello 'editoriale', fitto e maneggevole insieme, ricco di apparati di commento, di indicizzazione, di identificazione, fornito di frontespizio in cui il testo dell'autore era inquadrato, regolarizzato, reso leggibile e comprensibile dall'intervento, plurimo e articolato, del 'paratesto' editoriale. Fu quello il periodo in cui le grandi stamperie europee, di Svizzera, Olanda, Francia, Germania, crearono le strategie di una nuova leggibilità testuale, che era gestita appunto a livello editoriale e non più d'autore.
In età umanistica continuarono a essere usati i florilegi, le compilazioni di citazioni, passi scelti e brani vari utili per compendiare il sapere di un'intera disciplina. Tuttavia mutò l'atteggiamento degli studiosi verso questo tipo di prodotti: la ratio tese in tutti i campi a prendere il sopravvento sul concetto di auctoritas. Gli umanisti intrapresero il recupero dei classici per rimetterli in circolazione nella loro veste originale, liberandoli dall'apparato delle glosse medievali che ne avevano fortemente distorto l'intento originario.
Altro elemento importante della leggibilità del libro a stampa moderno fu il corredo illustrativo. Nel Cinquecento si cominciò a sostituire con la calcografia, più flessibile e capace di fornire migliori risultati tecnici, la xilografia, che rimase propria del libro di destinazione subalterna. Anche per quanto concerne l'apparato iconografico, alla crescente domanda di libri e d'informazione che i nuovi ceti urbani alfabetizzati ponevano con urgenza, l'editoria europea rispose con una serie variegata di prodotti, che andavano dal libretto di poche pagine, male stampato e rozzamente illustrato, fino al libro di lusso, ricco di raffinate calcografie. Dal punto di vista dei contenuti dei testi, invece, non vi erano grandi differenze tra lettori di condizioni sociali molto diverse. Le cesure culturali non erano determinate dallo statuto socioprofessionale. La confessione religiosa, l'appartenenza a una corporazione, la residenza in uno stesso territorio potevano definire, anche più che la condizione sociale, l'identità di un pubblico di lettori. Ovunque, in Europa, gli editori misero in atto una serie di strategie per ridurre i costi di fabbricazione e per avere una rete di distribuzione più articolata (attraverso ambulanti, sia in città sia nelle campagne), in modo da diffondere presso i lettori 'popolari' testi che avevano già avuto - in un'altra veste tipografica - una circolazione ristretta a nobili e letterati.
La stampa giocò un ruolo importante nella diffusione delle idee della Riforma e Controriforma; il modello cattolico era basato sull'ascolto e sulla parola, quello riformato sulla lettura individuale. Nel Seicento si ebbe una riduzione della produzione libraria e dell'ampiezza del pubblico. In particolare l'editoria italiana, dopo il Concilio di Trento, risentì delle restrizioni imposte dalla Chiesa che si era riservata il diritto di concedere l'imprimatur (si stampi) o di proibire l'uscita di un'opera e di perseguire non solo l'autore ma anche gli stampatori e i librai che contravvenissero alle disposizioni. Diminuì la produzione di opere storiche, filosofiche e politiche o anche letterarie di non sicura ortodossia; d'altro canto, vi fu una fioritura di testi di carattere religioso (libri di devozione, da messa, catechismi, biografie di santi) e di opere di consumo e di intrattenimento (soprattutto di tipo narrativo).
La lettura privata ai tempi della Rivoluzione francese
Nel Settecento la lettura trovò nuovi spazi, dalle biblioteche ai salons letterari, ai gabinetti di lettura, ove la borghesia urbana sfogliava giornali, gazettes, periodici, libri editi in più lingue, si istruiva, discuteva. Le enciclopedie, a partire da quella di Diderot e d'Alembert fino a quelle inglesi, contribuirono a far circolare attraverso la lettura nuovi e concentrati sistemi di apprendimento, resi in seguito popolari dalla cultura della Rivoluzione francese.
I viaggiatori riferiscono, a metà del Settecento, di una grande trasformazione delle abitudini di lettura in tutta Europa: in Inghilterra erano ampiamente diffusi 'fogli periodici' con annunci economici, notizie, interventi d'interpretazione saggistica dell'attualità, e 'fogli volanti', che entravano quotidianamente in molte case londinesi ed erano letti anche dagli operai durante la pausa-pranzo nelle fabbriche. A Parigi quasi tutti avevano un libro in tasca: si leggeva ovunque, in vettura, a passeggio, a teatro nelle pause, al caffè, nei negozi. L'Europa centrale del 18° secolo vide dunque una forte crescita del numero di lettori; la forma più comune di rapporto con la stampa consisteva in una lettura 'selvaggia', condotta in maniera ingenua, irriflessa e non disciplinata, alla quale si contrapponeva quella 'erudita' diffusa tra le élites intellettuali che comunque praticavano per lo più una lettura a scopo informativo, di varia natura ed enciclopedica, piuttosto che una specialistica e settoriale.
L'ideologia dei Lumi diffuse l'ideale di una lettura 'utile', intesa come un dovere civile e morale. Questa strategia ebbe un successo particolare presso il pubblico femminile della borghesia che, con il crescente benessere economico, poteva disporre di maggior tempo libero. Accanto a una produzione laica e spregiudicata, e a testi divulgativi di carattere filosofico e scientifico (per es. Newtonianismo per le dame di F. Algarotti), ambito di lettura della società colta e 'illuminata', circolavano settimanali edificanti che consigliavano specifiche 'biblioteche femminili' e incoraggiavano non tanto la formazione della femme savante, quanto una formazione moderata, strettamente limitata alla cerchia dei doveri familiari. Inoltre, per la prima volta si riconobbe l'esistenza di un nuovo pubblico di lettori, quello dei bambini e dei ragazzi, e un'attenzione crescente fu dedicata all'educazione alla lettura della gioventù.
L'aumento sensibile della produzione, dovuto alla nuova carta di pasta di legno e alle nuove tecniche di stampa, fece sì che l'editoria dell'Ottocento fosse in grado di reggere all'ingente domanda di lettura promossa in tutta Europa e negli Stati Uniti dalla diffusione dell'istruzione elementare. Le tirature dei giornali e dei libri arrivarono a cifre di centinaia di migliaia di copie, pochi decenni prima impensabili; nacquero i primi best-seller e le prime ditte editoriali organizzate come vere e proprie industrie, soprattutto in Inghilterra, Francia e Germania. Nei paesi anglosassoni la biblioteca di pubblica lettura (public library) divenne un elemento essenziale del paesaggio e della cultura della città; questo modello venne trapiantato anche nell'Europa continentale, ove però stentò ad attecchire.
Il best-seller tra Ottocento e Novecento
La parola best-seller fu coniata a fine Ottocento, quando la rivista di critica letteraria statunitense Bookman cominciò a pubblicare gli elenchi dei libri più venduti. In seguito furono considerate autorevoli guide del gusto letterario le rassegne che comparivano su Publisher's Weekly e The New York Times negli Stati Uniti e il Sunday Times di Londra, poi riedite in Bookseller. All'inizio vi era un atteggiamento quasi 'snobistico' nei confronti dei best-seller, in quanto si riteneva che i libri amati dal pubblico non avessero di per sé alcun valore letterario. Fenomeni editoriali, come i romanzi storici e d'appendice e la narrativa popolare, rappresentarono tuttavia un momento di svolta nella diffusione della cultura: basti pensare alla fortuna di Assomoir (1877) di Émile Zola, che vendette 150.000 copie nel primo anno di uscita, o di Uncle Tom's cabin (1852) di Harriet Beecher Stowe, che con 300.000 copie vendute nel primo anno e alcuni milioni in quelli successivi rappresenta il maggior best-seller dell'Ottocento. In Italia tra i successi più rilevanti di quel periodo furono Pinocchio (1883) di Carlo Collodi e Cuore (1886) di Edmondo De Amicis. Non bisogna poi dimenticare, accanto alla letteratura, l'importanza avuta alla fine dell'Ottocento dalla manualistica scientifico-tecnica nella diffusione del sapere e nell'addestramento al lavoro. In Italia, le collane La scienza del popolo (1867) di Treves e la Biblioteca del popolo (1873) di Sonzogno e i celebri Manuali Hoepli (1875) - destinati a formare generazioni di studenti degli istituti tecnici e professionali e a insegnare il mestiere a tanti artigiani e commercianti - sono esempi significativi di questo processo di allargamento della cultura.
Pur peggiorando la situazione editoriale nei primi decenni del Novecento, in particolare nel periodo della Prima guerra mondiale (crollo della produzione e stasi del mercato), la narrativa popolare - sempre più diffusa anche tra le donne e il pubblico di provincia -, le edizioni economiche e i libri per ragazzi ottenevano buoni risultati. Ciò accadde in Italia anche per il dinamismo di alcune case editrici milanesi appena nate (Corbaccio, Alpes, Barion, Modernissima, Corticelli), che affiancavano le già collaudate Sonzogno e Treves.
Un fattore di novità fu, negli anni Trenta e Quaranta del 20° secolo, la sempre più larga utilizzazione della fotografia d'arte e d'attualità nella copertina e all'interno di libri di natura letteraria e di consumo, secondo suggestioni proprie della grafica pubblicitaria, del cinema, dei settimanali illustrati, la cui capacità innovativa era, in Italia e altrove, più pronunciata in senso sperimentale di quella della produzione libraria.
La sempre crescente diffusione dell'alfabetizzazione di massa e dell'istruzione media fece nascere in Inghilterra i famosi tascabili Penguin books (1935), di formato ridotto e a costi popolari, presto imitati dappertutto, con rilevanti conseguenze per l'incentivazione della lettura di massa e per gli ulteriori sviluppi delle politiche editoriali soprattutto nei paesi anglosassoni.
Nel secondo dopoguerra prevalse in Europa e in Italia un esteso eclettismo che vide alternarsi modelli grafici diversi, ispirati ora a essenziale rigore (casa editrice Einaudi), ora a vivace figurativismo (case editrici Mondadori e Rizzoli). A partire dagli anni Cinquanta si registrarono un aumento della produzione e un moltiplicarsi delle iniziative all'insegna di una maggiore specializzazione. Si assistette allora alla nascita di una nuova generazione di editori impegnati culturalmente, politicamente e socialmente: Editori Riuniti (1953), Feltrinelli (1954), Il Mulino, Franco Angeli, Mursia (tutti nel 1955). Marchi già noti (Laterza, Einaudi, Mondadori ecc.) rinnovarono il catalogo, aprirono la strada alla cultura contemporanea proponendo nuove opere di letteratura italiana e straniera, mentre la Rizzoli nel 1949 inaugurava la via del tascabile con la collana BUR (Biblioteca Universale Rizzoli). Ebbe inizio in quegli anni il boom della narrativa, favorito dalla nascita dei premi letterari (Strega, 1947; Campiello, 1962) e del Club del Libro. Fra i grandi successi di scrittori italiani di quel periodo si possono citare Il gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa (1958), divenuto subito un best-seller e rimasto uno dei romanzi più venduti in assoluto, La ragazza di Bube di Carlo Cassola (1960) e Il giardino dei Finzi Contini di Giorgio Bassani (1962). Accanto agli italiani grande diffusione ebbe la narrativa straniera: basti ricordare, oltre al caso editoriale rappresentato dal Dottor Zivago (1957) di Boris Pasternak (2 milioni di copie vendute in Italia), il successo di romanzi come Il cardinale (1951) di Henry Morton Robinson, Lo spretato (1954) di Hervé Le Boterf, L'amore è una cosa meravigliosa (1955) di Han Suyin.
Negli anni Sessanta lo sviluppo economico e l'ampliarsi della scolarizzazione, con l'introduzione della media dell'obbligo (1963), impressero un decisivo impulso alla editoria scolastica e parascolastica: si specializzarono nel settore gli editori Le Monnier, Paravia, Zanichelli, La Scuola. Attraverso le edicole, con la loro diffusione capillare su tutto il territorio, cominciò la distribuzione delle grandi opere a fascicoli, prodotte da Fabbri, Sansoni, Vallardi, De Agostini, e delle edizioni tascabili di narrativa, rilanciate da Mondadori nel 1965 con gli 'Oscar', seguiti l'anno successivo dai 'Pocket' della Longanesi. Gli Oscar - offrendo a tutti la possibilità di accedere alle opere più rappresentative della letteratura del Novecento, a un prezzo conveniente e utilizzando un canale comodo come l'edicola - diedero un grande impulso alla lettura in Italia.
Notevoli trasformazioni avvennero tra gli anni Settanta e Ottanta caratterizzati, da un lato, dal formarsi di grandi gruppi editoriali nazionali e multinazionali, all'interno dei quali alla produzione libraria si affiancava quella della stampa periodica, dell'emittenza televisiva e dei prodotti multimediali, dall'altro, dal rapido crescere ed esaurirsi di piccoli e medi editori. Accanto ad aziende produttrici di testi di letteratura e saggistica si svilupparono con profitto imprese operanti nel settore economico-finanziario e dell'informatica (IPSOA, 1971; Jackson, 1975; Il Sole 24 Ore Libri, 1984; McGraw Hill Italia, 1986), altre attive nel campo scientifico e medico (Piccin-Nuova Libraria, 1980) e in quello teologico-divulgativo (Piemme, 1982).
Secondo dati ISTAT rielaborati dall'Associazione italiana degli editori, tra 1980 e 1990 il numero di libri pubblicati in Italia è quasi raddoppiato, passando da 19.500 a 38.000. Nel decennio successivo (1990-2000) si è registrata una crescita del 47%. La 'tiratura media', cioè il numero di copie stampate per ogni singolo libro, ha visto invece una costante diminuzione: nel 1980 era di 8500 copie, nel 1990 di meno di 6000, nel 2000 di circa 5000. Un fenomeno sempre in crescita è quello rappresentato dalle edizioni economiche e dal tascabile, portato alle estreme conseguenze negli anni 1994-95 dal supereconomico e dai libri 'millelire', lanciati da Stampa Alternativa e da Newton Compton. Nell'ambito delle edizioni economiche si colloca, dagli anni 2002-03, l'ampio successo di libri venduti in edicola in abbinamento ai quotidiani.
bibliografia
A. Cadioli, G. Vigini, Storia dell'editoria italiana, Milano, Editrice Bibliografica, 20052; G.C. Ferretti, Storia dell'editoria letteraria in Italia. 1945-2003, Torino, Einaudi, 2004; G. Vigini, L'editoria in tasca. Dati classifiche riflessioni 2004, Milano, Editrice Bibliografica, 20042.