Bianco e nero
Rivista italiana di cinema pubblicata dal 1937 a Roma a cura del Centro sperimentale di cinematografia (ora Scuola nazionale di cinema), con periodicità variabile dalla nascita a oggi, da mensile a trimestrale. Da sempre caratterizzata da saggi di carattere teorico, articoli di taglio documentale e critico sulla produzione cinematografica mondiale, rubriche e note informative di cultura cinematografica e audiovisiva in genere. Il primo numero di B. e N., per la direzione di Luigi Freddi e con Luigi Chiarini vice direttore responsabile, venne pubblicato nel gennaio del 1937, due anni dopo la fondazione a Roma della scuola del Centro sperimentale di cinematografia (CSC), nel quadro delle sue iniziative didattiche e promozionali. Freddi, creatore del Centro e principale organizzatore della cinematografia fascista, presentava la rivista come emanazione di un progetto, di cui la scuola sarebbe stata portatrice, di un cinema come "arte, tecnica e industria nello stesso tempo", nell'ambito del quale la produzione italiana avrebbe avuto la possibilità di sfidare i "colossi d'oltralpe e d'oltreoceano". Con riferimento al nuovo periodico e agli intendimenti della scuola, Freddi sottolineava il concetto di cultura come "aristocrazia" in senso spirituale, esercitabile da una ristretta categoria di esperti, secondo le intenzioni del Ministero per la Stampa e Propaganda e attraverso la Direzione generale per la cinematografia. Nel 1937 B. e N. uscì in fascicoli, con la denominazione di "Quaderni mensili del Centro sperimentale di cinematografia", di complessive 1400 pagine, con 109 tavole su carta patinata e molte altre illustrazioni. Nel 1938 vennero pubblicati fascicoli per 1560 pagine, con 34 tavole e numerose incisioni. Fino alla Seconda guerra mondiale la rivista manterrà questo standard, conseguendo, tra l'altro, un bilancio economico in attivo; sarà mensile fino al 1943 e dal 1948 al 1976, bimestrale dal 1977 al 1982 e trimestrale dal 1983. La rivista vedrà pubblicati testi dei principali studiosi di cinema, da Béla Balázs a Emilio Cecchi a Georges Sadoul; così come scritti di importanti registi, da Sergej M. Ejzenštejn a Vsevolod I. Pudovkin, da Frank Capra a Rouben Mamoulian, oltre che di addetti ai vari settori della lavorazione di un film. Dal 1939, affiancata alla rivista, e con il marchio editoriale Bianco e Nero, verrà stampata una pregevole serie di volumi su temi di storia, di forma e tecnica del cinema.Già dal primo numero, al di là delle dichiarazioni propagandistiche di Freddi, si manifestò la volontà di un'analisi del cinema nella sua complessità di processo artistico supportato dalle tecniche moderne. Nel tempo, la gamma degli argomenti si andò ampliando: dalle problematiche estetiche, sempre presenti ‒ di impostazione idealista ma con significative aperture d'altro tipo, come negli articoli di Umberto Barbaro ‒ a quelle produttive e gestionali, ai rapporti con il teatro, la letteratura e la pittura, ai classici profili monografici dei grandi autori. B. e N. degli inizi si caratterizzò per la presenza di un paio di lunghi saggi ‒ a volte uno solo ‒, oppure di tre o quattro interventi variamente estesi oltreché per alcune rubriche dedicate ai film, ai libri sul cinema e alla rassegna antologica della stampa, con una sezione fotografica molto curata. Le recensioni, almeno nei primi numeri e per film di particolare interesse, si presentavano scandite in sezioni come regia, sceneggiatura, recitazione, scenografia, edizione italiana (se il film era straniero), affidate anche a diversi critici. Si riconosceva in tale assetto, oltre alle ripartizioni disciplinari della scuola del CSC, l'intento di Chiarini, vero animatore della rivista per molti anni prima e dopo la guerra, di sostituire un criterio 'scientifico' a quello spesso generico e impressionistico della cultura italiana riguardo al cinema. Ogni anno un numero era dedicato alla Mostra del cinema di Venezia, con i film ritenuti più interessanti esaminati in una sezione denominata Film spettacolari. Alcuni esempi della produzione della rivista fino alla guerra, possono essere il nr. 7-8 del 1937, interamente dedicato al kolossal del regime fascista, Scipione l'Africano di Carmine Gallone, di cui è riportata la sceneggiatura; il nr. 6 del 1938, dove è presente soltanto un lungo saggio di Raymond J. Spottiswood su Una grammatica del cinema; il nr. 8 dello stesso anno, in cui appare uno studio di Rudolf Arnheim, Il Nuovo Laocoonte; il nr. 11, in cui è pubblicato un lungo testo di Ernesto Cauda, Il cinema a colori. Di notevole rilievo la serie di scritti sulla recitazione, apparsi nel 1938 e poi nel 1940 e 1941, comprendenti testi di A.F.V. Riccoboni, di S. D'Amico, di L. Pirandello e di E.G. Craig (nel 1950 saranno raccolti in volume, L'arte dell'attore, a cura di Chiarini e Barbaro, per le edizioni di Bianco e Nero). Nel maggio del 1939 a Freddi era succeduto Vezio Orazi, con segretario di redazione Francesco Pasinetti. Nel maggio del 1941 divenne direttore Chiarini e nel settembre dello stesso anno fu nominato segretario di redazione Antonio Pietrangeli, a cui, in novembre, sarebbe succeduto Mario Verdone. Dopo l'interruzione bellica, la rivista uscì in un solo numero nel 1947, con Barbaro direttore ed Edgardo Macorini redattore capo. Nel 1948 riprese la direzione Chiarini, con capo redattore Massimo Mida e poi ancora Verdone. Vennero aperti uffici di redazione anche a Napoli, con Roberto Paolella, e a Milano, con Guido Aristarco, cui succederà Luigi Rognoni. Il nuovo clima politico, che aveva il suo riscontro nella fioritura del movimento neorealista, si esprime anche nei contenuti della rivista, enunciati dal direttore Barbaro nell'articolo programmatico del primo e unico numero del 1947, Ancora della terza fase ovverosia dell'arte del film, dove egli espone il concetto di un cinema come "annuncio del futuro". In rapporto alla nascita e al consolidarsi del governo democristiano, Barbaro prima, nel 1948, e poi lo stesso Chiarini, nel 1952, abbandonarono la direzione del CSC e la conduzione della rivista. Nel 1952 direttore della scuola e di B. e N. divenne Giuseppe Sala; nel comitato di redazione fu presente anche Alessandro Blasetti, docente di regia al Centro sperimentale di cinematografia. Nel corso degli anni Cinquanta, che videro la direzione di una serie di funzionari e studiosi, da Michele Lacalamita a Floris L. Ammannati, si assistette a un appiattimento dell'articolazione culturale e del dibattito critico della rivista, che accentuò un suo profilo anonimamente 'istituzionale', pur rimanendo elevato il livello di informazione, con le notizie sui festival, sui film e sui libri di cinema. Si intensificò anche la presenza di articoli degli studenti soprattutto del corso di regia. All'inizio degli anni Sessanta, nell'inevitabile legame con un'altra temperie politica, l'ambito del confronto critico si riaprì, e apparvero rilevanti saggi storici; tra questi, nel nr. 7 del 1964, Dziga Vertov e i futuristi italiani di Sadoul. Tra i temi trattati, sul piano tecnico-formale e sociologico, spuntò anche la principale antagonista del cinema, la televisione. Venivano spesso invitati nella sede del CSC noti autori cinematografici e la rivista era solita relazionare del loro dibattito con studenti ed esperti. Alla fine degli anni Sessanta, presidente del Centro divenne Roberto Rossellini, che abolì la divisione in corsi specialistici della scuola imponendo un'idea del cinema come fatto interdisciplinare e complessivo. Anche in rapporto con questo progetto, il direttore Fernaldo Di Giammatteo cercò di strutturare la rivista in base a studi che approfondissero un unico tema.
L'impianto monografico ‒ alternato negli anni con quello classico a saggi, interventi e rubriche ‒ ebbe il risultato di offrire, oltre a una certa quantità di numeri dedicati a singoli registi, anche visuali complessive su temi come, per es., I generi classici del cinema americano, a cura di Franco Ferrini, nel 1974, o Il laboratorio ungherese, a cura di Francesco Bolzoni, nel 1975. Furono però anche gli anni in cui le pubblicazioni della rivista subirono ritardi, interruzioni, riprese, in conseguenza delle difficoltà di bilancio e del travagliato percorso gestionale del CSC, ove peraltro, dal 1981, riprese la divisione didattica nelle varie materie. Diversi numeri agli inizi degli anni Ottanta e poi ancora nei primi anni Novanta si occuparono di una documentata storia del cinema italiano di Vittorio Martinelli, anno per anno, a ritroso, dal 1919 al 1913. Nel 1995 è stato pubblicato un solo numero fotografico, 100 dive, con immagini delle più note attrici italiane. A partire dalla seconda metà degli anni Novanta la rivista, che si è confermata aperta a una pluralità di visuali critiche e teoriche, ha pubblicato, oltre alla consueta saggistica di ampio respiro, sezioni che si occupano delle scoperte e dei restauri del patrimonio cinematografico, delle cinematografie marginali, dell'attività della scuola (ribattezzata, alla fine del decennio, Scuola nazionale di cinema).
Un aspetto caratteristico è la grafica della copertina: dall'originaria superficie gialla, con in alto il titolo, al disegno sbarazzino di una ragazza in pantaloni, in posa vagamente 'esistenzialista', nel numero unico del 1947; dalla sobria immaginetta di un bambino che guarda in una macchina delle meraviglie, alle prime foto da film all'inizio degli anni Sessanta; dalla classica sigla BN, comparsa nel nr. 1-4 del 1970, poi arricchita di forti contrasti cromatici e corretta in B&N nel nr. 1 del 1983, fino al titolo completo con la congiunzione commerciale, Bianco & Nero a partire dal 1996.