BIANCA di Monferrato, duchessa di Savoia
Nacque dal marchese Guglielmo VIII, della dinastia dei Paleologi, e dalla sua seconda moglie Elisabetta Sforza, quasi certamente al principio del luglio 1472, comunque non prima del maggio 1470. Rimasta orfana del padre il 28 febbr. 1483 - la madre era morta fin dal 1º sett. 1472 -, fu sottoposta alla tutela dello zio, il marchese Bonifacio III.
Ambita dal duca Carlo I di Savoia, che sperava d'ottener per suo mezzo la parte maggiore del Monferrato, giacché sembrava prossima l'estinzione della discendenza maschile dei Paleologi, B., con il consenso dello zio, lo sposò per procura il 1º apr. 1485 nel castello di Casale, essendo Carlo rappresentato da Antonio de la Forest, suo consigliere e ciambellano.
Il matrimonio, contratto "per verba de presenti", venne consumato solo in maggio, dopo che furono giunte la dispensa papale, necessaria per la consanguineità tra i due giovani, e l'assoluzione dalla scomunica in cui essi erano incorsi per aver celebrato il matrimonio prima della dispensa.
Primo frutto di queste nozze fu una bambina nata in Torino il 12 luglio 1487, Iolanda Ludovica; circa due anni dopo, ancora in Torino, nella notte fra il 23 e il 24 giugno 1489, B. diede alla luce un erede maschio, Carlo Giovanni Amedeo.
La morte prematura del marito, avvenuta in Pinerolo il 14 marzo 1490, portò la giovane donna ad assumere la tutela e la reggenza, conferitele il 20 marzo dal Consiglio cumdomino e confermatele ai primi d'aprile dagli Stati generali. Benché prima non si fosse mai ingerita, a quanto sembra, negli affari di Stato, seppe tuttavia assolvere il compito con accortezza, non disgiunta, a tempo debito, da energia. Si associò subito al potere, con il titolo di luogotenente generale, uno zio del defunto duca, Francesco di Savoia, arcivescovo d'Auch e vescovo di Ginevra; verso la metà del luglio 1490 gli affiancò, dopo qualche resistenza iniziale e lunghe trattative, un altro zio del marito, l'irrequieto e ambizioso Filippo di Bresse, detto il "Senza Terra", rimasto dopo la morte di Francesco, avvenuta il 3 ott. 1490, unico luogotenente. Nella carica di cancelliere B. mantenne l'esperto Antonio Champion, vescovo di Mondovì e, dopo la morte di mons. Francesco, anche di Ginevra. Il potere di B., però, non fu mai puramente nominale, ché essa si occupò con assidua cura sia dell'amministrazione dello Stato sia della politica estera, e a sé riservò le supreme decisioni e direttive, imponendole in qualche caso con cortese energia a Filippo di Bresse.
Fin dall'inizio, pur dimostrandosi abbastanza conciliante su punti di minore importanza, difese le sue prerogative sovrane di fronte agli Stati generali, opponendosi alla loro richiesta di potersi radunare, senza bisogno di convocazione, ogni due anni; se ammise che sei rappresentanti degli Stati intervenissero alla seduta del Consiglio cum domino, si riservò il diritto della scelta. Nella repressione di sommosse e ribellioni dimostrò, in genere, fermezza, senza incrudelire mai. Non riuscì invece, nonostante i buoni propositi iniziali, a ridurre le spese e a mettere ordine nel sempre dissestato erario.
In politica estera cercò di destreggiarsi tra Milano e Francia, mirando a conservare il più possibile indipendente lo Stato. Con il ducato di Milano rinnovò il 1º apr. 1490 il trattato stipulato nel marzo 1485 da Carlo I e mantenne in seguito rapporti amichevoli; tuttavia non volle stabilire la sua capitale a Vercelli, come lo zio Ludovico il Moro suggeriva.
Più difficili furono i rapporti con il cugino Carlo VIII di Francia, non solo a causa della complessa questione della dipendenza feudale del marchesato di Saluzzo, ma anche e soprattutto per la pretesa del re di considerare lo Stato sabaudo un protettorato francese. B., senza mai disconoscere apertamente l'egemonia della Francia, mostrò tuttavia con i fatti di volere e saper difendere la sua dignità, come quando, nell'agosto del 1490, contro le insolenti pretese degli ambasciatori del re cristianissimo, fece ratificare dagli Stati generali il trattato con Milano senza attendere l'approvazione del re, oppure quando, dopo la morte di Francesco di Savoia, nonostante la contrarietà francese, impose Antonio Champion quale vescovo ai ricalcitranti Ginevrini.
Al tempo della discesa di Carlo VIII in Italia B. non poteva pensare a fargli resistenza: permise, perciò, il passaggio delle truppe francesi attraverso il suo stato e il 5 sett. 1494 accolse splendidamente in Torino il re; anzi, prima della sua partenza, gli offrì, o acconsentì a dargli, i suoi gioielli, imprestandogli inoltre 30.000 fiorini, presi a mutuo da banchieri milanesi. Né, quando nel marzo del 1495 si formò la coalizione antifrancese, volle aderirvi, non perché, come afferma il Guicciardini (l. II, cap. XI), essa fosse "d'animo totalmente franzese", ma perché la sconsigliava da una simile politica la posizione geografica del suo Stato. Dopo la battaglia di Fornovo (luglio 1495) accolse e ospitò nuovamente il re, avendone perciò rimbrotti e rappresaglie da parte dei collegati, specie dai Veneziani, ma, per quanto le fu possibile, cercò di favorire le pratiche di pace.
Appena salita al potere, B. si era trovata a dover liquidare l'eredità bellicosa del marito nei riguardi di Ludovico II di Saluzzo; di fronte alla riapertura delle ostilità da parte del marchese, nel luglio del 1490, accettava la mediazione di Ludovico il Moro, acconsentendo a restituire le terre occupate da Carlo I al Saluzzese, ottenendone, forse, l'omaggio feudale. Con lo zio Bonifacio III di Monferrato, salva qualche piccola nube passeggera, mantenne relazioni cordiali. Ebbe buoni rapporti, in genere, con i cantoni svizzeri, specie con Berna e Friburgo; non riuscì però a farsi restituire dal vescovo di Sion e dai Vallesani le contese terre del Chiablese.
Quando ai primi di maggio del 1496, dopo la morte del piccolo Carlo Giovanni Amedeo, avvenuta il 16 aprile, B. fece a Filippo di Bresse la consegna dello Stato, questo si trovava probabilmente in condizioni migliori di quando essa ne aveva assunto il governo. Dopo la cessione del potere B. non scomparve immediatamente dalla vita politica. Concordato, già nello stesso maggio del 1496, il matrimonio tra sua figlia Iolanda Ludovica, appena questa fosse in età nubile, e l'erede di Filippo, Filiberto, ella continuò ad avere ascendente a corte, sia durante il breve ducato dello zio, sia nei primi anni di governo del genero, e ne approfittò per favorire i buoni rapporti tra i duchi di Savoia e lo zio Sforza. Per quanto stette in lei, cercò di impedire la guerra tra Luigi XII di Francia e il Moro. Solo dopo la morte della figlia (18 sett. 1499) si ritirò nel castello di Carignano, una delle località i cui redditi costituivano il suo doario, passandovi gli ultimi anni di vita. Benché estranea ormai alla vita politica, ella manteneva relazioni epistolari con papi, re, principi e cardinali; Luigi XII le fece visita nel 1502e nel 1507; lo stesso gesto d'omaggio fu ripetuto da Francesco I nel 1515. Sebbene non del tutto incolta, non dimostrò mai interesse alle lettere e alle arti; fu invece amante di feste, di rappresentazioni teatrali e di tornei. Ebbe fama di donna virtuosa e pia. Fece testamento il 12febbr. 1519, lasciando erede universale il duca Carlo III di Savoia; morì il 31 marzo dello stesso anno e fu sepolta in Carignano.
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