Bibbie d'Italia. La traduzione dei testi biblici in italiano tra Otto e Novecento
Scopo di questo mio contributo è quello di ripercorrere, seppur succintamente e selettivamente, la storia delle traduzioni dei testi biblici in italiano, dagli inizi dell’Ottocento alla Divino afflante spiritu del 1943, l’enciclica che apre una nuova fase nel rapporto dei cattolici-romani con le Scritture, caratterizzata – tanto più dopo il concilio Vaticano II – dall’apertura ai metodi critici, dalla copiosa produzione di traduzioni e commenti biblici e dalla diffusione della Bibbia tra i laici. Rinuncio a tracciare un repertorio completo delle traduzioni prodotte in Italia nell’Otto e Novecento, rimandando a quelli assai ampi prodotti da altri con grande acribia1, e mi limito a evidenziare alcune versioni particolarmente significative – nel clima risorgimentale e unitario e sullo sfondo della storia religiosa del nostro paese – per gli scopi che si prefiggevano, per la rilevanza che hanno avuto o, al contrario, per l’insuccesso in cui sono incorse. Varie traduzioni di singoli libri biblici, per lo più legate alla necessità di far avanzare gli studi esegetici, anche raccogliendo i risultati degli studi filologici e storici del resto d’Europa, furono, anche copiosamente, prodotte da eruditi italiani, sia nell’Ottocento, sia nella prima metà del Novecento. La mia attenzione si concentra piuttosto su quelle traduzioni che esprimono un progetto di diffusione della Bibbia in ambito popolare o un programma di rinnovata presenza cristiana: si coglieranno significativi intrecci tra il proposito di tradurre le Scritture e le sfide contemporanee2.
La scelta di occuparsi del testo della Bibbia in italiano, cioè delle traduzioni e edizioni delle Scritture e non invece degli studi biblici può apparire limitante: in realtà, dietro ognuno degli esempi che verranno affrontati si stagliano almeno due questioni di fondo. Da un lato, l’influenza delle prospettive esegetiche critiche, il loro accoglimento e le difficoltà e resistenze che queste hanno incontrato; dall’altro, il rapporto dei fedeli con le fonti della rivelazione, la sua liceità e i suoi criteri. La storia dei testi biblici in italiano è dunque un significativo caso di studio. In riferimento alle prospettive critiche e all’accesso del laicato alle Scritture in volgare, il periodo su cui si focalizzerà qui l’attenzione è ancora segnato non solo da resistenze, ma anche da forti contrapposizioni polemiche, talora accompagnate, nella Chiesa di Roma, da azioni disciplinari. La storia delle traduzioni della Bibbia in questo periodo è dunque anche storia della libertà della Bibbia, della libertà di chi la legge e di profondi mutamenti nella Chiesa di Roma e nell’ecumene cristiana.
«Gl’Italiani furono tra i primi nel sec. XVI a voler nella loro lingua nuove traduzioni della Bibbia dai testi originali»3, ma alle versioni del XV e XVI secolo «segue un lungo periodo in cui in Italia i cattolici cessarono di produrre nuove traduzioni, o edizioni, a causa della norma stabilita nel 1559 e ribadita nel 1564 dall’indice per arrestare la diffusione del protestantesimo, norma che esigeva uno speciale permesso per leggere la B[ibbia] in volgare»4.
Le versioni complete stampate prima del 1559 erano quelle del monaco camaldolese Nicolò Malerbi (Malhermi), basata sulla Vulgata, Venezia 1471; la cosiddetta Bibbia jensoniana, di anonimo, 1471; quella di Antonio Brucioli, poi condannata dall’Inquisizione (Nuovo Testamento, Venezia 1530; Bibbia completa, Venezia 1532), che dice di aver reso l’ebraico e il greco, ma si basa soprattutto sulle versioni latine di Erasmo (1526), per il Nuovo Testamento, e di Sante Pagnini (1527), per l’Antico; infine, quella del domenicano fiorentino Sante Marmochino (1538), che si richiama alla «hebraica verità», ma dipende fortemente dal Pagnini per l’Antico Testamento e, per il Nuovo, dalla versione dal greco in «lingua toscana» prodotta da fra’ Zaccaria (Venezia, 1536).
Un’eccezione alla lunga assenza di versioni italiane della Bibbia ci fu, ma a opera di un protestante, Giovanni Diodati, figlio di quel Carlo, nobile lucchese, dal 1567 esule a Ginevra, insieme ad altri lucchesi, per aver aderito alla Riforma. La sua versione della Bibbia non fu stampata in Italia, ma a Ginevra: nel 1607 la prima edizione, nel 1641 una versione rivista5. È questa la cosiddetta Diodatina che ha segnato la storia dell’evangelismo italiano, fino alla comparsa della versione Riveduta di cui parlerò più avanti6. Si tratta, appunto, di un’eccezione, e il fatto che fosse una versione protestante, di necessità stampata all’estero e diffusa clandestinamente nel nostro paese, non poté che provocare, in Italia, una severa opposizione, che si acuì nel secolo XIX, in reazione ai tentativi protestanti di diffonderla capillarmente.
La pesante eredità delle interdizioni tridentine viene in parte attenuata dal decreto dell’Indice, promulgato sotto Benedetto XIV, con cui nel 1757 venivano consentite la stampa e la lettura di versioni italiane della Vulgata, a condizione che esse fossero «ab apostolica sede approbatae, aut editae cum annotationibus desumptis ex sanctis Ecclesiae Patribus vel ex doctis catholicisque viris». Bisogna perciò attendere l’ultimo quarto del secolo XVIII perché si tornino a pubblicare in Italia Bibbie in italiano. Viene così edita nel 1773, a Venezia, per la prima volta dal 1567, La Sacra Bibbia volgarizzata da Niccolò Malermi, nella revisione compiuta da Alvise Guerra. Tra il 1775 e il 1785 viene pubblicata la versione italiana della Bibbia francese detta di Port Royal, strettamente aderente alla Vulgata, ma con la significativa presenza delle note e dei commenti di tendenza giansenista presenti nell’originale francese.
La traduzione che ebbe certamente più influenza e più diffusione per tutto il XIX secolo fu però una nuova versione, tutta italiana, basata sulla Vulgata, ma contenente raffronti delle varianti tra il testo latino e quello greco del Nuovo Testamento. La produsse l’abate Antonio Martini, dal 1781 arcivescovo di Firenze, e uscì a Torino presso la Stamperia reale (Nuovo Testamento in 6 volumi, 1769-1771; Vecchio Testamento in 17 volumi, 1775-1781). Fu, in svariate edizioni, la Bibbia cattolica italiana per antonomasia fino almeno alla prima metà del XX secolo.
Per tutto l’Ottocento, nonostante cominciassero a giungere anche in Italia – soprattutto nella seconda metà del secolo – i risultati degli studi critici sui testi biblici e sulla loro storia letteraria che si andavano sviluppando, in particolare in Francia e Germania, non venne realizzata in Italia alcuna nuova traduzione integrale della Bibbia. Un interesse per la Bibbia c’era, a giudicare dal numero delle ristampe dei due ‘classici’, cattolico e protestante, la Bibbia del Martini e quella del Diodati. «La Bibbia del Martini nell’Ottocento ebbe più di 40 edizioni integrali; 23 almeno apparvero tra il 1826 e il 1857»7. La Diodatina fu diffusa, in varie revisioni8, nonostante ogni sorta di impedimenti9, per tutto il secolo XIX. «Questa vasta riutilizzazione delle versioni del passato, se non era priva di efficacia dal punto di vista della diffusione della Scrittura, era ben lontana dal favorire nuove versioni»10.
È interessante notare che gli sforzi protestanti per diffondere la Bibbia in Italia si avvalsero anche di edizioni della versione del Martini. Il Nuovo Testamento martiniano venne stampato a Napoli nel 1817, su iniziativa di Henry Drummond, un agente della Società biblica britannica; lo stesso testo, ma sprovvisto di note, venne ristampato a Livorno l’anno successivo. Lo stampatore di questa edizione, Glauco Masi, fu processato con l’accusa di diffondere libri proibiti. Sempre da parte della Società biblica britannica e a cura di James Pakenham, il Nuovo Testamento martiniano fu riedito a Firenze nel 1849, ma subito sequestrato e distrutto11. Che la stampa del testo del Martini da parte delle Società bibliche avesse un interesse strategico appare, per esempio, da due edizioni del Nuovo Testamento stampate a Londra nel 1851 e 1852. Il formato (cm 9,3 x 5,8) e la legatura, nera con fregi, sono identici per le due edizioni; la prima (1851) contiene la versione del Diodati, quella dell’anno successivo la versione del Martini: evidentemente si voleva che l’offerta di un Nuovo Testamento di formato più che tascabile avesse successo anche nel caso che l’interpellato non fosse disponibile ad accettare una versione protestante: nello stesso formato, c’era anche la traduzione cattolica autorizzata. Dopo le edizioni del 1822-1823, le versioni della Diodati vengono diffuse senza apocrifi12. In precedenza, questi erano stampati, come d’uso anche nelle grandi traduzioni protestanti dei secoli XVI e XVII, tra i due Testamenti, preceduti da un «avvertimento» che ribadiva la correttezza della scelta riformata di attenersi al canone ebraico: sui deuterocanonici non si potevano basare la dottrina o l’etica, ma potevano essere letti per il loro carattere didattico o edificante. L’avvertimento della Diodatina, per esempio, terminava con queste parole:
«In conclusione, si possono leggere, e trarne di buoni documenti: guardando però le precauzioni necessarie, segnate negli avvertimenti particolari sopra ciascun libro: e applicandovi sempre la regola della Parola di Dio autentica, e la luce del suo Spirito: per discernere la verità e la falsità, il bene e’l male: e per ritener l’uno, e riprovar l’altro: secondo la libertà c’hanno i fedeli sopra tutte l’opere, e scritti puramente humani»13.
La decisione di cassare i deuterocanonici e l’abbandono di ogni nota al testo biblico si iscrivono sullo sfondo polemico dell’evangelismo ‘risvegliato’ del primo Ottocento: i deuterocanonici non possono essere considerati Parola di Dio, e questa deve correre sine glossa, perché le note sono lo strumento con cui il papato addomestica la Scrittura. Queste idee si radicarono così profondamente tra gli evangelici italiani che, quando (1985) apparve la Traduzione interconfessionale in lingua corrente, che contiene i deuterocanonici tra l’Antico e il Nuovo Testamento, vi fu chi ravvisò in questo un fatale cedimento al cattolicesimo romano, ignorando che si ripristinava un antico uso protestante.
Come i protestanti ricorsero anche a diffondere il Martini per i loro propositi di rinnovamento dell’Italia cristiana, così Silvestro Leopardi14 durante il suo esilio parigino (1834-1848), conseguenza del suo impegno carbonaro e antiassolutista, pubblicò Gli Evangeli tradotti in lingua italiana da G. Diodati con le riflessioni e le note di Francesco Lamennais, tradotte da Pier Silvestro Leopardi15. L’intento esplicito di questo «cattolico d’animo e di cuore» è quello di rendere disponibili in italiano le «riflessioni e note» del Lamennais, perché «la dottrina che vi svolge, abbenché qua e là impigliata nelle idee filosofiche e politiche dell’illustre autore, mi sembra di gran lunga preferibile a quella che insegnano i Gesuiti, la quale, dovunque alligna, e massime in Italia, riduce le credenze cattoliche, tanto in sé piene di vita, a sterili pratiche superstiziose, che addormentano, se non uccidono, le anime pigre, e fan dubitare, se non rendono miscredenti del tutto, le anime generose. In questo sonno e in questo dubbio, nel creder male e nel non credere affatto, sta la vera cagione delle sventure d’Italia, la cagione onde il popolo più intelligente e operoso, il popolo che, primo e con tanto ardore, cacciavasi nelle vie schiuse da Gesù Cristo all’umano incremento, è divenuto il più inetto popolo della Cristianità […]. Nato dallo sdegno che ispira ne’ petti dei veri credenti la volontaria abiezione della corte di Roma, il razionalismo del Lamennais, radicalmente cristiano, non rifulge dalla fede, ma la scuote, perché si levi, e s’armi delle armi proprie, e combatta il male dovunque si trovi»16.
Si deve a Gregorio Ugdulena17 il proposito di produrre una nuova traduzione dell’intera Bibbia dagli originali. Iniziò l’opera nel 1850, confinato a Favignana dai Borboni per la sua partecipazione ai moti del 1848. Con il titolo La Santa Scrittura in volgare, riscontrata nuovamente con gli originali ed illustrata con breve commento da Gregorio Ugdulena, prete termitano uscì nel 1859 a Palermo, presso la tipografia di Francesco Lao, soltanto in due volumi, comprendenti rispettivamente il Pentateuco e i libri da Giosuè a Re. Egli ritiene che la Vulgata «non possa servire a modello d’una traduzione compiutamente perfetta» e che non «farebbe opera del tutto disutile all’edificazione de’ fedeli e della chiesa in Italia» chi producesse una versione «ch’allo stato attuale delle nostre conoscenze fosse interamente conforme» e che volgesse le Scritture «dagli originali ebrei e greci»18.
«Le indefesse cure e lo spirito d’indagine che in questi ultimi tempi i più dotti critici han posto nell’interpretazione delle sacre Scritture, e l’incremento che insieme hanno acquistato, non solo le scienze naturali, ma ancora lo studio comparativo delle lingue e della storia primitiva de’ popoli, e quello in ispezialità dell’archeologia e della letteratura orientale, han fatto sì che noi possiamo al presente intendere vie meglio, quanto al senso litterale, questo libro divino, che non facevano i nostri maggiori, quando le versioni che d’esso abbiamo videro la luce»19.
Della sua versione, Ugdulena dichiara di aver in realtà prodotto non una «traduzione nuova del tutto» ma una «collazione sopra i testi originali» e il Vaccari20 vi ravvisa «più che novella versione […] una revisione del Diodati sui testi originali, compresi con la scienza filologica e storica del sec. XIX; il pregio principale sta nel commento, che per conoscenza di lingue, di storia, degli scrittori più recenti, non è inferiore ai più dotti del suo tempo». In effetti, Ugdulena ritiene non illegittimo avvalersi anche degli studi «dei moderni critici tedeschi», pur ritenendoli in maggioranza protestanti e razionalisti, e di quello che «da loro intorno alla grammaticale interpretazione e al compiuto intendimento della lettera è stato opportunamente detto»21 perché non si può dire che essi «non abbiano recata gran luce nell’oscurità ancor non interamente diradata degli studi biblici»22.
Ci vorrà più di un secolo, ancora, perché questa libertà critica si affermi compiutamente.
Tra le più notevoli acquisizioni della critica biblica nel periodo che ci interessa vi è senza dubbio la produzione di edizioni critiche del testo greco del Nuovo Testamento, favorite dalla scoperta di manoscritti molto più antichi (come il Sinaitico e il Vaticano del secolo IV e l’Alessandrino del V) di quelli usati da Erasmo in poi, e basate sulla collazione scientifica di un numero elevato di testimoni. La possibilità di avere un originale greco meglio accertato del textus receptus imporrà dunque la revisione delle grandi traduzioni in uso tra i protestanti, in Europa come in America.
Vista l’esiguità numerica del protestantesimo italiano, si è colpiti dalla celerità con cui la nuova esigenza critica viene recepita nel suo seno e dal numero dei tentativi intrapresi per ottenere una versione italiana basata sul testo greco meglio accertato. È probabile che ciò fosse legato alla volontà apologetica di non fare della Diodatina una sorta di pendant evangelico della vulgata cattolico-romana e che si volesse nel contempo essere coerenti con la scelta protestante di andare alla fonte della Parola di Dio, dunque anche ricorrendo alle attestazioni più antiche e sicure del testo del Nuovo Testamento nel frattempo emerse. A basarsi esplicitamente sulle nuove edizioni critiche del testo greco del Nuovo testamento è Alberto Revel, docente di teologia esegetica alla Scuola teologica valdese di Firenze, con il suo Il Nuovo Testamento del Nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo tradotto sul testo originale, edito a Firenze nel 1881. L’operazione fu suggerita al Revel dall’agente della Società biblica britannica Thomas Humble Bruce23. «Si trattava di un notevole contributo a rinnovare la presentazione del testo biblico, dandogli una nuova freschezza»24. Seguirà, nel 1910, a Torre Pellice, Il Nuovo Testamento tradotto sul testo originale secondo le ultime e più esatte recensioni di Tischendorf, Westcott-Hort e Weymouth e i Salmi con introduzioni per opera del professore O. Cocorda, di origine valdese, poi battista dal 1872. Già nel 1854 a New York, presso la American Bible Union, fondata nel 1837 da battisti americani, era uscita una versione dal greco di Giacinto Achilli25, ex domenicano (pseudo)convertito al protestantesimo, «personaggio controverso del Risorgimento italiano e dello stesso protestantesimo»26 dalla vita ricca di «avventure furfantesche»27, gran raggiratore di protettori negli ambienti evangelici anticattolici britannici, e non solo28. Ad ambienti darbysti è da attribuirsi Il Nuovo Testamento. Nuova versione dall’originale greco, presso Giovanni Biava, Milano 189129. L’intento è quello di fornire «la traduzione più letterale possibile degli oracoli di Dio» tenendo conto dei «nuovi studi» e dei «nuovi manoscritti rinvenuti». Una revisione esce nel 1930 presso «Il Dispensatore» di Novi Ligure, con la precisazione che essa «è stata interamente ricollazionata con un buon testo greco». Il lavoro è attribuito in gran parte a E.L. Bevir e condotto a termine dai suoi collaboratori. Si tratta sostanzialmente di una versione italiana della traduzione di Darby.
Il frutto più maturo e di più larga diffusione dell’interesse protestante per le nuove acquisizioni della critica testuale sarà però la revisione del Nuovo Testamento della Diodatina, che si concluderà nel 1915. La scelta di affidare il lavoro di revisione a un comitato interdenominazionale30 era intesa a sviluppare un «lavoro collettivo, che perciò stesso acquista quel carattere di ‘impersonalità’, che è necessario a una Versione che […] mira a diventare ‘ecclesiastica’: a guadagnarsi, cioè, la stima e la fiducia di tutte quante le Chiese»31. La pubblicazione fu affidata alla Società biblica, di cui si seguirono i metodi di lavoro, che prevedevano che un capo revisore (G. Luzzi) sottoponesse il testo da lui via via emendato a un collega (E. Bosio). I due si accordavano su un testo comune da sottoporre a tutto il Comitato, che fissava in sedute apposite il testo definitivo, tenendo conto delle osservazioni di tutti i membri. Man mano che il lavoro procedeva, venivano stampati saggi da sottoporre «all’esame di persone reputate competenti, nelle Chiese italiane e fuori, a giudicare di questi generi di lavori»32. Il lavoro proseguirà poi con la revisione anche dell’Antico Testamento, per cui la «Riveduta» completa vedrà la luce nel 1924. È questa versione che verrà adottata ufficialmente dalle Chiese del protestantesimo storico, preferendo invece altre Chiese evangeliche, come quelle pentecostali o quelle dei Fratelli, la Diodatina33.
«Per gli italiani, il 20 settembre 1870 rappresentava il compimento di un lungo e travagliato cammino verso l’indipendenza e l’unità nazionali. Ma per coloro i quali, oltre che italiani, erano anche evangelici, quell’evento aveva un significato ancora più grande e suggestivo: l’abbattimento dell’ultima barriera alla libertà dell’Evangelo in Italia. Pochi fra gli evangelici italiani di allora, dubitavano che non si trattasse di un passo decisivo verso la Riforma del loro popolo. Né vi era alcuno, fra loro, il quale non fosse convinto che a condurre gli italiani alla Riforma sarebbe bastata la sola Parola di Dio, purché al nostro popolo fosse data la possibilità di adire liberamente al testo delle Sacre Scritture»34.
Così, l’ingresso in Roma di colportori35, dopo la breccia di Porta Pia36, poteva essere salutato dagli evangelici italiani con parole come queste:
«Quando l’esercito nazionale entrò in Roma con la sua potente artiglieria, il popolo diceva che quei cannoni erano stati i loro salvatori, e che in essi risiedeva il potere di elevare l’Italia a vera grandezza; ma in quel momento apparve un piccolo baroccino tirato da un cane e accompagnato da due uomini di cuor semplice. Quel baroccino era pieno di Bibbie, la vera artiglieria del Signore – un potere che atterra il Papismo meglio che altro potesse fare – un potere che dovrà ridurlo al niente e far sparire le memorie di esso! (Grandi applausi) Era questo un solenne spettacolo!»37.
Che si trattasse di un’illusione, lo mostreranno di lì a pochi decenni la vicenda della Pia Società San Girolamo e le edizioni di testi biblici prodotte in ambito cattolico in perfetta sintonia con le gerarchie. Con Porta Pia, e con tutto quel che questo nome evoca nella storia dell’Italia postunitaria, si connette però anche un altro episodio legato alla traduzione della Bibbia. Il gesuita Carlo Maria Curci, colui che può a ragione esser considerato il fondatore de «La Civiltà cattolica»38 pubblicò Il Nuovo Testamento volgarizzato ed esposto in note esegetiche e morali, in 3 volumi usciti a Torino (Flli. Bocca), tra il 1879 e il 1880. Seguì nel 1883 Il Salterio volgarizzato dall’ebreo ed esposto in note esegetiche e morali (Bocca, Torino). Queste sue traduzioni ricevono solitamente poca o punta attenzione nelle rassegne sulla storia della Bibbia in Italia39. Ma l’opera del Curci merita attenzione perché egli fu il primo cattolico italiano a produrre una traduzione integrale dal greco dell’intero Nuovo Testamento40. Lo aveva preceduto, limitatamente ai Vangeli, solo Niccolò Tommaseo nel 186941. Inoltre, nelle diffuse e retoriche «Avvertenze preliminari intorno all’intento e al modo del presente lavoro» che antepone ai Vangeli, Curci colloca lo scopo della sua opera sullo sfondo di una precisa e profilata disamina dello «stato della presente società», che è quella successiva alla perdita del potere temporale da parte del papa, svolgendo considerazioni assai inusuali nel suo ambiente e visto il suo passato. Intorno a Porta Pia, infatti, era andata «maturando nel polemista intransigente una nuova coscienza»42 che lo portò alle dimissioni dall’Ordine dei Gesuiti (accolte il 22 ottobre 1877). Rimasto prete, produsse tre opere che contenevano un piano di riforma della Chiesa e aperte critiche al «Vaticano regio»: in seguito alla seconda fu sospeso a divinis, tutte e tre furono messe all’Indice43. L’iniziativa di tradurre il Nuovo Testamento, come è motivata nelle «Avvertenze», appare una chiara espressione di questa «nuova coscienza». Pur esprimendo un giudizio assai critico sul «grave decadimento religioso nella moderna Europa» da attribuirsi precipuamente alla «così detta Riforma del secolo XVI» al «Filosofismo del XVIII, figliato da quella» e «alla grande Rivoluzione francese, che fu la pratica e legittima conseguenza dell’una e dell’altro»44, Curci è convinto che le «presenti generazioni per tutta Europa […] non si faranno mai sfuggire di mano l’acquisto, pel quale hanno tanto lavorato, e del quale sono tanto orgogliose, di essere, cioè, società democratiche e strettamente laicali»45 e dichiara addirittura «io non so vedere nessuna ripugnanza in questo, che una società possa nel fatto costituirsi e vivere coi soli principii suggeriti dalla natura, senza nessun riguardo a principii di religione rivelata […] L’azione salvatrice dell’Evangelo non mira, che agli uomini singolari, per rigenerarli spiritualmente, ed in virtù di una fede, che sia radice di buon opere, farli eredi della eterna vita»46. La fede, infatti, è per lui «virtù teologica non di nazioni, ma strettamente individuale»47. Per questo, il vero problema a cui la Chiesa deve far fronte è quello dell’affievolirsi o dell’oscurarsi di quella che egli chiama la «coscienza cristiana delle società civili», basata sulla «rigenerazione del mondo morale, operata da Cristo» introducendo «tutto un ordine nuovissimo di concetti chiari, precisi, rispondenti a meraviglia a tutte le esigenze della mente e del cuore»48. La «coscienza cristiana» non soltanto si è spenta «in tanta parte dei popoli moderni», ma si è anche «illanguidita ed oscurata in quei medesimi, e non sono pochi che, la Dio mercé, hanno conservata la fede dei padri loro, ed ai quali, dallo spettacolo delle altrui defezioni, avrebbero potuto pigliare motivo di raffermarvisi»49. Il superamento della crisi, dunque, non sta, per Curci, in un ripristino dello status quo. «Egli pare cha da parecchi anni molti zelanti si siano persuasi, ed abbiano voluto persuadere altrui, massimo e forse unico bisogno della Chiesa, nel presente tempo, esser il sostenere i diritti temporali; tanto che quando questi fossero riconosciuti e rispettati nella loro pienezza, tutto sarebbe aggiustato e procederebbe a maraviglia»50. Occorre invece ridestare la coscienza cristiana, e per far ciò la predicazione, «dalla modesta catechetica, fino all’oratoria del pergamo, ed all’Omilia pastorale»51, è uno strumento adatto, ma più ancora si deve ricorrere agli scritti del Nuovo Testamento, in cui le «dottrine di Gesù», «alquanti suoi fatti (miracoli ed esempii), e quelli di alcuni Apostoli» e «i primi esplicamenti ispirati, che alcuni Apostoli proposero di quelle dottrine in alquante loro Epistole» sono stati conservati per disposizione della Provvidenza e con la sua «guarentigia»52. Insomma «quel sovrano monumento della provvida pietà divina verso gli uomini dovrebbe fornire l’oggetto principalissimo dello studio degli Ecclesiastici, e se non in tutto, almeno in parte trovarsi assiduamente fra le mani dei semplici fedeli, secondo la capacità di ciascuno, e colle norme provvidentissime ordinatene dalla Chiesa»53. Curci, però, non si nasconde che «il Nuovo Testamento è il libro meno di tutti studiato e letto tra noi; tanto che il più dei laici, anche credenti, istruiti e praticanti, neppure sa che si trovi al mondo quel libro, e la parte maggiore degli stessi chierici appena ne conosce più di quello, che deve leggerne nel Breviario e nel Messale»54. Emerge ora chiaro il suo programma:
«[…] da presso a 10 anni, visto, che le cose della religione volgevano tra noi sempre in peggio, e non per sola colpa della rivoluzione, né sperando meglio per l’avvenire, n’ebbi sentimento vivacissimo, e capii e dissi, che, ai termini in cui eravamo, o salvezza non vi era per la presente generazione, o quella potea trovarsi solo nel ritornare a Cristo e al suo Vangelo, dal cui insipiente abbandono noi siamo stati condotti, dove ci troviamo»55.
Prima del Nuovo Testamento, Curci aveva pubblicato i quattro Vangeli in Italiano (1873), diffondendone in Italia e soprattutto in Toscana 30.000 copie, a cui erano seguiti, dal 1874 al 1876, 5 volumi contenenti una concordanza e un commento ai Vangeli, in 110 lezioni. Il Curci si attendeva però ben altri risultati, visto che afferma che non si trovò
«anima viva, non dirò che commendasse il modo, onde io lo feci: questo fu poverissimo, e nessuno lo sentiva meglio di me; ma che mostrasse di approvare quel pensiero per sé e, diciamo così, in principio: neppure in sogno! I cinque volumi passarono poco meno che inosservati, e quanto al resto, fu molto che fossi lasciato fare; ma non vi mancarono aperti dispetti, ch’io non cantassi a coro cogli altri, e coperti brontolii per la novità (novità nella Chiesa far leggere il Vangelo e spiegarlo dal pulpito!), fino a volervi vedere una tendenza da Protestante. A questi termini siamo giunti! E poi ci stupiamo, che la Coscienza cristiana, dalla moderna società sia più che mezzo sparita! È stupore, piuttosto, e lo dobbiamo tutto alla bontà divina, che pure ve ne rimanga una qualche parte!»56.
Pur stigmatizzando la «pazza idea, che tutta la religione rivelata si dovesse trovare nella Bibbia, colla più pazza giunta, che ognuno, anche le donnucce e ciabattini, dovesse cavarnela da sé a proprio senno» proposta dalla «nuova eresia del secolo XVI»57, ritiene che le restrizioni ecclesiastiche intendessero allontanare le versioni eterodosse e regolare la lettura della Bibbia, non impedirla, come hanno sostenuto «i consueti zeli spontanei»58 che hanno visto nel fatto stesso di leggere la Bibbia un atteggiamento da eretici o da scomunicati. Se i cattolici dovessero desistere dal leggere la Bibbia per lo «spropositare» che intorno a essa fanno i protestanti, «essi Cattolici dovranno abbandonare la fede, perché ancora peggio spropositarono intorno a questa i protestanti affermando, che la sola fede possa bastare alla salute»59.
In sintesi, sono queste le motivazioni del «servigio» che il Curci ha inteso rendere al prossimo, perché fossero «meno difficile lo studio, e più profittevole la lettura» del «sacro libro»60. Si può applicare anche al Nuovo Testamento di Curci, quanto G. Martina afferma sul programma riformatore del Curci della «nuova coscienza»: esso «che anticipa in vari punti alcuni aspetti del Vaticano II – pur nella sua genericità e nell’incapacità di risolvere un’antinomia fondamentale (la Chiesa deve essere distaccata dal mondo, ma insieme inserita in esso per fermentarlo), presenta i tratti di un genuino riformismo, soprattutto per la sua sincera fedeltà alla Chiesa, e la forte comunione con la tradizione biblica e patristica»61. Il programma del Curci, che rinunciava a una riscossa esteriore della Chiesa, per puntare su un rinnovamento della «coscienza cristiana», a partire dalla fede personale, alimentata nel Nuovo Testamento, attendendosi su questo fronte un’influenza anche sociale dei cristiani, cadde nel vuoto, o meglio fu travolto dalle contrapposizioni del tempo.
Nel 1900, Salvatore Minocchi62 pubblicò una traduzione dei Vangeli dall’originale greco63 che rivela un’apertura ai risultati della critica biblica di cui egli fu indubbiamente un alfiere, ma si tratta ancora dell’iniziativa di un singolo erudito. Solo due anni dopo, però, nel 1902, appare Il Santo Vangelo di N. S. Gesù Cristo e gli Atti degli apostoli. Nuova traduzione italiana con note, Roma, Pia Società San Girolamo per la diffusione dei Santi Vangeli editrice, 1902. Questa traduzione, «sulla base della Biblia Vulgata, con uno sguardo al greco e alle traduzioni italiane allora esistenti»64, corredata di note e con una veste tipografica accattivante e un prezzo volutamente ridotto, «20 centesimi, quello stesso delle pubblicazioni destinate alla bancarelle»65, giungerà attraverso varie edizioni a una diffusione di 23 milioni di copie, con 517 edizioni tra il 1902 e il 1945. La prima tiratura fu 60.000 copie66.
Questa straordinaria iniziativa, per certi versi molto simile negli scopi e nei metodi a quelle delle Società bibliche, come appare anche dalla costituzione di una rete di responsabili diocesani per la diffusione, non nasce alla periferia, ma al centro della Chiesa romana, a opera della «Pia Società San Girolamo per la diffusione dei Vangeli», appositamente costituita il 27 aprile 1902: la stamperia è quella vaticana, la sede amministrativa è presso la Segreteria di stato: «opera cattolica, anzi propriamente Vaticana di apostolato scritturale»67. Non è un caso, vista l’affinità del progetto e dei metodi, che i protestanti siano menzionati nella prefazione: «i nostri separati fratelli protestanti… vogliono sostituire il Vangelo alla Chiesa; invitano i lettori ad attingervi direttamente ed esclusivamente i dogmi della loro fede e le regole della loro vita. Per noi Cattolici invece il Vangelo, ben lungi dal sostituire il Magistero, la Parola vivente della Chiesa, la suppone e la richiama».
Soprattutto considerando il clima che porterà la reazione antimodernista, non stupisce che un autorevole biblista cattolico ravvisi in questa impresa «un momento di grazia nella storia della Bibbia in Italia. Per le personalità che le dettero origine, per il coraggio con cui la Società intraprese l’opera di traduzione e diffusione dei Vangeli, per la qualità e la quantità delle edizioni, per l’influsso che esercitò sul cosiddetto movimento biblico cattolico e per il suo sogno di un Vaticano centro di irradiazione degli scritti evangelici, meriterebbe una ricerca di ampio respiro…»68.
Il proposito espresso nella prefazione è quello di «far del Vangelo un libro veramente popolare». Rimarchevoli le personalità che producono questo Nuovo Testamento: lavorano «in cordiale adesione alla Santa Sede»69, ma sono anche notoriamente vicine agli ambienti cattolici modernisti70. L’introduzione è a cura del barnabita Giovanni Semeria; la traduzione del testo biblico è di don Giuseppe Clementi e le note del padre Giovanni Genocchi, allora ritenuto «il più completo studioso italiano della Bibbia per le sue vaste conoscenze linguistiche moderne e orientali e per i suoi contatti con studiosi stranieri di gran nome»71. L’iniziativa incontrò grande plauso ed ebbe risonanza anche all’estero e tra i protestanti, anche perché questi ultimi si erano appellati come «i nostri separati fratelli»72.
Nella conferenza in occasione del terzo anniversario della fondazione della Società, che aveva visto la diffusione di 300.000 copie, il padre Genocchi ricordava che uno dei suoi scopi era «liberare i cattolici grandi e piccoli, superiori e sudditi, dotti e ignoranti» dalla ‘tremenda accusa’ secondo cui la Chiesa «defrauda il popolo cattolico di quel pane di vita che è la parola scritta di Dio, in particolare il Vangelo»73 e riconosceva con grande franchezza: «Non possiamo negare che per circa tre secoli la Sacra Scrittura in volgare fu proibita al popolo cattolico»74. Ma ora,
«La Società di S. Girolamo intende di aiutare il popolo italiano a mantenersi fedele a Cristo; il popolo italiano che si risveglia come da un sonno secolare, e corre velocemente per le nuove vie, belle sì, ma pericolose del progresso moderno […]. Diamo alla turbe il Vangelo, che non c’è modo più efficace di tener alta la stima della nostra religione e di renderla amabile anche ai più restii […] tanti si perdono che studiando il Vangelo si salverebbero […]. Abbiamo coscienza di far opera prettamente italiana e patriottica diffondendo il Vangelo in lingua italiana secondo le savie norme della Chiesa cattolica»75.
Parole di elogio per la Società compaiono nell’enciclica Spiritus paraclitus (1920), pubblicata nel XV centenario della morte di S. Girolamo:
«si presenta al nostro pensiero il piacevole ricordo della Società detta di San Girolamo […]. Noi desideriamo vivamente vedere che quest’opera, che tanto amiamo per averne constatato l’utilità, si propaghi e si sviluppi ovunque, con la fondazione, in ognuna delle vostre diocesi, di società aventi lo stesso nome e lo stesso scopo, tutte collegate con la casa madre di Roma»76.
È evidente che un’opera di tale forza innovativa e di tale apertura dovesse prima o poi incontrare resistenze. Se, nel 1903, «La Civiltà cattolica» poteva salutare l’opera della San Girolamo con parole alate e bene auguranti «Oh, torni il Vangelo con gli altri libri santi ad esser il pascolo quotidiano, anzi continuo, delle anime, com’era nell’età d’oro della vita cristiana; meglio sarà conosciuto il divino Maestro, e meglio la sua dottrina, attinta a queste purissime fonti ispirate, tornerà a fecondare di celeste ideale, di sante virtù e di soavi speranze questo povero nostro mondo, che trascinato da falsi apostoli, ripiomba nelle tenebre e nell’abbrutimento del paganesimo»77, solo un anno dopo lo stesso periodico affermava che alle «plebi cristiane bastava la voce dei parroci e la spiegazione del catechismo per conservarle fedeli e difenderle dagli errori che andavano spargendo i protestanti razionalisti»78.
La Pia Società conobbe una crisi con la morte del suo protettore, Leone XIII. Se la Divino afflante Spiritu del 1943 parla della «calorosa approvazione» data da Pio X alla Società San Girolamo, fu proprio questo pontefice, nel clima di sospetto che andava montando contro la Società, a imprimerle una «correzione di rotta», a provocare una «severa rimondatura del testo… con la tendenza a sacrificare l’esegesi alla teologia […] Dopo la potatura, che ridusse la “Società” al fine originario, ma anche inevitabilmente ne restrinse lo slancio originario, la sua storia è fatta, per così dire, di ordinaria amministrazione»79.
Pio X accolse i sospetti di modernismo di cui la traduzione veniva accusata, in particolare dai gesuiti. Le conseguenze più rilevanti di questa stretta furono l’abbandono del progetto di completare l’opera con la traduzione dell’intero Nuovo Testamento80 e l’imposizione di modifiche, sia nell’introduzione di padre Semeria, sia nelle note di padre Genocchi, tutte intese a ridurre l’apertura alla critica storica81. Significativamente, da un certo punto in poi82, il frontespizio si arricchisce di una incisione che raffigura Cristo sulla barca nel lago in tempesta con il motto «ubi Petrus ibi Ecclesia». I Vangeli e gli Atti circolano liberamente, ma sotto la vigile tutela del successore di Pietro.
Secondo Rizzi, «il Vaccari fu il primo ad affrontare una traduzione in italiano della Bibbia dai testi originali»83. Fu il primo cattolico romano, ma lo aveva, seppur di poco, preceduto il protestante Giovanni Luzzi. L’iniziativa di traduzione del Vaccari fu suscitata da una richiesta di Pio X al Pontificio Istituto biblico, fondato nel 190984. Vaccari pubblicò una traduzione del Pentateuco nel 1923 e una dei libri poetici nel 1925. L’opera fu completata nel 1958, avvalendosi di altri collaboratori, con il titolo La Sacra Bibbia tradotta dai testi originali con note a cura del Pontificio Istituto Biblico di Roma, presso la casa editrice Salani. Il contributo del Vaccari fu ingente: oltre a svolgere le funzioni di direttore e redattore capo, curò personalmente le versioni di Genesi, Levitico, Rut, 1 e 2 Samuele, Esdra, Nehemia, Tobia, Ester, Giuditta, dei libri poetici, dei profeti maggiori, di 9 profeti minori, del Vangelo di Luca, della lettera agli Ebrei, delle lettere cattoliche e dell’Apocalisse. Pur affermando che «la Volgata latina ha certo […] i due pregi invidiabili e d’una sostanziale conformità con i testi originali e della garanzia da ogni errore dottrinale»85 il Vaccari intende offrire al pubblico italiano i frutti del progresso nei campi della filologia e dell’archeologia, che così descrive:
«[…] la conoscenza della storia e delle lingue antiche ha fatto immensi progressi dal Rinascimento in poi, ma soprattutto da un secolo in qua per gli scavi praticati in Oriente con altrettanta energia che perspicacia. Senza la menoma esagerazione si può dire che per essi ci fu rivelato tutto un mondo nuovo, ci si scopre l’ambiente storico e letterario entro cui si svolse la vita del popolo eletto e fu composta la Bibbia, in un grado nei precedenti secoli neppure sospettato […]. Certo non ne viene alterata la sostanza degli insegnamenti religiosi e morali, di cui la Bibbia è la fonte; ma per la precisione dei fatti storici e del pensiero stesso nei particolari, quanto siamo ora meglio informati dai progressi compiuti da due giovani discipline, la filologia e l’archeologia, ora sole, ora alleate!»86.
Nel «Programma per una nuova versione italiana di tutta la Scrittura dai testi originali», sviluppato dal Vaccari all’inizio della sua opera, si dichiara in particolare di voler produrre un testo «facilmente accessibile ad ogni persona mezzanamente colta, con brevi note esegetiche; opera di volgarizzazione scientifica, la quale tra il testo e le note incorpori i risultati meglio accertati della critica testuale e delle scoperte storiche»87. È dichiarato che si ricorrerà alla correzione del testo tradizionale «quando sia moralmente certo […] che è corrotto […]» e «quale dovette essere il testo originale»88. Sul piano dello stile, «la versione deve essere fedele ma non servile, rendere quanto si può esattamente il pensiero dell’originale, in un italiano puro, moderno, scorrevole, semplice e dignitoso, che senza toglier nulla alla forza e alla concisione dell’originale sia facilmente intelligibile»89.
In realtà, dai tempi del Martini, il primo a portare a compimento, tra il 1921 e il 1930, quello che si è visto essere il progetto dell’Ugdulena, fu il protestante Giovanni Luzzi90. Il proposito della traduzione di Luzzi è da lui stesso riassunto in questi termini, esplicitamente ecumenici: «dare all’Italia una Bibbia che, non emanando da una chiesa particolare, potesse venir accettata da tutte quante le chiese»91. Il suo lavoro, egli dice, «ha mirato, non a fare della propaganda confessionale, ma semplicemente a dare all’Italia una Bibbia fedele, chiara, intelligibile»92. Per dar corso al progetto fu costituita la Società Fides et Amor, che iniziò la sua opera nel 1909 con la pubblicazione, a Roma, del Nuovo Testamento con note e prefazioni a ciascun libro.
La Società Fides et Amor è presentata come «un’associazione cristiana e cattolica nel senso più comprensivo del termine» perché «accoglie ad ugual titolo … membri della comunione romana, della greco-orientale e della riformata-evangelica: vale a dire, dei tre grandi rami in cui si differenzia la Chiesa Cattolica del Cristo»93. La Fides et Amor vuole essere «indice» della
«tendenza generale odierna [che] mira ad allargare gli orizzonti, ad abbattere i muri di separazione, ad affermare l’unità fondamentale della fede delle tre grandi Chiese cristiane e l’unità di quel Corpo di cui le singole chiese sono membra più o meno inferme, ma suscettibili d’esser guarite per compiere, nella pienezza dei loro mezzi, la missione cha hanno ricevuta da Dio per il trionfo del suo Regno: vale a dire, per la redenzione morale del mondo»94.
Siccome «l’Evangelo è il gran tesoro comune a tutta quanta la cristianità» la versione annotata che Luzzi propone si vuole scevra da «ogni ombra di predilezione soggettiva nel campo delle questioni che dividono le Chiese», basata invece sull’«elemento comune, estraneo alla controversia» al fine di avere una versione «che possa correr libera fra tutti i cristiani».
Il progetto ecumenico di Luzzi doveva avere una sua effettiva consistenza, a giudicare dal fatto che la maggior parte dei membri della Fides et Amor erano cattolici e dalle reazioni favorevoli che egli incontrò in ambito cattolico e di cui ebbe riscontro95. Durante la Prima guerra mondiale vennero diffuse tra i militari impegnati nel conflitto, anche tramite cappellani cattolici, edizioni speciali di questo Nuovo Testamento, dedicate ai «Ai prodi baluardo e gloria d’Italia» o «ai nostri soldati di terra e di mare», in oltre 40.000 copie. Forse proprio per questa eco positiva, il 2 aprile 1925 il Sant’Uffizio intervenne per ricordare che sotto il divieto di leggere le traduzioni fatte o edite da acattolici cadono anche
«le versioni italiane della Bibbia di Giovanni Luzzi, pastore valdese, che si vanno disseminando anche tra i cattolici; le quali, oltre ad essere infette dei soliti pregiudizi protestantici e razionalistici, tendono evidentemente ad insinuare la massima ereticale che le diverse comunioni cristiane, benché separate tra loro e dalla Sede Apostolica Romana, devono considerarsi di pari diritto come altrettanti rami dell’unica vera Chiesa di N.S Gesù Cristo»96.
Del resto, fin dall’inizio, l’opera del Luzzi trovò anche opposizioni. Non era mancata, per esempio, dopo la pubblicazione del Nuovo Testamento di Luzzi, l’immediata reazione de «La Civiltà cattolica», in un articolo dal titolo Protestantismo, anticlericalismo e modernismo97 che annovera la Società Fides et Amor tra i membri della «ibrida alleanza» che il periodico dei gesuiti non manca di stigmatizzare senza posa: protestantesimo; sette valdesi metodiste e simili; giornalisti anticlericali, socialisti e modernisti; apostati infelici del cattolicismo; modernisti; Riforma laica ecc. Il fatto che l’albo dei soci della Società sia, secondo lo Statuto, «cifrato ove occorra» («per evitare ai soci la censura e le pene ecclesiastiche delle autorità da cui dipendono») è per «La Civiltà cattolica» segno del fatto che si tratta di una «specie di società segreta che lavora ad una “libera Chiesa cattolica”»98. L’ottimismo della Fides et Amor che vede proprio nel fatto stesso della sua larga convergenza ecumenica (i protestanti vi erano una minoranza) «l’assicurazione che il Sol dell’avvenire […] non tarderà a scender coi suoi raggi nella valle per riempirla di luce, di gioia, di vita» viene bollato da «La Civiltà cattolica»: «Non commentiamo queste ciance. Sono razzi che modernisti e metodisti tolgono volentieri a prestito dai seguaci del Sole dell’avvenire. Ma ciò che fa indignazione è che questo scintillio serva di mera lustra alle nebbie del settentrione più fosche, cioè al protestantesimo più gretto e arretrato»99. Sul Nuovo Testamento, ricevuto per recensione, si afferma che non si può che «esplicitamente denunziarlo come proibito già dalle regole generali dell’Indice»100. Sul Luzzi «annotatore» «La Civiltà cattolica», pur lodandolo «di essersi tenuto a soluzioni piuttosto conservatrici nelle questioni di critica letteraria», accusa Luzzi di essere «insoffribile nel torturare i testi, per far dir loro diverso da quel che dicono e trarli ad un significato protestanico»101. Nel caso di Mt 16,18102 («tu es Petrus»), secondo «La Civiltà cattolica», meglio avrebbe fatto Luzzi a seguire «l’odierna critica protestante liberale, che fa capo all’Harnack […] Secondo essa, le famose parole non hanno altro senso che quello che loro danno i cattolici; solamente esse non furono pronunziate da Gesù, ma aggiunte posteriormente al Vangelo primitivo. Non è meno arbitrario; ma almeno non fa dir nero al bianco»103. La conclusione è perentoria: solo nella Chiesa cattolica «si può avere una società che valga a stringere le menti e i cuori, mentre essa sola può in verità, col mirabile accordo della fede e dell’amore di Cristo, far suo il motto di Fides et amor. Le sette protestanti, e molto più la metodista, la valdese e le altre che diffondono l’irreligione in Italia, non possono altro che usurparne il titolo e mostrarne l’apparenza»104.
Se l’opera del Vaccari poteva essere non solo ammessa, ma anche incoraggiata, ai fini della divulgazione tra un pubblico colto, è sulla base della testo della Vulgata che si registrano, a partire dagli anni Venti del secolo XX, iniziative cattolico-romane di ampia diffusione delle Scritture, anche – e ciò è di indubbio significato – in edizioni manuali in un solo volume.
Con «l’intento di sostituire l’opera del Martini»105, della cui traduzione dalla Vulgata rappresenta una revisione, si cominciò a pubblicare a Torino nel 1911 presso L.I.C.E.-R. Berruti e C. la traduzione curata dal padre Marco Sales O.P., Maestro del S. Palazzo Apostolico. L’opera sarebbe stata completata soltanto nel 1960.
«Sua caratteristica saliente è di essere un tentativo sistematico di aggiornamento dell’opera originale, sia nella versione italiana, come nelle note e nelle introduzioni al testo, che guardano prudentemente anche al progresso delle scienze bibliche del tempo, ma senza snaturare l’impianto ermeneutico e teologico del commento originale di A. Martini: nell’insieme, dunque, un tentativo tutto italiano di “aggiornamento” di un “classico”»106.
Chi, negli anni Venti del secolo XX avesse visto in mano a persone comuni un volume di maneggevole formato (11x17 cm), rilegato in tela nera, con le coste tinte di rosso e recante sul dorso la sola iscrizione «La Sacra Bibbia» avrebbe certamente pensato di trovarsi di fronte a una di quelle Bibbie che i protestanti cercavano di far giungere in ogni dove. Tale infatti era esattamente l’aspetto esteriore della versione «Riveduta», apparsa per la prima volta nel 1924. Esattamente questo formato e questo aspetto furono adottati per La Sacra Bibbia pubblicata a Firenze nel 1929 a opera della Libreria Editrice Fiorentina de La Cardinal Ferrari S.A.I. L’apparizione in ambito cattolico di una «Bibbia manuale completa»107 costituisce una novità, segna una svolta ed è il frutto di una precisa scelta strategica:
«Mentre i cattolici delle altre nazioni già da parecchio tempo potevano gloriarsi di una traduzione nella propria lingua di tutti quanti i libri della Sacra Scrittura raccolti in un unico volume, e quindi di facile consultazione, i cattolici italiani dovevano assistere, impotenti, alla continua propaganda delle Bibbie protestanti senza poter dare nelle mani del popolo una Bibbia manuale completa in lingua italiana. A colmare questa lacuna ha pensato la nostra Casa Editrice, che, prima in Italia, presenta ai cattolici una versione in lingua nostra di tutta quanta la Sacra Scrittura»108.
Dovette avere una certa diffusione, visto che si procedette a una seconda edizione nello stesso anno, ed era rivolta al grande pubblico. Le somiglianze con i dettami dell’editoria biblica protestante non finivano qui: a differenza di tutte le altre edizioni cattoliche, non vi compare alcuna incisione, alcun fregio, nessuna tavola illustrata, salvo alcune cartine geografiche al fondo di volume. Persino impaginato e caratteri sono del tutto simili a quelli della Riveduta. Naturalmente vi sono differenze, ma si colgono solo leggendo il volume: si è abbandonato il testo del Martini per procedere a una nuova traduzione della Vulgata; vi sono delle note, ma «poche, solo le strettamente necessarie»109.
Molte di esse sono di tipo esegetico o informativo, ma non mancano quelle di sicuro orientamento dottrinale. Mi limito ad alcuni esempi. La nota a Gn 3,15 ripropone la dottrina del cosiddetto protovangelo, ma lo fa senza privilegiare l’interpretazione mariana basata sulla Vulgata:
«Stirpe di donna è il genere umano; stirpe del demonio, i maligni spiriti suoi compagni. Dalla stirpe della donna uscirà chi deve vincere e debellare per sempre il serpe infernale. Secondo la versione latina, chi riporterà questa vittoria è una; ed è Maria SS. Madre del Redentore, alla quale invano tese insidie il demonio, perché essa gli sfuggì completamente, non essendo stata soggetta a colpa veruna Né originale né propria. Secondo il testo ebraico, il vincitore è uno; ed è Gesù Salvatore, che sconfisse il demonio, ritogliendogli la sua preda; ver è che questi lo morse al calcagno, infliggendogli per mano dei suoi satelliti, la morte; ma fu invano, perché Egli al terzo giorno risorse»110.
Is 7,14 non presenta alcuna nota in questa versione, mentre per esempio in quella del Tintori leggiamo questa nota:
«Secondo il Vangelo […] e tutta la tradizione cattolica, si parla della Vergine Madre, Maria Santissima, e l’Emmanuele […] è Gesù Cristo, il Verbo di Dio fatto uomo. Questa profezia è importantissima, annunziando la nascita verginale del Messia e la verginità di Maria avanti il parto e dopo il parto».
Nella Bibbia de La Cardinal Ferrari, il «primogenito» di Mt 1,25 riceve questo commento:
«specialmente secondo la legge, era detto il primo nato, ancorché fosse rimasto unigenito. In questa narrazione evangelica è espressamente insegnata la purità verginale della Madonna, nel concepimento di Gesù per opera dello Spirito Santo, secondo la profezia. La S. Chiesa ha poi sempre professato come articolo di fede, la perpetua verginità della Madre di Dio».
L’orizzonte del confronto con la diffusione protestante della Bibbia è esplicitamente tematizzato anche nelle presentazione «al popolo italiano» da parte del generale della Compagnia di S. Paolo, sacerdote G. Rossi:
«Il protestantesimo, dopo aver manomesso l’integrità della Sacra Scrittura, mutilandola e inserendovi la zizzania ereticale, ha fatto tra noi larga diffusione dei suoi testi, sicché sovente, dove si trova una Bibbia, si ha ragione di supporla una produzione protestantica. Noi confidiamo che questa edizione sarà gradita dall’Episcopato italiano, dal Clero, da quanti hanno fatto scopo della propria vita l’apostolato cattolico; soprattutto ci auguriamo che piaccia al Santo Padre Pio XI, il Papa della Missioni e dell’Azione cattolica, al Quale devotamente la umiliamo, fra gli osanna che da ogni parte del mondo Gli pervengono nell’anno del Suo Giubileo Sacerdotale»111.
Questa Bibbia rappresenta non solo «la prima nuova opera sistematica di traduzione dalla Vulgata latina dell’intera Bibbia»112, ma anche
«un tipico “compromesso all’italiana” tra istanze pastorali di aggiornamento ormai inderogabili, limitazioni permanenti da parte dell’autorità ecclesiastica e necessità di svecchiamento degli stereotipi tradizionali alla luce delle nuove acquisizioni scientifiche e culturali. Infatti, nella prefazione di Giovanni Rossi, superiore della Compagnia di San Paolo, la polemica con le edizioni dei “protestanti” può essere considerata semplicemente come uno stereotipo della tradizione cattolica; ben più significativa è la dichiarazione di aver abbandonato la versione di Antonio Martini, pur dovendo sottostare alla norma di tradurre dalla Vulgata, eccettuati tuttavia i casi in cui è palese la non esatta resa dell’ebraico o del greco; in questi casi, il testo in nota viene dato senza il commento della Vulgata…»113.
Nel 1931, seguita da numerose ristampe, viene pubblicata dalla Pia Società di San Paolo la Sacra Bibbia, traduzione del padre Eusebio Tintori O.F.M. L’introduzione mostra qualche apertura alla critica biblica insieme a un saldo riferimento alla tradizione e al magistero, con particolare riferimento a Leone XIII e alla Providentissimus Deus. L’ispirazione della Scrittura viene riassunta in questo modo: «l’autore principale della sacra scrittura è Dio, il quale si serve dell’agiografo come di un vero e proprio strumento, ma come di uno strumento libero e intelligente, di cui ha elevato soprannaturalmente le facoltà. Perciò di Dio sono l’argomento, le cose, le idee, mentre dell’uomo l’ordine delle idee, il genere letterario, lo stile, la lingua»114.
In quanto divinamente ispirata, la Bibbia è inerrante:
«Dio si rende garante di quanto scrive lo scrittore ispirato e poiché Egli non può né ingannarsi né ingannare, il libro ispirato va immune da ogni errore […] tutto ciò che si narra nella Bibbia è necessariamente vero, perché è Parola di Dio; ma non dappertutto vi è la stessa verità […] ogni genere letterario ha la sua verità; è necessario perciò determinare il genere letterario di ogni libro della Santa Scrittura, il che si deve fare tenendo conto dell’indole del libro e, soprattutto, della interpretazione e del senso della Chiesa. La Bibbia, oltre la verità relativa al genere letterario, ha verità relative al modo comune di parlare, al linguaggio popolare, alle idee dei paesi e dei tempi, che scientificamente possono essere false. Infatti la Bibbia, non essendo un trattato di scienza, non usa il linguaggio tecnico o scientifico, ma quello comune, regolare dei tempi»115.
La scelta della Vulgata come base della traduzione è giustificata con il richiamo al concilio di Trento e sintetizzata con queste parole: «La Volgata […] resta il testo ordinario nel pubblico insegnamento e nella predicazione, e nessuno ne può impugnare o ricusare il valore»116.
Chiude l’Introduzione un paragrafo sull’interpretazione della Sacra Scrittura, il cui elemento umano richiede che si considerino «la lingua e il genio della lingua di cui si servì l’autore, lo stile e il genere letterario adoprato, le leggi stesse del pensare, che, in qualche passo, determinano maggiormente il senso dell’autore»117. Riguardo invece all’elemento divino si nota che, poiché i libri della Scrittura
«furono affidati alla Chiesa cattolica romana affinché fossero da essa conservati e, ove fosse necessario, fossero da essa autenticamente spiegati, bisogna interpretare la Sacra Scrittura secondo il senso tenuto dalla Chiesa; non mettersi in contraddizione col sentimento veramente e rigorosamente unanime dei Padri della Chiesa quando si tratta di questioni riguardanti la fede e la morale; conformarsi all’analogia della fede; […] rifiutare ogni interpretazione contraria alla legge divina o tale da supporre che l’autore ispirato abbia insegnato qualsiasi errore o siasi contraddetto o abbia contraddetto un altro autore ispirato; e che non si può ammettere alcuna contraddizione tra Scrittura rettamente interpretata e la vera scienza».
Le tre versioni a cui si è ora accennato – quelle di Sales, de La Cardinal Ferrari e di Tintori – la loro veste e i programmi di diffusione esprimono una svolta significativa: pur rimanendo ancorati al testo della Vulgata, e lasciando gli originali a traduzioni ‘dotte’, si opta, con propositi di larga diffusione, per la produzione di edizioni maneggevoli della Bibbia, economiche, chiaramente accessibili e altrettanto chiaramente ancorate alla tradizione e al magistero. Sono alcune delle espressioni più significative e diffuse dei prodromi anteriori al concilio Vaticano II di quello che diverrà l’«apostolato biblico»118 della Chiesa di Roma. A quest’opera si dedicarono anche i Salesiani, con le presentazioni del Vangelo e degli Atti degli apostoli curate da don Abbondio M. Anzini per la Società Editrice Internazionale e destinate in particolare ai giovani e alle scuole, anche elementari119.
La lunga «rimozione coatta del Libro» che caratterizzò la storia moderna del nostro Paese ebbe, per Gigliola Fragnito, «incalcolabili conseguenze sulla religiosità, sulla cultura e sulla mentalità degli italiani»120. Alla rimozione coatta seguì, per tutto l’Ottocento almeno, un clima di forte avversione al libero accesso del popolo alle Scritture, segnato dalla polemica antimoderna che caratterizzò il lungo pontificato di Pio IX. Non appare dunque, in effetti, ingiustificato parlare della Bibbia come del «libro assente» nella storia e nella cultura dell’Italia moderna121. La riscoperta della Bibbia, segnatamente intorno al concilio Vaticano II, ha creato una realtà nuova e promettente, ma non può cancellare questa pesante eredità del passato. Perché avrebbe avuto «conseguenze incalcolabili»? È venuta a mancare in Italia, fieramente avversata dagli uni e ignota ai più, la «postura» diffusasi in Europa a partire dalla Riforma del secolo XVI, del libero credente che accede direttamente alla fonte della sua dottrina e della sua etica, la Bibbia, che gli è messa in mano – ove necessario promuovendo la sua alfabetizzazione scolastica proprio a questo scopo – con la fiducia che essa lo orienti in maniera chiara e sufficiente nel suo adulto cammino nel mondo. L’idea che la Bibbia possa essere il «vademecum» (per i protestanti di ogni orientamento, l’unico) del «cristiano qualunque» compare nel cattolicesimo italiano soltanto nel secolo XX, inizialmente come reazione al pericolo che l’alfabetizzazione biblica del popolo cristiano sia appannaggio degli «eretici» e del loro veleno e spesso esponendosi – come fu per esempio il caso del lavoro di Genocchi – all’accusa di fare cosa «protestantica». Il magistero promuove la lettura della Bibbia per superare l’idea protestante che oppone la Bibbia al magistero. La storia dell’Europa continentale, della Gran Bretagna e degli Stati Uniti mostra le conseguenze che questa postura, di cui il rapporto con le Scritture è un elemento essenziale, abbia avuto per la modernità. E non solo per il ruolo che le grandi versioni moderne, come quella di Lutero o la King James hanno avuto per lo sviluppo delle lingue e delle letterature, ma per il nuovo soggetto che questo rapporto con la Bibbia posta al centro della vita cristiana faceva emergere: uomini e donne liberi e responsabili, perché sottomessi solo alla Parola cui il Libro rende testimonianza.
Abbiamo visto come le prime edizioni popolari dei Vangeli, del Nuovo Testamento o dell’intera Bibbia pubblicate in Italia nella prima metà del secolo XX siano spesso accompagnate da affermazioni antiprotestanti, che Rizzi valuta come «semplicemente… uno stereotipo della tradizione cattolica»122. Che sia uno stereotipo è probabile, ma perché ricorrevi? Quale è la logica del ricorso allo stereotipo rivolgendosi a un pubblico che poco o punto sapeva dei protestanti? Non credo che fosse dettato da una minaccia concreta, rappresentata dalle Società Bibliche e dalla solerte diffusione evangelica delle Scritture. Con tutta la loro retorica sulla Bibbia come «artiglieria di Dio», i protestanti italiani non attrassero che poche migliaia di loro concittadini, e una Chiesa riformata d’Italia non fu mai in procinto di nascere. Non a un pericolo immediato, dunque si reagiva, ma alla sfida della modernità. Forse più che gli evangelici, preoccupavano i cattolici modernisti. Preoccupava quel mondo con cui al Vaticano II si cercò un rapporto nuovo e di cui la postura protestante con la Bibbia in mano ben incarnava un aspetto dirompente.
Dopo il Vaticano II, la Bibbia è entrata a pieno diritto nella Chiesa cattolica italiana, suscitando una vera e propria primavera biblica, a tutti i livelli: dall’animazione parrocchiale agli studi esegetici, con contributi anche di altissima rilevanza e con approdi ecumenici del tutto inimmaginabili pochi decenni prima. E anche una fiorentissima produzione di traduzioni ed edizioni della Bibbia, intorno al concilio e successivamente a esso. Giunge a compimento la Bibbia (10 vv.) curata dal padre Vaccari e da altri, Firenze 1957-1958); nel 1958 esce La Sacra Bibbia delle Paoline, intorno alla quale si lancerà a partire dal 1962 una campagna «la Bibbia a 1.000 lire». In 3 volumi, esce nel 1963 a Casale Monferrato La Sacra Bibbia curata da S. Garofalo e altri biblisti. Di particolare rilevanza fu La Sacra Bibbia uscita a Torino nel 1963 a cura di E. Galbiati, A. Penna e P. Rossano: sarà questo lavoro a servire di base per la traduzione della Conferenza episcopale italiana (editio princeps 1971123; riedita con alcune modifiche nel 1974; una revisione completa viene iniziata nel 1988; un’edizione del Nuovo Testamento rivisto appare nel 1997124; la revisione dell’intera Bibbia appare nel 2008). Utilizzando la traduzione della Cei, sono state pubblicate anche in Italia la Bibbia di Gerusalemme125, il maturo prodotto dell’esegesi cattolica francese, e la Traduzione ecumenica della Bibbia (Tob)126, realizzata in Francia da un folto gruppo di esperti di varie confessioni cristiane. Non ebbe molta fortuna La Bibbia Concordata apparsa a Milano nel 1968 e realizzata da ebrei e cristiani di varie confessioni. Un primo prodotto tutto italiano basilarmente ecumenico in tutte le fasi del lavoro, è rappresentato da Parola del Signore. La Bibbia. Traduzione interconfessionale in lingua corrente (Nuovo Testamento 1976; Bibbia completa 1985).
È presto per valutare l’incidenza di questa «primavera biblica» sull’evoluzione della cristianità italiana, ma certamente essa reagisce alla secolare «rimozione del Libro». Le «conseguenze incalcolabili» rischiano però di rimanere immutate per quella vasta cultura secolarizzata, che ha reciso o allentato i suoi legami con la tradizione cristiana del nostro paese, che aveva conosciuto nella sua versione tridentina o nella sua deriva postrivoluzionaria. Questa cultura era «senza Bibbia» quando si allontanava o si contrapponeva a un cattolicesimo esso stesso tale e rimane «senza Bibbia» ora che il cattolicesimo la riscopre. Ogni intellettuale anche agnostico o non credente dell’Europa continentale, della Gran Bretagna e degli Stati Uniti, dal secolo XVI al XX, ha conosciuto la Bibbia, magari per rifiutarla; non così in Italia. È forse questa assenza della Bibbia dalla cultura italiana il frutto più amaro della storia del testo biblico in Italia negli ultimi due secoli.
1 C. Buzzetti, La Bibbia in lingua italiana. Le principali traduzioni del XX secolo, in La traduzione della Bibbia nella Chiesa italiana. Il Nuovo Testamento, a cura di C. Buzzetti, C. Ghidelli, Cinisello Balsamo 1998, pp. 106-118 (che riprende quanto da lui pubblicato in R.E. Brown, C. Buzzetti, D.W. Johnson, et al., Testi e Versioni in Nuovo Grande commentario biblico, Brescia 1997, in partic. pp. 1453-1463); A. Vaccari, s.v. Bibbia in Enciclopedia italiana, Istituto della Enciclopedia Italiana, VI, Roma- Milano 1930, pp. 879-918, in partic. pp. 902-903; G. Ricciotti, s.v. Bibbia, in Enciclopedia cattolica, II, Città del Vaticano 1949, pp. 1545-1578; B. Mariani, s.v. Bibbia, in Dizionario ecclesiastico, I, Torino 1953, pp. 373-381; cfr. G. Rizzi, Edizioni della Bibbia nel contesto di Propaganda Fide. Uno studio sulle edizioni della Bibbia presso la Biblioteca della Pontificia Università Urbaniana, II, Il continente europeo, Roma 2006, pp. 637-816; G. Rizzi, Le versioni italiane della Bibbia. Dalla Bibbia del Malermi (1471) alla recente versione CEI (2008), Cinisello Balsamo 2010.
2 Non sono mancate le traduzioni della Bibbia ebraica prodotte da ebrei italiani, cfr. A. Vaccari, s.v. Bibbia, cit., p. 903 . Sono particolarmente rilevanti la Sacra Bibbia volgarizzata da S. D. Luzzatto e continuatori (Rovigo 1972-1975) e la traduzione della Bibbia ebraica ideata da Dario Disegni e da lui condotta con alcuni collaboratori (Firenze 1967, nuova ed. 1995; per una presentazione di quest’opera cfr. G. Rizzi, Edizioni della Bibbia nel contesto, cit., pp. 217-221; G. Rizzi, Le versioni italiane della Bibbia, cit., pp. 59-65).
3 A. Vaccari, s.v. Bibbia, cit., p. 902.
4 G. Ricciotti, s.v. Bibbia, cit., p. 15359.
5 Per il Diodati e la sua versione, cfr. in particolare E. Fiume, Giovanni Diodati: un italiano nella Ginevra della Riforma. Traduttore della Bibbia e teologo europeo, Roma 2007.
6 M. Ranchetti, introduzione a La Sacra Bibbia, tradotta in lingua italiana e commentata da Giovanni Diodati. I libri del Vecchio Testamento, t.I, a cura di M. Ranchetti, M. Ventura Avanzinelli, Milano 1999, pp. XI-XXXVIII.
7 P. Stella, Produzione libraria religiosa e versioni della Bibbia in Italia tra età dei lumi e crisi modernista, in Cattolicesimo e lumi nel settecento italiano, a cura di M. Rosa, Roma 1981, p. 113; elenco in P. Stella, Il Vangelo di Matteo tradotto e annotato da Antonio Martini (derivazioni e fortune), «Salesianum», 29, 1967, pp. 346-347.
8 Una presentazione delle principali revisioni in Comitato di Revisione, La Versione Riveduta del Nuovo Testamento in lingua italiana, Roma 1916, pp. 4-14. L’ultima di queste revisioni fu condotta da Augusto Meille e pubblicata a Firenze, presso la Claudiana, nel 1894. G. Luzzi, Dei volgarizzamenti delle Sacre Scritture in Italia, «Rivista cristiana», n.s., 6, 1904, p. 291, esprimerà un sintetico quanto severo giudizio su queste revisioni: «la versione che abbiamo oggi e che i nostri colportori offrono al pubblico italiano, non è più la diodatina antica, ma la diodatina restaurata, ristuccata e travestita d’un costume, che par fatto di quella stoffa multicolore che le donne abruzzesi vendono per i nostri lungarni fiorentini. E diciamolo pure: se la diodatina è gloria nostra italiana, l’averla noi ridotta come fra tutti l’abbiamo ridotta, non è davvero gloria nostra».
9 Non posso qui soffermarmi su questa, a volte tragica, storia di ostinata militanza per la diffusione della Bibbia, fatta di sfida ai divieti, di incarceramenti e vessazioni. Posso solo rimandare a D. Maselli, Duecento anni di storia in Italia, in La Società Biblica Britannica e Forestiera. 200 anni di storia in Italia, a cura di D. Maselli, C. Ghidelli, Roma 2004, pp. 9-112, in partic. pp. 32-33; G. Spini, Le Società bibliche e l’Italia del Risorgimento, «Protestantesimo», 26, 1971, pp. 1-21; Id., Le Società Bibliche e l’Italia. Un episodio ignorato del Risorgimento, in G. Spini, Studi sull’Evangelismo italiano tra Otto e Novecento, Torino 1994, pp. 33-41; Id., Ancora sulle società bibliche e l’Italia del Risorgimento, ivi, pp. 87-90. Uno degli episodi più notevoli è la stampa a Roma, durante la Repubblica romana, del Nuovo Testamento di Diodati. Si rimanda a Th. Paul, La verità intorno al Nuovo testamento stampato a Roma anno 1849. Risposta al Barone A. De Beaumont, «Rivista cristiana», 7, 1879, pp. 97-100; G. Spini, Ancora sul Nuovo Testamento della Repubblica Romana del 1849, «Protestantesimo», 11, 1956, pp. 75-79; V. Vinay, Il Nuovo Testamento della Repubblica Romana 1849, ibidem, pp. 5-24; Id., Altre due copie del N. Testamento della Repubblica Romana del 1849, ivi, pp. 80-81; Id., Il Nuovo Testamento della Repubblica Romana 1849. La copia della Biblioteca del Museo Britannico, ivi, 16, 1961, pp. 98-104.
10 E. Campi, Le Bibbie del Fondo Guicciardini della Biblioteca nazionale centrale di Firenze e il loro significato per la storia religiosa d’Italia, in E. Campi, Michelangelo e Vittoria Colonna. Un dialogo artistico-teologico ispirato da Bernardino Ochino, Torino 1994, pp. 147-173, p. 170.
11 E. Campi, Le Bibbie del Fondo Guicciardini, cit., p. 169. Di questa rara edizione, la Biblioteca della Facoltà valdese di teologia possiede tre esemplari. Su quello contrassegnato 2054 30,3 si legge il seguente autografo, firmato presumibilmente da G. Luzzi: «Questo Nuovo Testamento, edito nel 1849 da Giovanni Benelli, stampatore in Piazza Santa Felicita, è rarissimo. Il N. Testam. qui edito è quello di Mons. Ant. Martini. Il Benelli ne stampò tremila copie. Tutta l’edizione fu sequestrata dalla polizia e poi bruciata nei pressi dell’Arno. Lo stampatore fu condannato a pagare 50 scudi di multa e le spese del processo. Di questa edizione non si salvaron che poche copie, delle quali questa è una».
12 C. Buzzetti, La Bibbia in lingua italiana, cit., p. 109; D. Maselli, Duecento anni di storia in Italia, cit., p. 16.
13 Dalla edizione londinese riveduta da Giambattista Rolandi, 1819.
14 Sulla sua figura cfr. G. Monsagrati, s.v. Leopardi Pier Silvestro, in Dizionario biografico degli Italiani, Istituto della Enciclopedia italiana, LXIV, Roma 2005, pp. 661-664.
15 Gli Evangeli tradotti in lingua italiana da G. Diodati con le riflessioni e le note di Francesco Lamennais, tradotte Pier Silvestro Leopardi, Losanna, S. Bonamici e compagnia, 1846.
16 Ibidem, pp. IX-X.
17 Sulla sua figura cfr. A. Vaccari s.v. Ugdulena Gregorio, in Enciclopedia italiana, Istituto della Enciclopedia Italiana, XXXIV, Roma 1937; sacerdote di idee liberali, orientalista (ebbe dal 1843 la cattedra di ebraico a Palermo, e dal 1870 quella di ebraico e greco a Roma), sostenitore di Garibaldi (fu ministro della Pubblica Istruzione nel governo provvisorio della Sicilia e poi deputato al Parlamento) e dell’Unità d’Italia.
18 La Santa Scrittura in volgare, riscontrata nuovamente con gli originali ed illustrata con breve commento da Gregorio Ugdulena, prete termitano, 2 voll., Palermo 1859: I, p. 6.
19 Ibidem, p.5.
20 A. Vaccari, s.v. Bibbia, cit., p. 902.
21 La Santa Scrittura in volgare, cit., I, pp. 10-11.
22 Ibidem, p. 11.
23 D. Maselli, Duecento anni di storia in Italia, cit., p. 38.
24 Ibidem; G. Luzzi, Dei volgarizzamenti della Sacra Scrittura in Italia, «Rivista cristiana», n. s. 6, 1904, pp. 281-292; cit. da p. 290, la definisce «non elegante ma fedelissima».
25 D. Cantimori, s.v. Achilli Giacinto, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto della Enciclopedia italiana, I, Roma 1960, p. 144.
26 D. Maselli, Duecento anni di storia in Italia, cit., p. 43.
27 G. Spini, Risorgimento e Protestanti, Napoli 1956, p. 250.
28 Ho potuto esaminare due copie di questa versione. Una manca del frontespizio con l’indicazione dell’autore; nell’altra il frontespizio è presente, ma è omessa la lettera del segretario della American Bible Union, W.H. Wyckoff, presente invece nella prima, che recita: «La presente opera non è stata adottata dalla American Bible Union, ma al momento viene pubblicata principalmente allo scopo di sottoporla ad esame critico. Gli studiosi a cui siano inviate copie sono richiesti di esaminarla e di esprimere per iscritto il loro pensiero riguardo alla fedeltà di questa traduzione all’originale ispirato, alla purezza idiomatica e all’eleganza del fraseggio. Critiche di ogni tipo, che possano contribuire a un futuro miglioramento dell’opera, saranno accolte con gratitudine da parte della Bible Union». L’esame dei due volumi mostra che essi erano usciti entrambi dalla legatoria avendo le due pagine in questione, ma che una delle due veniva asportata a seconda della convenienza.
29 D. Maselli, Duecento anni di storia in Italia, cit., p. 43, attribuisce questa edizione a Giacomo Biava, presumibilmente confondendo il Giovanni Biava, primo editore della versione in questione, con quel Giacomo Biava, già esule a Ginevra per motivi di religione, a cui il Comité Italien-Suisse aveva affidato la gestione della Libreria evangelica aperta a Torino, in via Carlo Alberto, nel 1853, cfr. C. Papini, G. Tourn, Claudiana 1855-2005. 150 anni di presenza evangelica nella cultura italiana, Torino 2005, p. 21.
30 Per la composizione del quale si veda Comitato di Revisione, La Versione Riveduta del Nuovo Testamento, cit., pp. 17-18: vi erano rappresentate le Chiese valdese, metodista episcopale, metodista wesleyana e battista e la Società biblica.
31 Ibidem, p. 21.
32 Ibidem.
33 La «Riveduta» fu continuamente ristampata e sottoposta a ulteriori revisioni, circolanti a partire dal 1994 con il nome di «Versione Nuova Riveduta».
34 G. Spini, Le Società bibliche e l’Italia del Risorgimento, cit., p. 1.
35 Sul fenomeno del «colportage» evangelico in Italia, cioè della distribuzione e vendita ambulante di Bibbie, porzioni e trattatelli di polemica evangelica, cfr. in particolare G. Solari, La Bibbia in piazza. Il colportage e la diffusione della stampa evangelica, in La Bibbia, la coccarda e il tricolore. I valdesi fra due emancipazioni 1798-1848, a cura di G. P. Romagnani, Torino 2001, pp. 441-453.
36 Rimane controverso quanti e quali evangelici entrarono in Roma in concomitanza con il 20 settembre 1870. Cfr. sinteticamente sull’intera vicenda M. Cignoni, Colportori evangelici a porta Pia nel 1870, «Bollettino della Società di studi valdesi», 1991, pp. 2-7.
37 Rievocazione dell’episodio a opera di W.C. Van Meter, «La Roma evangelica», 1 giugno 1873, p. 110. Non stupisce che battute simili («ecco il cannone che distruggerà il Vaticano») siano attribuite a Garibaldi, come reazione al dono di una Bibbia da parte evangelica, cfr. A. Jahier, La Bibbia nel giudizio di illustri italiani, Torre Pellice 1923, p. 73.
38 G. Martina, s.v. Curci Carlo Maria, cit., p. 418.
39 «Come esegeta, nonostante i suoi commenti a vari libri del Vecchio e del Nuovo Testamento, il C. presenta oggi un interesse puramente storico: egli è il tipico esponente di un’esegesi ancora incapace di rispondere adeguatamente alla sfida lanciata dalla scuola di Tubinga» in Ibidem, p. 421; «Troppo tardi si diede agli studi biblici Carlo M. Curci perché ne’ suoi grossi volumi [Nuovo Testamento e Salterio n.d.r] potesse produrre un frutto maturo e squisito», in A. Vaccari, s.v. Bibbia, cit., p. 903.
40 Tra l’altro seguendo non il textus receptus, ma l’edizione critica del Tischendorf, come dichiara nel v. I, p. 339.
41 I santi Evangeli col commento che da scelti passi de’ padri ne fa Tommaso d’Aquino.
42 G. Martina, s.v. Curci Carlo Maria, cit., p. 419.
43 Cfr. Ibidem, p. 420 per la presentazione e la valutazione di questi tre scritti.
44 Il Nuovo Testamento volgarizzato, cit., I, p. XVI.
45 Ibidem, p. VIII.
46 Ibidem, p. VII.
47 Ibidem, p. VIII.
48 Ibidem, p. X.
49 Ibidem, p. XVIII.
50 Ibidem, p. XIX.
51 Ibidem, p. XXII.
52 Ibidem.
53 Ibidem, pp. XXII-XXIII.
54 Ibidem, p. XXXIII.
55 Ibidem, p. XXIII.
56 Ibidem, p. XXIV.
57 Ibidem.
58 Ibidem, p. XXV.
59 Ibidem.
60 Ibidem, p. XXIX.
61 G. Martina, s.v. Curci Carlo Maria, cit., p. 421.
62 Il contributo dato dal Minocchi agli studi biblici in Italia è notevole, anche come mediatore della critica biblica francese e tedesca. Sacerdote, allievo del grande ebraista David Castelli, libero docente di lingua e letteratura ebraica, fondatore della rivista «Studi religiosi. Rivista critica e storica promotrice della cultura religiosa in Italia», venne sospeso a divinis nel 1908 per aver negato in una conferenza il valore storico di Genesi 2 e 3. In seguito a ciò, lasciò l’abito ecclesiastico e si sposò nel 1911. Il resto della sua vita è caratterizzato da altre svolte, segnate da difficili rapporti con i modernisti e con George Tyrrell e Romolo Murri, dalla ricerca di una cattedra universitaria, dalla candidatura senza esito alle elezioni con il partito liberale e dal tentativo di rientro nella Chiesa, abbandonato di fronte alla richiesta di rinnegare la famiglia. A lui si devono anche traduzioni dei Salmi (1895), delle Lamentazioni di Geremia (1897), del Cantico dei Cantici (1898), quest’ultima riedita insieme a quella dell’Ecclesiaste (1924). Sul Minocchi cfr. A. Agnoletto, s.v. Minocchi Salvatore, in DSMC, II, Casale Monferrato 1982, pp. 388-391; Id., Salvatore Minocchi. Vita e opera (1869-1943), Brescia 1964; M. Ranchetti, Cultura e riforma religiosa nella storia del modernismo, Torino 1963; G. Verucci, L’eresia del Novecento. La Chiesa e la repressione del modernismo in Italia, Torino 2010.
63 Il volume è dedicato al cardinale A. Capecelatro e riporta la risposta di questi: «Mi rallegra vedere che i nuovi studij biblici, caldeggiati particolarmente in Germania, e dai protestanti quasi sempre con intendimenti razionalisti, si compiono ormai con frutto dai cattolici, anche nella nostra Italia. Cotesti studij, quando sieno uniti, com’è in lei con larga cognizione delle lingue orientali, con profonda erudizione storica, e principalmente con la riverenza all’autorità delle Somme Chiavi, arrecano molto bene, di certo. L’ingegno italiano, di natura sua alieno dal trasmodare, è il più atto ad armonizzare insieme gli ardimenti della libertà intellettuale con la sommessione alla suprema Autorità religiosa». Nella sua recensione, il valdese Bosio (E. Bosio, I Vangeli tradotti e annotati dal sac. Dott. Salvatore Minocchi, «Rivista cristiana», n.s. 1, 1899, pp. 371-375) rimprovera al Minocchi di aver compiuto un «disperato sforzo di armonizzare la libertà religiosa con la sottomissione all’autorità romana» (p. 374), ma conclude esprimendo «il sentimento di sincera simpatia col quale abbiamo salutato un lavoro che mira pur sempre a ricondurre i nostri connazionali allo studio delle Sacre Scritture» (p. 375).
64 G. Danieli, La Bibbia in Italia nel XX secolo. La Pia Società San Girolamo, in La traduzione della Bibbia nella Chiesa italiana, cit., p. 37.
65 Ibidem, p. 40.
66 L’ultima edizione, la 526a è del 1977, ma si avvale del testo della traduzione Cei. Con questa edizione «si può anche dire, in un certo senso, che la storia della Pia Società San Girolamo si sia conclusa», Ibidem, p. 37 n. 3.
67 N. Vian, Un’impresa biblica cattolica, «L’Osservatore romano», 29 gennaio 1972, p. 5.
68 G. Danieli, La Bibbia in Italia nel XX secolo, cit., p. 36.
69 Ibidem.
70 Don Clementi fu costretto ad allontanarsi dalla Pia società per la sua amicizia col Murri.
71 S. Garofalo, Gli studi biblici in Italia da Leone XIII a Pio XII (1878-1958), in Associazione Italiana dei Professori di storia della chiesa, Problemi di storia della Chiesa dal Vaticano I al Vaticano II, Roma 1988, p. 111. Sulla figura di Genocchi, la sua competenza e libertà nello studio critico della Bibbia e sulle sue relazioni col modernismo, cfr. in particolare F. Turvasi, Giovanni Genocchi e la controversia modernista, Roma 1974; R. Cerrato, s.v. Genocchi Giovanni, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto della Enciclopedia italiana,LIII, Roma 1999, pp. 134-138, e la bibliografia ivi citata. Sulla attività di Genocchi, «strenuo animatore degli studi biblici […] poi immalinconito testimone del suo generoso ideale» (S. Garofalo, Gli studi biblici in Italia da Leone XIII a Pio XII, cit., p. 111) e sugli ostacoli che incontrò nonostante la stima che per lui nutriva Leone XIII, si può concludere: «Indubbiamente, quella del p. Genocchi, studioso perfettamente attrezzato, lucido, equilibrato e di sicura fama, fu la grande occasione perduta per l’ingresso degli studi biblici in Italia tra la fine del secolo XIX e i primi due decenni del XX», S. Garofalo, Gli studi biblici in Italia da Leone XIII a Pio XII, cit., p. 112.
72 Per alcune di queste reazioni, cfr. F. Turvasi, Giovanni Genocchi, cit., pp. 165-170 e D. Maselli, Duecento anni di storia in Italia, cit., p. 40. G. Luzzi si espresse in varie occasioni sul Nuovo Testamento della San Girolamo. Cito dall’ultimo intervento, G. Luzzi, Dei volgarizzamenti delle Sacre Scritture, cit. Non manca di formulare riserve critiche su questa edizione uscita «con l’esca di 300 giorni di indulgenza e dell’indulgenza plenaria a chi s’applichi a leggerla e meditarla quotidianamente in certi modi determinati» (p. 288) e la giudica opera non scevra da imperfezioni. Rileva l’imitazione dei modi della Società Biblica Britannica e Forestiera, tale da non sembrare «neppur fare il menomo sforzo per nascondersi. Formato, divisioni della materia, titoli delle varie sezioni, incolonnamento del testo, titoli in capo alle colonne, carte geografiche, indice delle citazioni dell’A.T., indice delle materia, tavole sinottiche, prezzo, modo di distribuzione per via di depositi centrali, tutto vi ricorda la Società Biblica» (p. 288). E tuttavia non condivide il rumore, anche polemico, che si è levato in ambito evangelico nei confronti della San Girolamo perché «Se in cotest’opera non è lo Spirito di Dio, ella cadrà; ma se v’è lo Spirito di Dio, ella ci farà veder delle cose grandi malgrado il gelo glaciale di cui la circonda il Vaticano Regio, e malgrado le occhiate in cagnesco del pregiudizio protestante» (p. 289). Il rimpianto che Luzzi manifesta perché «l’opera che la Pia Società fa adesso, siamo noi evangelici che avremmo dovuto farla in Italia» (p. 289).
73 G. Genocchi, La Pia Società San Girolamo e la diffusione dei Santi Vangeli in Italia. Conferenza tenuta nella Chiesa di S. Maria in Aquiro il 27 aprile 1905 terzo anniversario della fondazione della Società, Roma 1905, p. 9.
74 Ibidem, p. 11.
75 Ibidem, pp. 7-9.
76 EB, n. 478 pp. 460 segg.
77 «La Civiltà cattolica», 54, 1903, p. 333.
78 «La Civiltà cattolica», 55, 1904, p. 153; cit. da F. Turvasi, Giovanni Genocchi, cit., p. 172.
79 N. Vian, Un’impresa biblica cattolica, cit.
80 La lettera di Pio X (21 gennaio 1907) inclusa nelle ristampe del testo della San Girolamo che dichiara ritenere «come sufficiente campo di lavoro il dedicarsi alla pubblicazione dei Vangeli e degli Atti degli Apostoli» ebbe in realtà il valore di un impedimento a proseguire con il lavoro di traduzione. La traduzione delle lettere di Paolo fu poi realizzata dal Genocchi insieme a L. Costantini e V. Ceresi, nel 1925: F. Turvasi, Giovanni Genocchi, cit., p. 356, n. 3.
81 Ibidem, pp. 357 segg. per vari esempi significativi, a cui aggiungo i seguenti. La nota a Mt 16,18 recitava, nella versione del 1902 e fino a quella del 1907: «Con queste parole Gesù promette a Pietro di farlo fondamento, capo e giudice supremo della sua Chiesa indefettibile». Nel 1908 si legge «fondamento, capo e dottore infallibile della sua Chiesa indefettibile», con evidente richiamo alla dottrina dell’infallibilità papale, che diventa successivamente ancora più netto: «Con queste parole Gesù promette a Pietro di farlo fondamento, capo supremo e giudice inappellabile della sua Chiesa indefettibile; il che suppone la continua assistenza divina, che preservi lui e il suo successore, il papa, da ogni errore in quel che è necessario alla Chiesa, cioè nella fede e nella morale». La nota a Mt 1,25, nell’edizione del 1902 recitava: «All’Evangelista, qui inteso unicamente a certificare la nascita soprannaturale di Gesù per opera dello Spirito Santo, basta affermare la verginità di Maria sino al parto. La sua verginità perpetua è insegnata dalla tradizione e dalla Chiesa». Successivamente, il parto diventa «purissimo» e si precisa che la dottrina è insegnata «con evidenza».
82 Ho potuto vedere la 203a edizione.
83 G. Rizzi, Le versioni italiane della Bibbia, cit., p. 45.
84 M. Gilbert, Il Pontificio Istituto Biblico. Cento anni di storia (1909-2009), Roma 2009, p. 57.
85 Edizione del 1958, I, p. 26.
86 Edizione del 1958, I, pp. 22-27.
87 Cito da I libri poetici della Bibbia tradotti dai testi originali e annotati dal P. A. Vaccari S.I., Roma 1925, p. IX.
88 Ibidem.
89 Ibidem. Che anche la semplice critica testuale fosse, all’epoca, un aspetto non privo di implicazioni dottrinali appare chiaramente dal problema del cosiddetto comma ioanneum, che menziona «il Padre, il Verbo e lo Spirito Santo» accanto ai tre «testimoni» di cui parla 1 Gv 5,7-8, cioè «lo Spirito, l’acqua e il sangue». Questa aggiunta, presente nella Vulgata, non compare nella maggioranza dei testi greci del Nuovo Testamento. Il 13 gennaio 1897 la Congregazione dell’Inquisizione aveva ribadito «contro la perversità degli eretici», ma certamente avendo più immediatamente di mira i primi segnali di critica biblica da parte di cattolici, che l’autenticità del testo della Vulgata non può essere negata e nemmeno messa in dubbio. Il cammino da allora percorso appare chiaramente dal fatto che la versione della Cei (1971, 1974 e 2008) non menziona neppure più in una nota l’aggiunta della Vulgata.
90 Sul Luzzi cfr. H.-P. Dür, Giovanni Luzzi (1856-1948). Traduttore della Bibbia e teologo ecumenico, Torino 1996; L. Demofonti, s.v. Luzzi Giovanni, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto della Enciclopedia Italiana, LXVI, Roma 2006, pp. 752-754. Colpisce il singolare incrocio biografico con Diodati: di famiglia di esuli lucchesi a Ginevra il secondo, grigionese dell’Engadina il primo, ma cresciuto a Lucca.
91 G. Luzzi, Dall’alba al tramonto. Appunti autobiografici illustrati, Firenze 1934, p. 93. Significativamente, la sua versione comprende anche i libri deuterocanonici.
92 Ibidem, p. 142.
93 Cito da quella del 1914. Il Nuovo estamento tradotto dal testo originale e corredato di note e prefazioni, Firenze, Società “Fides et Amor” editrice, 1914, p. XXII.
94 Ibidem.
95 Per queste attestazioni si vedano H.-P. Dür, Giovanni Luzzi (1856-1948). Traduttore della Bibbia e teologo ecumenico, Torino 1996, pp. 155-161; G. Luzzi, Dall’alba al tramonto, cit., pp. 96 segg.
96 EB, n. 512a.
97 Protestantismo, anticlericalismo e modernismo, «La Civiltà cattolica», 62, 1911, v. IV, pp. 81-87.
98 Ibidem, p. 85.
99 Ibidem.
100 Ibidem, p. 86.
101 Ibidem, p. 87.
102 La nota del Luzzi al v. 18 non si pronuncia sul «tu sei Pietro», ma si limita a commentare l’espressione «porte dell’Ades», intendendo che esse «non potranno vincere la Chiesa» e che esse «rappresentano qui la potenza della morte, del demonio, d’ogni nemico della Chiesa di Cristo». Al v. 19, la nota spiega che «Da Matt. 18,18 vediamo che le chiavi sono date alla Chiesa, la quale ha facoltà di sciogliere e legare. In questo passo le medesime chiavi sono date a Pietro il quale, in un certo senso e fino a un certo punto, rappresenta il collegio apostolico. E si può ben dire, spiritualmente parlando, che Pietro si valse difatti delle chiavi per aprire ai Giudei (Atti 2,28) e ai Gentili (Atti 10,48). Altri, fondandosi sul fatto che legare e sciogliere erano modi rabbinici per dire proibire (legare) e permettere (sciogliere), intendono che nel passo si tratti della disciplina e del governo della Chiesa». Non sfuggirà al lettore che nella nota di Luzzi non vi sia traccia della ‘classica’ interpretazione protestante che riferiva il ‘tu es Petrus’ alla fede di Pietro e non alla sua persona. Cfr. la formulazione di Diodati 1641: «in iscambio di ciò che tu m’hai confessato, io ti dichiaro che, come io t’ho imposto il sopranome di Pietro, Gio 1,42 per segno della fermezza della fede ch’io ti darò, Luc 22,32 e dell’ufficio d’Apostolo, accompagnato della luce, e guida infallibile dello Spirito santo: io farò che la dottrina di questa stessa fede, da te predicata, sarà il fondamento della mia Chiesa: l’autentica verità, degna di fede assolutamente, senza altra prova; come ispirata da Dio immediatamente ed insieme la regola della dottrina di ogni altro. Hor, come Pietro havea parlato in nome di tutti gli Apostoli, per segno, ed argomento dell’unità della fede di tutti: così questa risposta di Christo appartiene ad essi, rispetto alla loro dottrina comune, ed al loro Apostolato uguale». La Traduzione interconfessionale in lingua corrente (1985) rende Mt 16,18 in questi termini: «Per questo io dico che tu sei Pietro e su di te, come su una pietra, io costruirò la mia Chiesa. E nemmeno la potenza della morte potrà distruggerla». In nota leggiamo: «Qui il testo originale usa la forma greca Petros, Pietro, che nel Nuovo Testamento è usata sempre e soltanto come nuovo nome di Simone. C’è quindi un gioco di parole: Pietro (Cefa) e pietra (cefa) indicano la medesima persona. Nella nostra traduzione le parole «su di te» esplicitano questo rapporto non sempre chiaro in altre traduzioni del tipo: ‘Tu sei Pietro e su questa pietra…’. Altra traduzione possibile: ‘Tu sei Pietro, pietra sulla quale…’. Oggi le chiese non sono concordi nella spiegazione del testo. C’è però consenso su questi dati biblici: la promessa è fatta a Simone, quando accoglie la rivelazione del Padre (16,17), non quando agisce istintivamente (16,23); tutti gli apostoli, Simone compreso, sono chiamati «fondamenta» della Chiesa (Ef 2,20; Ap 21,14); Pietro non è la pietra angolare: solo Cristo lo è (Mt 21,42; Mc 12,10; Lc 20,17; Atti 4,1; 1 Pietro 2,7»).
103 Protestantismo, anticlericalismo e modernismo, cit., p.87.
104 Ibidem, p. 87.
105 B. Mariani, s.v. Bibbia, cit., p. 377.
106 G. Rizzi, Edizioni della Bibbia nel contesto di Propaganda Fide, cit., p. 669.
107 Così viene definita nella presentazione del sacerdote Giovanni Rossi, generale della Compagnia di S. Paolo, p. IX.
108 La Sacra Bibbia, cit., p. 109.
109 Ibidem.
110 La Sacra Bibbia del padre Eusebio Tintori ha invece: «Stirpe della donna è il genere umano; stirpe del demonio i maligni spiriti suoi compagni. Dalla stirpe della donna uscirà chi deve vincere e debellare per sempre il serpe infernale. Abbiamo qui l’annuncio della Redenzione, annuncio che viene chiamato Protovangelo, cioè “primo vangelo”. La Donna, secondo i Padri, è Maria SS».
111 La Sacra Bibbia de La Cardinal Ferrari, p. VII.
112 G. Rizzi, Edizioni della Bibbia nel contesto di Propaganda Fide, cit., p. 641.
113 G. Rizzi, Le versioni italiane della Bibbia, cit., p. 40.
114 La Sacra Bibbia tradotta dal p. Eusebio Tintori, Alba 1945, p. 8.
115 Ibidem, p. 9.
116 Ibidem, p. 11.
117 Ibidem, p. 12.
118 Sulla storia e gli sviluppi dell’apostolato biblico, cfr. C. Ghidelli, Breve storia dell’apostolato biblico in Italia, in La Società Biblica Britannica e Forestiera. 200 anni di storia in Italia, a cura di D. Maselli, C. Ghidelli, Roma 2004, pp. 113-166.
119 La nona edizione, 1958, Il Vangelo di Gesù e gli Atti degli Apostoli con autografo di S.S. Pio XI riassunti e note, reca una lettera del Segretario di stato card. Achille Ratti in cui viene comunicato all’Anzini il plauso del pontefice per le sue iniziative e «per questa forma altissima di apostolato che i Salesiani svolgono fra i giovani e le famiglie». La «diffusione rapida e larga» delle edizioni curate da Anzini dimostra «quanto sia urgente e viva la necessità di tornare alla lettura meditata del Vangelo. E oggi soprattutto, che la Chiesa ha bisogno di anime calde e fervorose, pronte, qualora occorra, per la difesa delle sue divine prerogative, anche ai supremi sacrifici, è necessario che la parola di Cristo sia fatta ascoltare dovunque con tutti i mezzi, perché la sua stupenda forza eccitatrice di tutte le virtù, innalzi e conforti i cuori dei fedeli fino all’eroismo». (pp. 1-2) Segue poi una lettera dell’arcivescovo di Torino, card. Maurilio Fossati, che ben esprime il clima di allora, in una città in cui l’apostolato biblico era vivo fin dal tempo dei ‘Gruppi del Vangelo’ nati in quella città nel 1927 per iniziativa di don A. Cojazzi. C. Ghidelli, Breve storia dell’apostolato biblico, cit., p. 123. Sulla figura del Cojazzi, W.E. Crivellin, s.v. Cojazzi, Antonio, in DSMC, 1860-1980, III,1, 1984, pp. 238-239). Il cardinal Fossati afferma: «La fede è quella che ci salva, una fede viva, non quale la indicò l’apostata Lutero per cercare un compromesso e un palliativo al suo atto di ribellione alla Chiesa e alla sua conseguente vita di disordini; ma quella che, predicata dal Figlio di Dio, da Gesù Signore Nostro, ci viene trasmessa genuina dagli Apostoli ed ha la sua autorevole sanzione e diffusione dal magistero infallibile della Chiesa Cattolica stretta intorno alla Cattedra di Pietro; quella fede cioè che non si limita a credere alla Parola di Dio, ma induce gli uomini a custodirla gelosamente nel proprio cuore questa divina parola per metterla in pratica, affinché la volontà e l’intelligenza del cristiano siano tra loro coerenti e non siano mai in disaccordo con la volontà di Dio». (pp. 3-4) Se «credere all’Evangelo per viverlo» è il «programma di ogni cristiano, di ogni uomo se vuol raggiungere i suoi destini eterni» (p. 4) è anche vero che «come si può vivere il Vangelo se non lo si conosce? [...]. Pur troppo si deve lamentare anche nel campo cattolico una grande ignoranza del Vangelo. Fino a qualche anno fa si viveva più di tradizione che di convinzione, ed oggi ancora non si può affermare che il Vangelo sia il “Vademecum” del cattolico. I figli delle tenebre in ciò sono più accorti dei figli della luce! Quanta propaganda fanno del Vangelo i Protestanti, sorprendendo spesse volte la buona fede dei cristiani e introducendosi anche clandestinamente nelle famiglie con grave scapito delle anime, che bevono inconsce un veleno preparato loro con scaltrezza degna di miglior causa» (pp. 4-5). Ma ora varie iniziative, in particolare i Gruppi del Vangelo, che possono preparare «apostoli del Vangelo», lo studio nelle scuole, la diffusione del testo del Vangelo.
120 G. Fragnito, La Bibbia al rogo. La censura ecclesiastica e i volgarizzamenti della Scrittura (1471-1605), Bologna 1997, p. 198.
121 Cfr. i vari saggi in Comitato Bibbia Cultura Scuola, Bibbia il libro assente, Casale Monferrato 1993.
122 G. Rizzi, Le versioni italiane della Bibbia, cit., p. 40.
123 Su questa edizione si veda E. D’Antonio, La traduzione della Bibbia CEI del 1971. Motivi e vicende di una iniziativa postconciliare, in La traduzione della Bibbia nella Chiesa italiana, cit., pp. 99-105.
124 Cfr. i vari saggi su questa revisione in La traduzione della Bibbia nella Chiesa italiana, cit., pp. 121-208.
125 Il testo biblico è quello della Cei.
126 Il testo biblico è quello della Cei.