betacismo
Betacismo (dal greco bētakusmós, all’incirca «il parlare usando il suono corrispondente alla lettera beta») è il processo fonetico in cui un suono fricativo labio-dentale sonoro /v/ o vocale alta posteriore /u/ muta nel suono occlusivo bilabiale sonoro [b]. Più in generale, in diacronia, si riscontra la diffusa intercambiabilità di tali suoni nel parlato, e di lettere nello scritto, già nella tarda latinità, spec. nel passaggio dal latino alle lingue romanze. La scrittura quindi è la prova che la confusione tra i due suoni, ben distinti in latino classico, è avvenuta su larga scala. Già nel I secolo d.C. le scritte di Pompei riportano, ad es., baliat al posto del latino classico valeat, o berus al posto del latino classico verus.
Tracce del fenomeno sono presenti in quasi tutte le lingue romanze e, benché l’italiano abbia pochi esempi attestati, per alcuni studiosi (come Giuliano Bonfante e Benvenuto Terracini) la sua origine andrebbe ricercata proprio in Italia, come naturale conseguenza della convivenza e coesistenza di forme latine con [v] accanto a forme italiche con [b] (umbro benus, lat. veneris «sarai / sia venuto»).
Tagliavini (1949: 246-247) osserva che in latino esisteva un unico segno ‹v› sia per [u] che per [w] semivocale e di conseguenza per [v], sicché la lettera ‹v› latina risultava equivalente al suono [w] con valore di semivocale come in uomo [ˈwoːmo]. Neppure la riforma ortografica dell’imperatore Claudio (10 a.C. - 54 d.C.) con l’aggiunta del simbolo per [w] semiconsonante ebbe grande successo ed evitò la confusione.
Come si vede negli scritti dei grammatici antichi, fu acceso il dibattito sulla pronuncia da parte di stranieri e di contadini di [u] come vocale invece che come semivocale [w]: la conseguenza di questo fatto fu che voci come uĕni (=vĕni) diventavano trisillabi [u.ĕ.ni] e non bisillabi come avrebbero dovuto essere [uĕ.ni]. Probabilmente, agli inizi del I secolo d.C. il suono [w] semivocale (o semiconsonante secondo alcune concezioni) si trasformò in un suono fricativo bilabiale [β] (suono presente oggi in spagnolo e in portoghese per le occlusive bilabiali sonore in posizione intervocalica: ad es., spagn. be[β]er «bere»).
Un’ulteriore conferma è riscontrabile nei prestiti latini in greco; in quelli più antichi, la lettera latina ‹v› pronunciata [w] viene resa in greco, generalmente, con ou. Si ottiene quindi óuikhos < vīcus (Plutarco), septémouir < septemvir (iscrizione di Pergamo, epoca di Traiano; Tagliavini 1949). In seguito, in maniera sempre più costante, venne interpretato come [β] con valore di fricativa bilabiale (così in neogreco). L’ulteriore evoluzione da bilabiale a labiodentale (come il suono [v] in italiano moderno) cominciò molto presto ma il fenomeno non ebbe uguale espansione nell’area romanza. Comunque, anche il suono [b] soprattutto in posizione intervocalica (in alcuni casi anche in posizione iniziale ma solo quando la parola precedente latina finiva per vocale e non si trovava in posizione di rafforzamento fono-sintattico (➔ raddoppiamento sintattico), è interpretato come fricativa bilabiale [β], come si vede nelle confusioni grafiche di alcune iscrizioni: cibes = cives (CIL III, 413, Smirne); vene = bene (CIL XIV, 1169, Ostia).
Quindi la confusione tra i suoni [v] e [b] è frequente e attestata nelle iscrizioni, nelle evoluzioni del romanzo, di alcune lingue romanze in particolare e in molti dialetti italiani: verbex = vervex (Corp. Gloss. Lat.), VII, 193 o berbex (Petronio), che diventa in rumeno berbece e in francese brebis; corvus ~ * corbus, da cui il rumeno corb, il francese corbeau, e l’italiano toscano corbo; nervus ~ nerbus, in italiano nerbo (ma anche nervo) e in francese nerf.
Quando [v] è in posizione intervocalica normalmente non ha corrispettivo fonico e tende ad essere eliminata soprattutto se precede la vocale [i]; la sequenza avi- si riduce ad au-, quindi avica diventa auca, avicellus > aucellus, ecc.; lo stesso esito si avrà per la sequenza avit che viene sostituita dalla forma ridotta e semplificata aut.
L’evoluzione della fricativa labiodentale sonora [v] latina in fricativa bilabiale sonora [β] prima e fricativa labiodentale sonora [v] poi (come in italiano) creò ulteriori confusioni nei prestiti tra le lingue romanze o tra queste e altre lingue, come nel caso della bilabiale /w/ germanica che fu resa, in latino, prima con ‹v›: wanga diviene vanga (in Palladio). Tale suono però risultava molto diverso dal suono [v] fricativo labiodentale sonoro del romanzo, sicché venne reinterpretato con un diverso fonema che però si avvicinasse percettivamente al suono germanico originale: nel latino del VI-VII secolo wardon diviene guardare e ciò succede costantemente anche nel romanzo (almeno tra i prestiti più antichi): w > ‹gu›, werra che diventa in italiano guerra e in francese guerre.
La situazione italiana può essere rappresentata attraverso le indicazioni di Merlo (1920: 240 segg.) e soprattutto analizzando l’isoglossa che separa l’Italia centro-meridionale da quella settentrionale presentando proprio la confusione o l’evoluzione di [b] in [v] e viceversa. In alcune zone il processo avviene solo in posizione intervocalica, in altre – come nei dialetti sardi e dell’Italia meridionale – l’opposizione funzionale e quindi la distinzione tra [b] e [v] è stata neutralizzata:
(1) Sardegna, logudurese [ˈboizī] «voi» < vōbis ~ [ˈbo:nu] «buono» < bŏnum
(2) Puglia, Altamura, Bari [ˈvai̯t] «vedo» < vĭd(e)o ~ [ˈvεi̯l] «bevo» < bibo
(3) Calabria, Catanzaro [ˈviu] «vedo» ~ [ˈvivu] «bere»
Nell’area definita da Merlo deve essersi neutralizzata la distinzione fra [b-] e [v-] anche in posizione iniziale con il suono che è stato realizzato da una precedente variante debole [β] o [v] sia in posizione intervocalica sia preceduta dalla (mono)vibrante [r]. La variante [b(ː)] lunga o geminata si realizza invece quando [v] è preceduta dalla fricativa sibilante apicale sorda [s] o quando si trova in un contesto di raddoppiamento fonosintattico.
L’iscrizione non dicere ille secrita a bboce ritrovata nella catacomba romana di Commodilla mostra nella scrittura l’esito della neutralizzazione del suono [b] e [v] del latino, cioè [b] raddoppiato in [bː] perché si trova in un contesto di RFS: a bboce < a voce.
In quasi tutti i dialetti meridionali si avrà quindi un processo da [b] a [β] o [v] in posizione intervocalica, seguito dal suono [r] o in posizione iniziale senza contesto di RFS, come in /ˈvarva/ o /ˈβarβa/; invece il processo è da [b] a [bː] in posizione iniziale ma con contesto di RFS, come in /kːiˈbːarβa/ o /kːiˈbːarba/.
Merlo, Clemente (1920), Fonologia del dialetto di Sora (Caserta), «Annali delle Università Toscane» 6, fasc. 5 (rist. anast. Bologna, Forni, 1978).
Merlo, Clemente (1924), L’Italia dialettale, «L’Italia dialettale» 1, pp. 12-26.
Merlo, Clemente (1929), Atti del I congresso internazionale etrusco (Firenze-Bologna, 27 aprile - 5 maggio 1928), Firenze, Rinascimento del Libro, pp. 229-230.
Merlo, Clemente (1933), Il sostrato etnico e i dialetti italiani, «L’Italia dialettale» 9, pp. 1-24.
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Ruggieri, Ruggiero M. (1949), Testi antichi romanzi, Modena, Soc. Tip. Modenese, 2 voll. (vol. 1º, Facsimili, vol. 2º, Trascrizioni).
Tagliavini, Carlo (1949), Le origini delle lingue neolatine. Corso introduttivo di filologia romanza, Bologna, Pàtron.