Ricasoli, Bettino
Uomo politico (Firenze 1809 - Brolio, Siena, 1880). Proveniente da una nobile e antica famiglia toscana, nutrì fin da giovane interessi scientifici che coltivò anche attraverso i numerosi viaggi in Europa compiuti tra il 1825 e il 1827. Nel 1834 divenne membro dell’Accademia dei georgofili e dal 1838 si dedicò al miglioramento delle tecniche agricole nei suoi possedimenti di Brolio, dove avviò anche numerose attività filantropiche volte a migliorare le condizioni dei mezzadri. Legato agli ambienti del cattolicesimo riformatore e del liberalismo moderato toscano, nel febbraio 1846 fu tra i firmatari di un memoriale indirizzato al granduca Leopoldo II per esortarlo alle riforme; l’anno successivo fondò a Firenze, insieme a Vincenzo Salvagnoli e Raffaello Lambruschini, il giornale «La Patria» con il programma di spingere i governi della penisola a collaborare, senza pregiudiziali unitarie o federalistiche, alla «costituzione della nazionalità italiana». Sempre nel 1847 fu inviato in missione presso Carlo Alberto perché questi si facesse mediatore con il papa nel conflitto che era scoppiato tra la Toscana e Modena in merito ad alcuni compensi territoriali; al suo ritorno fu nominato gonfaloniere di Firenze. Avversario dei democratici, dopo i moti del 1848-1849 fu favorevole al ritorno del granduca e fece parte della commissione di governo che lo invitò a riprendere il potere. Rimase però deluso dal ricorso di quest’ultimo all’esercito austriaco e, dopo la restaurazione, si ritirò dalla vita politica, dedicandosi all’amministrazione delle sue terre. Attese a lavori di bonifica e soprattutto introdusse nella lavorazione moderne macchine agricole. Tornò alla politica solo nella seconda metà degli anni Cinquanta. Nel 1857 fu tra i fondatori della «Biblioteca civile dell’italiano», strumento di aggregazione degli intellettuali liberal-moderati toscani. Dopo la fuga del granduca, nel 1859, fu nominato ministro dell’Interno del governo provvisorio della Toscana dal commissario straordinario piemontese Carlo Boncompagni e, dopo l’armistizio di Villafranca e il ritiro di Boncompagni, divenne capo del governo. Sostenitore di una rapida fusione con il Piemonte, vinse le resistenze dei conservatori e si adoperò per affrettare la dichiarazione di decadenza della monarchia lorenese e per lo svolgimento del plebiscito che sanzionò l’annessione della Toscana al Regno di Sardegna. Sempre nello stesso anno contribuì alla fondazione del quotidiano «La Nazione». Capo della maggioranza parlamentare del nuovo Regno d’Italia, alla morte di Cavour divenne presidente del Consiglio (1861), ricoprendo anche la carica di ministro degli Esteri e, dopo le dimissioni di Minghetti, quella di ministro dell’Interno. Alla guida del governo, Ricasoli si impegnò a combattere il brigantaggio e cercò di risolvere pacificamente la questione romana, a suo giudizio strettamente legata a un rinnovamento spirituale della Chiesa. A questo scopo riprese le trattative con la Francia, proponendo al governo di Parigi di farsi mediatore di una conciliazione tra l’Italia e il papato. Inviso al re e attaccato dai conservatori estremi per la sua tolleranza verso le associazioni democratiche, nel marzo 1862 si dimise. Ritornato al governo nel giugno 1866, a guerra già dichiarata all’Austria, lottò senza successo per avere il Trentino e per eliminare l’umiliante clausola della cessione del Veneto all’Italia tramite la Francia. Nel 1867 riprese la sua politica di pacificazione con il papato e promosse un progetto di legge sulla libertà della Chiesa e la liquidazione dell’asse ecclesiastico, basato sul principio della separazione tra Chiesa e Stato. Criticato sia dai laici sia dai clericali, si dimise nell’aprile del 1867 e, pur partecipando in seguito alla vita parlamentare, non vi ebbe più alcuna effettiva influenza. Rimase comunque fedele al suo programma e nel 1871 appoggiò in Parlamento l’approvazione della legge delle guarentigie che regolava i rapporti tra l’Italia e il papato.