MIRAGLIA, Biagio
MIRAGLIA, Biagio (Biagio Gioacchino). – Nacque il 21 ag. 1814 a Cosenza, da Nicola e da Teresa Peluso.
Nella prima età, caratterizzata dagli spostamenti di residenza dettati dagli incarichi del padre, magistrato della Corte criminale, seguì corsi di studi discontinui e, quindicenne, fu mandato a Napoli per completare la sua istruzione superiore. Il M. mostrò precocemente inclinazioni letterarie e già nel 1832, a soli diciotto anni, compose la tragedia Coriolano (pubblicata a Napoli nel 1834). Tuttavia si indirizzò agli studi di medicina laureandosi nel 1837 all’Università di Napoli, dove ebbe maestri V. Lanza e G. Lucarelli. Il suo primo esercizio professionale fu in un villaggio della Calabria ionica, ma dopo quattro anni tornò a Napoli per perfezionare la propria formazione.
Fino dagli inizi dell’attività pubblicò brevi memorie su argomenti di clinica (casi di epilessia e tetano, febbri periodiche e loro cura con la china, pleuro-polmonia epidemica) e di chirurgia (Su di un caso di litotomia eseguita da esso con modificazione di metodo, Napoli 1842; Appendice al caso di trapanazione del dottor T. Riboli. Lettera del dott. G. Biagio Miraglia …, al sig. cav. S. De Renzi, in Il Filiatre Sebezio, XVI [1846], 31, pp. 201-207).
Decise poi di dedicarsi specialmente alle alienazioni mentali, che furono da allora al centro dei suoi interessi scientifici e professionali. Nel 1842, come medico presso il reale morotrofio di Aversa, entrò in contatto con L. Ferrarese e con il pensiero dei maestri di questo, F.J. Gall e J.C. Spurzheim. L’istituto, aperto nel 1813, era stato diretto con intelligenza e umanità da G.M. Linguiti fino al 1825 e, dal 1831, dopo qualche anno di gestione incerta, era tornato a funzionare come istituto moderno sotto la guida di G. Simoneschi. Fu per molti decenni l’unico manicomio del Regno per le province «al di qua del Faro» e raccoglieva quindi un ragguardevole numero di ricoverati, presentando di continuo problemi di sovraffollamento e necessità di ampliamenti; tuttavia era visto e giudicato favorevolmente nel panorama coevo italiano ed europeo degli stabilimenti per pazzi. In quell’ambiente il M., dopo qualche iniziale incertezza, abbracciò decisamente la dottrina frenologica che, nello studio delle facoltà psichiche e delle forme di alienazione, cercava di seguire tentativi di sistematizzazione razionale, assumendo come principio la localizzazione delle funzioni nel cervello.
Di là dalle evidenti debolezze intrinseche, la frenologia aveva offerto in quegli anni un forte stimolo nell’orientare decisamente gli alienisti allo studio del sistema nervoso, enunciando che non si può concepire un’idea prodotta dalla mente umana senza collegarla a un movimento specifico delle fibre della materia cerebrale. Abbracciate quelle teorie, il M. le applicò al tema di una classificazione uniforme delle malattie mentali sollecitata nel congresso degli scienziati italiani riunitisi a Lucca nel 1843 (cfr. Diario della V Unione degli scienziati italiani … 1843, Lucca 1844, p. 635) e oggetto di un intervento ai lavori della settima riunione in Napoli, il 27 sett. 1845 (Atti della VII Adunanza degli scienziati italiani … 1845, Napoli 1846, pp. 134 s.).
Il M. proponeva una classificazione improntata alla frenologia, sostenuta dall’esperienza di osservazioni cliniche e anatomopatologiche nel morotrofio di Aversa, ma dovette confrontarsi con numerose obiezioni, vista la debolezza delle dimostrazioni sull’associazione di anomalie cranioencefaliche e follia.
Nei lavori del congresso degli scienziati tenutosi a Genova nel settembre 1846, le sue idee furono presentate da T. Riboli (Atti della VIII Riunione degli scienziati italiani … 1846, Genova 1847, pp. 788-791), che pure le portò all’attenzione del successivo congresso (Venezia 1847). Evitava le ipotesi di classificazione su base sintomatica e vedeva i disordini mentali divisibili in grandi classi: le follie o alienazioni degli istinti e dei sentimenti che si manifestano in pulsioni ed emozioni irresistibili e incorreggibili, comprendenti le manie e le melanconie; ovvero le follie o alienazioni delle facoltà percettive e riflessive che si presentano in incoerenza di idee, allucinazioni, sragionamenti, demenze o idiotismi.
La nozione di «organografia» cerebrale era la guida sicura per identificare i tipi di alienazione, nella convinzione che dalla morfologia cranioencefalica dipendessero i comportamenti, gli istinti e i sentimenti del soggetto analizzato (cfr. Osservazioni medico-frenologiche: se e quando la frenologia possa recar luce, od essere guida nelle conoscenze delle mentali alienazioni, Aversa 1845; Cenno su di una classificazione e di una nuova statistica delle alienazioni mentali: fondate su principî frenologici considerati nei loro rapporti con la patologia del cervello, ibid. 1847).
Nel manicomio di Aversa il M. riuscì anche a far nascere e diresse quello che può essere considerato il primo periodico psichiatrico apparso in area italiana: il Giornale medico-storico-statistico del reale morotrofio del Regno delle Due Sicilie per la parte citeriore al Faro, che iniziò la pubblicazione nel 1843, visse per circa un biennio e ospitò le osservazioni cliniche raccolte nell’istituto.
Nella rivista trovarono spazio altresì articoli di anatomia, fisiologia, polizia medica, medicina legale, fra cui: Ricerche statistiche dell’anno 1842 (1844, vol. 1, pp. 73-88); Fisiologia intellettuale, funzioni del cervello come organo materiale del pensiero, pp. 109-119; Patologia intellettuale, funzioni cerebrali che derivano da viziosa conformazione organica, pp. 121-124.
Furono anni di intensa attività, nello studio delle problematiche nosocomiali (Progetto di uno stabilimento di alienati pel Regno di Napoli, Aversa 1849), ma anche nell’applicazione della frenologia se nell’ottobre 1847, incontrato il poeta G. Regaldi, il M. si diede a tracciarne la cranioscopia e un profilo frenologico. Pure manteneva una pratica clinica e segnatamente chirurgica: aveva abbracciato subito la novità dell’anestesia con etere solforico e la praticò personalmente in alcune operazioni chirurgiche nel 1847, interessato in particolare ai fenomeni di sospensione delle facoltà mentali.
L’impegno nella medicina non gli impedì di coltivare gli interessi letterari di cui diede prova: le tragedie Messalina (ibid. 1844), Il Corsaro (ibid. 1844) e altre rimaste inedite, nonché un certo numero di composizioni poetiche, solo in parte date alle stampe. Ma proprio l’esercizio letterario fu per lui causa di gravi conseguenze: dopo l’insuccesso della spedizione dei fratelli Bandiera e la loro condanna a morte nel 1844, aveva pubblicato i quattro canti del poema I martiri di Cosenza (ibid. 1848), considerato generalmente il migliore fra i suoi prodotti letterari, ma che lo espose politicamente perché inteso come ostile al potere borbonico e carico di sentimenti aperti al liberalismo. Nell’ottobre del 1848, destituito dall’incarico ospedaliero, il M. fu imprigionato nel carcere di Aversa dal quale, nel gennaio del 1850, fu trasferito a quello di Castel Capuano e quindi in altre prigioni napoletane, dove entrò in contatto con altri patrioti. Nel dicembre del 1851 si celebrò il processo nel quale fu condannato a dieci anni, pena poi condonata perché compresa nell’indulgenza sovrana.
Tuttavia, una volta scarcerato non gli fu consentito di riprendere subito il posto nel manicomio. Non cessò comunque di applicarsi alla ricerca e proprio in quel periodo diede la sua maggiore opera scientifica, il Trattato di frenologia applicata alla medicina, alla giurisprudenza criminale, all’educazione, alla morale, alla filosofia, alle belle arti (I-II, Napoli 1853-54, pubbl. con l’aggiunta di un Atlante), che resta una fra le più ragionate ed equilibrate opere frenologiche italiane.
Volgendosi decisamente verso le ipotesi organiche della malattia, si allontanava dalle posizioni di una psicologia filosofica e dalle disquisizioni spirituali estranee alla mentalità moderna dei medici osservatori della natura. In una visione materialista sosteneva che le operazioni dello spirito hanno una loro base negli atti cerebrali, che le facoltà mentali sono manifestazioni psico-organiche e quindi anche le pulsioni della follia devono ritenersi affezioni dell’encefalo. Le sue argomentazioni si conformavano ancora decisamente ai precetti delle teorie frenologiche che già allora avevano perso vigore, nel transitare della medicina verso forme più mature di interpretazione nello studio del sistema nervoso e dei disturbi mentali. Si può dire che egli tardò ad abbandonare la frenologia e che, in un certo senso, non se ne allontanò mai del tutto, anche quando la massima parte degli alienisti aveva cambiato orizzonti. Rimasto troppo fedele a dottrine ormai superate, ebbe comunque il merito di coltivare e diffondere negli studi psichiatrici l’indirizzo somatico (Rassegna dei lavori e delle opere del dott. B.G. M. intorno alla fisiologia e patologia del cervello, Aversa 1860). Nella dimensione frenologica anche la craniologia aveva importanza rilevante nei suoi studi e lo guidò all’esame di alcuni crani di giustiziati, da molti anni esposti in gabbie sui muraglioni di Castel Capuano, confrontandone l’identità nei documenti d’archivio relativi al loro delitto (Parere frenologico sul cranio della celebre Giuditta Guastamacchia, di suo padre e di altri complici, grandi delinquenti giustiziati in Napoli in aprile 1800, Napoli 1876).
Alla morte di Simoneschi, il M. ne tracciò il necrologio (Biografia di Giuseppe Simoneschi, ibid. 1856). Richiamato in servizio presso l’istituto di Aversa ne ebbe poi, nell’agosto 1860, nel turbine di novità politiche dopo la caduta del governo borbonico, la nomina a direttore, succedendo a F. Cleopazzo. Rielaborata la gerarchia ospedaliera, operò per modificare le condizioni di vita generali del morotrofio, improntando la sua azione al recupero dei ricoverati, raccomandando l’uso delle cartelle cliniche e una gestione secondo criteri di disciplina e trattamento umano, per allontanare l’abuso dei mezzi coercitivi.
Senza dismettere la tradizione del «trattamento morale», si metteva in primo piano la necessità di cure mediche; in questo senso nel manicomio egli volle una farmacia che era mancata sino a quel momento. L’ergoterapia era il principio irrinunciabile nell’organizzazione dell’istituto, come complemento delle cure, con gli ordinari incarichi manuali e con spazio alle occupazioni di lettura, di musica e di teatro. Le rappresentazioni teatrali dei folli organizzate dal M. diedero all’istituto una notorietà che andò anche fuori degli ambienti specialistici. La pratica della drammaturgia era già stata adottata da Linguiti, ma ora fu ripresa con più ambiziose energie organizzando una compagnia di malati-attori e facendola recitare fuori dal manicomio, nei teatri di Napoli e Caserta. Il «teatro dei folli» fu portato sul palcoscenico del teatro del Fondo di Napoli nel 1862 e poi, incoraggiato dalla riuscita del primo esperimento, di nuovo nel 1863.
Si faceva notare come maggiore interprete e primo attore un paziente di nome F. Persio, ammirato anche da A. Dumas père che durante la sua permanenza a Napoli aveva assistito agli spettacoli e volle visitare l’ospedale di Aversa, pubblicando subito le sue impressioni (I pazzi di Aversa, in L’Indipendente [Napoli], III [1862], 92, pp. 1 s.; Les fous du docteur M., in La Presse, 6, 7, 8 giugno 1863).
Il M. diede spazio a raccolte anche craniologiche di interesse museale che ebbero tuttavia vita effimera (Museo patologico del r. morotrofio, in Annali frenopatici italiani, I [1863] 1, pp. 90-102). Nel 1866 tenne la commemorazione di Linguiti: Per l’inaugurazione del busto di G.M. Linguiti nel r. manicomio di Aversa. Discorso … (ibid., IV [1866], 2, pp. 130-159).
Il M., che fu interessato anche alla progettazione di un manicomio femminile, aveva tracciato le linee delle proprie idee nel Programma di un manicomio modello italiano seguito dall’applicazione dei precetti del programma alle riforme del r. morotrofio di Aversa (Aversa 1861) che inviò al Parlamento nazionale suggerendo un sistema uniforme di asili per alienati in Italia, secondo un modello gestionale con al centro la figura del direttore che doveva impersonare insieme un medico alienista sperimentato e un capace amministratore, superando così la delega ai religiosi e alle confraternite.
Appena assunta la direzione dell’ospedale, volle nuovamente cimentarsi con una rivista scientifica e nel 1860 pubblicò i primi tre fascicoli che prese a stampare regolarmente solo nel 1863 con il titolo di Annali frenopatici italiani. Giornale del r. morotrofio di Aversa e della Società frenopatica italiana.
Si trattava di un giornale attento soprattutto alla vita interna e alle ricerche dell’istituto che tuttavia, anche in ragione del suo orientamento decisamente frenologico, restò ai margini dei dibattiti scientifici che ormai avevano modificato gli interessi della ricerca psichiatrica. Il M. vi pubblicò diversi lavori che toccavano temi clinici, organizzativi e dati statistici.
Riprendendo un progetto di associazione scientifica, cui aveva pensato già da diversi anni, nel 1861 il M. aveva dato vita in Aversa alla Società frenopatica italiana di cui fu presidente e che, pur raccogliendo l’adesione di diversi alienisti, non ebbe fortuna.
Si vedano: Fondazione della Società frenopatica, in Gazzetta medica italiana. Province sarde, XI (1861), pp. 279 s.; Rendiconto della Società frenopatica italiana, in Annali frenopatici italiani, I (1863), 2, pp. 103-117. Si trattava comunque della prima iniziativa di collegamento scientifico tra i medici specialisti del settore, che dopo qualche anno avrebbero costituito la più fortunata Società freniatrica italiana, a Roma nel 1873, cui egli stesso aderì.
Il M. aveva tenuto corsi liberi di frenologia e di malattie mentali (Programma del corso libero gratuito di frenologia applicata allo scibile universale …, Aversa 1862; Prolusione al terzo corso di frenologia …, Napoli 1874) ed ebbe l’incarico dell’insegnamento di clinica delle malattie nervose e mentale nella facoltà medica dell’Università di Napoli, ma limitatamente all’anno 1862-63 (Memorie originali, prolusione inaugurale per la clinica delle malattie mentali …, in Annali frenopatici italiani, I [1863], 1, pp. 9-24).
La sua gestione del manicomio con decise idee innovative (Osservazioni al rapporto della commissione tecnica nominata dalla Deputazione provinciale di Terra di Lavoro per riferire sullo stato del morotrofio di Aversa, Aversa 1869) aveva però incontrato una serie di opposizioni locali e, in ragione di difficoltà, tensioni e contrasti con gli ambienti degli amministratori, il M. lasciò la direzione dell’ospedale nel 1869 («io era avversato perché volevasi ad ogni modo ridurre il Direttore all’ufficio dell’infermiere […] i clericali hanno qui grande dominio», scriveva in una lettera al ministro, pubblicata da B. Miraglia jr.: 1955, p. 394) e negli anni seguenti operò in una clinica privata per la cura dei disturbi mentali a Capodichino, continuando i suoi studi. Diede allora il lavoro statistico sul Movimento dei pazzi del manicomio di Aversa dal 1813 a tutto il 1869 (in Archivio italiano per le malattie nervose, VIII [1871]).
Spesso chiamato come perito nei giudizi penali, negli ultimi anni il M. si diresse verso lo studio di questi temi, lavorando anche su questioni che si arricchivano allora dei contributi dell’antropologia criminale lombrosiana e della scuola criminologica positiva.
Nell’opuscolo Sulla procedura nei giudizi criminali e civili per riconoscere l’alienazione mentale. Osservazioni medico-psicologiche-legali (Napoli 1870) sintetizzava la discussione su temi di notevole interesse giurisprudenziale, le problematiche cliniche della «pazzia ragionante», le cautele nell’esame della simulazione e della dissimulazione, il ricovero disposto da autorità giudiziaria e non in via amministrativa, il principio della convinzione morale del giudice quale base precipua nei giudizi, la funzione dei periti medico-legali. Inviando il suo scritto a P.S. Mancini, ministro di Grazia e Giustizia, ne ebbe una lusinghiera lettera di ringraziamento, insieme con l’invito a collaborare ai lavori per il nuovo codice penale.
Tornò sul tema della «follia ragionante» pubblicando La legge e la follia ragionante ossia Considerazioni medico-legali su lo stato di mente della signora Teresa Santoro querelante di sequestro della propria persona in un manicomio (Napoli 1871). Nelle pagine concernenti Gli studii e l’insegnamento della medicina mentale, la legge e gli alienati, e l’organizzazione dei manicomii in Italia. Prolusione al corso di medicina mentale … (ibid. 1873) riassunse le proprie posizioni di dottrina nella medicina legale e nella medicina forense, raccomandando riforme nelle procedure civili e penali. In uno degli ultimi lavori (Questioni filosofiche, sociali, mediche e medico-forensi trattate coi principii della fisiologia del cervello, ibid. 1883) offrì un corpus riassuntivo dei suoi studi sulle patologie del cervello, con l’esame di alcuni profili frenologici di figure celebri della storia, uniti a casi di psichiatria forense e alle sue idee in ordine a vari problemi legislativi e ai progetti di legge sui manicomi e sui manicomi criminali. Non aveva abbandonato l’interesse per la craniologia di derivazione frenologica e volle comparare la maschera di morte di Napoleone con la fisionomia di Garibaldi (Parere frenologico su Napoleone I e Giuseppe Garibaldi, ibid. 1884), per spiegare nella forma del cranio le diverse attitudini personologiche, facoltà affettive e facoltà intellettive dei due personaggi storici. Aveva già pubblicato un Parere frenologico su Vincenzo Bellini (ibid. 1882) e si era intrattenuto pure Sul talento della musica: considerazioni frenologiche (ibid. 1878); una conferenza (Contro la vivisezione negli animali, ibid. 1884) gli valse un premio della Società zoofila di Torino. A un ampio studio di criminologia si diede negli ultimi momenti della sua vita, quando fu consulente della difesa nel processo del soldato pluriomicida S. Misdea, lavorando con Lombroso. Il Parere freniatrico legale su Salvatore Misdea, (Napoli 1884) fu l’ultimo lavoro pubblicato.
Nel 1884 il M. lasciò l’incarico di consulente del manicomio di Nocera Inferiore. Ormai estraneo alle generazioni di alienisti che animavano la discussione scientifica, il M. morì a Napoli il 14 marzo 1885.
La sua vita familiare era stata segnata dalla morte della moglie Maria Rosa, vittima del colera nel 1854. Si risposò poi con Giuseppina Tucci, molto più giovane di lui, dalla quale ebbe sei figli. Il M. fu inoltre cavaliere dell’Ordine dei Ss. Maurizio e Lazzaro, ufficiale dell’Ordine del Medjidje dell’Impero ottomano e membro di numerose accademie e società scientifiche italiane e straniere.
Fonti e Bibl.: Fra i necrologi si vedano: Annuario scientifico ed industriale, XX (1885), p. 797; Riv. sperimentale di freniatria e medicina legale, XI (1885), p. 36; Ricordo per B. M. professore di psichiatria all’Università di Napoli, Nocera 1888. Cenni biografici in: F. Cascella, Il r. manicomio di Aversa nel I centenario della fondazione …, Aversa 1913, e C. Colucci, B. M. nel centenario della sua nascita, (estr. da L’Eloquenza [Forlì], 1915, f. 3-4, pp. 5-7). Il nipote del M., su documenti e memorie di famiglia, ne ha tracciato il profilo più completo in diversi contributi: B. Miraglia jr., Un grande frenologo italiano B.G. M., in Boll. dell’Istituto storico italiano dell’arte sanitaria, IX (1929), 6, pp. 217-243; Id., Un alienista patriota, B. M. nel cinquantenario della sua morte, Milano 1936; Id., Patria e libertà nella poesia di uno scienziato del ’48, Vicenza 1950; Id., Alcuni crani di famosi delinquenti giustiziati in Napoli nell’800 studiati da uno scienziato dell’epoca B. M., in Atti e memorie dell’Acc. di storia dell’arte sanitaria, s. 2, XIX (1953), 4; Id. Medici, frenologi e psichiatri del sec. XIX (da alcune lettere inedite), in Annali di neuropsichiatria e psicoanalisi, II (1955), 3, pp. 319-406. Sul ruolo prioritario nella stampa periodica di psichiatria: M. Levi Bianchini, Contributo alla storia della stampa psichiatrica e neurologica in Italia dalla origine (fine del sec. XVIII) all’epoca attuale, in Arch. generale di neurologia, psichiatria e psicanalisi, I (1937), pp. 5 ss.; G. Padovani, La stampa periodica italiana di neuropsichiatria e scienze affini nel primo centenario di vita (1843-1943), Milano 1946, pp. 7-13. Poco aggiunge la bibliografia più recente: A. Puca - C. Enselmi, L’ospedale psichiatrico «S. Maria Maddalena» (già real manicomio) di Aversa. Cenni storici …, in Rass. di neuropsichiatria, IX (1955), pp. 11 s.; G. Mora, B. M. and the development of psychiatry in Naples in the eighteenth and nineteenth centuries, in Journal of the history of medicine and allied sciences, XIII (1958), pp. 505-523; F.M. Ferro, Ideologia e istituzione nel pensiero psichiatrico italiano dell’Ottocento, in Giorn. storico di psichiatria dinamica, V (1981), 9, pp. 93-122; V.D. Catapano, Le reali case de’ matti nel Regno di Napoli, Napoli 1986, ad ind.; S. Campanile - F. Martelli, La nozione di «follia ragionante» nel pensiero di B. M. e la prospettiva della psichiatria forense in una memoria del 1871, in Riv. sperimentale di freniatria e medicina legale, CXVII (1993), pp. 694-713; P.F. Peloso, Argomenti psichiatrici all’VIII Riunione degli scienziati italiani in Genova (1846), in La Berio (Genova), XXXVII (1997), 2, pp. 3-20; F.M. Ferro, M. e l’incendio di Aversa, in Psichiatria e storia. Immagini e modelli della follia dal Rinascimento al positivismo, Pescara 2000, pp. 83-92; M. Alessandrini, Tra teatro e follia: da un’esperienza storica di teatro terapia manicomiale a una lettura dell’attività teatrale, Roma 2001, ad ind.; A. Dröscher, Le facoltà medico-chirurgiche italiane (1860-1915), Bologna 2002, p. 171; C. Pogliano, B. M., in Anthology of Italian language psychiatric texts, a cura di M. Maj - F.M. Ferro, www3.interscience.wiley.com., pp. 77-92; G. Salomone - R. Arnone, La nosografia psichiatrica italiana prima di Kraepelin, in Giorn. italiano di psicopatologia, 2009, vol. 15, 1, pp. 75-88.
G. Armocida