BIANCA LANCIA
Intorno alla madre di re Manfredi non sono rimaste fonti documentarie, ma solo narrative e ciò rende problematica la ricostruzione della sua figura.
Secondo il coevo Annalista genovese, Federico II ebbe Manfredi "ex filia domine Blance, filie quondam marchionis Lance": la madre di re Manfredi, qui anonima, sarebbe figlia di una domina Bianca, figlia a sua volta del marchese piemontese Manfredi I Lancia e sorella di Manfredi II; l'attribuzione del nome Bianca anche alla figlia risale al più tardo Bartolomeo di Neocastro ("quinta [uxor] vero fuit nobilis domina Blanca de domo illorum nobilium de Lancea de Lombardia"), che scrisse una quarantina di anni dopo. Proprio la presenza di madre e figlia dal medesimo nome ‒ non inconsueta presso i Lancia, dove padre e figlio si chiamavano entrambi Manfredi ‒ dovette suscitare qualche confusione fra i due personaggi già presso cronisti contemporanei, ma di diversa provenienza geografica. Salimbene de Adam, che in quattro occasioni parla della madre di Manfredi, oscilla infatti fra 'sorella' e 'nipote' di Manfredi II Lancia, anche se sembra propendere per la nipote; già Tommaso Tosco, che scriveva nel 1279, aveva invece accolto la versione che Manfredi fosse stato generato "ex sorore marchionis Lance, que filia domne Blance fuit", facendo così della prima Bianca la madre (e non la sorella) anche di Manfredi II.
Proprio Tosco, insinuando l'ipotesi da molti sostenuta ("plures tradunt") che Federico II avesse avuto rapporti promiscui tanto con la madre quanto con le figlie ("cum omnes virum unum hunc habuissent"), presentava un nucleo familiare composto da Bianca senior e da due figlie (la madre di Manfredi e "ipsius domne Blance altera filia"), tutte sorelle di Manfredi II Lancia.
Se appare dunque molto probabile che Bianca junior per parte materna fosse figlia di Bianca senior e nipote del marchese Manfredi II Lancia, pressoché impossibile è invece stabilire con precisione l'ascendenza paterna, certo meno prestigiosa, dal momento che nessun cronista coevo vi fa riferimento. Generiche indicazioni indirette si ricavano dal riferimento del cosiddetto Niccolò Jamsilla al fatto che re Manfredi avrebbe chiamato al governo "ex parte matris sibi consanguineos attinentes […] scilicet comitem Galvanum [Lancia], Bonifatium et Iordanum [di Agliano]", e dall'attribuzione del grado di avunculi del re ‒ oltre che a Manfredi Lancia ‒ a Bonifacio di Agliano, padre di Giordano, e a Francesco Semplice di Canelli, padre di Bartolomeo, tutti investiti della dignità comitale e di elevate funzioni a corte. Solo nel Trecento, tuttavia, i cronisti attribuirono un padre a B., individuandolo in un signore di Agliano, più tardi indicato come Bonifacio: così per Iacopo d'Acqui B. infatti appare essere "de dominabus de Aglano de Aquesana Lombardie", come anche per un annalista milanese della seconda metà del XIV sec., citato da Muratori, che narra del castellano di Agliano di nome Bonifacio che ebbe "tres filias pulcherrimas", una delle quali andò in sposa a Federico. La stessa storia fu poi messa in versi dall'umanista astigiano Antonio Astesano, che attribuì anacronisticamente a Bonifacio il cognome Guttuari, famiglia che invece venne in possesso del castello solo nella prima metà del Trecento a seguito della vendita di Rainero di Agliano, figlio di Bonifacio comes di Montalbano. Nella prima metà del Duecento l'area a meridione di Asti appare fittamente suddivisa fra famiglie signorili in collegamento con i marchesi aleramici, articolate in consortili come i de Canelli e occasionalmente consociate in raggruppamenti politico-territoriali come l'Aquosana in lotta contro i comuni di Asti e di Alessandria. Fra questa minore aristocrazia, i signori indicati come "de Aglano" compaiono fin dalla prima metà del XII sec. alla corte dei marchesi del Vasto, da cui discenderanno i Lancia, insieme con i membri del consortile dei de Canelli che nel secolo successivo raccoglierà una quarantina di condomini a controllo di una decina di castelli; il ripetersi presso i signori di Agliano del nome dinastico Giordano a partire dal 1125 fa propendere per una continuità familiare collegabile ai personaggi presenti alla corte di Manfredi: è possibile che il padre di B. appartenesse a questo nucleo familiare, ma non è precisabile meglio. Altri imparentamenti degli Agliano con i de Canelli, famiglia in seguito ben presente nel Regno, sono possibili grazie ai rapporti stretti che già intercorrevano in Piemonte; l'esistenza di sorelle di B., sia pure attestata dai cronisti posteriori, li giustificherebbe, mentre molto dubbia appare la notizia (riportata dall'Anonimo) dei matrimoni delle sorelle con il piacentino Umberto Lando e con il novarese Tornielli; potrebbe invece apparire verosimile un successivo imparentamento con la famiglia meridionale dei Maletta i cui membri compaiono ugualmente come consanguinei materni di re Manfredi.
L'inarrestabile declino dell'aristocrazia piemontese, piegata dall'avanzata dei comuni alla conquista del territorio, consigliò alle famiglie marchionali di tradizione ghibellina di seguire al Sud le fortune imperiali: anche Manfredi II Lancia verso la metà degli anni Venti si trasferì al seguito di Federico II, di cui fu poi vicario, e probabilmente lo seguirono la famiglia ‒ la moglie Beatrice è presente a Paternò nel 1234 ‒ e i membri eminenti del clan che ruotava intorno a lui. È possibile che proprio in queste circostanze, fra il 1226 e il 1230, sia avvenuto l'incontro fra l'imperatore e la nipote del marchese in un luogo del Regno non meglio precisabile: rispondono infatti a fantasia tanto l'ipotesi che Federico II sarebbe passato per Agliano quanto quella di un incontro con B. a Lagopesole o a Brolo, presso Messina. Di certo si sa soltanto che ne nacquero nel 1230 Costanza e nel 1232 Manfredi, quest'ultimo, secondo una tradizione mantenutasi costante, forse a Venosa o in uno dei castelli tra il Vulture e le Murge. L'imperatore aveva allora per moglie Isabella d'Inghilterra e questi figli furono considerati dai cronisti adulterini e illegittimi fino al tardivo matrimonio avvenuto "tempore obitus ipsius domine" (Bartolomeo Scriba): certo Manfredi non era ancora stato legittimato nell'aprile del 1247 quando nei patti matrimoniali con Beatrice di Savoia viene indicato come "Manfredus Lancea", ma lo fu in ogni caso di lì a poco, perché compare fra gli eredi legittimi nel testamento del padre (dicembre 1250) e riceve l'Honor Montis Sancti Angeli, tradizionale dotarium delle regine, assegnato evidentemente a B. all'atto del matrimonio. Una fonte cronologicamente vicina agli eventi, l'inglese Matteo Paris, riporta al proposito che, circa vent'anni dopo il primo incontro, B., sentendosi in procinto di morire, avesse scongiurato Federico di sposarla per salvarle l'anima e di legittimare Manfredi, cosa che egli fece ma che rimase a lungo nascosta, il che spiegherebbe la polemica contemporanea sulla legittimità di Manfredi.
Un fantasioso sviluppo dello stesso episodio è infine fornito dal piemontese Iacopo d'Acqui, che narra come l'imperatore Federico avesse offerto a B. gravemente ammalata di accogliere ogni sua richiesta e al suo desiderio di voler vedere il figlio Manfredi "in magno onore" lo avesse allora legittimato e creato re di Puglia, di Terra di Lavoro e di Sicilia, "de quo facto tantum gaudium mater que moriebatur recepit, quod statim ipso die de lecto sana ilaris et iucunda surrexit". È invece probabile che B. non sia sopravvissuta a Federico II, dal momento che nell'anno 1250, come si è visto, a Manfredi fu assegnato il dotarium che era a lei spettato.
Certamente l'unione di Federico II con una rappresentante dell'aristocrazia piemontese ebbe conseguenze significative in quanto, per l'intraprendenza dei consanguinei di B., favorì la loro ascesa ai vertici politici nella riorganizzazione baronale del Regno operata da Manfredi in prevalenza su ispirazione proprio del gruppo di pressione costituito dagli zii e dai cugini materni.
Fonti e Bibl.: Niccolò di Jamsilla, Historia de rebus gestis Friderici II imperatoris eiusque filiorum Conradi et Manfredi Apuliae et Siciliae regum ab anno MCCX usque ad MCCLVIII, in R.I.S., VIII, 1726, coll. 497-542; L.A. Muratori, Antiquitates Italicae Medii Aevi, I, Mediolani 1738, col. 624; Jacopo d'Aqui, Chronicon imaginis mundi, a cura di G. Avogadro, in Monumenta Historiae Patriae, Scriptorum, III, Augustae Taurinorum 1848, coll. 1573-1574; Tommaso Tosco, Gesta imperatorum et pontificum, a cura di E. Ehrenfeuchter, in M.G.H., Scriptores, XXII, a cura di G.H. Pertz, 1872, p. 517; Codex Astensis qui de Malabayla communiter nuncupatur, a cura di Q. Sella-P. Vayra, II, Romae 1880, docc. 310, 312, 421b, 603, 695, 914; Matteo Paris, Cronica Maiora, in M.G.H., Scriptores, XXVIII, a cura di R. Pauli-F. Liebermann, 1888, pp. 360-361; Antonio Astesano, De eius vita et fortunae varietate carmen, in R.I.S.2, XIV, 1, a cura di A. Tallone, 1908-1912, pp. 79-80; Bartolomeo di Neocastro, Historia Sicula, ibid., XIII, 3, a cura di G. Paladino, 1921-1922; Annali genovesi di Caffaro e de' suoi continuatori, a cura di C. Imperiale di Sant'Angelo, III, Roma 1923, p. 189; Salimbene de Adam, Cronica, a cura di G. Scalia, Bari 1966, pp. 296, 509, 635, 684. C. Merkel, Manfredi I e Manfredi II Lancia. Contributo alla storia politica e letteraria italiana nell'epoca sveva, Torino 1886; H. Arndt, Studien zur inneren Regierungsgeschichte Manfreds, Heidelberg 1911; P.F. Palumbo, Contributi alla storia dell'età di Manfredi, Roma 1959; E. Pispisa, Il regno di Manfredi. Proposte di interpretazione, Messina 1991; Bianca Lancia d'Agliano fra il Piemonte e il Regno di Sicilia, a cura di R. Bordone, Alessandria 1992 (in partic. i contributi di E. Voltmer, I collaboratori piemontesi di Federico II e di Manfredi, pp. 23-37; N. Ferro, Chi fu Bianca Lancia d'Agliano, pp. 55-80; E. Pispisa, I Lancia, gli Agliano e il sistema di potere organizzato nell'Italia meridionale ai tempi di Manfredi, pp. 165-181; L. Provero, Clientele e consortili intorno ai Lancia, pp. 199-217; A. Barbero, I signori di Canelli fra la corte di re Manfredi e gli ordini monastico-cavallereschi, pp. 219-233).