bianchezza
. Ricorre tre volte nel Convivio, mai altrove: IV XXII 17 la beatitudine precederà noi in Galilea, cioè ne la speculazione. Galilea è tanto a dire quanto bianchezza. Bianchezza è uno colore pieno di luce corporale più che nullo altro; e così la contemplazione è più piena di luce spirituale che altra cosa che qua giù sia. Trattando della felicità o beatitudine umana, D. afferma che la beatitudine somma risiede nella contemplazione divina, che in questa vita si può esercitare solo in modo imperfetto. A provare il suo asserto aggiunge, secondo l'uso e il metodo ermeneutico accomodatizio medievale, un'interpretazione mistica di un passo del Vangelo di s. Marco (16, 1-7), in cui, basandosi su un'etimologia di Isidoro di Siviglia riportata anche dalle Derivazioni di Uguccione, intende per ‛ Galilea ' (da lui derivata dal greco γάλα, latte) la b., ossia il colore che più di ogni altro rispecchia la luce del sole e che egli paragona alla contemplazione, giacché essa più di ogni altra cosa avvicina l'uomo a Dio. Occorre notare, inoltre, che D. applica lo stesso metodo d'interpretazione anche a testi profani, e che nel De vulgari Eloquentia, sempre sulle orme di Aristotele (Met. X II 1053 b) e di s. Tommaso (Verit. q. 2 a. 4 ad 4, lectio III n. 1968), ripete il suo giudizio sul bianco: in coloribus omnes albo mensurantur (I XVI 2).
In Cv IV XXIX 9-10 si dice una bianca massa [di grano], perché li grani onde è la massa sono bianchi. Veramente questa bianchezza è pur ne li grani prima, e secondariamente resulta in tutta la massa, D. paragona la schiatta nobile a una massa di grano, il colore bianco della quale le deriva dal bianco dei singoli chicchi. Pertanto, come la massa cambierebbe colore qualora i chicchi di grano venissero sostituiti uno per uno da chicchi di ‛ meliga rossa ', così una schiatta di nobiltà antica perderebbe questa sua caratteristica qualora fossero degeneri le nuove generazioni.