BIAZACI
I due fratelli Tommaso e Matteo Biazaci da Busca sono detti anche "Buzaci" o "Busacci", o, come sempre scrive il Rotondi, fratelli "Biasacci". In verità, le iscrizioni che essi apposero alle loro opere riportano sempre il cognome "Biazacio" (Thomas Biazacius de Busca et Matheus eius frater) o "Biazaci" (Thomas Biazacii de Busca et Matheus eius frater).
Pittori originari di Busca presso Saluzzo, dei due Tommaso è considerato il maestro e Matteo un collaboratore assiduo. Gli inizi della loro attività vanno ricercati nella terra natale piemontese, prima nel campo della miniatura (fu il Bressy a pubblicare la notizia di una pagina miniata da Tommaso nel Codice degli Statuti di Savigliano) e poi in quello della pittura parietale, come sembrerebbero attestare alcuni affreschi della chiesa di S. Fiorenzo a Bastia, dati dal Berra a Giovanni Mazzucco e attribuiti a Tommaso dal Rotondi.
I Biazaci scendono in Liguria verso il 1474, anno di esecuzione degli affreschi (perduti) nel presbiterio della chiesa di S. Bernardino presso Albenga. Ma di ben nove anni più tardi sono gli affreschi della parete destra della stessa chiesa, recuperati recentemente e raffiguranti l'Inferno, il Purgatorio, il Paradiso, i Vizi e le Virtù (per la stessa chiesa i Biazaci avevano anche dipinto una tavola, smarrita). Il 1483 (30 maggio) è anche la data che i due fratelli apposero agli affreschi nel santuario di Montegrazie presso Imperia, raffiguranti scene della Vita del Battista (abside e presbiterio), della Vita delle anime nell'Oltretomba, i Vizi e le Virtù (parete sinistra). In questi due ampi cicli, a noi giunti solo in parte (d'altronde assai simili anche iconograficamente), si determina la personalità pittorica dei Biazaci: accanto a ricordi ancora goticheggianti fiorisce un gusto ormai rinascimentale nella ingenua ricerca prospettica, nel rigore compositivo e nel modulato, puro accordo fra luce e colore. Pittura di artisti ritardatari, quindi, di un gusto popolaresco e narrativo, ma, nelle scene migliori dovute certo a Tommaso, colma di un'umile e spontanea delicatezza, specialmente in quelle parti ove i tenui colori sono stesi, con sapiente trasparenza di toni. Lo stile è affine a quello di tanti cicli di affreschi piemontesi della seconda metà del Quattrocento (di Bastia, di Villafranca, ecc.), che giunge a un più alto livello poetico nelle opere di Martino Spanzotti.
Da solo Tommaso firma e data al 1478 la pala con la Vergine e il Figlio in trono (forse parte centrale di un polittico), proveniente da Albenga ed oggi nella Galleria di Palazzo Bianco a Genova. Nell'opera sono state notate influenze bembiane, sia di Benedetto sia di Bonifacio, unite a reminiscenze di Paolo da Brescia. Ma la tavola di Tommaso "è più castigata e contrita nella sua umiltà popolaresca ed in essa si riflette lo spirito artistico del suo autore, che è poeta dialettale, intimamente legato ai modi tardogotici, ma interpretati con una personalità mite e proclive ad una temperata compostezza. Il suo vernacolo rifugge, perciò, fin da quest'opera, da ogni esasperazione formale, da ogni espressionismo: più incline alla dolcezza neolatina (o mediterranea), che agli aspri accenti nordici" (Rotondi).
L'ultima opera conosciuta di Tommaso è del 1488: un ciclo di affreschi, nella chiesa di Piani di Imperia, con scene della Morte di Maria, della Vita degli Apostoli e di S. Lorenzo,Sibille e Dottori della legge. Qui il pittore, nel tentativo di rendere più aulica la sua visione, perde la delicata freschezza delle opere precedenti.
Altri affreschi dello stesso si trovano nell'oratorio di S. Croce (o S. Bernardino) a Diano Castello (Imperia), raffiguranti L'Annunciazione di Maria, la Vergine in trono col Figlio e i SS. Bernardino e Giovanni Battista. IlRotondi propende ad attribuire questi affreschi a Matteo, per durezza di disegno ed opacità di colori, ma alcuni particolari di più fine esecuzione farebbero invece pensare alla consueta collaborazione fra i due fratelli. Di altri affreschi dei Biazaci affioranti dalle pareti nell'oratorio di S. Caterina a Cervo (Imperia) è prematuro scrivere, almeno fino a quando essi non saranno del tutto scoperti da sotto gli intonaci.
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