BIANTE (βίας, Bias)
Figlio di Teutame, fu uomo politico di Priene e venne annoverato tra i sette savî: è anzi uno dei quattro (con Solone, Talete e Pittaco) il cui nome non manca in nessuna delle varie enumerazioni di quelli. Una delle più antiche testimonianze su di lui è contenuta in un frammento d'Ipponatte, del quale non dovette essere molto più antico. Erodoto (I, 27) narra ch'egli sarebbe stato, come Solone, ospite alla corte di Creso, e che lo avrebbe dissuaso da un attacco contro i Greci delle isole; in un altro luogo (I, 170) lo stesso Erodoto racconta che agli Ioni raccolti, dopo aver sofferto una grave sconfitta, nel comune santuario, detto Panionio, Biante avrebbe consigliato di trasferirsi in Sardegna. Gli aneddoti e gli apoftegmi che gli vengono attribuiti (conservatici particolarmente da Diogene Laerzio e da Plutarco) lo dimostrano persuasivo parlatore, abile giudice e uomo tenuto in gran conto nella patria sua, dove secondo una tradizione sarebbe nato di gente insigne, che pretendeva esser venuta colà da Tebe, mentre secondo un'altra, con la quale ha rapporto l'aneddoto secondo cui egli avrebbe fatto cominciare da sé la propria stirpe, sarebbe stato d'umile condizione. Tra i suoi apoftegmi famoso è quello secondo cui egli avrebbe detto essere assai più difficile metter d'accordo degli amici che sian venuti tra di loro a litigio che non dei nemici, e poi l'altro, messo più tardi di preferenza in bocca a Diogene, omnia mea mecum porto (in occasione della fuga, senza ombra di sostanze, dalla patria conquistata dal nemico). E tra i numerosi aneddoti che gli si attribuiscono ricorderemo quello secondo cui, quando la patria sua era assediata da Aliatte re di Lidia, egli seppe ingannarlo a tal punto sulla presunta abbondanza di viveri nella città, che il nemico, disperato di venire a capo dell'assedio, lo abbandonò; e l'altro (che peraltro si trova anche nella tradizione relativa a Esopo), secondo il quale ad Amasi, re di Egitto, che gli richiedeva la parte ad un tempo migliore e peggiore della vittima, avrebbe mandato la lingua. Anche con gli avvenimenti della seconda guerra messenica egli è messo in relazione: gli si fanno comperare e liberare giovani messene e gli si fa augurare cattiva fine al traditore Aristocrate. Secondo parecchie testimonianze, dopo la disgraziata battaglia dei suoi compatrioti contro i Samî in località detta presso la quercia, egli sarebbe riuscito a conciliare durevolmente le due parti. Certo in tutto questo cumulo di aneddoti e di testimonianze molto è inventato e tardo, ma un fondo di vero esiste senza alcun dubbio.
La tradizione fa morire Biante, vecchio assai, dopo aver parlato in tribunale e vinto un importante processo. I suoi compatrioti gli dedicarono culto eroico.
Anche un personaggio mitologico ebbe nome Biante. Fu figliuolo di Amitaone e di Idomene o d'Aglaia e fratello dell'indovino Melampo. Lo considerarono come capostipite i Biantidi d'Argo.
Bibl.: O. Crusius, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl. d. class. Alterthumswiss., III, col. 383 segg.; Bohren, De septem sapientibus, Bonn 1867, p. 43 segg.; Lenschau, De rebus Prienensium, in Leipziger Studien, XII, Lipsia 1889, p. 126 segg.; E. Meyer, Geschichte des Alterthums, II, 1ª ed., Stoccarda 1893, pp. 715-717; H. Diels, Fragmente der Vorsokratiker, 4ª ed., Berlino 1922, II, pp. 213-214, 216-217.