BIBBIA
L'illustrazione delle Sacre Scritture nacque come risposta alla cultura greco-romana e si sviluppò nel corso del Medioevo fino a divenire un elemento centrale dell'arte cristiana.
Pressoché tutte le prime immagini riconoscibili come illustrazioni bibliche vere e proprie mostrano la stessa dipendenza da convenzionali tipologie classiche: la stessa figura evangelica del Buon Pastore (Gv. 10, 11-16), frequente così nella pittura come nella scultura paleocristiane, da un punto di vista iconografico e formale è desunta a evidenza dal repertorio ellenistico-pagano. Anche Noè nell'arca, uno tra i soggetti più frequentemente rappresentati nelle catacombe e nei sarcofagi, deriva dalle raffigurazioni di Danae così come per l'episodio di Giona sulla strada di Ninive venne presa a modello, sia pure in parte, la storia di Endimione. Come nel caso del Buon Pastore, questi temi facevano capo all'imagerie bucolica e marina, cara al gusto del tempo, che, evocando scenari di felicità e pace, ben si prestava a illustrare la concezione cristiana della morte come preludio a una nuova vita. Questo appropriarsi dei motivi pagani comportò spesso un allontanamento dal testo biblico, come nel Sacrificio di Isacco raffigurato su una piastrella di terracotta del sec. 6°, proveniente da Kasserine (Tunisi, Mus. Nat. du Bardo), che sulla base di rappresentazioni antiche di soggetto epico mostra il fanciullo inginocchiato e pertanto contraddice il passo relativo di Gn. 22, dove si narra che Isacco giaceva sopra un altare legato mani e piedi.Per decorare i libri delle Scritture i cristiani fecero proprio il sistema di decorazione libraria del mondo antico, allora giunto ormai a maturazione, comprendente i ritratti dell'autore, la decorazione dei titoli e una serie di immagini a carattere narrativo. Ma, diversamente dai loro predecessori pagani e giudei, i cristiani preferirono di gran lunga al rotulo il codice, in quanto compatto, non costoso e strutturato in modo da facilitare i riferimenti incrociati. Con questa scelta venne operata una precisa distinzione dai testi pagani e si inaugurò una tradizione di illustrazione del libro specificamente cristiana.Per lo più gli illustratori della B. inseriscono, all'inizio di ogni singolo libro, il ritratto del profeta o dell'evangelista, a imitazione delle antiche figure di filosofi e di autori. I tipi di rappresentazione più comuni, tutti di derivazione classica, mostrano gli autori a mezza figura entro clipei, in piedi, o seduti allo scrittoio. Il più antico ritratto di evangelista che è pervenuto in un manoscritto greco, la raffigurazione di S. Marco dell'Evangeliario di Rossano, del sec. 6° (Rossano, Mus. Diocesano, c. 121r), comprende anche la raffigurazione della musa dell'autore, in questo caso Sophía, che si riferisce alle parole di apertura del Vangelo di Marco. Nello stesso codice (c. 5r), come frontespizio delle tavole delle concordanze, si trovano i clipei con i ritratti dei quattro evangelisti a mezza figura collegati tra loro da una fascia circolare; anche questo tipo di illustrazione ha precedenti classici, nelle rappresentazioni di filosofi e saggi. Ancora più legate al modello classico sono le miniature prodotte nell'ambito della rinascenza bizantina del sec. 10°, che presentano lo stesso carattere statuario dei loro modelli (Athos, Stavronikita, 43; Roma, BAV, gr. 364; S. Caterina sul monte Sinai, Bibl., gr. 204; la c.d. B. di Niceta, divisa tra Copenaghen, Kongelige Bibl., Haun GKS 6; Firenze, Laur., Plut. 5. 9; Torino, Bibl. Naz., B.I.2).Più originale appare lo sviluppo dei ritratti biblici nell'Occidente latino. Più spesso che in Oriente gli evangelisti sono accompagnati da simboli derivati dalle visioni dell'Antico Testamento, generalmente secondo gli accoppiamenti stabiliti da Girolamo: Matteo-angelo, Marco-leone, Luca-toro, Giovanniaquila. Nell'Evangeliario di s. Agostino (Cambridge, C.C.C., 286, c. 129v), codice italiano del sec. 6°, Luca è ritratto a piena pagina con il Vangelo aperto sul grembo e sormontato dalla mezza figura del toro; nell'Evangeliario della badessa Uta, proveniente da Ratisbona, del sec. 11° (Monaco, Bayer. Staatsbibl., Clm 13601, c. 59v), lo stesso evangelista è raffigurato, sempre a piena pagina, mentre intinge la penna, pronto a scrivere ciò che il toro sembra in atto di suggerirgli.Cornici ornamentali sono usate in numerosi codici della B. per distinguere l'inizio dei diversi testi, anche in ciò seguendo un procedimento usato nell'Antichità. Il Pentateuco di Ashburnham, del sec. 6°-7° (Parigi, BN, nouv. acq. lat. 2334), si apre con un indice dei cinque libri di Mosè, in latino e in ebraico traslitterato, posto all'interno di una cornice; un evangeliario purpureo del sec. 9°, scritto in oro e argento (San Pietroburgo, Saltykov-Ščedrin, gr. 53), ha le pagine dei titoli decorate con archi, cerchi e rettangoli.Già all'inizio del sec. 4° Eusebio di Cesarea adotta l'incorniciatura ad arcate per i canoni evangelici. Il sistema di Eusebio, sviluppato di solito in dieci canoni in Oriente e in sedici in Occidente, elenca i numeri di riferimento al testo di due, tre o tutti e quattro i Vangeli, in modo che letti orizzontalmente indichino i passi paralleli. L'Evangeliario siriaco di Rabbula (Firenze, Laur., Plut. 1.56), proveniente da Beth Zagba, località poco a S di Antiochia, presenta già nel 586 immagini piuttosto elaborate; uno dei canoni (c. 3) è ornato con i ritratti di Mosè e Aronne, la scena dell'Annuncio a Zaccaria e motivi zoomorfi e fitomorfi.Per illustrare il testo biblico vero e proprio veniva sfruttata la tradizione classica, che prevedeva l'introduzione di singole immagini all'interno del testo. Tale sistema illustrativo, sviluppatosi per i rotuli, nei quali la scrittura si disponeva in colonne di cui erano visibili solo piccole sezioni a seconda di come si spiegava o si riavvolgeva il rotulo, implicava l'uso di centinaia di raffigurazioni strettamente connesse al racconto testuale. Il Genesi Cotton, codice greco del sec. 5° (Londra, BL, Cott. Otho B.VI), è un celebre esempio di questo sistema; mostra infatti a corredo del primo libro della B. ca. cinquecento scene disposte in trecentocinquantanove miniature incorniciate, distribuite lungo tutto il codice. Già nel sec. 4°-5°, tuttavia, nell'Itala di Quedlinburg (Berlino, Staatsbibl., Theol. lat. fol. 485), probabilmente il più antico manoscritto cristiano illustrato ancor oggi esistente, il miniatore sfruttò il formato del codice disponendo le miniature, quattro o sei per pagina, all'inizio dei testi relativi.Entrambi i metodi illustrativi, quello che prevede l'inserimento delle raffigurazioni nell'ambito della pagina scritta e quello che raggruppa le scene in una sequenza narrativa, rimasero in uso per tutto il Medioevo.Anche per le singole scene di questi estesi cicli narrativi i miniatori utilizzarono ampiamente le formule proprie della tradizione classica, con scelte motivate per lo più dall'esistenza di connessioni specifiche tra episodi della mitologia ed episodi biblici, come per es. nel caso della creazione di Adamo e di Prometeo che crea l'uomo.Lo stesso processo di appropriazione e adattamento è evidente nell'iconografia del Nuovo Testamento. Ne offrono esempio le guarigioni miracolose, basate sulle illustrazioni dei testi medici, con Cristo rappresentato nell'atteggiamento di Esculapio. A partire dal sec. 4°, tuttavia, la scelta dei modelli per i soggetti del Nuovo Testamento rivela una mutata impostazione ideologica, apparendo essi modelli tratti per lo più dall'iconografia imperiale, a esaltazione del 'rango' di Cristo. Si veda per es. l'Ingresso a Gerusalemme raffigurato come una scena imperiale di adventus e l'immagine della Seconda Venuta (Mt. 24-25) sviluppata dall'iconografia imperiale del trionfo. Un esempio chiarificatore in proposito è costituito dalla presenza nella Natività della Stauroteca Fieschi Morgan, del sec. 8° (New York, Metropolitan Mus. of Art), della levatrice che lava il Bambino, particolare non menzionato nei vangeli, che faceva invece parte della rappresentazione convenzionale della nascita di eroi, da Achille ad Alessandro o Dioniso.Motivata in parte dal desiderio dell'aristocrazia di trasferire nel mondo cristiano l'elevata cultura artistica dei suoi antenati, la trasfusione di strutture e motivi artistici pagani nell'illustrazione biblica raggiunse un livello particolarmente alto nel 4° e 5° secolo. Il fenomeno tuttavia continuò a esistere per tutto il Medioevo, in special modo nei momenti di rinascita artistica. Intorno alla metà del sec. 9°, per es., il miniatore franco della B. di Viviano (Parigi, BN, lat. 1) introduce nella scena della Conversione di s. Paolo (c. 386v) motivi dedotti dal codice tardoantico detto Vergilius vaticano (Roma, BAV, lat. 3225), attribuendo così a s. Paolo, per analogia con Enea, il ruolo di fondatore di una nuova Roma. Un secolo più tardi miniatori bizantini arricchirono il ritratto del frontespizio del Salterio di Parigi (BN, gr. 139) con personificazioni classiche, onde rappresentare le virtù regali di Davide e rafforzare l'aura antica dell'immagine. Forse l'episodio più significativo di questo nuovo classicismo è il Rotulo di Giosuè, del sec. 10° (Roma, BAV, Pal. gr. 431). La narrazione biblica è qui arricchita da un gran numero di personificazioni e personaggi dedotti da esempi di arte antica, mentre, grazie alla forma continua del rotulo, le immagini evocano i rilievi delle antiche colonne trionfali; in definitiva, la conquista della terra promessa assume l'aspetto di una vittoria militare romana.L'uso di dare enfasi all'illustrazione della B. con l'inserimento di elementi classici perdura vivo lungo tutto il corso del Medioevo. Alla sua base, peraltro, si potrebbe anche vedere l'adozione di tradizioni artistiche pagane nelle raffigurazioni bibliche ebraiche del sec. 3°, ove appaiono accettate immagini così simboliche come di carattere narrativo. Un passo di controversa interpretazione di 1 Mac. 3, 48 potrebbe riferirsi a rotuli illustrati della B. ebraica, che sarebbero quindi esistiti già molto prima della nascita dell'arte cristiana. La testimonianza più importante relativa all'illustrazione della B. in ambito giudaico è offerta dalla sinagoga di Dura Europos, sull'Eufrate, che nel secondo quarto del sec. 3° venne decorata con affreschi di soggetto biblico (ora a Damasco, Mus. Nat.), costituenti un ciclo di gran lunga più esteso rispetto a qualsiasi opera di ambito cristiano per ancora un intero secolo. Sebbene sia conservata meno della metà di questa decorazione, è possibile identificare ca. trenta soggetti - tratti da Genesi, Esodo, Numeri, Samuele, Re, Ester, Maccabei, Isaia, Geremia, Ezechiele e Daniele - realizzati tutti con una ricchezza di particolari ben diversa dai laconici simboli dei coevi monumenti cristiani. Ora, per alcuni dettagli gli artisti di Dura Europos si allontanano dalla Scrittura, attingendo alla tradizione trasmessa dai più tardi midrāshīm (Elia, per es., viene rappresentato entro l'altare dei sacerdoti di Baal in base a una tradizione apocrifa secondo cui il profeta avrebbe furtivamente tentato di bruciare l'offerta dei baaliti), in altri casi adottano convenzioni iconografiche proprie all'Antichità, come nella scena della valle delle ossa inaridite, dove, per rappresentare il vento del testo biblico, prendono in prestito la Psiche classica. Il carattere complessivo della decorazione della sinagoga è tuttavia volutamente legato e fedele al testo: il programma iconografico, non senza possibili intenti di reazione al cristianesimo, è esplicito nell'affermare la continuità del patto biblico tra Dio e gli ebrei e la validità delle profezie messianiche e della promessa di restaurazione di Israele.Sebbene non abbia precedenti per la ricchezza della sua decorazione, la sinagoga di Dura Europos non costituisce un caso unico: affreschi a Roma e mosaici in Israele attestano, per l'epoca tardoantica, l'ampia diffusione in ambiente giudaico di un'arte di contenuto biblico. A questo proposito si può menzionare il mosaico pavimentale della sinagoga di Beth Alpha (Israele), del sec. 6°, con la raffigurazione del Sacrificio di Isacco e, al centro, Helios nel carro circondato dallo zodiaco.Non è stato ancora chiarito in modo definitivo se la tradizione ebraica abbia costituito o meno la fonte principale delle rappresentazioni cristiane a carattere narrativo e se abbia avuto una funzione mediatrice tra l'arte pagana e quella cristiana. È questa peraltro una tesi che le strette analogie tra la produzione di ambito ebraico e le più tarde opere cristiane rendono plausibile. La scena di Mattatia che uccide il messaggero del re (1 Mac. 2, 25) a Dura Europos, per es., ha strettissime analogie con quella che si trova in un manoscritto dei Maccabei del sec. 10°, proveniente da San Gallo (Leida, Bibl. der Rijksuniv., Perizoni 17). Poiché le illustrazioni cristiane dell'Antico Testamento abbondano di materiale aneddotico rintracciabile nella tradizione ebraica, numerosi studiosi ritengono che l'arte cristiana di argomento biblico derivi da prototipi giudaici ora in gran parte perduti, un'ipotesi complicata peraltro dal fatto che nella letteratura cristiana si ritrovano leggende e commentari ebraici. Il complesso di relazioni tra l'arte cristiana e quella giudaica può essere probabilmente meglio compreso, lasciando da parte i problemi di derivazione dell'una dall'altra, in un contesto di continue interazioni tra sette nel periodo di formazione del cristianesimo. La situazione mutò quando il cristianesimo divenne dominante e soprattutto dopo che, a partire dal sec. 6°, il riaffermarsi del fondamentalismo ebraico pose fine alla tradizione figurativa giudaica. Quando riprendono, nel sec. 13°, a illustrare la B., gli ebrei fanno ormai a loro volta ricorso a modelli cristiani.
Presso gli ebrei la raffigurazione di storie e profezie bibliche rientrava nell'ambito delle attività estetiche e costituiva strumento di distinzione sociale e probabilmente anche di istruzione, ma non fu mai un elemento fondamentale della religione. Per i cristiani, al contrario, l'illustrazione della B. era un aspetto essenziale del culto, se non altro per il fatto che la narrazione per immagini sostituì il testo sacro presso gli analfabeti a cui il cristianesimo rivolse il suo messaggio. All'inizio del sec. 5° Paolino afferma di aver messo nella sua chiesa di Nola immagini bibliche per i contadini non privi di religione, ma incapaci di leggere (Poema XXVII, v. 548; PL, LXI, col. 660), mentre alla fine del sec. 6° Gregorio Magno scrive al vescovo di Marsiglia che "quod legentibus scriptura, hoc idiotis praestat pictura cernentibus, quia in ipsa etiam ignorantes vident quid sequi debeant, in ipsa legunt qui litteras nesciunt" (Ep., XIII; PL, LXXVII, col. 1128). L'utilità didattica dell'illustrazione della B. non venne disconosciuta neanche in età iconoclasta, nei secc. 8° e 9°, e anche quando la conversione dell'Europa settentrionale era già da lungo tempo compiuta le immagini continuarono a essere utilizzate per l'istruzione dei fedeli. S. Bonaventura fa riferimento a esse come a una scrittura più chiara (III Sent., d. IX, 1, q. II) e l'anonimo autore del Pictor in Carmine del sec. 12° definisce i cicli figurativi di soggetto biblico come i libri dei laici, che rendono comprensibili agli illetterati le cose divine e ai sapienti ispirano l'amore per le Scritture.Dopo la pace costantiniana, l'illustrazione della B. subisce modifiche intese a incontrare il favore delle classi nobiliari, convertitesi di recente e use a vedere nei materiali preziosi e nel raffinato classicismo i più alti valori della cultura romana. Nella lipsanoteca di Brescia, un reliquiario a cassetta in avorio della fine del sec. 4° (Brescia, Civ. Mus. Cristiano), accanto a temi cari già all'epoca precedente, come Giona addormentato sotto una vite, appaiono episodi meno consueti, quali l'Uccisione dell'Egiziano da parte di Mosè, la Trasfigurazione di Cristo e la Punizione di Anania e Saffira, gli uni e gli altri resi con raffinatezza eccezionale. Nella contemporanea basilica di S. Paolo f. l. m. a Roma si manifesta la stessa tendenza, in particolare nei quarantadue riquadri a fresco che, al di sotto delle figure stanti di profeti e apostoli, ritratti tra le finestre del cleristorio, riproducevano sulla parete destra della navata episodi della Genesi e dell'Esodo e sulla parete sinistra altrettanti riquadri con scene della Vita di Paolo, dedotte dagli Atti degli Apostoli; l'Adorazione dei ventiquattro vegliardi raffigurata a mosaico sull'arco trionfale costituiva il legame tra i due cicli. L'estrema preziosità e gli elementi iconografici tratti dall'arte pagana, come la raffigurazione di Cristo nelle vesti di Sol Invictus, alla sommità dell'arco, furono certo motivati dal desiderio di soddisfare il gusto dell'aristocrazia romana; ma nel contempo il grande spazio dato alla narrazione della missione di Paolo presso i gentili si rivolgeva alla nobiltà romana confermandole che faceva parte integrante del piano divino, quale rivelato nelle Scritture. Nella basilica romana di S. Maria Maggiore, di poco più tarda, le Storie dell'Antico Testamento realizzate a mosaico sulle pareti della navata centrale e dell'Infanzia di Cristo sull'arco trionfale promuovevano lo stesso messaggio: i cristiani costituivano ormai la plebs Dei.A determinare l'importanza dell'illustrazione biblica in ambito cristiano concorse soprattutto il dogma fondamentale della nuova fede, secondo cui Dio si è fatto uomo ed è vissuto sulla terra: raffigurare episodi della vita di Cristo voleva dire affermare de facto questo credo, rifiutarli significava mettere in dubbio la natura umana di Cristo, eresia pericolosa per l'ortodossia cristiana. Gregorio II (715-731) chiarisce bene questo punto in una lettera al patriarca iconoclasta Germano (Mansi, XIII, coll. 91-100): "Se le profezie non si fossero adempiute, se Cristo non si fosse fatto carne, non sarebbe stato lecito raffigurarlo come uomo. Lo stesso varrebbe per la rappresentazione della sua nascita dalla Theotókos in Betlemme, così come per le immagini che raffigurano i Magi che recano i loro doni [...] o la guarigione degli infermi, la Passione, l'Anastasi e l'Ascensione: non sarebbe lecito né scrivere di tali eventi, né rappresentarli".È quanto si ritrova anche negli atti del secondo concilio di Nicea (787): "Una delle tradizioni (della Chiesa) è costituita dalle rappresentazioni iconografiche - giacché ciò concorda con il racconto dell'annuncio del vangelo - fatte allo scopo di rendere chiara l'incarnazione di Dio, il Verbo, che è stata reale, non immaginaria, e hanno per noi la stessa utilità del racconto evangelico".Virtualmente, ogni particolare nell'illustrazione del Vangelo implicava una presa di posizione nei confronti della natura di Cristo. Per es., il motivo, di eredità antica, del lavaggio del bambino, nella Stauroteca Fieschi Morgan (New York, Metropolitan Mus. of Art), non si riferisce solo allo status 'eroico' di Cristo, ma d'a inoltre maggior forza alla realtà della sua esistenza umana. Allo stesso modo l'impronta dei piedi di Cristo al centro della miniatura dell'Ascensione, nel Salterio del langravio Ermanno di Turingia (Stoccarda, Württembergisches Landesbibl., HB II.24, c. 109v), ha lo scopo di attestare la presenza fisica di Cristo, così come la attestava, a Gerusalemme, la pietra con le impronte dei suoi piedi conservata nel luogo in cui l'evento si era verificato. In alcuni casi la rappresentazione della storia biblica poteva essere considerata una prova più efficace della stessa citazione scritturale. A questo proposito esistono due testimonianze del sec. 7°, una relativa ad Anastasio Sinaita, che si servì di un'immagine della Crocifissione per combattere le eresie relative alla duplice natura di Cristo, l'altra a Beda, che affidò a un'immagine del supplizio di s. Paolo il compito di provare una questione teologica (Smaragdo, Coll. in Ep. et Ev.; PL, CII, coll. 105-106).La fede cristiana afferma inoltre che Cristo ordinò ai suoi discepoli e ai loro successori di proseguire la sua opera: di conseguenza la rappresentazione delle storie degli apostoli e delle vite dei santi ha l'esplicito scopo di attestare la legittimità della Chiesa. Il frontespizio della B. di Viviano (Parigi, BN., lat. 1, c. 386v; sec. 9°) pone l'accento sul fatto che a Paolo venne conferita l'autorità di predicare la parola di Dio tra i gentili, mentre nell'Ascensione del Salterio del langravio Ermanno di Turingia l'accento è posto sul fatto che le fondamenta della Chiesa sono Maria (Ecclesia) e Pietro. La continuità dell'istituzione ecclesiastica è anche uno dei temi del ciclo di S. Paolo f. l. m., dove la sequenza narrativa si concludeva con l'Incontro fra Pietro e Paolo, mentre i ritratti clipeati dei papi collegavano il tempo presente all'autorità 'biblica' di Pietro, concetto che sottostà anche agli affreschi del sec. 10° della Tokalı Kilise in Cappadocia, con scene della vita pubblica di Cristo unite alle raffigurazioni della Pentecoste e a quelle degli apostoli che predicano ai popoli di tutta la terra.Considerate particolarmente persuasive in virtù della loro immediatezza, le immagini dovevano essere in grado di suscitare spontaneamente i sentimenti voluti. All'inizio del sec. 5° Nilo di Ancira, detto il Sinaita, affermava che le raffigurazioni di eventi biblici avrebbero suscitato negli osservatori il desiderio di emulare tali gloriose e celebrate imprese (Ep., IV, 61; PG, LXXIX, coll. 577-580) e ancora nel sec. 13° Giovanni Balbi da Genova, fra i tre motivi per cui la Chiesa istituì il culto delle immagini, indicava la loro capacità "ad excitandum devocionis affectum quod ex visis efficacius excitatur quam ex auditis" (Catholicon, Mainz 1460, p. non numerata). Questi concetti sono evidenti alla base del modo di tradurre in immagini episodi di particolare carattere emotivo come quelli associati alla nascita e alla morte di Cristo. Così per es. il fragile Cristo che porta la croce, in una miniatura del Salterio di Křivoklát (Castello, Bibl., I.b.23, c. 10v), emoziona già anche solo per lo stridente contrasto con la bestialità grottesca dei rozzi personaggi che brutalizzano il suo corpo delicato.Con il finire del Medioevo l'illustrazione della B. accentua ulteriormente simili dati emotivi, inserendo nelle immagini, onde provocare effetti coinvolgenti, anche vivi dettagli realistici. Nella Kariye Cami di Istanbul (sec. 14°), per es., l'episodio della Strage degli innocenti, descritto nei Vangeli con un'unica frase, occupa ben quattro lunette in cui, attingendo a sermoni, il mosaicista d'a ampio spazio ai preparativi militari di Erode e contrappone il re così alla madre terrorizzata che tenta di scappare con il proprio figlio come a quella che in preda alla disperazione storna lo sguardo mentre un soldato pugnala il suo bambino.Nello stesso periodo, in Occidente, i momenti più toccanti del racconto biblico, come per es. Cristo che conforta Giovanni durante l'Ultima Cena (Gv. 13, 23), vengono rappresentati anche isolatamente, in Andachtsbilder, immagini devozionali finalizzate a suscitare amore e pietà. Nel sec. 15° anche episodi privi di un particolare carattere patetico furono svolti in quest'ottica, come appare nella B. di Evert von Soudenbalch (Vienna, Öst. Nat. Bibl., 2771-2772, c. 298v), dove l'Incontro di Salomone con la regina di Saba (1Re 10, 1-13) è presentato carico di aspetti teneri e sensuali, come tali disapprovati dalle dame del seguito.
Nel Medioevo la sede naturale dell'arte di contenuto biblico è lo stesso libro delle Scritture, sulla cui illustrazione si basò ogni altra forma di espressione artistica degli stessi temi. B. illustrate dovettero essere eseguite già prima del più antico esemplare conservato, l'Itala di Quedlinburg, che risale al sec. 4°-5°; gli affreschi della sinagoga di Dura Europos mostrano infatti un'adesione al testo scritto propria dei manoscritti miniati, che del resto è probabile siano, in questo caso, effettivamente serviti da modello, come si può dedurre dal riquadro che rappresenta Ezechiele nella valle delle ossa inaridite, ove la figura del profeta appare riprodotta per sei volte, seguendo esattamente le parole del testo. La stessa fedeltà al testo si ritrova nel Genesi Cotton, dove ogni fase della narrazione ha una sua propria illustrazione, il più vicina possibile al passo relativo. Esemplare è il caso della nascita di Caino e Abele, che nella versione dei Settanta è narrata in ventisette parole ed è illustrata da tre distinte raffigurazioni. Si tratta del resto di un metodo di illustrazione del testo che ebbe fortuna durante tutto il Medioevo: in un manoscritto del Libro di Giobbe del sec. 11° (S. Caterina sul monte Sinai, Bibl., gr. 3) il solo prologo è illustrato da venticinque miniature, pressappoco una per ciascun verso.All'inizio non si fece alcuna distinzione di importanza tra l'uno e l'altro episodio narrato, poiché la determinante strutturale era l'autorità della parola di Dio. Una fedeltà ad litteram veniva pertanto applicata anche se poteva comportare ridondanze eccessive, soprattutto nell'illustrazione dei Vangeli, dove alcuni episodi si ripetevano fino a quattro volte. Al proposito si può menzionare un evangeliario bizantino del sec. 11° (Firenze, Laur., Plut. 6. 23), che tra le sue settecentocinquanta miniature comprende ben quattro Deposizioni. Tale densità illustrativa era tuttavia possibile solo in manoscritti contenenti singoli libri della B. o in piccoli compendia e in genere è una caratteristica degli esemplari più antichi o di quelli, come il Libro di Giobbe del monte Sinai, che riproducono prototipi precedenti. Già nei primi tempi tuttavia è documentato anche l'uso di separare le raffigurazioni dal testo, realizzando sequenze narrative indipendenti. Nel citato Evangeliario di s. Agostino, la Vita di Cristo è rappresentata nel frontespizio come una narrazione continua e lo stesso sistema si ritrova in un manoscritto inglese del sec. 12° (New York, Pierp. Morgan Lib., M. 521, c. 1r), in cui in una sola pagina sono raffigurati trenta momenti distinti della Vita pubblica di Cristo.Fuori dall'ambito librario l'immagine godeva di maggiore autonomia rispetto al testo. Ciò non toglie che esistono casi, come nel sec. 13° i mosaici di S. Marco a Venezia, dove ca. un quarto delle miniature del Genesi Cotton è trascritto con scrupolosa fedeltà, nelle cupole, negli archi e nelle pareti dell'atrio.Una delle vetrate dell'abate Suger in Saint-Denis narra la vita di Mosè in tredici pannelli, in una scelta sintetica (dall'episodio del Faraone che ordina l'uccisione dei figli maschi degli ebrei fino all'Innalzamento del serpente di bronzo nel deserto) che nondimeno conserva la fedeltà testuale dei cicli miniati. In realtà anche nei casi in cui i manoscritti potrebbero non aver avuto la funzione di modelli - come nei mosaici di S. Maria Maggiore a Roma - il riferimento all'illustrazione della B., implicito nel metodo narrativo, serviva a legittimare le immagini ed è proprio grazie alla fedeltà al testo, sotteso alla struttura narrativa, che potevano venire introdotti episodi non biblici. Il ciclo degli Atti degli Apostoli in S. Paolo f. l. m., per es., si concludeva con la scena dell'Incontro di Pietro e Paolo, un avvenimento narrato in testi apocrifi che aveva grande importanza per il papato romano, così come il ciclo evangelico abbreviato della Stauroteca Fieschi Morgan comprende l'Anastasi, un episodio mai citato nel Nuovo Testamento ma di grande significato per la teologia cristiana.In momenti diversi nel corso del Medioevo quasi tutti i libri della B. vennero illustrati in modo letterale. La Genesi conobbe un particolare favore durante il periodo paleocristiano; oltre al Genesi Cotton va ricordato il codice purpureo del sec. 6° conservato a Vienna (Öst. Nat. Bibl., Vind. theol. gr. 31), in origine illustrato da quasi duecento immagini, e le miniature tratte dalla Genesi presenti tra le illustrazioni a tutta pagina del citato Pentateuco di Ashburnham. Estesi cicli della Genesi, forse tratti da modelli paleocristiani, si trovano anche negli ottateuchi posticonoclasti quali per es. quelli vaticani (Roma, BAV, gr. 746 e 747).Sebbene non sia stato illustrato come volume autonomo, l'Esodo ebbe una notevole fortuna iconografica per la sua vivace descrizione della vittoria degli israeliti sul Faraone e per quella della vita di Mosè. Scene tratte da questo libro compaiono sulle pareti delle prime basiliche cristiane, sulle porte di S. Sabina a Roma e nei compendia della B., così come costituiscono ampia parte dell'illustrazione dell'Esateuco di Alfrico, del sec. 11° (Londra, BL, Cott. Claud. B. IV), e completano il programma iconografico dell'atrio di S. Marco a Venezia. Neanche Levitico, Numeri e Deuteronomio hanno una loro tradizione figurativa indipendente; vennero tuttavia illustrati nel Pentateuco di Ashburnham, negli ottateuchi e in altri cicli allargati, come quello della B. di Venceslao, del sec. 14° (Vienna, Öst. Nat. Bibl., 2759-2764). Questo vale generalmente anche per il libro dei Giudici e per quello di Rut, sebbene già nel sec. 5° la storia di Sansone appaia rappresentata in un mosaico pavimentale a Mopsuestia (presso l'od. Misis), con una fedeltà al testo che trova riscontro nei più tardi ottateuchi.Il libro di Giosuè, insieme agli episodi relativi del Deuteronomio, appare illustrato con il carattere di una sorta di cronaca militare nel rotulo bizantino vaticano del sec. 10° (Roma, BAV, Pal. gr. 431), ma è un caso a sé di descrizione da un ottateuco illustrato.Se si prescinde dalla Genesi, solo i libri storici dei Re e quelli di Samuele vennero illustrati come entità separate e ciò in virtù del significato particolare che si attribuiva alla figura di re Davide. L'Itala di Quedlinburg, che contiene frammenti di tre di questi quattro libri, deve essere stata un volume di notevoli dimensioni e il Libro dei Re vaticano, del sec. 11°-12° (Roma, BAV, gr. 333), è illustrato con centosessantasette miniature intercalate al testo scritto secondo l'uso tardoantico.Fra i libri deuterocanonici fu illustrato come opera autonoma il primo libro dei Maccabei in virtù, indubbiamente, del suo contenuto militare. Più tardi, in età tardomedievale, i libri dei Maccabei furono trasformati in testi letterari e, per quanto riguarda le arti figurative, in un vero e proprio romanzo cavalleresco; mentre il libro di Giobbe ebbe a Bisanzio una diffusione del tutto particolare, attestata oggi da più di una dozzina di manoscritti illustrati.A causa del loro linguaggio poetico e visionario i libri sapienziali e profetici del Vecchio Testamento non si prestavano alla resa pittorica: Proverbi, Ecclesiaste, Cantico dei Cantici e profeti maggiori e minori furono pertanto decorati, per lo più, con il solo ritratto dell'autore. In un codice vaticano contenente i libri profetici (Roma, BAV, Chigi R. VIII. 54) si trovavano in origine sedici ritratti a piena pagina, ognuno all'inizio di un libro. Altri manoscritti includono la raffigurazione delle visioni profetiche principali: basti citare un manoscritto ottoniano conservato a Bamberga (Staatsbibl., Bibl. 22), che mostra una splendida immagine di apertura con sulla destra l'angelo che santifica le labbra di Isaia con il carbone (Is. 6, 6-7) e sulla sinistra la successiva apparizione celeste.Il libro dei Salmi è uno tra i testi biblici più illustrati. Il Salterio Vespasian, del sec. 8° (Londra, BL, Cott. Vesp. I), è uno dei più antichi esempi rimasti, con il testo preceduto dall'immagine a piena pagina di Davide in atto di comporre i suoi salmi; immagini simili si ritrovano nel Salterio Chludov, del sec. 9° (Mosca, Gosudarstvennyj Istoritscheskij Muz., Add. gr. 129), e in numerosi manoscritti più tardi, orientali e occidentali. Dato il particolare interesse riservato a Davide, il ritratto dell'autore venne spesso ampliato in una sorta di racconto della sua vita. Nel citato Salterio di Parigi, come in altri cinquanta manoscritti greci dello stesso tipo, detti salteri aristocratici, a Davide che compone i salmi segue una serie di miniature raffiguranti scene della Vita del profeta, basate sul corredo iconografico di uno dei libri dei Re. Lo stesso adattamento si ritrova sul piatto superiore della legatura in avorio del Salterio della regina Melisenda, un manoscritto realizzato nel regno latino di Gerusalemme tra il 1131 e il 1143 (Londra, BL, Egert. 1139): nel medaglione inferiore destro Davide è raffigurato in trono circondato da quattro musici, mentre, a partire dal medaglione in alto a sinistra, si susseguono: Davide protegge il suo gregge dal leone e dall'orso; viene unto da Samuele; uccide Golia; riceve la spada da Doeg e si inginocchia presso all'altare davanti a Natan.In quanto libro liturgico, il salterio conteneva brani estrapolati da altri libri della B., come il canto di Maria dopo il passaggio del mar Rosso o il Magnificat, spesso illustrati anch'essi; nel Salterio di Parigi, per es., sono raffigurati l'Esodo, la Preghiera di Anna e altri temi relativi ai cantici interpolati.Nell'Occidente latino si sviluppò un sistema di illustrazione del salterio in cui il programma decorativo è costituito da cicli del Vecchio e/o del Nuovo Testamento. Il Salterio dell'abate Odberto di Saint-Omer, o di Saint-Bertin, realizzato nel 999 (Boulogne-sur-Mer, Bibl. Mun., 20), mostra nel frontespizio scene della Vita di Davide e nelle iniziali decorate del testo ventisei scene evangeliche ricche di particolari. Il Salterio Tiberius, proveniente da Winchester, della metà del sec. 11° (Londra, BL, Cott. Tib. C. VI), è il primo esempio di un sistema decorativo costituito da una serie iniziale di miniature a pagina intera, contenenti, in questo caso, un ciclo davidico e uno cristologico; il Salterio di St Albans, realizzato all'inizio del secolo successivo (Hildesheim, St. Godeshardskirche, 1169), è preceduto da due miniature tratte dalla Genesi e da trentasei di soggetto neotestamentario. Nello splendido salterio prodotto per la regina Ingeborga poco dopo il 1200 (Chantilly, Mus. Condé, 1695), un'immagine dell'albero di Iesse segna il passaggio tra Vecchio e Nuovo Testamento, separando le scene relative ad Abramo e Mosè dal ciclo della Vita di Cristo. Il Foglio Morgan con scene del Nuovo Testamento (New York, Pierp. Morgan Lib., M. 521) potrebbe essere il frontespizio di un salterio piuttosto che di un evangeliario, e a salteri appartengono anche le già menzionate miniature con l'Ascensione e la Passione, rispettivamente del Salterio del langravio Ermanno di Turingia e di quello di Křivoklát.Nonostante la difficoltà insita nella trasposizione del linguaggio metaforico in immagini, i miniatori fornirono per lo più trascrizioni letterali anche dei Salmi.Vi sono anche casi in cui il Vecchio Testamento è illustrato autonomamente. La B. dell'Arsenal (Parigi, Ars., 5211), per es., è in realtà un compendio in francese di venti libri del Vecchio Testamento, ciascuno preceduto dall'illustrazione di alcuni episodi o da un ritratto. Realizzato ad Acri, il porto del regno crociato in Terra Santa, forse per Luigi IX di Francia, il manoscritto accorda iconografia bizantina e occidentale. Luigi IX sembra essere stato il committente anche della più spettacolare redazione del Vecchio Testamento che si conosca (New York, Pierp. Morgan Lib., M. 638), un libro illustrato con quasi trecentocinquanta miniature a corredo della storia biblica dalla creazione al secondo libro di Samuele. Sebbene l'iconografia sembri derivare da fonti antiche, lo stile vivace trasforma le immagini in un'epopea eroica che ben si adegua al suo committente. Un più tardo libro illustrato prodotto a Padova sullo scorcio del sec. 14° (Rovigo, Accad. dei Concordi, 212; Londra, BL, Add. Ms. 15277) dedica al Pentateuco e ai libri di Giosuè e Rut ca. novecento miniature; anche in questo caso modelli antichi furono utilizzati allo scopo di soddisfare un interesse tutto contemporaneo nei confronti del senso letterale della Bibbia.Il problema costituito dalla ripetizione della storia di Cristo nei quattro Vangeli condusse fin dall'origine a separare, nei manoscritti del Nuovo Testamento, le immagini dal testo. Nei quattro esemplari conservati del sec. 6° l'adesione delle immagini al testo risulta compromessa dalla volontà di creare sequenze narrative di una certa coerenza. Nel citato Evangeliario di s. Agostino, per es., a fianco del ritratto dell'evangelista Luca sono disposti piccoli riquadri con episodi del relativo Vangelo, ma in un'altra pagina dello stesso codice scene tratte dai diversi libri formano una sequenza continua della Passione. Nell'Evangeliario di Rossano e nei frammenti affini di quello di Sinope (Parigi, BN, Suppl. gr. 1286) le illustrazioni accompagnano il testo introduttivo, che contiene i passi da leggere durante la Quaresima, mentre nell'Evangeliario di Rabbula (Firenze, Laur., Plut. 1.56) in margine alle tavole canoniche si trova una narrazione continua della vita di Cristo che culmina nelle miniature a piena pagina con la Crocifissione, l'Ascensione e la Pentecoste. Negli evangeliari-lezionari illustrati dopo il periodo iconoclasta, i miniatori bizantini mettono in evidenza le feste principali del calendario orientale con miniature a pagina intera che hanno il carattere di icone. Nel lezionario imperiale del sec. 11° conservato al monte Athos (Dionisio, 587), il più lussuoso tra i manoscritti di questo tipo, l'episodio di Cristo al Getsemani è illustrato nei suoi tre momenti successivi in una miniatura dalla ricca cornice, posta all'inizio delle letture del Venerdì Santo (c. 66r). L'interesse per l'illustrazione del Vangelo fu particolarmente vivo in Oriente. Quattro fogli cuciti nel più tardo Evangeliario di Eǰmiacin (Erevan, Matenaradan, 2374) attestano che l'uso di dedicare intere pagine miniate ai principali eventi della vita di Cristo era già consueto in Armenia nel sec. 7°; nei manoscritti armeni più tardi si trova solitamente una serie di miniature a piena pagina inserite tra le tavole canoniche e i ritratti degli evangelisti. Gli evangeliari georgiani, invece, come per es. i Vangeli Djruji, del sec. 12° (Tbilisi, Ist. dei manoscritti K. Kekelidze, Accad. di Scienze, A 908), erano invece spesso decorati con fitti cicli narrativi.Un frammento con l'Annuncio a Zaccaria proveniente da un codice della scuola di corte del tardo sec. 8° (oggi facente parte del codice di Londra, BL, Cott. Claud. B.V) permette di ipotizzare l'esistenza di evangeliari carolingi con illustrazioni nel testo; i manoscritti di questo periodo che si sono conservati integralmente presentano tuttavia cicli narrativi in sequenza cronologica. Anche in ambito ottoniano si ristrutturò il racconto biblico per creare ampi cicli miniati in cui si susseguivano l'Infanzia di Cristo, la Vita pubblica, la Passione e le apparizioni dopo la Risurrezione. Nel Codex Egberti, un libro di pericopi realizzato nella Reichenau intorno al 985-990 (Treviri, Stadtbibl., 24), il testo è intervallato da più di cinquanta miniature, racchiuse entro semplici cornici, che sembrano derivare da una fonte paleocristiana; mentre nel Codex Aureus di Echternach (Norimberga, Germanisches Nationalmus., 2-156142), di poco posteriore, le miniature sono disposte a gruppi prima di ciascuno dei quattro vangeli: le scene con l'Infanzia di Cristo precedono il testo di Matteo, i miracoli quello di Marco, le parabole Luca, la Passione e gli avvenimenti successivi Giovanni. Nello splendido Evangeliario dell'imperatore Ottone III (Monaco, Bayer. Staatsbibl., Clm 4453) il sistema narrativo e quello monumentale si fondono dando luogo a una serie di miniature a piena pagina, alcune delle quali composte da diversi episodi narrativi, altre invece dedicate ai momenti salienti della vita di Cristo, che si scalano lungo tutto il volume prescindendo dal testo. I Vangeli dell'Incoronazione di Vyšehrad, del 1085-1086 (Praga, Státni Knihovna, XIV A 13), si aprono con una serie di immagini che illustrano la genealogia di Cristo secondo Matteo, a cui fanno seguito, distribuite lungo tutto il testo, grandi miniature con i principali avvenimenti in ordine cronologico. L'Evangeliario dell'abbazia premostratense di Averbode, del sec. 12° (Liegi, Bibl. Univ., 363 C), invece, raggruppa sequenze narrative prima dell'incipit di ciascun libro. Alla fine del Medioevo i Vangeli vennero realizzati anche come veri e propri libri illustrati, come nel caso di un codice cartaceo diviso tra Friburgo (Universitätsbibl., 334) e New York (Pierp. Morgan Lib., M. 719-720), in cui il racconto è accompagnato da ca. duecentodieci immagini.Ovviamente, fuori dell'ambito dei manoscritti, l'illustrazione dei Vangeli appare sviluppata con particolare ricchezza, dato che il complesso rapporto con il testo non costituiva più un fattore determinante. Probabilmente prima della fine del sec. 4°, la parete sinistra della navata centrale della basilica di S. Pietro a Roma venne affrescata con quarantasei episodi della vita di Cristo, destinati a costituire nei secoli successivi il modello per la decorazione di numerosi edifici, fra cui la chiesa di Desiderio a Montecassino, in uno con quella, da essa dipendente, di Sant'Angelo in Formis; rientra ancora nella discendenza, nel sec. 13°, la decorazione della basilica superiore di S. Francesco ad Assisi.In S. Apollinare Nuovo a Ravenna i mosaici del sec. 6° che si trovano tra le finestre del cleristorio pongono l'accento sul ministero di Cristo, mentre i grandi affreschi della navata di St. Georg a Oberzell, nella Reichenau, si incentrano sui suoi miracoli. Nei rilievi del terzo pilastro della facciata della cattedrale di Orvieto, illustranti la Vita di Cristo, la narrazione, come avviene solitamente in tali cicli, estrapolati dal contesto delle rispettive chiese, ha inizio con l'Annunciazione e prosegue con gli episodi dell'Infanzia fino al Battesimo, alla Passione e alla Crocifissione, per terminare infine con la Risurrezione. Nelle chiese bizantine, come pure nei lezionari greci, la narrazione era generalmente limitata agli eventi principali, rappresentati in modo solenne; tuttavia si hanno esempi di cicli molto estesi, particolarmente in Cappadocia, come per es. nella Tokalı Kilise del sec. 10°, e, di nuovo, al termine dell'epoca bizantina, nei mosaici della Kariye Cami di Istanbul, del 14° secolo.Benché si sia conservato un unico manoscritto illustrato contenente gli Atti degli Apostoli (Parigi, BN, gr. 102), è noto che il testo venne frequentemente tradotto in figurazioni artistiche. Sotto la Pentecoste, l'evento con cui si apre la narrazione degli Atti, nella Tokalı Kilise sono raffigurati gli apostoli in preghiera mentre Pietro ordina i diaconi. A Nonantola alcuni frammenti di affreschi del sec. 12° illustrano episodi narrati in At. 9; un rotulo del sec. 13° conservato a Vercelli (Bibl. Capitolare) riporta invece un'ampia serie di composizioni basate sulla decorazione - ispirata agli Atti - che ornava un tempo la volta di S. Eusebio di Vercelli. Cicli con la Vita di Paolo figuravano nei perduti affreschi della basilica dedicata all'apostolo a Roma e nel frontespizio delle Epistole nella B. di Viviano (Parigi, BN, lat. 1). È oggi perduta l'ampia serie di scene della Vita di Pietro rappresentate nel transetto dell'antica basilica di S. Pietro a Roma, ma se ne conservano molti altri esemplari, fra cui la già citata lipsanoteca di Brescia (Civ. Mus. Cristiano) con episodi della vita del principe degli apostoli e il ciclo di affreschi di S. Piero a Grado (Pisa). Nella Cappella Palatina di Palermo e nel duomo di Monreale le Storie di s. Pietro e di s. Paolo occupano spazi analoghi all'interno dei relativi cicli musivi.Le Lettere paoline furono illustrate non solo con il ritratto dell'autore ma anche con cicli relativi alla sua vita, come per es. in un manoscritto del sec. 9° (Monaco, Bayer. Staatsbibl., Clm 14345), con tre miniature a pagina intera rappresentanti Paolo alla lapidazione di s. Stefano, condotto cieco a Damasco e in atto di predicare; un analogo ciclo narrativo introduce alle Epistole nella B. di Viviano (Parigi, BN, lat. 1, c. 386v). Nei manoscritti di età romanica e gotica l'iniziale di apertura di ciascuna Lettera era spesso istoriata con il ritratto dell'autore o scene della sua vita.Il libro dell'Apocalisse, con le sue vivide descrizioni escatologiche, impegnò gli artisti occidentali come pochi altri testi. Evidentemente ne esistevano esemplari miniati già nel sec. 5°, quando singole scene a esso ispirate comparvero nella decorazione monumentale romana, a partire dall'Adorazione dei ventiquattro vegliardi nella basilica di S. Paolo. Beda riferisce che intorno al 685 Benedetto Biscop portò da Roma "imagines visionum Apocalypsis beati Joannis" per ornare il muro settentrionale della sua chiesa di Wearmouth Jarrow (Hist. Abbatum, 6; PL, XCIV, col. 718) e infatti i più antichi manoscritti conservati, un frammento di un esemplare realizzato in Northumbria (Monaco, Bayer. Staatsbibl., Clm 29270/12, già 29159) e quattro codici carolingi (tra i quali il più notevole è quello di Treviri, Stadtbibl., 31) dipendono da un modello romano. Vi si trovano miniature a pagina intera che, distribuite regolarmente nel corso del testo, fungono da vivido tramite fra le parole di Giovanni e le immagini da esse evocate. Il capolavoro di questa tradizione si ebbe comunque solo nel sec. 11°, con le raffigurazioni audacemente astratte dell'Apocalisse di Bamberga (Staatsbibl., Bibl. 140). È specialmente in Spagna che il libro dell'Apocalisse appare diffuso, illustrato in genere in manoscritti contenenti i Commentari all'Apocalisse di Beato di Liébana e usato quale occasione per raffigurare gli sconvolgenti avvenimenti futuri e la loro risoluzione finale in un nuovo ordine. Il volume conservato a Burgo de Osma (Catedral, Bibl., 1), datato 1086, è un esempio tipico della grande famiglia dei manoscritti di Beato, nei quali a ogni visione è dedicata una miniatura, con immagini concise e di grande effetto. Un terzo sottogruppo fra i manoscritti illustranti l'Apocalisse è costituito da più di trenta esemplari anglonormanni, in cui si riflette da un lato l'intensificarsi della spiritualità per effetto del movimento francescano nel tardo sec. 13° e nel 14°, dall'altro l'interesse delle corti per l'imagerie militaresca. Uno dei codici più antichi e più raffinati di questo gruppo è l'Apocalisse realizzata per Eleonora, moglie di Enrico III d'Inghilterra (Cambridge, Trinity College, R.16.2). Una nuova fioritura di illustrazioni dell'Apocalisse di eccezionale ricchezza appare intorno al 1400 nei Paesi Bassi (per es. Parigi, BN, néerl. 3), trasfigurando il succitato modello inglese con la brillantezza dei colori e un accresciuto naturalismo. Per ciò che riguarda l'Oriente bizantino, l'unica Apocalisse illustrata risale al sec. 17° (Chicago, State Univ., 931).Anche nella decorazione delle chiese, come testimonia già Beda, sussistono ab antiquo cicli pittorici tratti dall'Apocalisse. Il transetto della chiesa abbaziale di Castel Sant'Elia presso Nepi (prov. Viterbo) conserva ancora sette scene di un'ampia decorazione affrescata del sec. 11° e un ciclo all'incirca dello stesso periodo si trova nel portico di Saint-Savin-sur-Gartempe. Alla fine del sec. 14° Giusto de' Menabuoi decorò una cappella nel battistero di Padova con numerose immagini dell'Apocalisse, ma il ciclo più famoso del periodo è costituito dagli arazzi di Angers, realizzati nell'ottavo decennio del secolo per Luigi d'Angiò (Angers, Château, Mus. des Tapisseries, Gal. de l'Apocalypse).In alcuni casi l'intero Nuovo Testamento venne trattato come un'unità narrativa, come avviene per es. in tre manoscritti del sec. 13°, provenienti dall'Italia settentrionale (Roma, BAV, lat. 39; Chigi A.IV.74; Venezia, Coll. Giustiniani, XXXV, già 465), che illustrano il Vangelo, gli Atti e l'Apocalisse con figure inserite nel testo. Nell'Oriente bizantino, a partire dal sec. 11°, i Vangeli vennero spesso uniti ai Salmi in un unico manoscritto, che in tal modo conteneva i due più importanti testi liturgici; un codice di questo tipo, databile al 1184 ca. (Washington, Dumbarton Oaks Research Lib. and Coll., 3), è illustrato da scene della Vita di Davide, dai frontespizi alle odi e da numerose miniature e iniziali istoriate concernenti i Vangeli e le Lettere. Anche il manoscritto Rockfeller-McCormick (Chicago, State Univ., 965), della metà del sec. 12°, illustrato con scene dei Vangeli e degli Atti, conteneva in origine anche i Salmi.La difficile impresa di illustrare l'intera B. nel modo ampio e aderente al testo adottato nel caso di singoli libri venne tentata nella B. di León, del 960 (León, San Isidro, bibl., 2), in due manoscritti catalani, conservati l'uno a Roma (BAV, lat. 5729) e l'altro a Parigi (BN, lat. 6) e ancora - malgrado la progressiva riduzione delle immagini dal primo volume ai Vangeli - nella B. di San Millán de la Cogolla, del sec. 13° (Madrid, Real Acad. Historia, 2-3). Una certa selettività si rendeva comunque necessaria quando si doveva illustrare l'intera B.; già le dimensioni creavano difficoltà pratiche, come è testimoniato per la B. di Bury St Edmunds, del 1135 ca. (Cambridge, C.C.C., 2): il maestro "cum non inveniret in partibus nostris pelles vitulinas sibi accomodas, in Scotiae partibus parchamena comparavit" (Memorials of St. Edmund's Abbey, a cura di T. Arnold, in Rer. Brit. MAe. SS, XCVI, 2, 1892, p. 290). Una soluzione a questo problema consisteva nel limitare la decorazione ai ritratti dell'autore e a un ristretto numero di cicli narrativi e di fatto essa si vede messa in atto già nel sec. 7° in un manoscritto siriaco (Parigi, BN, syr. 341). Un'alternativa poteva essere costituita dall'introdurre il frontespizio miniato solo in corrispondenza delle più importanti divisioni testuali: nel Codex Amiatinus, dell'inizio del sec. 8° (Firenze, Laur., Amiat.1), per es., il corredo illustrativo è limitato, per il Vecchio Testamento, a una raffigurazione del tabernacolo e, per il Nuovo, alla Maestà di Cristo; una variante di questa stessa soluzione si ritrova in una B. anglosassone del sec. 8°, pervenuta in stato frammentario (solo i Vangeli; Londra, BL, Royal 1.E.VI). Il sistema appare arricchito nelle pandette carolinge del tipo della B. di Viviano, dove, oltre all'immagine di s. Girolamo, a quella dedicatoria e alle elaborate iniziali al principio di ciascun libro, la decorazione comprende sei frontespizi, tratti dalla tradizione illustrativa dei singoli testi, messi all'inizio di Genesi, Esodo, Salmi, Epistole e Apocalisse. Nella B. di S. Paolo f. l. m., leggermente più tarda, l'illustrazione si amplia fino a comprendere ventiquattro miniature a pagina intera, per lo più derivate da modelli paleocristiani o bizantini. La B. della regina Cristina, o B. di Leone, prodotto costantinopolitano del sec. 10° originariamente in due volumi (Roma, BAV, Reg. gr. 1), presenta in linea di massima lo stesso metodo: ogni libro è illustrato da un solo frontespizio per lo più con scene a carattere narrativo.Il sec. 12° segna l'epoca d'oro della completa illustrazione della Bibbia. In Inghilterra il testo è di solito diviso in due volumi e decorato con grandi miniature a carattere narrativo e con iniziali istoriate. Tra gli esempi più notevoli vanno menzionate la citata B. di Bury St Edmunds, la B. di Lambeth Palace (Londra, Lamb., 3) e la B. di Winchester (Cathedral Lib., del terzo quarto del sec. 12°). In Italia la decorazione delle B. atlantiche prodotte durante i secc. 11° e 12° è invece limitata generalmente al frontespizio del libro della Genesi, tuttavia un ristretto gruppo presenta anche altre scene (per es. Roma, BAV, lat. 12958; Firenze, Laur., Edili 125). In Germania e in Francia il sistema usato per decorare l'intero testo biblico è all'incirca lo stesso: i manoscritti più prestigiosi sono corredati con miniature introduttive, mentre in quelli di minori pretese la decorazione è limitata alle iniziali. Si conservano tre esemplari del sec. 12° realizzati nell'area di Salisburgo: una B. in due volumi a Michaelbeuern (Stiftsbibl., 1), decorata con frontespizi a carattere narrativo; la B. di Admont (Vienna, Öst. Nat. Bibl., Ser. nov. 2701-2702), che mostra rapporti con la precedente, con il primo volume decorato da ventiquattro grandi miniature e il secondo da due immagini a pagina intera e numerose iniziali; la B. di Erlangen (Universitätsbibl., 1), dell'ultimo quarto del secolo, in cui il sistema è amplificato al punto che ogni libro ha una sua illustrazione introduttiva. La B. di Souvigny (Moulins, Bibl. Publique, 1), realizzata nell'ambito culturale dell'abbazia di Cluny, presenta sostanzialmente gli stessi caratteri: iniziali e grandi pagine narrative al principio di ogni libro. Una B. in quattro volumi proveniente da Cîteaux (Digione, Bibl. Mun., 12-13 [1], 14-15 [2]) mostra un'applicazione incoerente del sistema: la prima metà contiene infatti soltanto iniziali ornamentali, mentre il terzo e il quarto volume comprendono numerosi cicli narrativi e iniziali istoriate. La B. di Floreffe, proveniente dalla regione mosana (Londra, BL, Add. Ms 17737-17738), contiene nel primo volume solo iniziali e nel secondo sei complesse miniature, tra cui una divisa in due parti, la Trasfigurazione e l'Ultima Cena, e grandi ritratti degli evangelisti.A partire dal 1220 una nuova edizione della Vulgata commissionata dall'Università di Parigi diede il primo impulso alla nascita di un genere librario caratteristico dell'epoca gotica, la B. tascabile, in esemplari decorati in modo uniforme con iniziali istoriate: un esempio particolarmente rappresentativo di questo genere è conservato a Parigi (BN, lat. 16719-16722) e misura solo mm. 53,837. All'incirca nello stesso periodo si affermò la produzione di libri illustrati di soggetto biblico che, sfruttando il modello dei salteri, dove apparivano cicli narrativi autonomi dal testo, delineavano l'intero racconto biblico in fitte sequenze di miniature a cui si accompagnava un breve testo che in alcuni casi poteva anche mancare del tutto. Gli esempi più antichi, due manoscritti spagnoli dell'inizio del sec. 13° (Amiens, Bibl. Mun., 108; Castle Harburg, 1, 2 lat. 415), sono bene indicativi della tipologia di libro, con quasi mille illustrazioni, relative a Vecchio Testamento, Vangelo, Atti e Apocalisse, realizzate con una modesta tecnica disegnativa. Un manoscritto frammentario all'incirca della stessa epoca, proveniente dall'abbazia di Saint-Bertin a Saint-Omer (Aia, Koninklijke Bibl., 7675), ha un corredo decorativo meno ampio, con ca. trenta miniature per Genesi ed Esodo e quasi il doppio per il Nuovo Testamento; allo stesso modulo si attiene sostanzialmente anche la B. illustrata di Holkham Hall, del sec. 14° (Londra, BL, Add. Ms 47682), che presenta ottanta miniature, dalla Genesi ai Vangeli. Di gran lunga più sontuosa è la B. di Velislav (Praga, Státni Knihovna, XIII C 124), realizzata intorno alla metà del sec. 14°, che, benché conservata in stato frammentario, contiene ca. settecentocinquanta disegni con scene tratte da Genesi, Esodo, Daniele, Giudici, Giuditta, Vangelo, Atti e Apocalisse.Come documentano il citato manoscritto del Vecchio Testamento di New York, quello prodotto a Padova oggi diviso tra Rovigo e Londra, quello conservato a Friburgo e a New York e i codici della B. completamente decorati, anche questi libri illustrati si riallacciano, per quanto riguarda l'iconografia, a modelli precedenti risalendo fino a esempi tardoantichi, come il Genesi Cotton. Rispondono tuttavia a una diversa esigenza, tutta contemporanea, quella di offrire a un pubblico laico un'alternativa religiosa alla letteratura romanzesca illustrata, allora assai popolare. Lo stesso movente agisce anche nell'ambito dell'illustrazione della vera e propria Bibbia. Nella B. di re Venceslao IV di Boemia (Vienna, Öst. Nat. Bibl., 2759-2764), concepita nel 1390 ca. come opera in tre volumi che doveva contenere la traduzione tedesca dell'intero testo sacro, ma mai portata a termine, la scrittura è intercalata da seicentocinquantuno elaborate miniature, la cui fedeltà al racconto biblico risulta intensificata da un vivace naturalismo che richiama le illustrazioni di soggetto profano realizzate dalla stessa bottega.La volontà di presentare Antico e Nuovo Testamento come un'unica storia si manifestò con forza ancora maggiore al di fuori dell'ambito dell'illustrazione libraria, a partire dal già citato coro della basilica di S. Paolo f.l.m. a Roma, dove i cicli di Genesi ed Esodo e quello degli Atti si svolgevano sulle due pareti della navata centrale e convergevano verso la visione escatologica dell'arco trionfale, dando espressione visiva al concetto di unità storica, per giungere al programma iconografico della basilica superiore di Assisi, che, come si è visto, è in relazione con quello di S. Paolo e ove pure i temi biblici valgono a formare l'immagine dell'Ecclesia. La stessa idea di armonia si manifesta in modo più stringato nelle porte della cattedrale di Hildesheim fatte eseguire da Bernoardo, ma anche in un'ampia serie di casi, come per es. nel paliotto d'avorio della cattedrale di Salerno (Mus. Diocesano) e nei pilastri scolpiti della facciata del duomo di Orvieto.Cicli biblici vennero spesso incorporati in più ampie storie ecclesiologiche. Così per es. nei manoscritti illustrati della B. appaiono frequentemente incluse immagini relative a vite di santi, al fine di inserire questi ultimi nella sacra vicenda della storia rivelata. Nelle basiliche paleocristiane di Roma i ritratti dei papi, al di sotto degli affreschi di soggetto biblico, attestano la continuità della storia della Chiesa fino all'hic et nunc del momento presente. Nella basilica inferiore di Assisi (1260 ca.) le scene della Vita di s. Francesco sono poste in parallelo con quelle della Passione di Cristo, in evidente connessione visiva tra la scena delle Stimmate e il Compianto sul Cristo, mentre nella basilica superiore la Vita di s. Francesco è affrescata sotto cicli biblici che conferiscono autorità al santo di recente canonizzazione.
Le autorità ecclesiastiche presenti al secondo concilio di Nicea nel 787 scomunicarono solennemente coloro che non accettavano l'esegesi dei Vangeli realizzata mediante immagini. Così facendo si riconosceva che l'illustrazione della B. costituisce necessariamente qualcosa di più di una semplice traduzione del testo in forma visiva: richiede infatti all'illustratore una serie di prese di posizione determinate dal modo con cui egli legge e comprende le Scritture. Quale dovrà essere l'aspetto dato a Cristo, o a Mosè, o alla Trinità? Di che specie l'albero della conoscenza del bene e del male? Come sarà possibile rappresentare Dio che fa delle nubi il suo carro e cammina sulle ali del vento (Sal. 104, 3)? Quali azioni sono implicite nell'evento centrale della passione di Cristo che i Vangeli riassumono nelle parole "lo crocifissero"? Furono spesso convenzioni artistiche a offrire risposta a tali domande, come quando per es. Davide fu raffigurato come un re contemporaneo o Cristo venne rappresentato come Apollo o Esculapio. Anche in questi casi tuttavia si adottarono particolari accorgimenti iconografici per dirigere l'attenzione dell'osservatore verso aspetti specifici del racconto biblico e quasi sempre le scelte iconografiche furono condizionate dalla volontà di adeguare e rendere accessibili le immagini all'interpretazione vigente. Dando a Paolo l'aspetto di un soldato, per es., l'illustratore della B. di Viviano pose l'accento sul fatto, di particolare importanza per i Carolingi, che egli era un cittadino romano, mentre dedicando un intero registro al ruolo svolto da Anania nella conversione del santo, prese una posizione contraria alla narrazione dello stesso Paolo (anche se in accordo con At. 9) e tendente ad aumentare l'importanza della mediazione sacerdotale. L'asta crociata con lo stendardo, portata da Cristo nella miniatura con l'Ascensione del Salterio del langravio Ermanno di Turingia, si riferisce esplicitamente al sacrificio terreno di Cristo e alla sua vittoria e la presenza di Maria sottolinea altri riferimenti già presenti nella miniatura dell'Incarnazione. Lo scultore romanico del timpano della chiesa della Sainte-Madeleine a Vézelay, includendovi le immagini di cinocefali, pigmei e di altri popoli della terra e incorniciando la composizione con i Segni dello zodiaco e i Lavori dei mesi, intese esaltare il significato cosmico del messaggio di Cristo. Raffigurare è inevitabilmente interpretare: qualsiasi elemento inserito o escluso ha il suo peso sul significato dell'immagine, il che condizionò in modo determinante anche l'illustrazione medievale della Bibbia.Al termine della sua vita terrena Cristo disse "bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella Legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi" (Lc. 24, 44). Ne deriva uno dei massimi incentivi all'illustrazione della B., l'intento di dimostrare la verità di tale affermazione, rivelando l'aspetto tipologico degli eventi dell'Antico Testamento. Il modo più immediato per farlo fu affiancare scritte o simboli esplicativi alle immagini. La croce sul bordo della terracotta africana di Kasserine, per es., ricorda all'osservatore l'antichissima identificazione tra il Sacrificio di Isacco e la Crocifissione di Cristo, così come le stelle sulla cattedra d'avorio di Massimiano, del sec. 6° (Ravenna, Mus. Arcivescovile), indicano che Giuseppe deve essere considerato figura di Cristo. Gli onnipresenti simboli degli evangelisti hanno la funzione di dimostrare la canonicità e la concordanza dei quattro Vangeli, che, basati su visioni profetiche, esemplificano la generale tendenza a servirsi dell'Antico Testamento per proclamare nel medium artistico il credo cristiano. Lo stesso scopo e la stessa procedura determinarono l'uso, meno comune, delle personificazioni dei quattro fiumi del paradiso. Negli affreschi di Gračanica del sec. 14° il tabernacolo di Mosè è inteso nel suo complesso come parvenza del Nuovo Testamento, con le immagini di Maria entro clipei che richiamano il significato del candelabro, dell'arca dell'Alleanza e del recipiente della manna. In definitiva, le miniature filtrano le parole della scrittura ebraica in una lettura tutta cristiana.Una delle forme più diffuse d'illustrazione dei salteri è quella esegetica che, in base all'insegnamento di Cristo, li interpreta come profezie cristiane. In un salterio russo del sec. 14° (San Pietroburgo, Saltykov-Ščedrin, F. 6, c. 28r), che discende da un'antica tradizione bizantina in cui le illustrazioni marginali glossano il testo, una miniatura con Cristo inchiodato alla croce è posta a commentare le parole "Hanno forato le mie mani e i miei piedi" (Sal. 22 [21], 17); mentre il versetto 19 dello stesso salmo, "si dividono le mie vesti", è illustrato dai soldati che si spartiscono le vesti di Cristo e il linguaggio metaforico del passo "un branco di cani mi circonda, mi assedia una banda di malvagi" prende corpo nell'immagine di soldati con testa di cane che circondano Cristo. L'interpretazione generale del salmo deriva dai Vangeli (Mc. 15, 34; Gv. 19, 24), che ne riprendono le parole. Altrove, nel manoscritto di Kiev come del resto in altri salteri, l'elemento esegetico si fonde con la rappresentazione letterale, dando luogo a un ininterrotto tessuto illustrativo ove i riferimenti diretti si alternano a immagini di valore allusivo.Al di fuori dell'ambito dei manoscritti, analoghi risultati sono ottenuti spesso con l'aggiunta di tituli. Su un'ampolla palestinese conservata a Stoccarda (Württembergisches Landesmus.), il riferimento all'albero della vita nel giardino dell'Eden, contenuto nell'iscrizione, segnala che la Crocifissione rappresentata sull'oggetto va interpretata come fonte dell'olio che d'a la vita e nei Tituli Historiarum di Prudenzio le dodici sorgenti di Elim (Es. 15) vengono identificate con i dodici apostoli. Paolino di Nola d'a un'interpretazione tipologica anche di soggetti esoterici quali Rut e Orpa, prove di fiducia e sfiducia, necessitanti di iscrizioni apposte sopra le pitture che li raffiguravano "ut littera monstret quod manus explicuit" (Poema XXVII; PL, LXI, col. 661) e anche l'abate Suger di Saint-Denis afferma : "Versus etiam idipsum loquentes ut enucleatius intelligatur, apposuimus" (Liber de rebus in administratione; PL, CLXXXVI, col. 1233).È relativamente frequente lungo tutto il corso del Medioevo il caso di profeti dell'Antico Testamento rappresentati con un cartiglio in cui sono riportate le loro parole più significative e inseriti in illustrazioni del Vangelo o a esse affiancati in vario modo. L'associazione tra un profeta dell'Antico Testamento e un tema del Nuovo Testamento poteva essere talora anche complessa, come nella Cappella Palatina di Palermo, dove la figura di Davide sormonta la scena dell'Annunciazione e le parole di Sal. 72 (71), 6 da lui ostentate ("Scenderà come pioggia sull'erba, come acqua che irrora la terra") si riferiscono alla divina concezione di Cristo. In ogni caso il punto essenziale è confermare il credo della fede cristiana per il quale Cristo è il Messia, annunciato dalle Scritture del popolo ebraico.Si tratta di tematiche teologiche presenti nell'iconografia cristiana sin dai suoi inizi, allora in forma di semplice giustapposizione di immagini che lasciava all'osservatore l'individuazione dei significati impliciti. Nelle catacombe del sec. 3° e sui sarcofagi paleocristiani, più emblemi della salvezza si ritrovano compresenti a indicare la protezione divina sul fedele. Per lo più si trattava delle testimonianze veterotestamentarie citate nel Nuovo Testamento: Adamo ed Eva, Noè nell'arca, il sacrificio di Isacco, Giona. Più tardi le immagini giustapposte tesero a strutturare una più rigida argomentazione. Nella patena d'argento conservata nella chiesa parrocchiale di Trzemeszno, del sec. 12°, il Sacrificio di Isacco, Mosè e il serpente di bronzo e altri motivi veterotestamentari sono posti in cerchio intorno alla Crocifissione. Sulle porte della cattedrale di Hildesheim le scene dell'Antico e del Nuovo Testamento sono disposte in modo da creare intensi rimandi tipologici: nel terzo registro si corrispondono l'Albero della vita e la Croce e ugualmente tra loro in relazione sono la Vergogna di Adamo ed Eva e Cristo di fronte a Pilato, così come la Cacciata dal paradiso e la Presentazione al Tempio, nonché Eva che allatta Caino con la Vergine e il Bambino. Nei Vangeli di Averbode la scena della rugiada miracolosa che cade sopra il vello di Gedeone (Gdc. 6, 36-40) e quella di Mosè davanti al roveto ardente, due episodi a lungo considerati come prefigurazioni del concepimento verginale di Cristo, si trovano poste a fronte della Natività.Spesso elementi esegetici e narrativi si trovavano uniti in uno stesso contesto narrativo. Il tema del frontespizio del Levitico, nella B. di S. Paolo f. l. m., è chiaramente la costruzione e il servizio del tabernacolo, come descritti nell'Esodo e nello stesso Levitico; ma la struttura cruciforme della miniatura e numerosi altri riferimenti simbolici rivelano che il più profondo, autentico significato dell'opera è l'interpretazione del passo biblico come prefigurazione della Chiesa. In modo più esplicito a Saint-Denis (sec. 12°), nella vetrata dell'Esodo, all'interno del roveto ardente appare la figura di Cristo mentre la Crocifissione è posta alla sommità della colonna del serpente di bronzo. Si può anche ricordare che il bue e l'asino, sempre presenti nelle scene della Natività, segnano il passaggio dell'alleanza dai giudei ai gentili sulla base di un passo di Isaia: "Il bue conosce il proprietario e l'asino la greppia del padrone, ma Israele non conosce e il mio popolo non comprende" (Is. 1, 3).Così come l'Antico Testamento era segno del Nuovo, quest'ultimo era segno della Chiesa di Cristo sulla terra. Sull'arco trionfale di S. Paolo f. l. m. tra i ventiquattro vegliardi dell'Apocalisse i copricapi distinguevano i dodici profeti dai dodici apostoli, cosicché il mosaico diveniva un simbolo della Chiesa universale, giudei e gentili uniti sotto Cristo; nel Benedizionale di s. Etelvoldo (Londra, BL, Add. Ms 49598), del tardo sec. 10°, la capanna della Natività è fornita di finestre, porte e torri a simbolo della Chiesa, instaurata dalla nascita di Cristo, mentre sulla patena di Trzemeszno la Crocifissione è intesa come la svolta essenziale nella storia della Chiesa universale: bendata e senza corona, la Sinagoga lascia la scena per fare spazio all'Ecclesia trionfante. Va ricordato inoltre che la rappresentazione della Gerusalemme celeste tratta dall'Apocalisse appare quasi costantemente usata come emblema della Chiesa terrena.Uno degli aspetti tipici della narrazione figurativa della storia sacra è il suo integrarsi con la storia secolare. Basti citare la chiesa di Ingelheim, una delle residenze favorite di Carlo Magno, decorata nel sec. 9° con affreschi, oggi noti solo grazie all'Elegiacum Carmen di Ermoldo Nigello (ed. a cura di E. Faral, Paris 1932, pp. 156-165), che illustravano Esodo, Re e Vangeli e che avevano la loro prosecuzione nel palazzo imperiale con il racconto delle "grandi e coraggiose gesta dell'uomo", fino al regno di Ludovico il Pio; anche una traduzione bulgara della Cronaca del mondo di Costantino Manasse (Roma, BAV, Sl. II) illustra la storia universale, a partire dalla Genesi fino all'11° secolo. Dal sec. 13° i manoscritti con l'histoire universelle in volgare alternano passi tratti dalla B. a capitoli di Orosio, Virgilio e altri autori, terminando con il ritorno di Pompeo dalla conquista di Gerusalemme; esemplari del genere, tecnicamente realizzati con la perfezione tipica dell'area crociata, vennero prodotti ad Acri a partire dalla seconda metà del sec. 13° (tra i più notevoli quello conservato a Londra, BL, Add. Ms 15268), con miniature che riprendono più antichi cicli biblici o profani, distinguendosene per lo spiccato carattere cavalleresco.Spesso gli spunti esegetici appaiono completamente assimilati nel racconto pittorico. Per es., in chiaro riferimento al salmo di Davide, nella Cappella Palatina di Palermo il mosaicista rappresenta la colomba dello Spirito Santo in atto di scendere verso la Vergine su raggi simili a pioggia. A sua volta l'illustratore del Genesi Cotton raffigura il Creatore con le sembianze di Cristo, con il nimbo e l'asta crociati, seguendo con ciò una lunga tradizione facente capo al Vangelo di Giovanni, che proclama il Lógos operante nella creazione, mentre la grande B. di Napoli (Vienna, Öst. Nat. Bibl., 1191) è testimonianza di una diversa linea interpretativa per cui il Creatore è ritratto in quanto Trinità, con tre facce, una di giovane, una di uomo barbato, una di colomba.I riferimenti di tipo esegetico sono spesso piuttosto sottili. Nella B. di Viviano (Parigi, BN, lat. 1), per es., vengono dati a Mosè i tratti facciali caratteristici di s. Paolo per sottolineare che, come Mosè aveva portato la Legge agli israeliti, così Paolo aveva trasmesso la Nuova Alleanza ai gentili; sul piatto di legatura del Salterio della regina Melisenda (Londra, BL, Egert. 1139) Davide è presentato in trono tra i suoi musici in analogia a Cristo tra i quattro evangelisti. Anche in fatto di rappresentazioni pittoriche i riferimenti reciproci tra Vecchio e Nuovo Testamento possono essere molto elaborati. In S. Marco a Venezia la scena della Cacciata di Adamo ed Eva segue le convenzioni usate nelle rappresentazioni del Giudizio universale, mentre sulla facciata del duomo di Orvieto la Creazione di Adamo ha la stessa composizione del Battesimo di Cristo, attestando con ciò un punto fondamentale della fede cristiana, per cui nel battesimo è il vecchio Adamo che rinasce. Anche nella B. di Venceslao si ritrova un tipo analogo di riferimenti, come nel caso della scena del Faraone che ordina l'uccisione dei bambini ebrei, il cui schema volutamente riprende quello della Strage degli innocenti.Soprattutto nel Tardo Medioevo gli interessi esegetici vennero assorbiti in quelli narrativi, il che, paradossalmente, contribuì al 'realismo' delle immagini. Nella Strage degli innocenti nei mosaici della Kariye Cami a Istanbul, la donna che si dispera, raffigurata a destra, è la citazione di un'immagine di Rachele che piange i suoi figli, così come il testo evangelico cita, di fatto, il corrispondente passo del Vecchio Testamento. Il procedimento è riconoscibile anche nel Salterio di Křivoklát, dove uno degli aguzzini di Cristo, nel registro superiore, ha una faccia che chiaramente richiama il muso di un cane, con ciò rafforzando la crudezza della scena ma richiamando allo stesso tempo il "branco di cani" di Sal. 22 (21), 17, mentre il modo in cui Cristo è teso sulla croce, nella scena sottostante, da una parte serve a rafforzare il páthos, ma dall'altra ricorda il tendersi di una freccia nell'arco in riferimento alla benedizione data da Giacobbe a Giuseppe: "ma è rimasto intatto il suo arco e le sue braccia si muovon veloci per le mani del Potente di Giacobbe" (Gn. 49, 24).Furono gli scritti teologici a ispirare l'esegesi figurativa: Origene (In Lucam Hom. XIII; PG, XIII, col. 1832) lega la profezia di Isaia (Is. 1,3) alla nascita di Cristo un secolo prima che il bue e l'asino facciano la loro apparizione nella raffigurazione della Natività, mentre Vittorino di Pettau (In Apocalypsin, IV, 7-10; PL, V, coll. 324-325) interpreta il testo del quarto capitolo dell'Apocalisse come un'allegoria dei profeti e degli apostoli molto tempo prima che l'idea appaia nell'arco trionfale di S. Paolo fuori le mura.
Nel dar forma alla storia biblica gli artisti non si basarono solo su un'esegesi formale, ma anche sul dato sperimentale: ne consegue che nelle illustrazioni medievali della B. si ritrovano molti aspetti della vita del tempo. Nelle immagini relative alla Creazione del Genesi Cotton, per es., trovano posto piante e animali resi in modo naturalistico - probabilmente copiati da un trattato scientifico - perché fosse chiaro a colpo d'occhio ciò che già era oggetto di fede: la creazione delle realtà terrene direttamente da Dio; e viceversa, a partire dal tardo sec. 12°, scene tratte dalla Genesi furono inserite nei bestiari (Oxford, Bodl. Lib., Ashmole 1511; Aberdeen, Univ. Lib., 24) per legittimare le riproduzioni 'scientifiche' contenute in tali manoscritti. Le illustrazioni della B. erano anche lezioni di morale. Beda descrive un fonte battesimale in cui episodi come l'adulterio di Lamech e l'ascensione di Enoch (Gn. 4 e 5) costituiscono esempi di bene e di male per coloro che venivano immersi nel fonte (De Templo Salomonis liber; PL, XCI, coll. 787-788). Il vescovo Ugo di Lincoln si serve invece di un rilievo con il Giudizio finale per mostrare che persino i re rivestiti delle loro insegne si trovavano tra i dannati (Magna Vita, 2, 137) e la Lotta fra le virtù e i vizi sulla legatura del Salterio di Melisenda tratta dalla Psychomachia spiega la vita di Davide in termini di qualità umane quali l'umiltà, la moderazione, la forza d'animo.L'immagine biblica serve inoltre a fini politici: uno degli scopi principali dell'illustrazione della storia sacra era di fatto collegare le vicende attuali a un passato indicato come normativo, con ciò contribuendo ad affermare l'autorità temporale. Nella Cappella Palatina di Palermo, per es., le scene raffiguranti l'Ingresso a Gerusalemme, la Presentazione al Tempio e la Fuga in Egitto, non a caso poste nel transetto meridionale, di fronte al seggio regale, hanno il carattere di un adventus imperiale. Così pure Davide viene spesso chiamato in causa quale prototipo del re della terra. Esplicite allusioni alla corte si trovano in una serie di piatti d'argento dell'epoca dell'imperatore Eraclio (610-641), decorati con scene della vita dei re dell'Antico Testamento (Nicosia, Cyprus Mus.; New York, Metropolitan Mus. of Art). Il Rotulo di Giosuè (Roma, BAV, Pal. gr. 431) fu sicuramente realizzato con lo scopo di appoggiare il progetto di Costantino VII (913-959) di riconquistare la Terra Santa, così come le vetrate della Sainte-Chapelle di Parigi e i manoscritti realizzati per Luigi IX di Francia (1235-1270) vanno letti alla luce delle ambizioni del sovrano nei confronti delle crociate e della guida del regno. I temi cavallereschi che permeano gran parte dell'arte dell'epoca crociata sono bene evidenti nel Salterio di Křivoklát, dove un cavaliere in abito contemporaneo è raffigurato dietro a Cristo nel momento in cui Egli viene inchiodato alla croce: un'immagine che con molta probabilità rimanda a un'allegoria che collega la corona di spine di Cristo a un elmo da cavaliere, il suo corpo torturato a un'armatura, le sue ferite ad armi e speroni.Ancora più in particolare l'illustrazione della B. appare finalizzata anche alla politica interna della Chiesa: sulla cattedra eburnea di Massimiano (Ravenna, Mus. Arcivescovile) le scene della Vita di Giuseppe, il viceré santificato dell'Egitto, servono a presentare un 'tipo' biblico di vescovo cristiano; il mosaico con la Navicella di Giotto, nella basilica di S. Pietro a Roma, era un'allegoria della riforma papale e la complessa iconografia del timpano di Vézelay, ponendo l'accento sulla missione degli apostoli, mirava a sostenere l'impresa dei contemporanei Apostolorum filii che si proponevano di ricristianizzare il mondo sconvolto dalle eresie.Immagini tolte dalla B. vengono usate per contrassegnare o addirittura dar forma a luoghi santi. Le decorazioni delle grandi chiese memoriali della Palestina sono andate tutte perdute, ma ne resta testimonianza su oggetti riportati in patria da pellegrini, come le ampolle per l'olio, la cui decorazione riproduceva in modo schematico gli edifici esistenti nei luoghi santi. Nei mosaici di età giustinianea del monastero di S. Caterina sul monte Sinai Mosè appare nell'atto di togliersi i sandali prima di ricevere la Legge, in evidente rimando al luogo ove i mosaici si trovano; lo stesso tema riappare anche su una croce d'argento e su più tarde icone. Su una fibbia da cintura in avorio, ritrovata a Castellammare di Stabia (Antiquarium Stabiano), è raffigurato l'Incontro di Pietro e Paolo, in ricordo dello sbarco di Paolo in Italia avvenuto proprio nella baia di Napoli; parallelamente, nella chiesa di S. Piero a Grado (Pisa) è affrescato un ciclo della vita di s. Pietro allo scopo di sostenere la tesi secondo cui il principe degli apostoli sarebbe sbarcato esattamente in quel luogo. In S. Maria in Trastevere a Roma, l'inserto, nel mosaico con la Natività di Pietro Cavallini, del sec. 13°, dell'immagine della taverna meritoria vale a collegare al dogma dell'incarnazione di Cristo un reliquiario conservato presso la chiesa, mentre nell'abside dei Ss. Cosma e Damiano, sempre a Roma, venne, per così dire, idealmente 'trasferita' la Terra Santa mediante la raffigurazione del fiume Giordano. Richiami a specifici interessi 'locali' vengono ottenuti anche in altri modi: l'origine egiziana del Genesi Cotton, per es., si rivela nel grande rilievo dato alla storia di Giuseppe, oltre che in particolari come quello dei granai a forma di piramidi. Lo stesso interesse strettamente locale si ritrova in alcuni tessuti copti con scene della Vita di Giuseppe.La B. come soggetto artistico riveste la maggiore e più costante importanza specie nell'ambito dei rituali di culto e, viceversa, è soprattutto attraverso tali cerimonie che il significato delle storie raffigurate si dispiegava ai fedeli. I poemi liturgici ebraici (piyyūṭīm) possono chiarire alcuni particolari degli affreschi della sinagoga di Dura Europos, mentre già durante il sec. 4° nelle liturgie orientali il sacrificio di Isacco appare posto in relazione con quello del Golgota. Il salmo 22 (21) veniva recitato durante il servizio del Venerdì Santo e proprio per questo motivo lo si è strettamente connesso alla crocifissione; allo stesso modo fu una salda tradizione liturgica a collegare Gedeone e Mosè alla incarnazione. Sermoni, inni e sacre rappresentazioni suggerivano talora interpretazioni complesse. Seguendo un'antica consuetudine, predicatori quali, per es., Filagato, attivo in Italia meridionale nel sec. 12°, si servivano dell'ékphrasis, la descrizione delle immagini, per dare maggiore intensità ai loro sermoni, mentre, a loro volta, gli artisti facevano riferimento ai sermoni per ravvivare le loro rappresentazioni bibliche, inserendovi motivi specifici quali la metafora del rinnovamento e della fertilità che si trova nelle omelie sull'annunciazione (per es. nella già menzionata icona del sec. 11° del monastero di S. Caterina sul monte Sinai) e anche adottando espedienti retorici tipici dei predicatori, come il contrasto e l'esagerazione per accrescere le reazioni emotive. In definitiva, l'opera didattica della Chiesa riuscì, così integrandosi, a rendere accessibili ai fedeli anche le interpretazioni teologiche più profonde senza bisogno di una loro particolare preparazione.I riti ecclesiastici influirono anche sulla scelta degli episodi da raffigurare e sul modo di disporli. Per citare alcuni esempi, nei lezionari bizantini del sec. 9° erano comunemente rappresentati gli episodi di particolare importanza nel calendario liturgico, i quali costituivano poi anche i soggetti più comuni delle icone e della decorazione parietale delle chiese bizantine; la commendatio animae recitata durante le esequie si ritrova nei programmi iconografici dei monumenti sepolcrali paleocristiani e, molto più tardi, fu la liturgia della festa dell'Assunzione a determinare il soggetto del mosaico absidale di S. Maria in Trastevere a Roma, che trae le iscrizioni e le stesse caratteristiche formali dalla processione solenne di questo giorno. Nel Tardo Medioevo le immagini erano impiegate come scenari per le azioni liturgiche che preludevano alla messa.Sugli oggetti liturgici o negli spazi della chiesa, le immagini bibliche avevano anche lo scopo di strutturare gli stessi rituali e di conferire loro una maggiore autorità. Il soggetto raffigurato sulle loro legature indicava i libri posti sull'altare durante il servizio divino spesso come una sorta di 'figura' di Cristo, così come la tovaglia dell'altare 'significava' il sudario rimasto nella tomba di Cristo dopo la risurrezione. Esempi classici del modo in cui le immagini venivano utilizzate per collegare gli eventi biblici allo svolgimento della liturgia eucaristica possono trovarsi così nella Crocifissione al centro della patena di Tremessen come nella patena di Riha (Washington, Dumbarton Oaks Research Lib. and Coll.), che, nella raffigurazione della Comunione degli apostoli, ha un riferimento biblico ancora più immediato. È noto che nell'Africa settentrionale sulle particole per l'eucaristia erano impresse le immagini dell'Albero della vita, derivante dalla Genesi, o del cervo, derivante dai Salmi, oltre a un'iscrizione tratta dal passo del Vangelo di Giovanni che definisce Cristo pane di vita. Un altro stampo per il pane proveniente dalla Palestina (New York, Coll. Malcove) mostra i tre angeli a Mamre (Gn. 18), convalidando l'opinione secondo la quale l'eucaristia era prefigurata nell'episodio detto dell'ospitalità di Abramo. Le pissidi destinate a contenere le specie eucaristiche erano altrettanto esplicite nei loro riferimenti, ornate come erano per lo più con la raffigurazione del Sacrificio di Isacco e del Miracolo dei pani e dei pesci.Per ogni settore dell'edificio ecclesiastico vi erano soggetti particolarmente appropriati. Per es., in S. Maria Antiqua a Roma il portale era decorato con l'Anastasi, che mostra Cristo che infrange le porte dell'inferno, mentre nelle chiese bizantine la scena della Lavanda dei piedi veniva posta nel nartece poiché era lì che si svolgeva questo rito. Il Giudizio universale era di norma raffigurato vicino all'ingresso, perché, come spiega Ugo di Lincoln nella Magna Vita, coloro che si accingono a entrare e a pregare Dio per le loro necessità dovrebbero comprendere quale sarà il loro destino finale e così pregherebbero per il perdono dei propri peccati. Il triclinio di Neone a Ravenna (ca. 450) fu decorato con temi connessi al cibo tratti da Genesi, Salmi e Atti degli Apostoli, mentre il refettorio di S. Paolo f. l. m. a Roma con l'Ultima Cena. Le rappresentazioni quindi non costituivano soltanto uno sfondo passivo, bensì servivano a organizzare gli spazi in funzione delle azioni.Nella liturgia medievale ogni differenza tra lo spazio e il tempo dei canti e dell'azione liturgica è eliminata, costituendo l'uno e l'altro un ambito comune di cui entrambe le componenti segnano fortemente di sé anche in specifico l'arte biblica medievale. È solo verso la fine del Medioevo che in Occidente l'arte prese in considerazione i temi biblici dal punto di vista di esperienza personale e dunque in modo squisitamente intimista.Ma di fatto nelle sue linee portanti l'immagine biblica servì alla società medievale in primo luogo come strumento di conversione e catechesi sin dall'origine: già i graffiti medioiranici della sinagoga di Dura Europos permettono di ipotizzare che le pitture illustranti la B. siano state usate alla metà del sec. 3° per l'opera di proselitismo, mentre Gregorio Magno assicurava che le immagini erano strumento sommamente utile per diffondere tra i pagani il messaggio scritturale (Ep., XIII; PL, LXXVII, coll. 1128-1130); ancora nel sec. 13°, s. Bonaventura (1221-1274) ribadisce l'utilità delle immagini di soggetto così biblico come di altra natura per tre funzioni principali: servire, in quanto accessibili, come esposizione dottrinale più chiara di ogni altra, specie agli illetterati; risvegliare emozioni religiose facendo appello alla vista; essere efficaci congegni mnemonici (III Sent., d. IX, 1, q. II). Tale idea di fondo si vede affermata anche a margine delle illustrazioni bibliche nel Salterio di St Albans ("le immagini servono soprattutto a istruire il popolo") e bene può spiegare come mai la B. trovò nell'immagine il medium di diffusione forse più vigoroso nei confronti di popolazioni in gran parte analfabete.
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