PACE, Biagio
PACE, Biagio. – Nacque a Comiso (Ragusa) il 13 novembre 1889 dal barone Salvatore e da Carolina Perrotta, ambedue appartenenti all’aristocrazia terriera locale.
I genitori sarebbero stati nostalgicamente rievocati da Pace, all’apice della carriera, come coloro che gli avevano «precostituito ineguagliabili condizioni materiali, morali e sentimentali di lavoro» (Di Stefano, 1987, p. 76).
Instradato a studi umanistici dalla cospicua biblioteca paterna e dalla feracità archeologica delle proprietà di famiglia, ubicate nel cuore della regione iblea, frequentò il liceo a Palermo, avendo come insegnante di lettere latine e greche Innocenzo Coglitore, autore (1883-84) di fondamentali studi storico-topografici sulla Sicilia occidentale, grazie ai quali era stato fugato ogni dubbio circa la precisa ubicazione di Mozia, rilevante sito punico allo studio del quale Pace avrebbe dedicato le sue migliori energie, in un ininterrotto sodalizio con la famiglia Whitaker, che ne era proprietaria.
Nel 1909 si iscrisse alla facoltà di Lettere dell’ateneo palermitano – dove ebbe modo di seguire, fra gli altri, i corsi di Giovanni Alfredo Cesareo (letteratura italiana), Giovanni Gentile (storia della filosofia), Oreste Zuretti (letteratura greca), Carlo Alfonso Nallino (filosofia araba e storia islamica), Oreste Nazari (glottologia) e Nicola Zingarelli (storia comparata delle letterature neolatine) – laureandosi poco più che ventiduenne (1912) con lo storico d’orientamento positivista Gaetano Mario Columba. Il magistero di quest’ultimo si rivelò cruciale per cogliere il valore dell’interazione tra discipline diverse (topografia storica, geografia economica, linguistica, scienze naturali), nonché l’importanza di una serrata analisi critica e filologica delle fonti letterarie per lo studio dei multiformi aspetti del mondo classico. Ma larga influenza sulla sua maturazione scientifica ebbero anche Antonio Salinas, museografo e archeologo di formazione mitteleuropea, e il roveretano Paolo Orsi, attivo in Sicilia da un ventennio, il quale nel 1909 lo volle al suo fianco come ‘apprendista’ negli scavi della necropoli orientale di Camarina.
Di tale prima esperienza da archeologo militante, vissuta per giunta in luoghi a lui assai cari, pubblicò un dettagliato resoconto sull’Archivio storico per la Sicilia Orientale (XIV, 1917, p. 255 ss.): pagine che, assieme ai giovanili Contributi camarinesi (Palermo 1908), costituirono il preludio della più corposa e meditata monografia sulla subcolonia siracusana: Camarina. Topografia, storia, archeologia (Catania 1927).
Forte di una decina di scritti su tematiche varie di filologia classica e antiquaria siciliana, all’inizio del 1913 ottenne una borsa biennale di allievo della Scuola archeologica italiana di Atene (SAIA), allora diretta da Luigi Pernier, grazie alla quale poté non solo visitare i più importanti siti archeologici dell’Ellade ed entrare in contatto con illustri colleghi, italiani e stranieri, lì operanti, ma anche condurre personalmente ricognizioni e scavi a Creta, nelle Sporadi e a Rodi, di cui diede notizia nei primi tre volumi dell’Annuario della SAIA. Ritenuto un valente bizantinologo da Roberto Paribeni, nel giugno 1913 fu aggregato alla Missione archeologica italiana in Anatolia, ambiziosa impresa di ricerca, dal marcato carattere politico e nazionalista, che andò sempre più configurandosi, specie dopo la Grande guerra, come una sorta di ‘strumento occulto’ per testare la compatibilità strategica ed economica dei territori levantini con l’espansione coloniale nostrana, a discapito del traballante Impero ottomano. Affiancato prima da Pietro Romanelli, quindi da Giuseppe Moretti (1914), poi (1919, 1921) dallo stesso Moretti e da Amedeo Maiuri, già attivo nel vicino Dodecanneso, Pace effettuò campagne ricognitive lungo le coste dell’Asia Minore, accertando l’entità dei resti monumentali che via via gli venivano segnalati, ma soprattutto ponendo le basi materiali e ‘diplomatico-culturali’ per il consolidamento della sfera d’influenza italiana nella zona di Antalya mediante un’abile attività propagandistica e di intelligence propedeutica all’azione militare: attività favorita dalla sua cultura linguistica, dalla conoscenza dei costumi e delle tradizioni locali, come pure dalle «aderenze costituite con tatto felice» (Petricioli, 1990, p. 220) nelle sue molteplici peregrinazioni microasiatiche, descritte nei volumi L’Italia in Asia Minore. Appunti (Palermo 1917), Ai confini del bolscevismo. Note di viaggio nel Caucaso (ibid. 1923) e Dalla pianura di Adalia alla valle del Meandro (Milano 1927), tutti ricchissimi di notizie geografiche, topografiche e di storia militare.
Germinarono in tal modo quell’impegno politico attivo e quell’intensa dedizione alla causa patria, che di lì in avanti costituirono un tutt’uno inscindibile con la sua vita civile e accademica, sì da indurlo a candidarsi, pur in un mutato contesto governativo, alla Camera, ove fu eletto con 36.000 preferenze nel 1924, restandovi confermato per quattro legislature consecutive (XXVII-XXX).
A determinare la scelta di cimentarsi nell’agone politico, con una sollecita e convinta adesione al movimento fascista (1° settembre 1921), non fu solo un romantico sentimento di orgoglio nazionalista, ma anche la convinzione di dover difendere ‘una posizione di classe’, nell’idea di un’investitura che il proprio nucleo familiare aveva storicamente ricevuto, sin dal primo Risorgimento, di garante politico degli interessi del notabilato agrario nella Sicilia sud-orientale.
In questo ufficio, svolto assieme al collega-rivale Filippo Pennavaria, altra eminenza del fascismo autoctono ibleo, Pace ebbe un ruolo non trascurabile nella costruzione dell’apparato periferico del Partito nazionale fascista, rafforzando man mano la sua influenza nei ranghi del potere centrale, tanto da divenirne, attorno alla metà degli anni Trenta, il massimo rappresentante ufficiale sul piano culturale ed essere chiamato a rivestire incarichi di responsabilità nel ministero dell’Educazione nazionale, prima come presidente del Consiglio superiore di antichità e belle arti (1931-36), e poi in qualità di presidente della Commissione legislativa dello stesso dicastero (1939-43).
Queste importanti mansioni gli consentirono di veicolare – in un misto di propaganda e campanilismo municipalistico – imponenti finanziamenti verso opere pubbliche reclamate nel comprensorio ipparino dalla neocostituita provincia ragusana (1927), e di seguire da vicino, a livello tecnico-parlamentare, la lunga elaborazione e quindi il varo, nel giugno 1939, di due importanti leggi dello Stato (la n. 1089 Tutela delle cose di interesse artistico o storico e la n. 1497 Protezione delle bellezze naturali). Si trattava di due rivoluzionari dispositivi normativi destinati a rappresentare per tutto il secolo, non solo in Italia, il punto di riferimento in materia di gestione dei beni culturali e ambientali.
Negli anni Trenta aveva ormai raggiunto l’apice della carriera accademica, per larga parte spesa nell’attività didattica e nella redazione del fortunato manuale teorico Introduzione allo studio dell’archeologia (Napoli 1934), rielaborato ab imis e ampliato nel 1939 e nel 1947. Conseguita nel 1917 la libera docenza in archeologia, aveva insegnato fino al 1924 all’Università di Palermo; in seguito, nominato per concorso professore di archeologia e storia dell’arte antica, era stato chiamato prima all’Università di Pisa rimanendovi tre anni (1927-30); poi, sempre nel medesimo incarico, era passato all’Università di Napoli (1931-35), per subentrare infine a Giulio Quirino Giglioli nella cattedra di topografia antica della Sapienza di Roma nell’ottobre 1935.
Gli anni immediatamente precedenti e successivi al trasferimento a Roma, necessario per il lievitare dei suoi incarichi pubblici (fu, tra l’altro, presidente dell’Istituto Nazionale per il Dramma Antico-INDA, consigliere nazionale alla Camera dei fasci e delle corporazioni, e relatore dei bilanci dei ministeri degli Affari esteri, delle Colonie e dell’Educazione per più esercizi), coincisero con la direzione di importanti esplorazioni nel Fezzàn libico (1933-34), volte a chiarire aspetti, caratteri e cronologia dell’incognita civiltà garamantica (Scavi sahariani, in Mon. Ant. Linc., XLI [1951], coll. 149 ss.), con la partecipazione da volontario alla campagna d’Etiopia, documentata con dovizia di particolari nel memoriale Tembien. Note di un legionario della «28 ottobre» (Napoli 1936) e, più in generale, con la concertazione di iniziative culturali mirate a sostenere, vigorosamente, la missione unificatrice e civilizzatrice autoassunta dal fascismo nei riguardi di tutto il Mediterraneo coloniale.
Malgrado questo attivismo dottrinario e pragmatico di rilievo sopranazionale, i suoi interessi rimasero sostanzialmente rivolti, nel lungo periodo, all’isola nativa, alla quale dedicò – dopo una serie di ventennali ricerche e studi particolari più o meno impegnativi – la sua opera maggiore Arte e civiltà della Sicilia antica (Milano [etc.] 1935-49). Articolata in quattro volumi (I, I fattori etnici e sociali; II, Arte, ingegneria e artigianato; III, Cultura e vita religiosa; IV, Barbari e Bizantini), essa era volta a delineare globalmente e inquadrare storicamente i caratteri unitari e ricorrenti della vita spirituale, sociale e materiale siciliana, dalla più remota preistoria all’età bizantina
Sottoposto a procedimento di epurazione dopo la caduta del fascismo, Pace fu sospeso dalle sue funzioni a decorrere dal 1° agosto 1944; il Consiglio di Stato accolse il suo ricorso – non essendosi riscontrati gli estremi previsti dalla legge per l’applicazione del provvedimento di rimozione – e lo reintegrò in servizio (D.M. 24 novembre 1949).
Morì improvvisamente a Comiso il 28 settembre 1955, lasciando la moglie Elisabetta De Lieto, sposata a Comiso il 26 dicembre 1926, e i due figli Salvatore (n. 10 agosto 1927) e Carlo (n. 6 febbraio 1931).
Imbevuto di cultura storico-antiquaria, attratto dall’idealismo crociano, perfettamente consapevole della propria funzione nell’ambito dell’establishment fascista, ma disposto anche a censurare – nel dopoguerra – il suo orientamento politico, come esito della maturazione di un percorso critico avviato in tempi non sospetti (Saija, 2001, pp. 507 ss.), Pace fu un intellettuale atipico nel variegato panorama della cultura e dell’archeologia italiana della prima metà del Novecento. Se gran parte della sua azione e della sua produzione scientifica pare oggi viziata da pregiudizi ideologici di fondo, non si può non riconoscergli il ruolo di sincero interprete della sua epoca e di serio sistematizzatore di dati, specie sulla civiltà isolana d’ogni tempo, in uno sforzo di sintesi che successive ricerche hanno precisato ma non scalfito quanto a impostazione.
La bibliografia pressoché completa di Pace (oltre 350 titoli) è stata pubblicata in appendice alla riedizione di alcuni dei suoi Scritti giovanili, curata da G. Di Stefano (Comiso 2000, pp. 69-77).
Fonti e Bibl.: Roma, Arch. centrale dello Stato, Ministero Pubblica istruzione, Dir. gen. istruzione universitaria, Professori universitari, b. 347 (1940-1970); ibid., Dir. gen. istruzione superiore, Professori universitari epurati, b. 25(1944-1946). Si ha notizia di inedite carte personali conservate presso suoi eredi residenti a Caltagirone (Palermo). Sulla personalità scientifica e l’opera di Pace, con ampi rimandi a fonti anteriori, cfr. G. Di Stefano, B. P. tra «Valori di vita provinciale» e «Arte e civiltà della Sicilia antica», in L’area degli Iblei tra le due guerre, Ragusa 1987, pp. 75-95; M. Petricioli, Archeologia e Mare Nostrum. Le missioni archeologiche nella politica mediterranea dell’Italia (1898-1943), Roma 1990, ad ind.; P. Pelagatti, Paolo Orsi, B. P. e la necropoli orientale di Camarina, in Magna Graecia, XXXI (1996), 4-6, pp. 9-13; S. Altekamp, «Angewandte Archäologie». B. P. in Kleinasien, in Das Grosse Spiel. Archäologie und Politik zur Zeit des Kolonialismus (1860-1940), a cura di C. Trümpler, Essen-Köln 2008, pp. 430-435; P. Giammellaro, B. P., la famiglia Whitaker e i primi passi della ricerca archeologica a Mozia, in La Collezione Whitaker, I, a cura di R. De Simone - M.P. Toti, Palermo 2008, pp. 21-44; Id., B. P. e la Sicilia antica, in Studi storici, LIII (2012), 2, pp. 391-420; D. Palermo, B. P. e l’archeologia in Sicilia nella prima metà del ’900, in Annali della facoltà di Scienze della formazione dell’Univ. degli studi di Catania, 2012, n. 11, pp. 3-12; L. Arcifa, B. P. e l’archeologia medievale in Sicilia: percorsi e sollecitazioni agli esordi della disciplina, ibid., pp. 13-23. Sull’attività politica nel periodo fascista: M. Saija, B. P. (1889-1955), in Scritti di storia per Gaetano Cingari, Milano 2001, pp. 499-512; A. Baglio, Il Partito nazionale fascista in Sicilia. Politica, organizzazione di massa e mito totalitario (1921-1943), Manduria-Bari-Roma 2005, ad ind.