BRUGI, Biagio
Nacque a Orbetello il 13 ag. 1855 da antica famiglia di magistrati e giuristi originaria di Bruges. Nel 1875 si laureò in giurisprudenza a Pisa, dove nei corsi di diritto romano gli era stato maestro F. Serafini. Dopo un periodo di perfezionamento in Germania, iniziò la carriera universitaria come docente di istituzioni di diritto romano dapprima a Urbino (1879-1881), poi a Catania (1882-1884), quindi a Padova (1885-1917), dove fu preside della facoltà giuridica, e infine a Pisa. In quest'ultimo ateneo lasciò l'insegnamento nel 1930 per limiti di età.
Se nell'ateneo pisano la formazione giuridica del B., oltre che dalla metodologia del Serafini, seguace e propugnatore della scuola storica tedesca, era stata influenzata dalle lezioni di S. Scolari, ispirate all'interpretazione positivistica del diritto, il periodo di perfezionamento compiuto in Germania sotto la guida degli ultimi diretti scolari del Savigny persuase definitivamente il B. che lo studio del diritto andava affrontato determinandone le componenti nella loro genesi storica e individuando nella progressiva formazione di queste i punti di contatto con le scienze politiche e sociali. Le successive esperienze di docente confermarono in lui questo convincimento, consolidatosi ben presto in un metodo di insegnamento teso a far avvertire agli studenti, fin dal loro primo accostarsi al diritto, la stretta relazione organica esistente non solo tra i vari settori della giurisprudenza, ma tra questa e le altre scienze sociali. Prendendo quindi spunto dalle vecchie "enciclopedie giuridiche", il B. compose una Introduzione enciclopedica alle scienze giuridiche e sociali nel sistema della giurisprudenza (Milano 1890) con l'intento di applicare la dottrina della scuola storica e della filosofia positiva al settore propedeutico tradizionale. Opponendosi recisamente alla metafisica del diritto e impostando scientificamente la ricerca sulla base del metodo induttivo, col dare tra l'altro importanza alla psicologia di massa quale spiegazione di molteplici fenomeni giuridici, l'opera si struttura attorno all'idea base della mutabilità e relatività delle istituzioni giuridiche, sempre dipendenti dalle condizioni della vita civile dei popoli.
Di fronte al rigido atteggiamento antifilosofico allora diffuso tra i cultori della giurisprudenza, negatori della validità di un'indagine giuridica non condotta con metodologia strettamente oggettiva, numerosi giuristi, tra cui il Bonfante, il De Francisci e lo stesso B., avevano preferito posizioni più elastiche, riconducibili alle dottrine del Vanni e dell'Ardigò, quelle che avrebbero dato al positivismo italiano la sua specifica configurazione "classica". Non era possibile, essi affermavano, affrontare con un atteggiamento di assoluta chiusura nei confronti dell'impegno filosofico il problema giuridico, di cui lo stesso positivismo dichiarava la complessa natura nell'ambito della realtà sociologica. Il B., in particolare, pur respingendo nell'individuazione del fenomeno giuridico ogni implicazione riconducibile all'idealismo o al giusnaturalismo, applicava la lezione dello storicismo in senso contrario a una mera riduzione materialistica.
A questo proposito, già nel 1883, nel saggio I romanisti della scuola storica e la sociologia contemporanea (Palermo 1883), sostenendo che la scuola storica è la forma che il positivismo ha assunto nel campo degli studi giuridici, negava che quella dovesse considerarsi antifilosofica, ché anzi ai suoi fondatori spettava il titolo di precursori della filosofia positiva. Alla base del modo di concepire la storia proprio della scuola del Savigny stava, difatti, una vera e propria dottrina filosofica, opponente al mondo sociale costruito dall’idealismo tedesco come prodotto della coscienza umana il mondo rivelato dalla storia e formatosi organicamente mediante questa. Nella lezione tenuta a Padova nel gennaio del 1908, dedicata a L'opera di Roberto Ardigò nella filosofia del diritto, il B. ribadiva che i giuristi non potevano appagarsi di "astratti articoli di legge, di nudi fatti storici, di ambigue cifre", ma avvertivano al contrario l'esigenza di studiare il diritto in quanto parte della realtà sociale, "come fatto che chiude una idea e come idea che è madre di nuovi fatti".
Più precisamente, rispetto alla controversia sorta negli anni successivi tra giuristi "puri", rimproverati di non sapersi sollevare dal mero tecnicismo, e studiosi di filosofia del diritto, il B. dichiarava che i giuristi, per maggior completezza delle loro indagini, potevano porsi anche il problema filosofico del diritto purché curassero di rimanere ben fermi al dato giuridico positivo. In due articoli sulla Rivista internazionale di filosofia del diritto (Fatto giuridico e rapporto giuridico, 1921, ed Equità e diritto positivo, 1923), scritti in polemica col Maggiore, precisò che la diffidenza dei giuristi per una impostazione prevalentemente filosofica era riconducibile alla loro consapevolezza dell'impossibilità di far coincidere i concetti filosofici con quelli giuridici.
Sulla base di questi principi metodologici il B. venne maturando coerentemente la sua ricerca istituzionale. Nelle Istituzioni di diritto romano giustinianeo (Verona 1894) è sua costante preoccupazione indicare nella precisa cognizione della norma, quale trovasi nella codificazione giustinianea, e nella sua successiva evoluzione, gli indispensabili elementi per una esatta valutazione degli istituti giuridici romani (onde il vasto uso delle fonti bizantine) con approccio insieme dogmatico e filosofico, che prelude alla tesi della "continuità del diritto romano" nel Medioevo, e la riproposta dell'esegesi romanistica come esegesi "pandettistica". Gli studi del B. sboccarono per questa via in opere di vasto impegno civilistico come le Istituzioni di diritto civile italiano che, nell'introduzione alla prima edizione (Milano 1904), ripropongono l'orientamento del B. "a vedere il diritto romano nel diritto odierno ed a giovarsi di questo per intendere quello".
In base al concetto che i principi generali del diritto da cui discendono i moderni codici sono in massima parte princip; di diritto romano ammodernato, il B. attinse al sistema elaborato dai romanisti il legame logico delle partizioni e dei capitoli delle Istituzioni e, quasi a dimostrazione concreta di quell'intima connessione, ad ogni paragrafo rinvia al paragrafo sul medesimo argomento delle sue Istituzioni di diritto romano. Il metodo poteva però avvalorare l'equivoco, in cui peraltro si era già incorsi in passato, di considerare gli articoli del codice civile fondati direttamente sul Corpus iuris, ignorando le profonde trasformazioni subite da quel diritto nel corso di una secolare evoluzione fino alle codificazioni moderne. Tuttavia, la vecchia trattatistica non andava oltre il meccanico raffronto tra istituzioni del diritto romano e norme del codice civile, con una sistematica artificiosa e soprattutto inadatta a far cogliere il nuovo spirito cui erano ormai informate molte antiche disposizioni, pur relativamente immutate nella forma. Laddove era necessario tener conto di ogni altro fattore costitutivo del diritto italiano, ricostruire la storia interna di ciascun istituto e dell'intero sistema, segnando così un ponte tra le dottrine romane e quelle moderne. E le Istituzioni del B., senza trasformarsi per questo da testo di esegesi dogmatica positiva in libro di storia, si proponevano di operare il coordinamento tra diritto civile e storia del diritto, unendo all'esposizione dei vari istituti regolati dal codice l'indicazione della loro formazione tramite gli apporti del diritto canonico, di quello germanico e tratteggiando in genere l'elaborazione dottrinale subita dalla primitiva norma romana nel corso dei secoli. Alcuni istituti, in particolare, ben si prestavano a tale indagine e sono quelli che caratterizzano maggiormente l'esegesi del B.: il diritto di proprietà, i cui elementi odierni sono ricercati nelle condizioni dell'istituto nel diritto intermedio, con particolare attenzione alle istituzioni feudali (sul tema il B. ritornerà con un'ampia monografia Della proprietà, in due volumi, Trani 1911); il diritto di famiglia, illustrato ampiamente nel progressivo evolversi della disciplina matrimoniale; gli istituti della tutela e della cura, la cui struttura moderna deriva da un mosaico di disposizioni di diritto romano e germanico; i rapporti di successione ereditaria, risultanti dalla contrapposizione tra diritto romano e diritto germanico, con recezione nel primo di numerose disposizioni del secondo.
L'inscindibilità della ricerca storica dall'insegnamento e dallo studio della giurisprudenza è ribadito dal B. negli scritti della piena maturità: in quest'ambito acquistano rilievo i saggi raccolti in Per la storia della giurisprudenza e delle università italiane (Saggi), Torino 1915, che costituiscono una rivalutazione della tradizione del rinascimento giuridico italiano. La polemica tra "romanisti" e "germanisti", che aveva diviso la storiografia giuridica agli inizi del secolo, è qui superata dalla considerazione storica dell'originale contributo esegetico della scuola della glossa e del commento e da una visione organica delle interrelazioni tra esegesi delle fonti romanistiche e lo ius novum, in primo luogo degli statuti comunali delle legislazioni principesche, che mette a fuoco per la prima volta in termini storicodialettici il concetto di diritto comune.
Ne nasceva anche un tentativo di periodizzazione, con l'individuazione di quattro fasi della nostra storia giuridica: la prima caratterizzata dalla riscoperta dei testi giustinianei e dalla loro diretta interpretazione, da Irnerio ad Accursio; il secondo, dei postglossatori, in cui si formano le dottrine; il terzo, dal sec. XVI al XVIII, all'epoca dell'egemonia del diritto romano comune; il quarto infine, quello della codificazione, i cui inizi erano collocati nel sec. XVIII.
Sul tema il B. ritornava nello scritto Per la tradizione italiana nella nostra giurisprudenza,conferenza tenuta nell’università di Napoli nel dicembre 1915, in cui ribadiva l'intento di restituire ai vecchi giuristi italiani quel posto cui avevano diritto nella storia della nostra giurisprudenza civile, di riunire organicamente in un sistema tutta la messe degli antichi autori, rintracciando i modi di formazione del diritto comune e dare a ciascun genere letterario il suo valore: dalla lezione al consulto, alla decisione, al trattato. Agli studi di storia del diritto il B. dedicò gli ultimi anni della sua vita; una parte di questi scritti raccolse nei due volumi di Per la storia della giurisprudenza e delle università italiane (Nuovi saggi),Torino 1925. Il B. fu socio nazionale dell'Accademia dei Lincei, membro dell'Istituto veneto e di altre accademie italiane e straniere e di numerose commissioni governative. Il 22 dic. 1928 era stato nominato senatore del regno.
Il B. morì a Desio il 21 maggio 1934.
Ricordiamo ancora tra le opere del B.: Il moderno positivismo e la filosofia dei giuristi romani(Urbino 1889); La scuola padovana di diritto romano nel sec. XVI (Padova 1888); Le dottrine giuridiche degli agrimensori romani (Padova 1887), che ebbe nel 1890 il premio reale dei Lincei.
Bibl.: R. De Ruggiero, Intorno al concetto della delegatio in diritto romano. Brevi note alla"delegazione" del prof. B., Torino 1899; P. De Francisci, B. B., in Il diritto romano, Roma 1923, pp. 63-67 (con bibl. completa delle opere); A. Ascoli, B. B., in Riv. di diritto civile, XXVI (1934), pp. 485-486; F. Ferrara, Un nuovo manuale di istituz. di diritto civile, in Scritti giuridici,III, Milano 1954, pp. 299-320; L. Caiani, La filos. dei giuristi ital., Padova 1955, passim; F. Tessitore, Crisi e trasform. dello Stato, Napoli 1963, pp. 110-112; Digesto Italiano, I, p. 584; Encicl. Ital., App., I, p. 323.