Bhar¿trhari
Grammatico e filosofo indiano (ca. 5° sec.). Il suo opus magnum, il Vākyapadīya («[Trattato] sulla frase e sulla parola») ha un ruolo centrale nella cultura e filosofia indiane. Da una parte, nonostante Bh. non abbia avuto allievi, la sua influenza è essenziale per la scuola grammaticale (➔ vyākaraṇa) successiva, che attraverso Bh. assume dignità filosofica, tanto da essere riconosciuta fra i sistemi filosofici (➔ darśana). Dall’altra, sono stati influenzati da Bh. sia pensatori vedāntici, quali presumibilmente lo stesso caposcuola dell’Advaita Vedānta, Śaṅkara, sia filosofi legati a scuole tantriche come Utpaladeva. Bh. è invece stato influenzato da elementi buddisti, in partic. dalla Mādhyamaka (➔), e dalla distinzione di due livelli di realtà. Sul piano grammaticale, Bh. approfondisce alcune intuizioni del grammatico Patañjali circa il processo di significazione individuando nello sphoṭa (➔) l’elemento significante. Sebbene sia teoricamente possibile parlare di uno sphoṭa per ogni singola parola, giacché ogni parola, al contrario dei morfemi che la costituiscono, comunica un significato, Bh. sostiene che tale sphoṭa della parola sia solo, in ultima analisi, un’astrazione. Come infatti fonemi e morfemi non hanno realtà effettiva nel linguaggio e sono solo il risultato dell’analisi attuata dai grammatici, allo stesso modo anche le parole sono solo astrazioni a partire da unità più ampie, quali le frasi. Comprendiamo infatti un significato non sommando i significati delle singole parole che udiamo, bensì in un’unica intuizione, a partire dalla frase nel suo insieme. Sarebbe possibile obiettare che allora anche le frasi potrebbero essere considerate un’astrazione rispetto a unità testuali più ampie. In effetti, sebbene per gran parte della sua opera Bh. si occupi fondamentalmente di grammatica, il primo libro del Vākyapadīya sembra prevedere e accettare una simile conseguenza. Il linguaggio, infatti, vi è descritto come una realtà unitaria, cui le differenze sono solo sovrimposte.