BIBLIOLOGIA
(VI, p. 940)
Questo termine solo di recente è venuto assumendo un significato più preciso e ristretto sia per influenza di nuovi indirizzi storiografici che hanno riservato maggior attenzione e autonomia alla ''storia del libro'', sia in concomitanza con l'affermarsi della codicologia (v. in questa Appendice) quale disciplina storica che studia il libro manoscritto. Rispetto a quest'ultima la b. presenta continuità e affinità di metodo, in quanto disciplina che studia esclusivamente gli aspetti esteriori e materiali del libro stampato quale supporto di un testo (materia, caratteristiche strutturali e grafiche, procedure e fasi di stampa, peculiarità dei singoli esemplari). Di conseguenza essa costituisce un settore ben determinato nella generale ''storia del libro a stampa'' che ha per oggetto il ciclo completo della progettazione, produzione e diffusione del libro non più scritto a mano bensì riprodotto in serie attraverso strumenti e procedure la cui meccanizzazione è stata soggetta a progressiva intensificazione a partire dai primi decenni dell'Ottocento. L'incertezza delle precedenti definizioni − esplicitamente riconosciuta nella voce originaria della presente Enciclopedia − era dovuta altresì alla carenza di studi specifici sull'origine e l'impiego successivo del vocabolo, la cui vicenda storica va quindi tenuta presente al fine di dissolvere le ambiguità perduranti.
Non può ritenersi, a rigore, un diretto precedente quello di U. Aldrovandi il quale indicò (1581) l'area di ricerca di un suo lavoro, rimasto incompiuto, anche col termine biblologia (senza la i intermedia, in quanto vocabolo coniato su βίβλοϚ "corteccia del papiro" e non su βιβλίον "libro"). Si trattava, infatti, di un insieme di notizie e appunti raccolti dall'Aldrovandi sotto il titolo provvisorio di Farrago historiae papyri ab excellentissimo viro Ulysse Aldrov(a)ndo philosopho et medico collecta, et deinde in ordine redigenda (è l'attuale volume segnato Mss. Aldr. 83 della Bibl. Universitaria di Bologna). Mai ordinati, però, e rimasti inediti, tali appunti, messi assieme in maniera davvero farraginosa, riguardano essenzialmente la storia del papiro e delle materie scrittorie anteriori alla carta. Ad essi, peraltro, furono aggiunti successivamente altri argomenti, tanto che lo stesso autore ebbe a designarli, in lettere ad amici, anche col titolo De papyro, et linguarum et academiarum diversitate libri duo. Alla luce di ciò risulta impropria la definizione di ''bibliologo'' attribuita all'Aldrovandi sulla scia dell'errata trascrizione del termine data da G. Fantuzzi (Notizie degli scrittori bolognesi, Bologna 1781, i, p. 186) e ripetuta da L. Frati (La Bibliologia di Ulisse Aldrovandi, in Rivista delle Biblioteche, 5, 1894, pp. 24-27).
Fu G. Peignot, bibliotecario francese, a imporre il nuovo termine − già usato in qualche pubblicazione minore − con il suo Dictionnaire raisonné de Bibliologie..., in 2 volumi, pubblicato a Parigi nel 1802 (cui seguì un Supplément nel 1804). Il contenuto era così indicato nel frontespizio: "1. Spiegazione dei principali termini relativi alla Bibliografia, all'arte tipografica, alla Diplomatica, alle lingue, agli Archivi, alle medaglie, alle antichità, ecc.; 2. Notizie storiche dettagliate sulle principali biblioteche antiche e moderne; sulle scuole filosofiche; sui più celebri stampatori e la loro produzione; sui bibliografi e le loro opere; 3. Infine, esposizione dei vari sistemi bibliografici, ecc. Opera utile ai bibliotecari, archivisti, stampatori, librai, ecc.". La trattazione era stata originariamente scritta in forma didascalica come Manuel du bibliothécaire ma l'autore, non avendo trovato sottoscrittori in numero sufficiente, decise di riorganizzarla in forma di dizionario; il contenuto rimase, ovviamente, quell'insieme di erudizione storica ritenuta base culturale indispensabile per il lavoro dei bibliotecari e dei bibliografi. In realtà Peignot prese a modello la Bücherkunde che il viennese M. Denis aveva proposto in un manuale da lui compilato (1774-78) per gli studenti di storia letteraria; ampliandone l'estensione, egli definì la sua bibliologie quale "teoria della bibliografia" comprendente "la totalità delle conoscenze umane così da poter essere considerata come una specie di enciclopedia letteraria-metodica".
In Italia la prima parte del manuale di Denis fu pubblicata con il titolo Bibliografia (Milano 1846; traduz. di A. Roncetti), tralasciando l'equivalenza presente nel titolo originale − Bibliographie oder Bücherkunde - poi semplificato nelle edizioni successive con la permanenza del solo secondo termine. Il nuovo vocabolo proposto da Peignot fu adottato da T. Gar, direttore della Biblioteca Universitaria di Napoli, il quale dietro sollecitazione di G. Pomba pubblicò le sue Letture di bibliologia fatte nella Regia Università degli Studi in Napoli durante il semestre 1865 (Torino 1868), che documenta tra l'altro l'ingresso di questa disciplina nei programmi universitari, rimasto però senza seguito per oltre un secolo. L'impostazione concettuale di Gar ricalcava quella di Peignot (la b. sta alla bibliografia come la teoria alla pratica), così come le sue Letture erano dedicate espressamente ai bibliotecari, per la formazione dei quali egli auspicava l'istituzione di "una Scuola di Bibliologia nelle principali città dello Stato, in cui la gioventù che n'ha voglia, nutrita di buoni studii e versata in varie lingue, si addestrasse teoricamente e praticamente a percorrere la onorata palestra delle biblioteche". I temi trattati erano le vicende storiche della scrittura e dei manoscritti, del libro a stampa e della tipografia, delle biblioteche dall'antichità ai tempi moderni; seguivano "le regole generali circa la fondazione, l'ordinamento e l'amministrazione di una pubblica biblioteca", completate da notizie sulle vicende del commercio librario. Lo schema, quindi, era quello ''enciclopedico'' di Denis e Peignot che separava la b. dalla bibliografia in senso stretto (quella repertoriale).
Diversa, invece, la visione che alcuni decenni dopo ispirò i programmi della ''Scuola del libro'' progettata − ma non realizzata − dall'Institut international de bibliographie di Bruxelles (1897). In essi, tra le materie di insegnamento figurava infatti la b., intesa però come scienza complessiva del libro, articolata nelle tre aree settoriali di Storia del libro, Bibliografia (teoria, storia, tecnica, letteratura repertoriale) e Biblioteconomia. Tale proposta organica mirava anche a eliminare ogni ambiguità lessicale, in corrispondenza col ricupero della bibliografia alla sola dimensione repertoriale e metodica, efficacemente operato nell'ambito universitario da C. V. Langlois, docente alla Sorbona. Ma il modello del manuale di Denis, più nozionistico ed elementare delle stesse Letture di Gar, continuò a essere preferito dall'ambiente bibliotecario e venne riproposto − con pochi ritocchi formali, con riduzione o estensione di singole parti − fino ai nostri giorni sia pure con intitolazioni diverse.
A lungo prevalse infatti il termine ''bibliografia'': già era stato ripreso, per es. da G. Mira (Manuale teorico-pratico di bibliografia, Palermo 1861-62); in seguito lo adottò G. Ottino (Manuale di bibliografia, Milano 1885; 1892) e lo mantenne G. Fumagalli nelle successive edizioni di questo diffusissimo ''manuale Hoepli'' (1916; 1935) ben accolto anche da librai e collezionisti per il maggiore spazio dato a temi di bibliofilia e commercio di libri rari. Proprio Fumagalli spiegava di aver voluto "svolgere in forma sommaria ed elementare" quella parte della bibliografia "che da alcuni trattatisti ha avuto il nome di bibliologia". Si riferiva ovviamente all'opera di Gar, della quale rifiutava appunto la scelta del titolo più che l'impostazione concettuale e lo schema espositivo, perpetuando così gli equivoci lessicali. A. Sorbelli (v. VI, p. 940) diede alla definizione di b. la massima estensione − comprensiva cioè anche della bibliografia repertoriale − avvicinandosi nella sostanza, ma non nella partizione formale, allo schema proposto per la ''Scuola del libro'' di Bruxelles alla fine del secolo scorso. Fumagalli non risolse l'ambiguità neppure nell'ultima sua opera uscita postuma (Vocabolario bibliografico, Firenze 1940), dove la b. è definita "quella parte della Bibliografia che studia la storia del libro" e dove il termine ''bibliologo'' viene esorcizzato con lo sbrigativo attributo di vocabolo "poco usato" e con l'altrettanta sbrigativa indicazione "si dice meglio bibliografo".
Nell'ultimo dopoguerra in diverse compilazioni manualistiche è andata prevalendo la parte biblioteconomica, in rapporto a una destinazione mirata analoga a quella originaria di Peignot, cosicché pubblicazioni col titolo Manuale del bibliotecario o Linee di biblioteconomia e bibliografia hanno continuato in realtà sulle orme di Denis e Peignot presentando, spesso in maniera pedissequa, un insieme di notizie erudite sulle scritture antiche e il libro manoscritto, sulla tipografia e le biblioteche dall'antichità ai nostri giorni, oltre che sull'organizzazione bibliotecaria.
Al chiarimento verificatosi negli ultimi decenni, sia sul piano epistemologico che su quello lessicale, ha contribuito decisamente la discussione in ambito internazionale − non certo esaurita − circa la definizione di competenze, metodi e tecniche per lo studio analitico del libro stampato nelle sue caratteristiche fisiche. Di conseguenza si può affermare che oggi la b. − definitivamente distinta dalla bibliografia − rappresenta l'esito dello sviluppo e dell'affinamento critico di quella che nei due secoli precedenti era nella realtà la bibliografia storico-descrittiva, praticata dai librai dotti e dai bibliotecari-con servatori nei riguardi di libri rari e antichi. Essa corrisponde sostanzialmente alla bibliographie matérielle francese (la quale manifesta tendenze più radicali nella direzione di una ''semiologia storica'' del libro) e si avvale degli stessi metodi e tecniche della analytical o critical bibliography di area anglo-americana, finalizzandoli alla conoscenza storica delle vicende e dei processi materiali di fabbricazione del libro stampato in qualsiasi epoca, conoscenza indispensabile per chi voglia identificare peculiarità e caratteristiche individuali dei singoli prodotti tipografici. Pertanto la b. si costituisce disciplina autonoma nell'ambito della storia del libro. I suoi risultati scientifici forniscono la base essenziale per le applicazioni proprie della bibliografia testuale (v. in questa Appendice) − affermatasi nella prima metà del 20° secolo − che resta invece finalizzata alla soluzione dei problemi specifici della ''trasmissione dei testi stampati'', quindi in funzione della critica testuale.
Bibl.: G. Fumagalli, Bibliografia. Terza edizione interamente rifatta e ampliata del ''Manuale di bibliografia'' di Giuseppe Ottino, Milano 1916 (19354); Id., La Bibliografia, Roma 1923 (p. liii); A. Adversi, Ulisse Aldrovandi, bibliofilo, bibliografo e bibliologo del Cinquecento, in Annali della Scuola speciale per Archivisti e Bibliotecari dell'Università di Roma, 8 (1968), pp. 85-181; A. Serrai, Sistemi bibliotecari e meccanismi catalografici, Roma 1980, pp. 154-73; L. Balsamo, Bibliografia. Storia di una tradizione, Firenze 1984 (in part. il cap. vii); La bibliographie matérielle... présentée par R. Laufer, Parigi 1983.