BIBLIOTECA (dal gr. βιβλιοϑήκη, lat. bibliotheca; fr. biblioihèque; sp. biblioteca; ted. Bibliothek; ingl. library)
Raccolta libraria, ordinata e custodita, con opportuni cataloghi, a determinati scopi di cultura; distinta perciò dal deposito, dall'emporio, dalla bottega di libri, con o senza ordine riuniti ad altro fine. Libreria, ossia la forma latina, che vediamo conservata nell'inglese library e nell'antico tedesco Liberei, designò già anche in italiano, sin quasi ai tempi nostri, la biblioteca; oggi il vocabolo libreria vale usualmente bottega di libri, o mobile che li contenga.
Le biblioteche illustri, nell'uso erudito, si designano con l'aggettivo che indica la sede, il fondatore, il proprietario: così le varie Palatine ossia biblioteche di corte (di Firenze, di Parma, di Vienna, di Heidelberg ora nella Vaticana); la Vaticana, la Marciana, la Casanatense, la Strozziana, la Barberiniana, ecc.
Biolioteca si chiama anche una serie o collana di opere omogenee per soggetto, per formato, per caratteri tipografici: così biblioteca storica, patrologica, diamante, elzeviriana, bodoniana, ecc.
Storia delle biblioteche.
Antichità. - Biblioteche dell'antico Oriente. - La maggior parte della letteratura babilonese a noi conservata proviene da un'unica biblioteca, quella del re assiro Assurbanipal (668-626 a. C.), che fu scoperta a Ninive (Quyūngiq) verso la metà del secolo passato. Il nome di biblioteca non pare a prima giunta convenire a un ammasso di tavolette d'argilla cotta; ma la raccolta di Assurbanipal lo merita sia per la ricchezza sia per l'ordinamento. Essa contiene specialmente scritture letterarie, poemi epici e miti, ma anche testi liturgici e magici (salmi, scongiuri, raccolte di augurî, formularî rituali); inoltre liste cronologiche, e relazioni di re, capitani, impiegati, privati su avvenimenti guerreschi, pagamenti di tributi, lavori pubblici, atti amministrativi dei governatori delle provincie, ecc.; poi osservazioni e calcoli astronomici, tabelle di pesi e misure, emerologi; poi ancora testi didattici: elenchi di caratteri cuneiformi, liste di parole, e così via. Ogni tavola ha la propria segnatura, in primo luogo una nota di appartenenza, impressa con una stampiglia, per così dire l'ex-libris (proprietà di Assurbanipal, re del mondo, re di Assiria"); talvolta anche indicazioni sull'esemplare da cui il libro fu copiato e il luogo dove esso si conservava: così quest'antichissima biblioteca getta luce anche su precedenti, perite (nel santuario di Marduk a Babele, Assur, Kutha, Agada, Nippur); qualche volta è citato quale proprietario dell'esemplare un privato. Tavolette che appartengono a opere in continuazione, sono numerate; non manca mai la "custodia", cioè l'ultima riga della tavoletta precedente è ripetuta al principio della seguente. Spesso, come nei manoscritti del nostro Medioevo, si promettono benedizioni a chi conserverà bene l'opera, si maledice chi la distruggerà o le recherà danno. Già presso gli antichi Babilonesi il concetto di biblioteca implicava quello di catalogo: sono conservati almeno cataloghi parziali delle formule di scongiuro, delle raccolte augurali, della grande opera astrologica.
Nell'Egitto pretolemaico già esistevano, oltre alle raccolte di iscrizioni monumentali, biblioteche di papiri; in una tavoletta di maiolica trovata a Tell-Amarna ci è conservato una specie di ex-libris: il nome del re Amenofi III e della sua sposa e il titolo: Il libro del dolce sicomoro. La tavoletta era probabilmente destinata a star sopra alla cassetta che conteneva, in più rotoli di papiro, l'opera. Così certe tavolette di alabastro trovate in scavi sembra che servissero di coperchio ad altri repositorî di libri.
Biblioteche greche preellenistiche. - La tradizione secondo la quale Policrate di Samo avrebbe già posseduto una biblioteca, e Pisistrato avrebbe persino ammesso alla propria il pubblico, appare non degna di fede. Se tali biblioteche fossero già esistite prima delle guerre persiane, se ne scorgerebbero gli effetti nella storia della cultura greca; né del resto si vede che cosa esse avrebbero potuto contenere, tranne qualche poema epico. Nella Grecia di quel tempo mancano, per quel che sappiamo, corporazioni di scribi; manca il commercio librario sino a tutto, si può dire, il sec. V. La menzione forse più antica di questo è in un passo delle Rane di Aristofane (405 a. C.); poi le testimonianze divengono, almeno per Atene, man mano più fitte. Ma sino a tutto il sec. V mancavano le condizioni indispensabili perché biblioteche si formassero.
Non è al tutto improbabile la notizia che un uomo così dotto e così curioso come Euripide possedesse qualche rotolo di più dei suoi contemporanei; ma una grande biblioteca non sarà stata nemmeno la sua, se ancora il Socrate dei Memorabili senofontei considera singolare che un giovane ricco e desideroso di cultura, Eutidemo, che si era dato intorno per mettere insieme testi di poeti e di sofisti, possedesse esemplari completi dei poemi omerici! Ma durante il sec. IV le condizioni mutano, per quanto lentamente; né si può negare che il tiranno di Eraclea Pontica, Clearco, ch'era stato scolaro di Isocrate, possedesse una biblioteca più grande di quella di altri principi.
La prima grande raccolta di libri fu, secondo una fonte autorevole, Strabone (XIII, 608-609), quella che Aristotele trasmise a Teofrasto e che questi poi aumentò, seppure i fati posteriori di quella biblioteca, come ci sono narrati, sentono alquanto del romanzesco. Ma è naturale che la prima "università" nel senso moderno, cioè il primo istituto nel quale l'insegnamento era congiunto con la ricerca scientifica, il Peripato, considerasse una biblioteca quale strumento di lavoro indispensabile, almeno quanto, per es., un museo di oggetti naturali: un'opera sistematica quale le Costituzioni di Aristotele non sarebbe pensabile senza una biblioteca ben fornita. Che Aristotele, come in questa sua attività di descrittore sistematico di fenomeni naturali e sociali prosegue l'attività di Platone nei suoi ultimi anni, così abbia già trovato una biblioteca nell'Accademia, non si può dimostrare.
Biblioteca alessandrina. - Strabone asserisce, nel passo già citato, che Aristotele insegnò ai re d'Egitto a raccoglier biblioteche. E quel che sappiamo degli influssi del Peripato sulla cultura alessandrina ci conforterebbe già ad assentire a questo giudizio; anche se una tradizione diffusa in parecchi rami non attestasse che colui che ispirò a Tolomeo I, militare, politico e uomo d'ingegno, ma tutt'altro che letterato, il grandioso pensiero di raccogliere e serbare ai posteri tutta la produzione letteraria del passato, fu Demetrio di Falero, cioè un grande uomo di stato ateniese, ma anche uno scolaro di Aristotele. Può sembrare strano che la maggiore biblioteca greca sia sorta in Egitto, cioè in un paese coloniale dove fino allora di libri greci ce ne saranno stati pochi o punti, dove gli indigeni non sapevano di greco e la maggior parte dei coloni erano contadini insieme e soldati. Ma conviene anche riflettere, prima di tutto, che il bisogno di una biblioteca si fece appunto sentire forte nel momento nel quale si volle attuare in una terra nuova l'ideale greco della "cultura", com'era stato formulato dai filosofi, nel quale, quindi, la continuità con il passato divenne un problema; in secondo luogo che l'Egitto era il paese della carta antica, il papiro, e quindi il posto dove più facilmente manoscritti comprati o ottenuti in prestito poterono essere riprodotti, copiati.
L'origine peripatetica della biblioteca alessandrina si palesera ancor più chiaramente, se non si considera la sua fondazione isolatamente, ma in connessione con quella del museo (v. alessandria), cioè di un istituto di ricerca scientifica, università e accademia in- sieme, al quale i Tolomei fin dal Sotero cercarono di attirare i maggiori tra i filologi del tempo (che voleva dire per lo più anche i maggiori poeti). La biblioteca era pensata come il campo di lavoro dei dotti del museo, i quali dovevano proseguire cosi in certo senso l'opera di Aristotele. E infatti, per poco che noi sappiamo della biblioteca (anche gli scavi non hanno dato risultati sicuri), par certo che essa fosse, almeno da Tolomeo II Filadelfo in giù, divisa in due sezioni, e che la maggiore e più antica (una testimonianza la chiama Biblioteca madre, altre Biblioteca interna) fosse collocata nel quartiere stesso della reggia, il Bruchion, in vicinanza immediata nel Museo. La Biblioteca minore (esterna o figlia), nel Serapeo, diventa importante solo nel periodo romano.
La biblioteca alessandrina esercitò sin da principio sulla cultura un influsso molto maggiore che non p. es. le raccolte di Parigi, di Londra, del Vaticano in tempi molto più recenti. Non conviene dimenticare che in un'età nella quale la stampa non era ancora inventata, una biblioteca non era soltanto raccolta, ma anche officina di manoscritti, che colà rotoli venivano non solo acquistati, ma anche copiati. E l'attività dei dotti che la reggevano non si limitava naturalmente alla riproduzione materiale, ma assumeva necessariamente carattere critico. Recensendo opere conservate in esemplari talvolta numerosi, ma sempre, come di necessità, in qualche modo difettosi, recensendo ben più che emendando, i dotti del museo, cioè della biblioteca, crearono le prime edizioni in certo modo critiche. La tecnica libraria dell'antichità classica deve alla biblioteca alessandrina ciò che per essa è caratteristico: la divisione di opere troppo lunghe in più libri (rotoli) relativamente uniformi, la distinzione di rotoli che contenevano un'opera sola o parte di una sola opera (ἀμιγεῖς βίβλοι) da rotoli che contenevano di seguito più opuscoli diversi (συμμιγεῖς), l'uso di preporre ai testi classici brevi sommarî o "ipotesi", l'introduzione di un'ortografia in qualche modo costante, la divisione di carmi lirici in membri (v. colometria), l'uso nei testi classici poetici di segni critici marginali, che erano alla loro volta giustificati con lavori speciali, ai quali risale in ultima analisi la nostra tradizione scoliografica e probabilmente molto più di questa. Ed è probabile che la res libraria abbia reagito sulla letteratura, che i poeti e prosatori più recenti nel mondo greco, e, dal periodo augusteo in poi, anche in Roma, si siano studiati, nella divisione delle loro opere in libri, di uniformarsi alle tradizioni della biblioteca alessandrina. Altri effetti, per lo più benefici, di questo modello, sono morti con la morte del rotolo; così la generalizzazione dell'uso del sillibo (σίλλυβος, in latino index o titulus), una strisciolina di pergamena con il nome dell'autore e dell'opera, attaccata al margine superiore del rotolo chiuso e pendente all'esterno; così la preferenza per certi formati, così una certa unità nella veste del libro. Più essenziale per la storia dei nostri testi è che papiri di classici, contrariamente a quel che si aspetterebbe, divengono migliori, man mano che si scende nel tempo, perché i testi migliori si propagano solo lentamente da Alessandria per l'Egitto e per il mondo.
Quanti libri la biblioteca avesse è difficile a dirsi: la grande diversità di riumeri che troviamo nelle nostre fonti, del resto scarse, si spiega non soltanto e non tanto con quella tendenza degli antichi a esagerare che avevano anche, per es., nel computo delle forze militari, quanto coi tempi diversi ai quali esse si riferiscono. Secondo il bizantino Tzetze, che attinge, quanto alla biblioteca alessandrina, a buone fonti, sotto Callimaco la grande biblioteca avrebbe contenuto 49.000 libri, la piccola 42.800. Al tempo di Cesare la grande avrebbe noverato persino 700.000 rotoli. Queste cifre, per quanto alte, non parranno impossibili, se si riflette dall'un canto che rotolo non significa nient'affatto opera, che p. es. un esemplare completo dell'Iliade era già costituito di 24 rotoli; dall'altro canto che delle opere più celebri, quelle appunto di Omero, saranno stati custoditi in Alessandria esemplari numerosissimi.
S'intende a ogni modo come il catalogo della biblioteca, opera di Callimaco, comprendesse in certa maniera l'elenco di tutta la letteratura conservata nel sec. III dell'era volgare, intesa la letteteratura in senso larghissimo, sì da comprendere anche, per es., appunti sulla medicina non destinati alla pubblicazione, che costituiscono parecchie opere del Corpus Hippocrateum (v. ippocrate). Queste tavole (πίνακες) in 120 libri sono perdute, ma qualche citazione e l'uso dei posteriori che risale a Callimaco, ci aiuta a ricostruirne lo schema, che doveva essere piuttosto uniforme: genere letterario, nome patronimico ed etnico dell'autore, le prime parole del libro, che servivano spesso da titolo, poi numero delle righe. L'opera era ordinata per materia, cioè per genere letterario; ed è verosimile che così fosse ordinata anche la biblioteca. Pare che Callimaco aggiungesse anche un'indicazione speciale, ogni qualvolta l'opera non apparisse genuina dell'autore a cui era attribuita.
Biblioteca alessandrina e letteratura ellenistica s'identificano talmente, almeno per i primi due secoli dell'ellenismo, che una ricostruzione sicura della lista dei bibliotecarî getterebbe luce sulla cronologia letteraria di tutto il periodo. Fino a pochi anni or sono la sola fonte era quello stesso passo di Tzetze che abbiamo avuto occasione di menzionare; di recente il papiro di Ossirinco 1241, una raccolta di laterculi, cioè di cataloghi di persone notevoli in ogni campo dello scibile, ha portato qualche notizia nuova, ma ha anche suscitato nuove difficoltà. La lista che par più credibile, è la seguente: Zenodoto 290 circa -270; Apollonio Rodio 270-260; Callimaco, 260-240 circa; Eratostene, 240-195; Aristofane di Bisanzio, 195-180; Aristarco, 180-146; Apollonio Aristarcheo dal 146; dopo lui un commissario militare Cidante (Κύδας). I nomi seguenti (tra 81 e 55) importano meno alla storia letteraria. L'Onesandro nominato in un'epigrafe di Cipro potrà essere un antibibliotecario nominato da Tolomeo Sotero II durante l'esilio a Cipro. Ma conviene confessare che non soltanto quest'ultima asserzione è congetturale; che anzi per fino il bibliotecariato di Callimaco non è sicuro.
E poco chiari sono anche i casi successivi della biblioteca. I commissarî militari ci rendono immagine di tempi di disordine e decadenza, se pure essi non si possono forse mettere in connessione con le persecuzioni del secondo Evergete contro i dotti. Ma la cultura e la biblioteca si riebbero ben presto. Secondo una tradizione largamente divulgata, che sa di retorica e non è del resto chiara in tutti i particolari, l'incendio appiccato da Cesare alla sua flotta nel 47 a. C. avrebbe raggiunto anche la biblioteca. Ma è dubbio se non si tratti di altri depositi di libri, o al più, del Serapeo. Del resto il danno, se danno vi fu, venne compensato largamente pochi anni più tardi dal dono che Antonio fece a Cleopatra di 200.000 rotoli della biblioteca di Pergamo: un termine tecnico garantisce della bontà della tradizione.
Ma durante l'Impero cominciò la decadenza. Da quando l'Egitto divenne provincia, seppur la provincia economicamente e fiscalmente più redditizia e per questo appunto dominio riservato, quasi proprietà privata degli imperatori, si può supporre che la biblioteca alessandrina almeno non aumentasse più. È probabile che essa abbia sofferto già durante i disordini e le persecuzioni di Caracalla. Nel 270 Aureliano fece radere al suolo gran parte del Bruchion. Da allora non si sente più parlare della grande biblioteca. E probabile che anche quella del Serapeo sia perita o abbia grandemente sofferto, quando nel 391 Teofilo appiccò l'incendio al tempio di Serapide. Dove Orosio (nel 416) asserisce di aver veduto nei templi alessandrini armadî vuoti di libri, egli si riferirà, tra l'altro, appunto al Serapeo. È dubbio se contenga un nocciolo storico la leggenda, testimoniata la prima volta da un dotto storico arabo posteriore di cinque secoli, Abū'l-Faraǵ, secondo la quale il califfo Omar, conquistata la città nel 641, avrebbe fatto bruciare la biblioteca di Alessandria: molto da bruciare pare che non rimanesse più.
Biblioteca di Pergamo. - La tradizione letteraria sulla biblioteca pergamena è molto più povera di quella sull'alessandrina. È persino dubbio se essa sia stata fondata da Eumene II (197-158 a. C.) secondo una testimonianza di Strabone (XIII, 624), che parla per vero di biblioteche in plurale, o dal suo predecessore Attalo I (241-197). Cataloghi, certo imitazioni delle Tavole callimachee, sono attestati per essa come per Alessandria. Del pari gli studiosi pergameni, che impersonano una concezione della filologia (grammatica) alquanto diversa da quella alessandrina (vedi pergamo), principale Cratete di Mallo (v.), avranno avuto di necessità, come in Alessandria, strette relazioni con la biblioteca. Un passo di Plinio (Nat. Hist., XIII, 70), che cita come fonte Varrone, attesterebbe che specialità di Pergamo divenne la pergamena, da quando Tolomeo Fiscone re di Egitto (146-117) proibì l'esportazione del papiro per impedire lo sviluppo della biblioteca rivale: Varrone avrebbe parlato anzi secondo Plinio d'invenzione della pergamena, ma questa è senza dubbio ben più antica del sec. II a. C. La biblioteca (anche qui nella fonte è usato il plurale!) sarebbe poi stata donata da Antonio a Cleopatra, come si è detto.
Pare invece certo che gli scavi dei Tedeschi a Pergamo abbiano riportato alla luce avanzi dell'edificio che servì di biblioteca. Nella parete di una sala sono stati trovati buchi, certo destinati agli uncini che portarono le assi degli scaffali: dinanzi a una di queste sale fu trovata una di quelle statue di Atena che secondo Giovenale erano caratteristiche delle biblioteche antiche. E si sono ritrovate epigrafi che dovevano stare sotto lo zoccolo di statue-ritratti di Omero, Alceo, Erodoto, Timoteo da Mileto e di altre personalità letterarie, secondo un'altra consuetudine delle biblioteche antiche. Anche il piano, con un portico dinanzi a stanze e magazzini, pare corrispondere a quel che sappiamo di tali edifici nell'antichità (v. oltre).
Biblioteche ellenistiche minori. - Nell'età ellenistica le biblioteche, pubbliche e private, dovettero aumentare enormemente di numero. La nostra tradizione (epigrafica e papirologica, e quindi per sua natura fortuita e sporadica) è tuttavia insufficiente a provarlo, specie chi tenga conto di queste sue qualità. Le opere letterarie scoperte nei papiri dell'Egitto mostrano che anche in posti di secondaria importanza non mancarono raccolte ad uso e forse di proprietà dei coloni greci; e sono state trovate anche liste di libri. Tra le iscrizioni di Rodi pubblicate dagl'Italiani, oltre a un frammento mal ridotto di atti che si riferiscono a biblioteca o a più biblioteche, il quale pare appartenere a tempo più recente, è venuto alla luce anche un interessantissimo frammento di una raccolta non grandissima, che appartenne già al sec. II o al I avanti Cristo. In quest'epoca anche le scuole del mondo greco, dove prima ci si aiutava dettando il testo agli scolari, cominciano a possedere regolarmente una raccolta di libri. L'esempio più notevole (con altri di età incerta o tarda o di minore importanza in Corinto, Delfi, Pergamo, Alicarnasso) è quello ateniese: già un decreto popolare della fine del sec. II a. C. stabilisce che ogni classe di efebi (v. efebia) al termine del suo servizio militare doni 100 rotoli al suo ginnasio, il Ptolemaion. La nostra tradizione non consente per lo più di distinguere nel bacino occidentale del Mediterraneo biblioteche già fondate in età ellenistica e biblioteche fondate nel periodo imperiale.
Biblioteche di Roma e del mondo romano. - In Roma, diversamente che nell'Egitto ellenistico e nel regno degli Attalidi, le raccolte private precedono le pubbliche. Non meno caratteristica è un'altra differenza tra Roma e i dinasti ellenistici: questi raccolgono i libri sistematicamente, comprando o facendo trascrivere tutto ciò che importa loro o ai dotti che per loro lavorano; in Roma dalla metà del sec. II in poi capitani vittoriosi trasportano biblioteche bell'e formate, che hanno riservato a sé quale parte scelta del bottino di guerra. Che essi si siano dati cura di accrescerle (né a Roma forse questo era possibile), che abbiano preposto alla loro direzione dotti, come i signori di Alessandria e di Pergamo, non è per lo meno testimoniato. Di Emilio Paolo leggiamo (Plutarco, Aem. Paul., 28) ch'egli concesse ai figlioli, che erano amanti di lettere, di portarsi via i libri del re Perseo di Macedonia; Silla, conquistata Atene, s'impossessò della biblioteca del noto bibliofilo Apellicone di Teo, la quale avrebbe contenuto anche la biblioteca di Teofrasto. Ma già in Lucullo noi troviamo un collezionista di altri spiriti: egli dispose i libri in parecchie biblioteche (una era in una villa tusculana) ordinate secondo l'uso greco, con tutt'intorno portici per passeggio e con stanze per studî e dotte discussioni (scholasteria, σχολαστηρια) e le aprì ai dotti greci che si trattenevano in Roma. Già solo da ciò noi scorgiamo che Roma aspira a essere la metropoli anche del mondo culturale ellenistico; e tale divenne infatti in pochi anni. Tuttavia imitazioni del museo alessandrino per opera di privati, non ne troviamo, tranne il caso di Lucullo, altre più. E l'amore per il libro latino pare nascesse in Roma più tardi che quello per il libro greco.
Nell'età ciceroniana era celebre la biblioteca di Attico, che, ricchissimo com'era, disponeva di schiavi dotti per ordinarla e accrescerla con trascrizioni, seppure fino ad oggi ci si è fatto forse un concetto troppo esagerato dell'aspetto, a dir così, editoriale di questa biblioteca. Cicerone fu amantissimo di libri, e curò molto, anche con l'aiuto di servi dotti prestatigli da Attico, il loro ordinamento; ma le sue condizioni economiche e il suo tenore di vita, non sempre ordinato, non gli concessero di comprare tutto ciò che voleva e lo costrinsero spesso a ricorrere alla biblioteca dell'amico per ottenere volumi in prestito. Una biblioteca doveva ancora nell'ultima età repubblicana essere un lusso molto caro.
Appartiene forse a questa stessa età la villa di Ercolano con una stanzuccia nella quale furono scoperti più di 1600 rotoli, pochissimi latini, quasi tutti greci di scritti epicurei, i più di Filodemo, che non fu mai il filosofo di moda: il protettore specialissimo di Filodemo fu appunto L. Pisone, suocero di Cesare, e a lui è ragionevole che la villa sia appartenuta.
Durante il tempo imperiale, sia perché si trovasse più facilmente mano d'opera libraria, sia perché fosse aumentata la ricchezza, almeno nella cerchia di signori romani che noi conosciamo dalla letteratura, le biblioteche private, a giudicare dalle menzioni naturalmente fortuite che noi troviamo, debbono essere aumentate notevolmente di numero. I due classici che meglio c'informano sulla vita della città nel miglior tempo dell'Impero, Marziale e Plinio il Giovane, ci forniscono testimonianze ricchissime. Dovevano, le più, essere costruite e ornate nel modo ellenistico, se spesso sentiamo far cenno a ritratti d'insigni scrittori sia del passato sia contemporanei.
Quanto spesso fossero richieste agli architetti stanze per biblioteche, mostrano le prescrizioni particolari sull'orientamento che troviamo in Vitruvio. Ma particolare alle biblioteche romane, in confronto con le greche, è che esse, a giudicare dalla nostra tradizione ch'è tutta fortuita, sorgevano spessissimo nelle case di campagna, ville, di ricchi signori. Di biblioteche nelle ville come di un caso molto comune parlano i Digesti. E, certo, parecchi signori si ritiravano in campagna anche per darsi a studî filosofici, se pure dilettanteschi: ma chi sa quanti avranno chiesto alle loro biblioteche solo una fuggevole ricreazione. Molti, anche, non avranno degnato i loro libri neppure di uno sguardo. L'aver libri, e libri rari, diventa moda, tanto che in Petronio un villano risalito, ignorantissimo, quale Trimalcione, si vanta di avere nel suo palazzo due biblioteche, una greca e una latina. Contro la mala genia dei bibliomani, che raccoglievano grande quantità di libri sempre ornati lussuosamente, spesso rari, mentre in tutta la loro vita non avevano mai letto neppure il catalogo della loro biblioteca, si slanciano Seneca e (in un trattatello speciale Contro un ignorante che si compra inolti libri) Luciano. Il primo dice in un punto chiaramente che la biblioteca era considerata come ornamento necessario della casa al pari del bagno e delle terme, il che conferma quel che si è detto poc'anzi.
L'istituzione di biblioteche pubbliche è in Roma relativamente recente: il programma di Cesare, di raccogliere e aprire al pubblico biblioteche latine e greche - a quanto appare dalle parole di Svetonio (Iul., 44,2), un disegno grandioso, come conveniva a colui che voleva superare ogni sovrano ellenistico - rimase inattuato per la sua morte violenta; il maggiore dotto romano del tempo, Varrone, avrebbe dovuto essere il raccoglitore e l'ordinatore di queste masse di rotoli. La prima biblioteca fu aperta al pubblico non già, come si attenderebbe, dal suo successore Augusto, ma da C. Asinio Pollione, in memoria del suo trionfo sui Parti (39 a. C.); il nucleo era costituito appunto da bottino di guerra. Asinio congiunse la biblioteca con un tempio, da lui restaurato, l'atrium Libertatis, riprendendo forse una tradizione ellenistica, inaugurandone certo una per tali biblioteche pubbliche romane. Augusto non volle rimanere addietro, e fondò una biblioteca nel portico del tempio di Apollo sul Palatino, il quale fu dedicato nel 28; doveva raccogliere libri antichi e moderni, ed era divisa sin da principio in una parte greca e in una latina. Ebbe l'incarico di raccogliere i libri, non sappiamo se di questa sola biblioteca, Pompeo Macro; la diresse poi il noto grammatico Igino. Bruciò sotto Commodo, ma fu restaurata; è dubbio se sparisse nell'incendio che nel 363 distrusse il tempio. Un'altra biblioteca pubblica fu fondata dalla sorella di Augusto, Ottavia, in memoria del figliolo Marcello (morto nel 23 a. C.), verosimilmente in prossimità del porticus Octaviae; ma che avanzi di una sala colà scoperti appartengano alla biblioteca, è per lo meno dubbio. Era divisa nelle due solite sezioni; fu ordinata dal dotto liberto di Mecenate, C. Melisso. Bruciò sotto Tito nell'anno 80. Forse si deve riferire ad essa la notizia che Domiziano cercò di compensare i danni, acquistando libri da ogni parte e facendo anche trascrivere esemplari della biblioteca di Alessandria. Nel 203 il portico di Ottavia fu restaurato da Severo e Caracalla dopo un nuovo incendio.
Sotto Tiberio fu costruita un'altra biblioteca pubblica anche sulle pendici del Palatino nel tempio di Augusto, cominciato da Livio ma dedicato soltanto da Caligola. Essa durò anche dopo l'incendio neroniano, che distrusse il santuario e, se pure fu per qualche tempo collocata altrove, fu sotto Traiano restituita nell'antica sede. Si è creduto, di recente, ma come pare a torto, di aver trovato resti di questa biblioteca presso la chiesa di S. Maria Antiqua. Identica sin da principio con questa biblioteca o fusa più tardi con essa fu la bibliotheca domus Tiberianae: ricca, a quanto pare, di opere dell'antica letteratura latina. Il numero delle biblioteche pubbliche crebbe ancora sotto Vespasiano, che ne aprì una nel templum Pacis (costruito nel 75) a est del foro di Augusto. Dalle menzioni di Gellio, che sembra averla molto adoprata, pare che fosse specialmente ricca di opere di antiquarî e grammatici dell'antica Roma; ed è del resto naturale che, raccolte già le opere dei classici greci nelle biblioteche più antiche, le nuove si rivolgessero alle antichità patrie. Lo stesso si deve dire della biblioteca Ulpia fondata da Traiano nel suo foro, ma trasportata più tardi, parrebbe, nelle terme di Diocleziano. Essa conteneva certo rarità arcaiche quali gli edicta veterum praetorum; ma purtroppo che la historia Augusta si richiami ad essa, come a fonte, 7 volte, non prova nulla, perché proprio quanto a menzione di fonti quell'opera non merita alcun credito: tutt'al più si può da tali menzioni indurre che quella biblioteca era celebre per i suoi tesori tra i lettori a cui la historia si rivolge. Ancor meno, forse, si ricava da un frammento dei testi (Κεστοί) di un noto impostore, Giulio Africano, scoperto di recente in un papiro: egli si richiama a manoscritti, e tra gli altri a uno conservato "nella bella biblioteca presso le terme Alessandrine nel Pantheon", per legittimare una svergognata interpolazione dell'Odissea. E si dubiterebbe persino dell'esistenza di una tale biblioteca, se non si conoscesse da un'epigrafe uno schiavo imperiale vilicus thermarum bibliothecae graecae.
I tardi regionarî parlano ancora di 28 biblioteche pubbliche in Roma; è possibile che vi siano comprese anche le raccolte di collegi, cioè società. E non si sa in che condizioni esse fossero, se già nel sec. IV, secondo Ammiano Marcellino, a Roma tutte le biblioteche erano chiuse: che la città fosse in decadenza già a quel tempo, è del resto notorio. Anche nei palazzi imperiali fuori di Roma ci furono biblioteche, come si argomenta da nomi di servi e liberti impiegati di biblioteca trovati ad Anzio e Ostia.
I nomi dei letterati che ordinarono e diressero le biblioteche imperiali nei primi tempi, Melisso, Pomponio Macro e Igino, ci attestano che esse, in prosecuzione di un piano di Lucullo, ripreso da Cesare, furono immaginate quali istituti dotti, del tipo della biblioteca alessandrina. Ma non si può dire che il bel disegno fosse attuato dai successori: i soli bibliotecarî romani celebri sono i primi, e non si scorge nella cultura romana un influsso delle biblioteche. Naturalmente il posto di amministratore di tutte le biblioteche imperiali (questo deve significare il titolo procurator bibliothecarum oppure a bibliothecis) fu conferito di preferenza a dotti: così, da Nerone fino a Traiano, al grammatico Dionisio d'Alessandria, sotto Adriano al sofista L. Giulio Vestino, che di lì salirono ambedue al posto altissimo di segretario imperiale (ab epistulis). Ma anche questi due sono studiosi di secondo grado. Al tempo di Antonino Pio questo posto appartiene alla categoria meno pagata delle procurature, ciò che ha fatto supporre che da allora l'ufficio del bibliotecario scientifico (bibliothecarius Tiberianus è attestato) fosse separato da quello di amministratore. Infatti nel sec. III questi era chiamato procurator rationum summarum privatarum bibliothecarum Augusti nostri, cioè amministratore dei fondi per le biblioteche provenienti dalla cassa particolare dell'imperatore.
Non molto più sul personale subalterno apprendiamo dalle fortuite menzioni in epigrafi: era composto di schiavi o liberti imperiali chiamati per lo più a bibliotheca, con l'aggiunta di graeca o latina, secondo la sezione alla quale erano addetti: una volta è menzionato anche un liberto imperiale medico di questo personale, medicus a bibliothecis. Solo per la biblioteca del portico di Ottavia si trovano testimoniati servi publici, segno ch'essa apparteneva alla città di Roma ed era amministrata a spese dell'erario. È notevole che tutte le menzioni epigrafiche di servi a bibliothecis scompaiono al principio del sec. II. È probabile che il procuratore non abbia da allora in poi più avuto a disposizione servi qualificati e destinati stabilmente a quel solo servizio.
Biblioteche pubbliche vi furono pure nell'età imperiale, in un buon numero di centri minori: le menzioni abbondano talmente nella nostra tradizione, pure prevalentemente epigrafica e, come tale, sporadica, che si sarebbe tentati di supporre che non vi fosse città anche piccola che ne fosse priva. In Italia sono testimoniate biblioteche per Tivoli (nel tempio di Ercole: secondo Gellio ricca e ben fornita anche di rarità di antica letteratura romana), Como (fondata e provvista di rendite da Plinio il Giovane), Tortona (già 22 a. C.), Sessa Aurunca (principio del secondo secolo dell'era volgare), Volsinii. In Atene Adriano fondò una biblioteca nell'Olimpieo; altre biblioteche pubbliche sono attestate per Corinto, Delfi, Durazzo, Patrasso. A Cipro sappiamo di una biblioteca in Soli. Per l'Asia Minore sappiamo di Alicarnasso, Efeso (fondata al principio del sec. II d. C. da Ti. Giulio Aquila in onore del padre Ti. Giulio Celso Polemeano e curata anche dagli eredi), Milasa, Prusa ad Olympum, Smirne; per l'Africa, di Cartagine e Timgad (fondata forse in principio del sec. III da M. Giulio Quinziano Flavio Rogaziano). Dovunque, stando a ciò che risulta in maniera un po' chiara, esse sono istituite da liberalità private, spesso testamentarie. Le sole sufficientemente scavate sono quelle di Efeso e di Timgad, ma proprio dalle rovine di queste ricaviamo tanto che, confrontandolo con i resti di Pergamo e sfruttando la scarsa tradizione letteraria, possiamo ricostruire in qualche modo un tipo di biblioteca antica, seppure non determinare i caratteri individuali di questo o quell'esemplare.
Disposizione delle biblio1eche antiche. - Le biblioteche di Pergamo, Efeso, Timgad e perfino la stanzetta della villa dei Pisoni, sono collocate in prossimità di un portico; e Vitruvio dà la stessa prescrizione in genere per le biblioteche private.
Il locale principale consiste, almeno per Efeso e Timgad (dunque per le biblioteche di tempo romano), in una sala monumentale con un'abside collocata di fronte alla porta principale: nell'abside si innalzava con ogni probabilità quella statua di Atena che Giovenale considera quale requisito obbligatorio di ogni biblioteca. Anche la biblioteca pigmea nella villa laurentina di Plinio il Giovane (II, 17,8) aveva un'abside. Ma quest'abside manca, forse non per caso, nella biblioteca ellenistica di Pergamo.
Sia in Efeso sia in Timgad, tutt'intorno alla sala, alto sopra uno zoccolo di pietra, corre un porticato di almeno due piani: ambedue i piani e in Efeso anche il tetto del secondo piano (cioè una specie di attico) sono accessibili e formano come delle gallerie o ballatoi. I rotoli erano collocati in armadi a muro in corrispondenza di queste gallerie. Seneca (De tranq. an., 9,6) conosce tali scaffali che salgono sino al tetto. Armadi a muro, oltre che un armadio isolato nel mezzo, furono ritrovati a Ercolano; armadì a muro sono nominati nel Digesto (XXX, 41, bibliothecae parietibus inhaerentes). Tali armadî erano nelle case dei ricchi spesso di legno prezioso (cedro) e intarsiati di avorio (bibliothecae eboreae); se anche nelle biblioteche pubbliche, non sappiamo. A Pergamo invece ci dovettero essere veri scaffali di legno sopra uno zoccolo; ma anch'essi erano fissati al muro da sostegni o uncini. Lo stretto corridoio tra muro e scaffali sara servito a far circolare l'aria, e quindi a render minore il pericolo delle tarme o dell'imputridimento dei rotoli. A Efeso serviva allo stesso fine un'altra disposizione: tra le pareti della sala e i muri esterni dell'edificio correva una stretta galleria. A Efeso la sala era illuminata da finestroni (su questo punto la ricostruzione del Niemann, v. figura, è errata). La norma vitruviana dell'esposizione a oriente delle biblioteche è seguita generalmente (ma non nella troppo luminosa Timgad); essa era dettata dalla consuetudine antica di dedicare allo studio la mattina. La bibliotechina di uno studioso indefesso quale Plinio aveva finestre verso tutti i punti cardinali.
I rotoli dovevano essere collocati negli armadî o scaffali, gli uni accanto e sopra gli altri, con la fronte verso l'esterno e il titolo (v. sopra) sporgente e pendente; tali strati sovrapposti ci mostra un rilievo di Neumagen presso Treviri, ora sparito ma riprodotto in un'opera a stampa della fine del Seicento (v. figura); anche a Ercolano i papiri furono trovati in più strati sovrapposti. La sala di lettura non poteva sempre contenere tutte le opere della biblioteca: almeno a Timgad, dov'era più piccola che a Efeso, ma probabilmente anche altrove, alcune delle stanze adiacenti saranno servite da magazzino.
La biblioteca antica è normalmente congiunta con un santuario; con un tempio degli dei dapprima e fin dall'origine, se quella di Alessandria fu veramente prossima al Museo; più tardi anche con un heroon, cioè col sepolcro d'un morto eroizzato. Sotto l'abside di quella di Efeso era una camera mortuaria con il sarcofago di Celso Polemeano; e del pari Dione Crisostomo aveva fatto seppellire le ceneri della moglie e del figliolo nell'area recinta da portici presso la biblioteca di Prusa.
A ogni modo tutte le biblioteche pubbliche sinora scavate avevano carattere monumentale. A quella di Efeso si accedeva per una larga scala esterna, ai cui lati si ergevano statue di Celso. La facciata a due piani, quale si ricostruisce con certa sicurezza, era ricca ed elegante: nell'ordine inferiore statue collocate in nicchie rappresentavano le varie virtù di Celso. E statue erano ritenute in genere indispensabili quali ornamento di una biblioteca, come testimonia Plinio (Nai. Hist., XXXV, 10). Nelle epigrafi dell'età imperiale, nel menzionare la suppellettile necessaria di cui il liberale donatore provvide la biblioteca, non si tralasciano quasi mai le statuae. Erano per lo più ritratti (spesso, certo, busti) di grandi scrittori del passato: esser compreso tra costoro è per un recente o per un vivente un onore straordinario: Marziale (IX proemio) ne fu molto grato a Stertinio Avito. Talvolta le statue erano sostituite da medaglioni degli autori, dipinti per lo più sugli armadî dove erano raccolte le loro opere: tracce di tali medaglioni furono osservate in una biblioteca privata scavata dal Lanciani nel 1883 iu una casa di età tarda a Roma presso S. Martino ai Monti.
Funzionamento. - Dei cataloghi delle biblioteche di Alessandria e di Pergamo, che suppongono un ordinamento per materia, abbiamo già accennato sopra. Ma tutte le biblioteche pubbliche dovettero possedere cataloghi. Del pari anche le maggiori tra le private. Per Quintiliano (XI, 57) come per Seneca (De tranq. an., 9,4) il catalogo, index, è nota essenziale nel concetto di biblioteca. Del resto gli elenchi di libri che si sono trovati in papiri egizî, proverranno da cataloghi di biblioteche private, in parte raccolte piccole e minime; come al catalogo di una biblioteca appartiene il frammento epigrafico di Rodi del quale abbiamo parlato sopra. E la distinzione consueta, tra sezione greca e latina, può essere connessa con la divisione dei cataloghi, imposta dall'alfabeto.
Catalogo suppone segnatura, ma è dubbio se fosse segnato il rotolo (il codice è in età classica una rarità). Esempî non pare si siano trovati, mentre un passo del cosiddetto Vopisco (Tac., 8,1) numera l'armadio della biblioteca Ulpia; e poco importa che la notizia di un liber elephantinus colà contenuta sia menzognera, perché l'invenzione non avrebbe senso, se la numerazione degli armadî non fosse stata nota ai lettori. Se era così, si spiega molto meglio come a Gellio (XI, 17,1) potesse capitare che, mentre cercava un altro libro nella biblioteca Ulpia, gli venissero in mano gli editti degli antichi pretori.
Da Gellio stesso si ritrae che l'uso delle biblioteche doveva essere assai libero e punto formale. Quel passo mostra che il dotto metteva lui stesso le mani negli armadî. Altrove (XIII, 20,1) Gellio e Sulpicio Apollinare e altri amici siedono insieme nella bibliotheca domus Tiberianae, quando è a caso tirato fuori un libro di M. Catone Nepote. L'espressione pare indicare che nelle biblioteche si tenessero libere riunioni di dotti, che discutevano a loro agio in crocchi, giovandosi dei libri posti a loro disposizione. Che questo avvenisse in sale speciali, non è detto. E del resto poco sarebbe il vantaggio per chi fosse sensibile al rumore, giacché gli antichi leggevano, com'è noto, a voce alta. Tanto più necessario era il prestito; ed esso era infatti concesso facilmente, se Gellio può narrare (XIX, 5) che durante un banchetto tenuto in una villa di Tivoli un filosofo peripatetico poté allontanarsi e tornar di lì a poco con un libro della biblioteca ch'era collocata nel santuario di Ercole. Del pari Marco Aurelio prega Frontone di prendergli a prestito un libro dalla biblioteca dell'Apollo Palatino.
Prime biblioteche cristiane. - Le chiese cristiane avranno posseduto sin da principio ciascuna almeno un esemplare dei libri sacri. Queste non possono ancora chiamarsi biblioteche. La biblioteca cristiana più antica della quale abbiamo notizia, fu fondata in Gerusalemme dal vescovo Alessandro (tra il 212 e il 250). Negli stessi anni Origene, rifugiatosi in Palestina, apriva a Cesarea una scuola teologica. La storia di questa raccolta ricorda per molti rispetti quella della biblioteca del Peripato: i cristiani intendono appunto emulare la scienza ellenistica. Quale vero fondatore della biblioteca di Cesarea in Palestina è per lo più considerato lo scolaro di Origene e maestro di Eusebio, il prete Panfilo. Ma Gerolamo (De vir. ill., 113) parla espressamente della bibliotheca Origenis et Pamphili, e la scuola di Origene doveva possedere una raccolta di libri. Panfilo aumentò i libri ereditati, procurandosi da ogni parte copie di opere dei padri della Chiesa. La Storia ecclesiastica di Eusebio è insieme un catalogo e un'elaborazione del materiale di queste biblioteche di Gerusalemme e più ancora di Cesarea in Palestina. Anche Girolamo dichiara più volte di avere attinto a quest'ultima per i suoi lavori. Egli ci fa sapere che i due successori di Eusebio sul trono di Cesarea, Acacio ed Euzoio, fecero in membranis instaurare i libri in parte danneggiati di quest'ultima, li fecero cioè dal rotolo di papiro trascrivere nel codice di pergamena: possediamo ora manoscritti che si dichiarano copia di questi esemplari rinnovati. E il procedimento ha importanza paradigmatica per tutta la letteratura antica. Nel Medioevo sia greco sia latino tutto quello che ci è conservato fu trascritto dai rotoli nei codici; tutto il resto è andato perduto. L'ultimo che parli di questa biblioteca è Isidoro di Siviglia. Anche l'altra Cesarea di Cappadocia ebbe, almeno dal vescovato di Basilio in poi, una biblioteca; e capita che manoscritti di roba basiliana citino esemplari di quella biblioteca.
La cultura cristiana si è impadronita più lentamente dell'Occidente. Ma il pontefice romano Damaso (366-384) costruì nell'area dei locali che erano fino allora appartenuti a un partito del circo, i Verdi (Prasini), presso il teatro di Pompeo, una basilica, corredata al modo delle biblioteche ellenistiche di un portico e con celle per biblioteca che sul portico si aprivano: c'è ancora conservato l'epigramma dedicatorio di questi archiva. Essi erano insieme, a quel che pare, archivio e biblioteca. E si richiamano ancora a questa raccolta atti di un concilio romano del 531. Ancora oggi la chiesa di S. Lorenzo in Damaso, eretta sulla stessa area, conserva il nome del primo fondatore. Ma della biblioteca non si sa più nulla dal sec. VI in poi.
Bibl.: Per l'Assiria: B. Teloni, in Riv. d. bibl., II, 134; id., in Giornale della Società Asiatica, VI (1892), p. 208 segg.; O. Weber, Literatur der Babylonier und Assyrer, Lipsia 1907, p. 27; G. Furlani, Civiltà babilonese ed assira, Roma 1929, p. 274.
Per l'Egitto: Borchardt, in Zeitschrift für ägyptische Sprache, XXXIII (1895), p. 72; Erman, Âegypten und ägyptisches Leben, II, Tubinga 1923, p. 474, fig. 185.
Per le biblioteche del mondo classico è fondamentale Dziatzko, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., III, coll. 405-24 (poco critico per le raccolte alessandrine,a ntiquato quanto alla parte archeologica; nel resto ottimo); gli scritti più antichi non hanno ormai valore, ma v. F. Garbelli, Le biblioteche in Italia all'epoca romana, Milano 1894, con un buon saggio bibliografico.
Per Alessandria in genere: U. Wilamowitz, Hellenist. Dichtung, Berlino 1924, I, p. 165; per la topografia: E. Breccia, Alexandrea ad Aegyptum (ed. inglese), Bergamo 1922, p. 95 segg. (e per il Serapeo, p. 104). Per l'influsso della biblioteca alessandrina sulla cultura: W. Schubart, Das Buch bei den Griechen und Römern, Berlino e Lipsia 1921, pp. 46 segg., 177 segg. Sulla serie e cronologia dei bibliotecarî era classico sino all'ultimo ritrovamento F. W. Ritschl, Opuscula philologica, I, Bonn 1867, pp. 1 segg., 123 segg., 197 segg., nel testo si sono seguite proposte di G. Perrotta, in Studi it. di filol. class., n. s., IV, p. 125; id., Athenaeum, n. s., VI, p. 125 (un'altra cronologia propone A. Rostagni, in Atti di Torino, 1915, p. 241, segg.; id., in Riv. di fil., 1928, p. 41; v. anche Pfeiffer, in Hermes, 1928, p. 340). Contro la notizia del dono di Antonio cfr. G. Lumbroso, L'Egitto ai tempi dei Greci e dei Romani, 2ª ed., Roma 1895, p. 134 segg.; sulla distruzione della biblioteca, Breccia, op. cit., p. 49 segg.
Per Pergamo: Conze, in Berliner Sitzungsber., 1884, p. 1257, segg.; R. Bohn, Die Heiligtum der Athena, in Altertümer von Pergamon, II, Berlino 1885, p. 56 segg.
Per le biblioteche private egizie: W. Schubert, Einführung in die Papyruskunde, Berlino 1918, p. 395. Per Rodi: A. Maiuri, Nuova Silloge epigrafica di Rodi e Cos, Firenze 1925, nn. 4 e 11, e megio G. De Sanctis, in Riv. di fil., n. s., V (1925), p. 63 segg.; Wendel, in Zentralblatt für Bibliothekswesen, XLVI (1929), p. 1 segg.
Per biblioteche di ginnasî: E. Ziebarth, Aus dem griechischen Schulwesen, II, Lipsia 1914, p. 131. Cfr. anche Poland, Öffentliche Bibliotheken in Griechenland und kleinasien, in Historische Untersuchungen für Förstemann, Lipsia 1894, p. 7 segg.
Sulla biblioteca di Attico, cfr. R. Sommer, in Hermes, 1926, p. 389 segg.; sull'appartenenza di quella di Ercolano a L. Pisone, v. ora G. Pasquali, Domenico Comparetti e la filologia del secolo XIX, Rieti 1929, p. 32.
Su biblioteche pubbliche di Roma ottimo O. Hirschfeld, Die Kaiserlichen Verwaltungsbeamten, Berlino 1905, pp. 298-306; utili indicazioni topografiche in Jordan-Hülsen, Topographie der Stadt Rom, Berlino 1871-1907, I, ii, pp. 31, 60, 461, 463; I, iii, pp. 4, 6, 71, 77; per un particolare v. R. Delbrück, in Archäolog. Jahrbuch, 1921, p. 31. Sulla biblioteca traianea R. Paribeni, Optimus Princeps, Messina 1927, p. 86 segg.
Per biblioteche pubbliche delle città minori nell'età imperiale, ottimo, nonostante il titolo male scelto, R. Cagnat, Bibliothèques municipales de l'Empire romain, in Mémoires de l'Académie des inscriptions, XXXVIII (1909), pp. 1-26, che riassume anche bene ciò che sappiamo del funzionamento delle biblioteche antiche. Colà egli riferisce pure di Timgad (l'ipotesi su una biblioteca pubblica in Pompei pare incerta); per Efeso: R. Heberdey, in Jahreshefte des österreichischen archäologischen Institutes, VII (1904), p. 52 segg.; VIII (1905), p. 60 segg.; IX (1906), p. 59; Wilberg, ibid., XI (1908), p. 118 segg.
Specie per quanto concerne le biblioteche romane tarde rende ancora buoni servigi R. Lanciani, Ancient Rome in light of recent discoveries, Londra 1888, p. 178 segg.
Per le biblioteche cristiane in Oriente: A. Ehrhard, Die früheren Bibliotheken in Palästina, in Römische Quartalschrift, V (1891), pp. 217-65, 329-31, 383-84; IV (1892), pp. 339-65; Zentralblatt für Bibliothekswesen, IX (1892), pp. 441-459; O. Bardenhewer, Geschichte der altkirchlichen Literatur, II, 2ª ed., Friburgo in B. 1914, p. 11.
Medioevo. - Primo periodo; secoli VI-XII. - Scomparsa la biblioteca pubblica romana del periodo imperiale, la biblioteca religiosa dell'alto Medioevo nelle due forme di conventuale ed episcopale, appoggiandosi alla tradizione delle biblioteche cristiane dei primi secoli, ha vicissitudini interessanti collegate con le grandi correnti culturali e col destino degli enti da cui esse dipendono; ma manca di un sensibile sviluppo come istituzione biblioteconomica e amministrativa; di modo che essa inevitabilmente si scinde nelle storie speciali delle singole raccolte. Anche i grandi esempî di biblioteche cristiane del sec. VI, il Vivarium di Cassiodoro e la biblioteca di Isidoro di Siviglia non hanno imitazione diretta: i tesori del Vivarium, passando in parte a formare il fondo precolombaniano della bobbiense, costituiscono sì una preziosa eredità dell'ultima fase della cultura classica; ma né l'ordinamento della biblioteca del Vivarium, né l'intendimento di raccogliere sistematicamente anche la letteratura classica trovano nelle biblioteche di questo periodo un qualsiasi sviluppo. Anche l'esempio dato da Carlo Magno con la fondazione della prima biblioteca Palatina in grande stile, concepita come deposito dei testi filologicamente emendati e paleograficamente perfetti posti a disposizione dell'alta cultura, non ha pratiche conseguenze. L'Occidente non possiede nulla da contrapporre alla biblioteca imperiale bizantina che, fondata da Costanzo, continua la tradizione e l'organizzazione della biblioteca statale romana.
Per quanto le nostre informazioni sulle biblioteche religiose dell'alto Medioevo siano molto scarse, pure non v'ha dubbio che esse segnino sotto diversi punti di vista un notevole regresso di fronte alle biblioteche del periodo imperiale romano. La loro consistenza normale è molto bassa. L'inventario della biblioteca della Santa Sede fatto fare nel 1295 da Bonifazio VIII non comprende neppure 500 volumi; la benedettina di Bobbio arrivava tre secoli prima a 650 manoscritti; quella di S. Gallo fra l'847 e l'872 (nel catalogo di Liutardo, antecedente alla donazione di Grimaldo) a circa 300; quella di Cluny, secondo il catalogo del 1158-61, ammontava a 570.
Di regola, già prima dei capitolari di Carlo Magno, ogni convento riceveva alla sua fondazione dalla casa madre un deposito librario corrispondente alla sua finalità e grandezza; l'incremento normale avveniva mediante la produzione della scuola scrittoria conventuale, appoggiata allo scambio librario interconventuale, o mediante i manoscritti regalati da chi entrava a far parte dell'ordine e dalle famiglie dei giovani che ne frequentavano la scuola, saltuariamente mediante donazione di privati e di principi. L'incremento, in un'epoca in cui in quasi tutta la cristianità, tolta per qualche secolo Roma, non esiste commercio librario, è determinato soprattutto dall'opera di trascrizione o di compendio della collettività dei monaci.
Per la stretta colleganza dei conventi dello stesso ordine lo scambio dei codici trascritti fa sì che le biblioteche abbiano nelle linee generali non solo identico indirizzo, ma sostanzialmente fondi similari. I cataloghi conservati dei secoli IX-XI tradiscono anche un'innegabile unità di raggruppamento; normalmente precedono gli scritti biblici, seguono gli autori ecclesiastici, da ultimo i profani. Nella classificazione della letteratura profana sembra provata in qualche caso l'influenza di Marziano Capella. Nell'ordinamento della letteratura religiosa la mancata influenza del De institutione divinarum litterarum di Cassiodoro basterebbe da sola a indicarci la discontinuità tra il Vivarium e le biblioteche dei più antichi conventi colombaniani. Anche la pseudo-decretale di Gelasio I de recipiendis et non recipiendis libris, che nel periodo carolingico fu riconosciuta, non ebbe alcuna efficienza per i cataloghi delle biblioteche delle badie benedettine di questo periodo. Mentre nei cataloghi del sec. IX di Bobbio, S. Gallo, Lorsch, Reichenau, Weissenburg, o nella parte più antica di quello di S. Michele di Bamberga si segue un'unica tradizione benedettina nell'ordine successivo dei Santi Padri, non solo nelle capitolari di quell'epoca, ma nemmeno nei pochi cataloghi di altre biblioteche dello stesso ordine questa tradizione sembra rispettata. Evidentemente alla divisione in classi dei cataloghi del periodo carolingico corrispondeva un'identica ripartizione del materiale librario: il catalogo è dunque anche un repertorio locale. Non si trova invece modo di far risalire all'epoca carolingica la divisione in biblioteca interna ed esterna o scolastica, destinata cioè alle scuole monastiche, che possiamo invece documentare dal sec. XI in poi; il catalogo di S. Gallo ha sì in ultimo un reparto speciale de libris grammaticae artis che corrisponde certamente ai libri scolares, ma manca ogni altro indizio per supporre che essi fossero conservati in sede separata. La distribuzione del catalogo per materie, conforme alla disposizione dei libri nel deposito, e il numero poco rilevante dei manoscritti conservati in una biblioteca rendono superflua ancora per qualche secolo la segnatura dei volumi. I manoscritti sono tuttora conservati negli armadî; di " libri catenati" non v'ha ancor traccia. Nel maggior numero dei casi la biblioteca è depositata in una cappella o nella sagrestia; non è conservato alcun locale dell'epoca carolingica costruito con questa finalità; soltanto la cosiddetta "pianta di s. Gallo" indica la biblioteca come un edificio a due piani laterale al presbiterio e opposto alla sagrestia: il piano superiore è destinato al deposito dei manoscritti, quello inferiore alla scuola scrittoria.
Il numero non rilevante dei codici non esclude naturalmente neppure nelle biblioteche monastiche la lussuosità di singoli manoscritti di cui anche i cataloghi ci conservano traccia. La limitatezza dei fondi librarî porta di per sé a una catalogazione sommaria. Non sarà poi fortuito che i più antichi cataloghi di biblioteche conventuali risalgano al periodo di Lodovico il Pio (814-840): i due cataloghi di Reichenau e di Saint-Riquier accennano indirettamente a prescrizioni imperiali. Essi sono esaurienti nell'indicazione della fastosità dei singoli codici preziosi e, almeno il sangallese, rubrica separatamente i codici paleograficamente difficili (libri scottice - cioè con lettere iriche - scripti), ma essi sono ancora scheletrici e bibliograficamente incompleti. Per lo più basta l'indicazione dell'autore e del titolo tradizionale dell'opera o una di entrambi; il catalogo d'una biblioteca francese del sec. IX dà per primo, dopo il titolo, l'incipit (Becker, Catalogi antiqui, n. 20); quelli coevi di Lorsch e Saint-Riquier si limitano all'indicazione dell'incipit, quando erano sconosciuti l'autore e il titolo dell'opera (Becker, nn. 37,243; 11,175). Siamo dunque ancora lontani dalla precisione dei cataloghi dei secoli XIV e XV che, specialmente in Italia, riportano il principio e il fine dell'opera, o, nelle biblioteche inglesi, l'inizio del secondo foglio. Una seconda deficienza nella catalogazione è data dall'aggiunta ai cataloghi delle accessioni, che non sono armonicamente fuse coi depositi precedenti, sia per deficienza di posto nei relativi armadî, sia perché non si poteva o voleva scindere l'unità del nuovo blocco. Così per esempio il catalogo bobbiense, forse del sec. X, ha un'aggiunta posteriore sui libri dati da Dungalus praecipuus Scottorum a S. Colombano. Come è deficiente la catalogazione, cosi l'assenza di vita autonoma amministrativa delle biblioteche religiose dell'alto Medioevo si rispecchia nell'assenza totale di documenti contabili o d'amministrazione. Tutta l'attività di chi dirige la raccolta libraria è rivolta, oltre che alla scuola scrittoria, esclusivamente al catalogo sistematico che è l'unico documento della consistenza della biblioteca. Come vi manca l'indicazione del valore, cosi è saltuaria - tolto il caso di una donazione cospicua o di un'accessione riferibile ad un determinato periodo - quella della provenienza del codice. Dati d'ingresso delle biblioteche, fino al sec. XIII, non ci sono pervenuti, e solo indirettamente, con studî pazienti e non sempre sicuri, essi possono essere attualmente ricostruiti. È eccezionale il caso della piccola biblioteca della chiesa di Santa Maria di Frisinga, il cui istrumento di fondazione (Meichelberg, Historia Frising., I, 2,351) nell'elenco dei libri contiene pure una historia in singulis codicibus; così pure per la ricchezza e bontà delle sue informazioni il catalogo della Pomposiana del 1093.
La storia esterna delle biblioteche in questo periodo (secoli VIIXII) è qui riassunta, di necessità, brevemente e con particolare riguardo all'Italia. Nel centro di questo periodo sta il rinascimento carolingico. Le due encyclicae de emendatione librorum ei officiorum ecclesiasticorum e de litteris colendis (Monumenta Germ. Hisiorica, Leges, I, 44,52), le disposizioni di concili sui libri indispensabili al clero (Hartzheim, Concila Germ., II, 17 segg.), in senso lato il già ricordato pseudodecretale di Gelasio I, le regole delle grandi badie di S. Colombano (p. es. Bobbio, 835), l'esempio della corte carolingica, gli sforzi di uomini quali Colombano, Beda, Alcuino, Paolo Diacono, S. Bonifazio, più tardi Giovanni Scoto e Lupo di Ferrières, portano alla formazione di un ambiente culturale che va svolgendosi dal sec. VII in poi e in cui bene s'inquadra la biblioteca religiosa nella duplice e simile forma di biblioteca conventuale e capitolare. La sua evoluzione è più chiaramente visibile nei paesi a cristianizzazione più recente, quale la Germania, dove la biblioteca segue geograficamente l'espansione della nuova cultura; più saltuaria si manifesta invece in Italia, dove le nuove tendenze transalpine si fondono coi resti autoctoni della civiltà romano-cristiana. Sono anzitutto i monasteri fondati da S. Colombano che iniziano la serie di notevoli biblioteche. Alle fondazioni colombaniane in Gallia, Luxeuil e Corbie, seguono in Italia Bobbio, nella Germania inferiore S. Gallo. Irlandesi e messi del pontefice catechizzano gli anglosassoni; Beda ricorda nella sua cultura classico-cristiana Isidoro, e S. Bonifazio diventa a sua volta il missionario della Germania.
La fondazione monastica di Bonifacio Fulda, che nel 1501 arrivò a 774 voll., si arricchisce rapidamente di manoscritti; in quella biblioteca si forma Rabano Mauro. Da Corbie viene creata, baluardo orientale di cultura nel territorio dei Sassoni, la badia di Korvey (822). Nella Germania occidentale la badia carolingica benedettina di Lorsch formò già nel sec. IX una delle raccolte più rilevanti sia per il numero, sia per il valore estrinseco e intrinseco dei suoi codici. Nella Svevia la scuola e la biblioteca della badia sangallese (fondata dall'abate Grimaldo nell'841), ebbero la fortuna di formare gli uomini più dotti della Germania; nella vicina Reichenau si costituì una fiorente badia la cui biblioteca, già nel catalogo dell'821, dimostra una notevole consistenza ed ebbe in Regimberto (846) uno dei più illuminati e appassionati bibliofili del tempo; essa continuò a fiorire fino agli ultimi decennî del sec. X. Morbac e Pfäffers costituiscono al confine occidentale della nazione germanica con le loro biblioteche già nei secoli X e XI due centri librarî non disprezzabili. Nella Baviera, liberata con la battaglia al Lerchfeld, nel 955, dal pericolo magiaro, il fiorire delle biblioteche conventuali coincide con l'ultima parte del nostro periodo; esempî notevoli le biblioteche del convento di S. Emmerano e di Tegernsee. La raccolta di codici più importanti di questa regione e sulla cui storia siamo meglio informati per le notizie tramandateci dal bibliotecario Burcardo (morto nel 1149) è quella della badia di S. Michele in Bamberga.
In Francia le due fondazioni di s. Colombano, Corbie e Luxeuil (della prima esiste un inventario della biblioteca del sec. XI), ebbero fin dall'inizio raccolte relativamente importanti di codici; qui l'incremento della cultura e l'aumento delle biblioteche claustrali si collega dalla seconda metà del sec. X col movimento cluniacense. Già l'abate Ottone (930) costitui a Cluny un nucleo di 100 manoscritti e l'attivissima scuola scrittoria portò ad un rapido incremento. Fra i conventi riformati meritano menzione quello di Fleury, la cui biblioteca, da un fondo iniziale di 77 codici ricordati in un catalogo dell'inizio del sec. X, raddoppiò in pochi decennî la sua scorta libraria, quella di Saint-Ayric di Verdun, di Saint-Amand e Saint-Gildas-en-Berry, il cui catalogo del sec. XI distingue in due reparti separati i libri sacri (102 codici) e i profani (11) al pari di quello, di egual consistenza, di Saint-Vivant-de-Vergy e quello di S. Pietro di Chartres. All'importanza della biblioteca conventuale di Saint-Riquier si accennò più sopra.
In Italia, dove prima del secolo X la cultura fu più diffusa e generalmente meno unilaterale che negli altri paesi dell'Occidente e l'istruzione conventuale non rappresentò l'unica o quasi unica fonte di cultura, come in Germania prima del 1000, non mancarono nei grandi monasteri neppure in questo periodo raccolte librarie di notevole entità; queste anzi superavano, rispetto ai fondi classici, quelle transalpine. Anche sotto questo punto di vista eccelle fino dalla sua fondazione (595) la biblioteca di Bobbio. Il monaco irlandese Dungalo l'accrebbe con parecchi codici preziosissimi e l'abate Gerberto (poi Silvestro II, anno 999-1003) contribuì illuminatamente al suo sviluppo. La biblioteca della badia di Nonantola (circa 773), di cui molti codici passarono alla Vaticana e all'Estense, ebbe un periodo di prosperità nei secoli IX-XI. Quella della badia della Pomposa si collega coi nomi di Martino (950) e dell'abate Girolamo (1079-1100) che la ricostruì, acquistando codici e promovendo la scuola scrittoria. Delle biblioteche conventuali del Piemonte in quest'epoca poco sappiamo; nulla di quella di S. Michele, che alla fine del sec. XI fu importante centro di studî; poco di quella di Fruttuaria, ricordata da Anselmo di Bisate come centro di vita scientifica e di quella di Lucedio, dove nel secolo X fiorì una scuola letteraria. Importante dovette essere la biblioteca di Novalesa dall'epoca dell'abate Uderado (825) alla cacciata dei monaci nel 906, nella quale occasione essa andò distrutta.
Ma la biblioteca più ricca e rinomata fu quella dei benedettini di Montecassino (v.), celebre per i codici latini, greci, ebraici e arabi, il cui piccolo nucleo iniziale di opere ascetiche risale forse alla fondazione. Le guerre, le rapine e gl'incendi che travagliarono sovente la badia ne offuscarono temporaneamente l'importanza culturale e compromisero le sorti della biblioteca. Alla metà del secolo VIII Zaccaria l'aumentò con cospicui doni, e la prosperità continuò fino alla distruzione dell'884 (Arabi); di qui bisogna scendere all'abate Teobaldo (1022-35) per trovare gli inizî di una nuova biblioteca, composta di opere teologiche e di diritto ecclesiastico e civile e di una notevole raccolta di storici, da Eusebio a Paolo Diacono e alla Storia dei Romani. L'abate Desiderio (1058-87) con la sua attività scrittoria (Pietro Diacono compilò l'elenco dei libri da lui fatti trascrivere) le diede poi un fortissimo impulso, seguendo nella scelta dei testi le precedenti tendenze, di modo che la parte storiografica e letteraria rappresenta quanto di meglio si raccogliesse in quel tempo nelle badie più famose. Anche nella badia di Cava dei Tirreni esisteva nel sec. IX una libreria insigne, non sprovvista di opere letterarie; i suoi codici più antichi risalgono al secolo precedente.
Le biblioteche episcopali di questo periodo, data la finalità pressoché identica, sono quasi un doppione delle biblioteche conventuali e seguono le stesse correnti culturali. La loro storia è meno nota, essendone più frammentaria la documentazione. Più esposte al movimento politico, in esse, fuori d'Italia, dove nei secoli VII e VIII le scuole capitolari ebbero minor efficacia e diffusione che da noi, fu forse sentito più forte il risveglio culturale carolingico. Più rapida seguì la decadenza, specialmente in Germania, perché i vescovi dei secoli X-XII sacrificarono le cure pastorali alla diretta partecipazione agli eventi politici. L'arcivescovo Lullo a Magonza, Ildebrando a Colonia, Arnone a Salisburgo fondarono dei nuclei librarî sul cui sviluppo mancano informazioni precise. Fra le altre biblioteche non conventuali della Germania di questo tempo ricorderemo quella di Hildesheim che, ancora al principio del sec. XV, era composta quasi esclusivamente di opere religiose e sotto il vescovo Bernuardo (morto 1022) ebbe un periodo di fiore; quella di Bamberga, il cui catalogo del 1130 indica 96 codici, tutti religiosi; quella di Costanza con un inventario del sec. IX, quella di Augusta che al tempo del vescovo Embricone (1063-71) arrivava a una cinquantina di codici, quella di Frisinga, già nel sec. IX singolarmente dotata di autori profani. In Francia basterà accennare alla canonicale di Clermont-Ferrand, il cui catalogo della fine del sec. X porta 55 codici, a quella di Langres, di Névers, il cui inventario (sec. IX) indica una predilezione per le opere letterarie, e a quella di Rouen, che nel sec. XII possedeva anche codici letterarî.
In Italia la scuola episcopale pavese già dal tempo di Ermodio e Epifanio si appoggiava a una piccola biblioteca aumentata nel sec. VIII da Pietro I, Teodoro e Pietro II: ma le notizie su di essa sono molto vaghe. A Vercelli gl'inizî della biblioteca capitolare risalgono al periodo longobardico; fra i suoi tesori primeggia per antichità l'Evangeliarium Sancti Eusebii del sec. IV. A Cremona, dove le carte del sec. X registrano fra i canonici il bibliotecario, il vescovo Olderico, avendo trovata manomessa e senza inventario la biblioteca di S. Maria Maggiore, provvide all'incremento e fece stendere nel 984 un catalogo. Mancano notizie sulla biblioteca capitolare di Verona; ma l'epitafio dell'arcidiacono Pacifico dell'846 (Maffei, Scrittori veronesi, II, p. 32 segg.) ricorda il suo dono di oltre 260 codici.
Merita poi particolare rilievo, perché è indice della cultura laica, comprendente anche la storia profana, la filosofia, l'arte militare e la medicina, il testamento del conte Eberardo del Friuli (877), che contiene un accuratissimo catalogo del lascito librario. Esso permette di ricostruire in un'epoca in cui le biblioteche private di Carlo Magno e Carlo il Calvo precedono di secoli le biblioteche principesche, la libreria di uno dei più potenti signori della corte di Lotario. Fuori d'Italia Alfonso II d'Austria (795-843) e Guglielmo I d'Aquitania (morto nel 1030) ebbero raccolte personali di codici molto notevoli.
Biblioteche bizantine. - Appartate dalla storia delle biblioteche occidentali si svolsero quelle bizantine, come del resto (v. appresso) quelle arabe. Fra le prime occupa un posto speciale la biblioteca imperiale di Costantinopoli, fondata nel 354 da Costanzo, ampliata da Giuliano e dotata di statuto nel 372 da Valente, Valentiniano I e Graziano. Questo, che figura nel codice di Teodosio, ma - e ciò è sintomatico - manca in quello di Giustiniano, applica alla nuova biblioteca imperiale le disposizioni delle biblioteche pubbliche di Roma e contempla la triplice divisione del personale in curatores, antiquarii e custodes; amministrativamente è implicito il riconoscimento della riforma della gestione della res privata di Settimio Severo. Quattro antiquarî erano impiegati per i codici greci, tre per i latini. La biblioteca pubblica (δημοσία βιβλιοϑήκη) che avrebbe avuto una quantità favolosa di codici (120.000) fu incendiata nel 476; ma Zenone, coadiuvato dal praefectus urbis Giuliano, la ricostruì. Sofferse certamente nelle lotte degli iconoclasti, durante le quali parecchi documenti della letteratura antica scomparvero per sempre, ma non è né documentato, né probabile che essa sia stata bruciata per ordine di Leone III Isaurico. Certo è che, come Stobeo verso il 500, così anche l'autore del Myriobiblon, Fozio (morto nell'897-98), si valse dei codici lì ancora conservati. Tanto Leone VI il filosofo quanto suo figlio Costantino Porfirogenito furono bibliofili, e in questo periodo (886-919) c'è qualche notizia sull'esistenza di una biblioteca principesca di Bisanzio. Nel successivo periodo dell'enciclopedismo bizantino le informazioni su questo istituto sono molto frammentarie e indirette. Un'opera come il celebre Lexicon di Suida (principio sec. XI) premette però vaste fonti letterarie che solo una buona biblioteca può fornire. Per gli ultimi secoli del Medioevo non abbiamo notizie concrete, né il fatto che Giovanni Paleologo donò alcuni codici a Giovanni Aurispa basta a documentarne l'esistenza. Una tradizione accreditata la fa perdurare fino alla conquista turca (1453). Gli atti sinodali dei secoli VII e VIII fanno menzione, sempre a Costantinopoli, d'una biblioteca patriarcale che fu incendiata nel 780, ma poi, quasi sicuramente, ricostruita. Importanza grandissima ebbero le biblioteche monastiche. I monaci della regola di Pacomio (morto nel 348) erano tenuti allo studio e alla trascrizione di opere ascetiche, e la riforma di Teodoro di Studion (morto nell'826) contempla nel modo più preciso l'obbligo e il modo di tenere in ogni monastero una biblioteca. Sotto la sua influenza sorgono le biblioteche conventuali del monte Athos, promosse da Basilio il Macedone (867-886), e riorganizzate nel 911; esse ebbero naturalmente dei periodi di dolorosa decadenza, ma spetta loro il merito di aver salvato fino ad oggi parte dei più antichi codici, ora catalogati e ordinati da Spiridione Lambros.
Le biblioteche bizantine apersero i loro tesori agli umanisti, ed è questo il punto di contatto con la cultura occidentale più facilmente rilevabile. Invece abbiamo già visto che le biblioteche arabe servirono direttamente di modello a qualche biblioteca principesca medievale della cristianità.
Biblioteche arabe medievali. - Presso pochi popoli il culto dei libri e della tradizione letteraria ed erudita ha avuto tanta importanza nella vita spirituale e culturale, quanta ne ha avuta presso i popoli musulmani. Fra i privati, molti ebbero belle raccolte di libri: principi come i Buwaihidi Maǵd ad-Dawlah e Mu‛izz ad-Dawlah (sec. X-XI d. C.), il sultano sāmānida Nūḥ ibn Manṣūr (997 d. C.), il califfo fāṭimide al-‛Azīz bi-llāh (996), l'emiro ḥafṣide di Tunisi Abū Zakariyyā' I (1249), molti regoli spagnuoli; cortigiani come gli ‛abbāsidi al-Fatḥ ibn Khāqān ed ‛Alī ibn Yaḥyà al-Munaǵǵim (888); qāḍī come Ismā‛īl ibn Isḥāq di Baghdād (899) ed Abū Muṭrif di Cordova; molti visir come i buwaihidi Abū'l-Faḍl ibn al-‛Amīd (971) e aṣ-Ṣāḥib Ismā‛īl ibn ‛Abbād (995), gli ayyūbidi al-Fāḍil ‛Abd ar-Raḥīm ed ‛Alī al-Qifṭī (1248); studiosi ed eruditi come lo storico al-Wāqidī (823), il poligrafo al-Giāḥiẓ (868) e molti altri continuamente menzionati nelle storie arabe.
Uno sviluppo ancor maggiore raggiunsero nell'impero arabo le biblioteche pubbliche, il cui carattere sorse e si sviluppò gradualmente dai tre tipi di grandi biblioteche private, quelle dei sovrani, che con i loro cospicui mezzi potevano fondare ricche collezioni degne di essere a disposizione del pubblico, quelle delle moschee, quando ancora tutto l'insegnamento era accentrato in esse, e quelle delle madrase, collegi e scuole superiori a un tempo, annesse a moschee. A queste benefiche istituzioni diedero ammirevole impulso non solo i califfi della dinastia ‛abbāside, ma anche tutti quei principi che, prima come governatori, poi come sovrani, eressero a stati più o meno autonomi le diverse provincie del vasto impero arabo, fondando nelle loro capitali o nei centri più importanti grandi biblioteche, tra le quali alcune furono celebri in tutto il mando musulmano: così i Ḥamdānidi ad Aleppo, i Banū ‛Ammār a Tripoli di Siria, i Ghaznavidi a Ghaznah, i Sāmānidi a Bukhārā, i Buwaihidi a Shīrāz, i Fāṭimidi al Cairo, gli Omáyyadi di Spagna a Cordova, i Ḥafṣidi a Tunisi, i Marīnidi a Fez.
Diamo un elenco delle principali biblioteche pubbliche: Baghdād: a) biblioteca annessa alla grande accademia Dār al-‛ilm o Bait al-ḥikmah, fondata dal celebre califfo Hārūn ar-Rashīd (809 d. C.) o dal suo successore al-Ma'mūn (833); b) biblioteca annessa ad un'altra accademia Dār al-‛ilm, fondata verso il 990 dal visir buwaihida Abü Naṣr Sābür ibn Ardashīr, celebrata da molti scrittori per la sua bellezza e grandezza, poiché pare che contenesse più di 100.000 volumi. Essa fu quasi completamente bruciata e saccheggiata dalle soldatesche del sultano selgiuchide Ṭughrul Beg, quando questi nel 1059 conquistò Baghdād; c) biblioteche addette a due grandi e celebri collegi-mádrase: an-Niẓāmiyyah, fondata nel 1064 dal visir Niẓām al-Mulk ed al-Mustanṣiriyyah fondata dal califfo al-Mustanṣir (1243). Gran parte di queste biblioteche (e nel sec. XIII ve ne erano a Baghdād 36) andarono distrutte nel saccheggio della capitale fatto nel 1258 dal mongolo conquistatore Hūlāgū Khān.
Mossul: biblioteca dell'accademia Dār al-‛ilm fondata verso il 930 da un privato.
Bassora: due biblioteche furono bruciate nel 1090.
Rāmahormuz (nella Persia meridionale): biblioteca fondata da un privato, un certo Ibn Sawwār, e resa pubblica.
Aleppo: biblioteca fondata dai principi Ḥamdānidi ivi regnanti nel sec. X.
Tripoli di Siria: biblioteca fondata dai principi Banū ‛Ammār alla fine del sec. XI, che conteneva secondo gli storici 3 milioni (!) di libri e che fu bruciata e saccheggiata dalle milizie franche della prima crociata nel 1109.
Ghaznah (nell'Afghānistān orientale): biblioteche distrutte dalle soldatesche ghūridi nel 1155.
Merw: dieci biblioteche, tra cui due molto grandi, una costruita dal visir summenzionato Niẓām al-Mulk e l'altra da un birraio (!) di corte, conteneva più di 20.000 volumi.
Nīsābūr (nella Persia di NE.): biblioteche di cui si hanno scarse notizie, bruciate nel 1153 dai Turchi Ghuzz.
ar-Rayy: scarse notizie di biblioteche ivi esistenti.
Shīrāz: celebre ed immensa biblioteca fondata dal sovrano buwaihida ‛Aḍud ad-Dawlah (982) con molti e preziosi libri.
Cairo: biblioteca annessa alla moschea al-Azhar, fondata dal califfo fāṭimide al-‛Azīz bi-llāh (996); biblioteca annessa all'accademia Dār al-ilm, la prima università laica del mondo, fondata nel 1004 dal celebre califfo al-Ḥākim bi-amr Allāh, dispersa, in parte venduta ed in parte regalata da Saladino.
Cordova: biblioteca privata del califfo al-Ḥakam (976), ma probabilmente resa pubblica. Conteneva 400.000 volumi quasi tutti distrutti e saccheggiati dai Berberi conquistatori (sec. X).
Fez: biblioteca del collegio aṣ-Ṣaffārīn, fondata dal sultano marīnida Ya‛qūb ibn ‛Abd al-Ḥaqq (1217).
Molto curato era l'ordinamento ed il funzionamento di queste biblioteche: alcune di esse, come quelle di Shīrāz, Cordova, Cairo, Merw, erano collocate in edifici speciali, con molti locali adibiti ai diversi usi: depositi per i libri, sale di lettura e di studio, di trattenimenti letterarî e musicali, uffici. Le più ricche non mancavano di cuscini, tappeti, stuoie, tende. I libri, suddivisi secondo la materia, erano conservati in scaffali e collocati a piatto, secondo il modo orientale, in caselle invece che su semplici scansie. Esistevano, per facilitare l'uso di tutto il materiale, anche dei cataloghi; ai frequentatori erano forniti gratuitamente carta, penne ed inchiostro. Il personale per istituzioni cosi grandi era numeroso: oltre agli inservienti addetti alla pulizia vi erano i distributori di libri, tra i quali erano ammesse eccezionalmente anche vecchie schiave, uno o due sottobibliotecarî, che si occupavano pure del prestito dei libri fuori della biblioteca, e finalmente un bibliotecario capo.
Secondo periodo: secoli XIII-XV. - La biblioteca medievale si modifica profondamente, sia riguardo alla sua organizzazione, sia rispetto alla diffusione e consistenza. Tre nuovi coefficienti favoriscono e determinano questa evoluzione: fattori esterni, quali il commercio librario e la sostituzione della carta alla pergamena con conseguente diminuzione del prezzo del libro; fattori culturali, quali il fiorire della cultura superiore che porta alla formazione delle biblioteche universitarie e l'interessamento alle lettere nell'alta nobiltà che comincia a fondare librerie principesche; fattori storici, cioè il sorgere di nuovi ordini monastici, e, infine, il risveglio umanistico che lentamente ci porta alla biblioteca moderna.
Il commercio librario era, nei primi secoli del Medioevo, limitato a Roma. Alla fine del sec. X Gerberto comperava occasionalmente libri sicut Romae ac in aliis partibus Italiae, in Germania quoque ac Belgica, non però da veri e proprî librai, ma da sacerdoti e badie. In realtà gli antichi stationarii ritornano col sorgere delle università, per quanto il commercio librario rimanga in queste sedi vincolato a restrizioni speciali. A Bologna e a Padova esso è documentato nel sec. XIII, ma è probabile la sua esistenza in quello precedente; a Parigi fino dal 1170. Nei due secoli seguenti il commercio librario s'estende a tutta l'Europa occidentale e in Italia; fuori delle sedi universitarie, esso fiorisce, assunto da copisti o librarî liberi da particolari costituzioni (P. Delalain, Étude sur la librairie parisienne du XIIe au XVe siècle, 1891; W. Wattenbach, Das Schriftwesen im Mittelalter, 3ª ed., Lipsia 1896, pp. 545-570).
Il nuovo modo di produzione libraria si ripercuote, naturalmente, sulle biblioteche, prima e in maggior misura sulle principesche ed universitarie (dove però continua ancora il sistema dei copisti rimunerati dalla Facoltà), poi sulle monastiche, più conservative, con l'introduzione della dotazione prima saltuaria, poi stabile. Sono fra le prime le biblioteche religiose della Francia che suppliscono in questo modo alla decadenza delle proprie scuole scrittorie (Saint-Pierre-en-Vallée, 1145; Fleury, 1146; Vendôme, 1156) e se ne valgono anzitutto per la ricopiatura e rilegatura dei vecchi codici, ma poi anche per l'acquisto di codici di provenienza esteriore.
La dotazione porta a due conseguenze tecniche: agli inventarî di accessioni ora tenuti generalmente in modo più rigoroso e meno frammentarî, muniti alle volte dell'indicazione del prezzo; e ai documenti contabili delle spese per l'acquisto, che cominciano dovunque nel secolo XIV. Almeno nella biblioteca papale, dove la dote stabile è fissata dal 1481, alla direzione immediata e responsabile della biblioteca, per quanto ancor sempre sottoposto al cardinale camerario, c'è nella prima metà del sec. XIV, con un vero bibliotecario, il prefetto, che amministra e rende conto delle somme destinate agli stipendî del personale, alla manutenzione e all'incremento. Ha così inizio la tenitura contabile che distingue la biblioteca moderna dalla medievale.
Un progresso troviamo pure nella catalogazione. Nei cataloghi si aggiunge nel sec. XIII la segnatura; si generalizza l'uso di una più esatta indicazione del manoscritto, sia col riferimento dell'incipit e explicit o del principio del secondo e della fine del penultimo foglio, sia con l'indicazione di particolarità singolarmente pregevoli. In Francia un novello impulso alla ricatalogazione fu dato dalle misure bibliografiche prese da Luigi IX (1226-1270), convalidate da decisioni sinodali: i capitoli generali dei cisterciensi e dei domenicani del sec. XV fanno di ciò uno stretto obbligo. Comincia pure nel sec. XIII l'impianto di cataloghi interbibliotecarî: primo esempio l'abbadia di Savigny che aggiunse al proprio il catalogo degli altri conventi della provincia; seguono nel secolo XIV (1347) i collegi di Parigi e nel seguente la comparative list of books in English Monastic Libraries di Yonn Boston of Bury e il catalogo di biblioteche belghe di Gérard Roelants.
Il catalogo alfabetico è invece ancora molto raro e ridotto a un semplice indice del registro normale per classi. L'esempio più antico è quello di Corbie, sec. XII; in Italia i più notevoli sono la Tabula ad inveniendos codices, premessa al catalogo della vaticana del Platina (1475) e l'indice alfabetico della donazione di Bessarione (1468). Solo parzialmente alfabetico è il catalogo bobbiese del 1461. In Inghilterra il catalogo della biblioteca del monastero di S. Maria a Leicester è preceduto da una tabula de nominibus omnium doctorum auctorum seu compilatorum quorum libri... notantur in isto registro (secolo XV). Si perfeziona poi l'istituto del prestito. Benché molte biblioteche (anche universitarie rispetto agli studenti) non accettino questo principio, i registri delle opere concesse in lettura fuori sede verso pegno o con altra forma di garanzia si fanno ora più frequenti e sono tenuti più accuratamente. L'ordinamento dei libri subisce pur esso una profonda modificazione determinata dall'aumento numerico, dal carattere più enciclopedico della cultura ed evidentemente dalla maggiore consultazione dei mss. stessi; le nuove biblioteche universitarie e principesche seguono qui la trasformazione delle biblioteche monastiche che già si afferma al termine del periodo precedente. Dal sec. XIII in poi la ripartizione in gruppi di discipline coordinate guadagna sempre più terreno nella pratica universitaria, con la conseguenza che l'inventario-repertorio locale diventa un catalogo reale bene ordinato. Se qui e lì, specialmente nelle biblioteche maggiori, possiamo cogliere delle sottodivisioni, non c'è però ancora la tendenza al catalogo sistematico che rappresenta una delle più infelici trovate della bibliotecnica secentesca. Una distribuzione dei manoscritti per formati, che trova la sua unica giustificazione nell'economia di spazio, è documentabile sporadicamente nel Quattrocento. Quelle di Agnolo Pandolfini in Italia e Giovanni Plür ad Aldersbach (1451) sarebbero i due esempî più antichi. Maggiore importanza ha la suddivisione della biblioteca in sezioni localmente distinte che comincia già nel sec. XI, per cui talune biblioteche religiose si scindono in raccolte destinate ai monaci e canonici e raccolte d'uso scolastico; in questo senso sono da interpretare le indicazioni biblioteca, scola interior et exsterior o commune et minus armarium. I nuovi ordini religiosi si attengono strettamente a questa divisione al pari dei cluniacensi. Di altro genere è la suddivisione dei libri della Sorbona; la biblioteca maggiore o libreria communis accessibile a tutti i soci, dal cui seno veniva eletto il librarius, conteneva la parte vitale della biblioteca, formata da libri cathenati; la parva biblioteca era invece costituita da libri vagantes, esclusivamente doppioni deteriorati che erano prestati a domicilio. L'uso di fissare i codici ai leggii con una catenina si generalizza, senza soppiantare il sistema della parziale collocazione negli scaffali; quanto più generale diventa l'uso pubblico della biblioteca, tanto più si afferma questa necessità che è una norma per le biblioteche universitarie ed è più praticata nelle capitolari che nelle conventuali.
La biblioteca di S. Marco di Firenze (1444), composta di 400 codici latini e greci, era formata da 64 "banchi" ai quali i manoscritti, disposti da Tommaso di Sarzana, erano concatenati, mentre quella del convento di S. Maria Novella, oltre ai libri concatenati, ne aveva altri conservati liberamente nei reppositorî. La Laurenziana, aperta nel 1571, distribuì, secondo il piano di Baccio Valori, i suoi tesori su 88 plutei, incatenando i codici.
Negli ultimi secoli del Medioevo le biblioteche aumentano rapidamente di numero e di efficienza. Contribuiscono a ciò cospicue donazioni. Luigi IX divise nel testamento del 1270 la ricca biblioteca privata fra i conventi dei domenicani e minoriti di Parigi, la badia di Royaumont e i domenicani di Compiègne. La biblioteca della Sorbona deve la sua origine alla donazione di Roberto da Sorbona, avvenuta nel 1253: l'aumento con altri doni, che continua nei secoli successivi, fu molto rapido, tanto che il catalogo del 1290 elenca già 1017 manoscritti e quello del 1338 ne enumera oltre 1700
In Inghilterra l'esempio di Roberto Grosseteste vescovo di Lincoln (1253) fu seguito da quello dell'autore del Philobiblion, Riccardo di Bury (1344). Della Germania basterà ricordare il testamento del cardinale Nicolò Cusano, con cui la ricca raccolta di codici fu destinata all'ospedale di Cues; il dono alla città d'Alzey del canonico Giovanni di Kirchdorf (1399) o quello del parroco di Ulma Neithart (morto nel 1439) ai proprî concittadini per uso pubblico.
Da noi gli esempî più noti di ricche donazioni librarie sono quelli del canonico Giacomo Carneri di Vercelli (1234), del Petrarca alla chiesa di S. Marco di Venezia (1362), del Boccaccio a quella degli Agostiniani di S. Spirito in Firenze (1375), di L. Marsigli (1394) con la stessa determinazione, di N. Niccoli (1430) la cui raccolta, destinata al convento di S. Maria degli Angeli, passò poi a S. Marco. Cosimo dei Medici è il prototipo del mecenatismo umanistico per le biblioteche fiorentine e veneziane; fu il grande lascito di Bessarione (oltre 900 codici) che rese possibile la fondazione della Marciana (1468).
Anche il concetto della pubblicità delle biblioteche, inteso esclusivamente nel senso del libero accesso alle medesime, fa dei notevoli progressi. Aperte agli studiosi sotto la responsabilità dell'abate erano già prima, di regola, le conventuali. Ma in realtà la prima grande biblioteca ordinata e destinata all'uso pubblico fu la Vaticana sotto Sisto IV. Però già prima Giacomo Carneri e il Petrarca avevano elargito, come si disse più sopra, vistose biblioteche private ad enti religiosi con la clausola della pubblica consultazione in sede, limitando il prestito a domicilio a determinate classi di persone e al deposito di cauzione.
La storia esterna della biblioteca in questo periodo è qui ristretta ad osservazioni generiche sui singoli tipi. Nelle conventuali dei benedettini le lagnanze di Dante, del Boccaccio (Montecassino, riferita da Benvenuto da Imola), di Poggio Fiorentino (S. Gallo), di Riccardo di Bury sui conventi inglesi (Philobiblion, c. 8), per quanto esagerate e forse non estensibili molto più in là delle badie espressamente indicate, basterebbero ad avvertirci della decadenza di singole biblioteche benedettine; ma non mancano neppure le documentazioni archivistiche del disordine e dell'abbandono di parecchie altre di esse. Le riorganizzazioni di biblioteche, non rare nei secoli XIII e XIV, sono da interpretare quali tentativi di arginare la decadenza. Però la riforma dei conventi benedettini, derivata dal concilio di Costanza, sortì un effetto benefico. Il centro del rinnovamento è la ricca badia di Melk, ed esso si estende prima o poi a tutte le biblioteche benedettme dell'Austria, della Baviera e della Svevia. Cosi nel Belgio i "fratelli della vita comune", chiamati per la loro attività scrittoria broeders van de penne, continuano l'opera del loro fondatore Gherardo Magno (Groot), morto nel 1384, e la loro produzione non solo basta per i bisogni delle proprie biblioteche, come imponeva lo statuto, ma alimenta il commercio librario dell'Europa settentrionale.
I due nuovi ordini dei domenicani e dei francescani modificano il carattere delle vecchie biblioteche conventuali, dando minore importanza all'eleganza del codice e maggiore alla più accurata trascrizione e alla praticita del contenuto. Le istruzioni generali del domenicano Umberto de Romanis (1254-63) trattano diffusamente delle attribuzioni del librarius; anche nel secolo seguente le disposizioni tassative sulla buona tenitura della biblioteca di parecchi capitoli generali dimostrano il maggiore interessamento. Fu già ricordato che i francescani inglesi, che possedevano ricche biblioteche a Oxford e a Londra, spinsero il loro zelo bibliografico a compilare un catalogo complessivo di 160 biblioteche di quella provincia francescana. In Francia i conventi cisterciensi, d'origine benedettina, spiegano nel Quattrocento un'intensa azione di ricatalogazione e riordinamento; esempî notevolissimi le badie di Cîteaux (catalogo del 1480) e di Clairvaux (catalogo del 1472).
In Italia le biblioteche francescane, pur mantenendo un carattere quasi esclusivamente religioso, compilano nel Trecento e Quattrocento cataloghi ordinati e bene redatti; i loro libri sono, secondo la regola, in libreria publica ad bancos catenati o stanno liberi in scaffali, o sono collocati per il prestito ai confratelli nella libreria segreta; tutti sono contrassegnati come appartenenti all'ordine con una croce a serpentine al margine inferiore d'ogni quaderno. La biblioteca di Assisi aveva nel 1381 oltre 700 manoscritti, quella francescana di Siena, un secolo dopo, arrivava a 1336; ma minor consistenza hanno generalmente le altre dell'ordine, per esempio quella di S. Francesco in Pisa (1355) con 281 manoscritti o quella di Monteprandone (sec. XV) con soli 155. Maggiore numero di opere letterarie e scientifiche sono documentate invece nel Quattrocento nelle biblioteche dei più dotti agostiniani e domenicani: esempî illustri le fiorentine di S. Marco, di S. Maria Novella (1489, con 46 "banchi"), di S. Spirito con buoni inventarî del 1450-51; talune, però, come l'agostiniana di Gubbio, disponevano ancora alla metà del Quattrocento di un numero di manoscritti molto limitato per l'importanza del convento. Alla stessa epoca l'agostiniana di Mantova non ha più di 184 manoscritti; né sembra abbiano avuto grande importanza quelle domenicane di Treviso e Torino, ad onta di insigni donazioni fatte alla loro fondazione, rispettivamente nel 1278 e nel 1297. Fra le biblioteche benedettine una delle più notevoli ed ordinate, dopo il 1453, fu quella di Padova con 1337 mss.; mentre per esempio ben misera si dimostra la biblioteca benedettina di Nonantola negli inventarî del 1398 e del 1460-64, di modo che l'opera scrittoria di Guidolino (Salimbene, p. 376; a. 1287) fu paralizzata dalle dispersioni, ed il racconto di Ambrogio Traversari (1433), che il priore negasse l'esistenza di una biblioteca conventuale, riceve ampia conferma. Nel Quattrocento il catalogo della benedettina di Montecassino dimostra che la celebre biblioteca s'era ancor poco rimessa dal vergognoso abbandono in cui l'aveva trovata il Boccaccio.
Il passaggio dalle biblioteche religiose alle principesche è dato dalla papale, la Vaticana (v.). Sulla vecchia biblioteca della Santa Sede, dopo l'inventario di Bonifacio VIII del 1295, le notizie sono molto incerte. Essa fu trasportata col tesoro a Perugia, dove nel disordinato inventario di Giacomo da Casale (1311) figurano più di 645 codici, fra cui 31 greci; in quello del 1339 il numero è ridotto a circa 500. Ad Avignone Giovanni XXII (1316-34) fondò una nuova biblioteca, spendendo somme notevoli. Più che con l'acquisto librario la biblioteca si arricchì sotto i papi seguenti mediante la trascrizione e col diritto di spoglio; nel periodo 1343-50 pervennero in questo modo alla camera apostolica non meno di 1200 volumi. L'inventario generale del cardinale Filippo De Cabassole (1369) comprende 2059 numeri, oltre ai manoscritti depositati nella camera subtus studium d. n. papae. Oltre alla parte ascetica teologica e di diritto canonico sono notevoli i nuclei di opere scientifiche e filosofiche. Andata perduta anche questa biblioteca, le raccolte di manoscritti esistenti presso la Santa Sede dal ritorno d'Avignone (1377) all'avvento di Nicolò V (1447) sono quasi insignificanti (350 codici).
A questo papa bibliofilo, che progettò anche la costruzione di un'apposita sede per una bibliotheca ingens et ampla pro communi doctorum vivorum commodo, si deve il rinnovamento della Vaticana. Egli aumentò la precedente raccolta con 800 codici latini e 400 greci. Sisto IV (1471-84) - coadiuvato dal Platina che ne fece nel 1475 un catalogo comprendente 2527 volumi, fra cui ben 770 greci, e la ordinò - stabilì una dotazione, le diede come sede i decorosi locali sottostanti all'appartamento Borgia, dividendola in una grande sezione di pubblica consultazione ed una segreta, contenente i codici più preziosi. La parte scolastica vi rappresenta in un certo senso la cultura degli ultimi secoli del Medioevo; ma le cospicue raccolte dei classici e degli umanisti la resero un focolare di studî adatto al mutato indirizzo culturale.
Qualche esempio di biblioteca principesca è già stato ricordato nel periodo precedente. Nello sviluppo della cultura laica, nel lusso dell'alta nobiltà e nel sorgere delle letterature neolatine e tedesche troveremo i motivi fondamentali del fiorire delle biblioteche principesche dal Duecento in poi. I contatti col mondo arabo favorirono questa tendenza; ciò è dimostrabile tanto in epoca più antica per Guglielmo IX d'Aquitania (morto nel 1030), quanto per Federico II, per Carlo I d'Angiò, Lodovico I (1226-1270), che nella costruzione della biblioteca della Sainte-Chapelle fu coadiuvato da Vincenzo di Beauvais. Ma la premessa per la costituzione di una biblioteca principesca sta nella sua continuità che fino al Duecento manca, in quanto il possessore smembra e dona a singoli enti, per testamento, la parte maggiore della propria raccolta. Così per esempio andò perduta la bella raccolta di Federico I (morto nel 1190) ad Aquisgrana e Hagenau. Bisogna scendere fino a Giovanni di Valois (morto nel 1364) per trovare la prima biblioteca reale ereditaria. Carlo V continuò la raccolta portandola (nel 1379) a 900 manoscritti, quasi tutti di carattere teologico, ascetico e astronomico (ma vi figura pure Aristotele) e di gran lusso. Carlo VI (1380-1422) non venne meno alle tradizioni paterne; però con l'occupazione inglese dopo la battaglia di Azincourt (1415) la biblioteca reale andò dispersa. La bibliofilia di Carlo V trovò eco nella famiglia reale: Luigi d'Angiò, re titolare di Napoli (morto nel 1384), il figlio Luigi II (morto nel 1417) e il nipote Renato furono, al pari di Giovanni di Berry (morto nel 1416), grandi mecenati del libro e raccoglitori dei più splendidi manoscritti dell'epoca; il fratello di Carlo V, Filippo l'Ardito, portò l'amore al libro e alla biblioteca alla corte delle Fiandre, assecondato in ciò dal figlio Giovanni Senzapaura e dal nipote Filippo il Buono (morto nel 1467). Queste raccolte hanno ancora carattere medievale e non tengono conto dell'Umanesimo.
I Lussemburghesi (1310-1437) da Carlo IV in poi trapiantarono queste tendenze a Praga; a Heidelberg ciò avvenne per opera di Lodovico del Palatinato. L'Umanesimo fiorentino e lo sposalizio di Beatrice d'Aragona, figlia di Ferdinando I di Napoli, spinsero il re ungherese Mattia Corvino alla fondazione della celebre biblioteca di Buda che, dopo la morte del fondatore, decadde rapidamente; parte di essa passò sotto Massimiliano I a ingrandire la Palatina di Vienna.
In Italia, dal 1329 al 1418, si hanno notizie sporadiche sulla biblioteca dei principi di casa d'Acaia. È celebre nel secolo XV la biblioteca sforzesca di Pavia, che fu depredata nel 1500 da Luigi XII. Nel secolo precedente comincia la biblioteca di Casa Savoia. La biblioteca di Cesena è debitrice della sua origine a Malatesta IV. Quella di Urbino ebbe in Federico di Montefeltro (1471) un mecenate di prim'ordine, che spese per essa quasi 40.000 ducati e le diede un indirizzo enciclopedico. Egli si occupò direttamente dell'acquisto e della disposizione dei codici, facendone compilare da Federico Veterano un buon catalogo e dandole degna sede nel palazzo ducale. Non vi mancano gli historici, i poetae, grammatici et oratores, ed è bene rappresentata la geografia; vi sono pure, benché in numero limitatissimo, manoscritti greci ed ebraici. Suo figlio Guidobaldo I seguitò le orme del padre. La bella biblioteca andò poi ad aumentare la Vaticana. A Ferrara il catalogo della Estense del 1436 dimostra già il carattere speciale di raccolte letterarie in volgare; vi figurano manoscritti francesi, importanti per la storia della cultura alle corti dell'Alta Italia, ma non manca neppure l'interessamento per le correnti del Rinascimento. Il registro del prestito che comincia dal 1442 è un palpitante documento della cultura ferrarese quattrocentesca. Il catalogo della biblioteca, degli ultimi del Quattrocento, ha dei reparti speciali per libri Salici, Spagnuoli ed altri lenguaci e pei libri di mosicha. A Mantova sono i Gonzaga, da Giovanni Francesco II (1407-44) protettore di Vittorino da Feltre, Lodovico III (morto nel 1478), Giovanni Francesco III (1519) e Isabella d'Este in poi, che fondano ed aumentano una biblioteca principesca in grande stile, della quale, al principio del Settecento, resti notevoli passarono alla Marciana. Anche in questa, già nel catalogo del 1407, figurano due capitula librorum in lingua vulgari e in lingua francigena. Per Firenze basterà accennare alla biblioteca privata medicea di Cosimo, il cui inventario ci indica anche il valore dei codici, e del figlio Piero, il cui catalogo del 1456 porta i dati paleografici (lettera moderna, antiqua, bastarda) e della rilegatura; essa fu considerevolmente ampliata con intenti umanistici da Lorenzo il Magnifico che non solo acquistò biblioteche private (p. es. quella di Filelfo), ma stipendiò ottimi copisti e mandò due volte in Oriente Giovanni Lascaris a raccogliere manoscritti greci. Anche Piero di Lorenzo seguì le orme del padre; però la cacciata dei Medici (1494) pose fine alla biblioteca di cui la parte maggiore, acquistata dal convento di S. Marco, fu ricomprata nel 1508 da Giovanni dei Medici (Leone X).
Nell'Italia Meridionale gli Aragonesi dimostrarono molto interessamento per le raccolte librarie; già prima Carlo d'Angiò, che nel 1282 possedeva una piccola biblioteca e le cui tendenze letterarie e bibliofile sono note, ne aveva dato l'esempio. Documenti della tesoreria aragonese ci permettono di ricostruire la biblioteca di Alfonso V (I) nel 1453, di Ferdinando I e Alfonso II a Napoli; essa fu depredata nel 1495 da Carlo VIII che ne trasportò la parte più cospicua a Parigi.
Un tipo nuovo di biblioteca comincia in questo periodo: quello della biblioteca universitaria. Esso è nei primi secoli diffuso più all'estero che in Italia, dove la distribuzione dei libri fra gli studenti era lasciata, con molte cautele, agli stationarii. In ogni caso a Bologna, dove il catalogo commerciale di uno stationarius (Sarti-Fattorini, De claris archigymnasii professoribus, I, 11, pp. 214 segg.) ci istruisce sui testi universitarî e sui loro prezzi, esisteva un'universitaria il cui inventario del 1373 comprende i libri di teologia, legge e arti incathenati in libraria e da ultimo quelli conservati nella cappella e fu presentato congregatis et coadunatis ad sonum campanae omnibus consiliariis et scolaribus. Fuori d'Italia l'origine delle biblioteche universitarie è da cercare nella fondazione delle "borse" o "collegi" con librerie ingrandite da notevoli lasciti. A Parigi l'inizio è dato nel 1253 dalla donazione di Roberto di Sorbona; una vera biblioteca fu fondata però solo nel 1289. In Inghilterra le biblioteche collegiate risalgono nella loro forma embrionale alla fine del sec. XIII. Il vescovo di Worcester, Thomas Cobham (morto nel 1327) lasciò un cospicuo fondo librario per la formazione di una vera e propria biblioteca universitaria a Oxford. John Tiptoft, conte di Worcester, aggiunse la sua privata di un valore di 500 m. arg. Riccardo di Bury segui questi esempî nel 1344 donando la sua raccolta, il cui indice è andato perduto. Nel 1412 la biblioteca fu aperta; due grandi donazioni nel 1439 e 1443 del duca Humphrey di Gloucester ne aumentarono considerevolmente l'importanza. A Cambridge un catalogo del 1424 dell'universitaria, suddiviso in libri di teologia, morale, filosofia naturale, medicina, logica, sofistica, grammatica, storia e diritto canonico, ci dà un'idea dell'apparato librario che nel prossimo catalogo del 1470 è costituito da 350 libri (mancano i libri letterarî). In Germania le biblioteche universitarie cominciano nella seconda metà del Trecento quasi con la fondazione delle università, non ancora come biblioteche di facoltà, ma come raccolte librarie dei singoli collegi. Quella di Praga, fondata nel 1348, ebbe nel 1366, per ordine di Carlo IV, il collegium Carolinum con la sua scorta di libri, come la ebbe poco dopo il collegio della nazione boema. L'università di Erfurt, aperta nel 1392, ebbe nel primo tempo pur essa delle collegiate: solo dopo il notevole lascito di Amplonius (1435) sorse l'universitaria, il cui più antico registro è del 1485. Invece quella di Heidelberg, fondata nel 1386 e arricchita da lasciti (Corrado di Geilenhaus e Marsilio d'Inghen), sembra avere avuto già alla fine del secolo una biblioteca universitaria vera e propria. Le università tedesche sorte nel Quattrocento hanno invece, fin dal loro inizio, o biblioteca di facoltà, o universitaria; del primo tipo è la libraria facultatis artium di Greifswald (1456). Alle biblioteche universitarie medievali, tolta la Sorbona, non è opportuno assegnare troppa importanza: esse non sono ragguardevoli, né per il numero delle opere contenute, che è quello adeguato all'insegnamento, né per l'importanza intrinseca dei loro manoscritti, né per notevoli progressi nella catalogazione, né per lo sviluppo di speciali istituzioni bibliotecniche.
Già in più istituti e raccolte abbiamo visto l'influsso del Rinascimento italiano. Il carattere "umanistico" non indica del resto una specie ben definibile della biblioteca quattrocentesca; l'Umanesimo è una corrente tanto profonda, che neppure le biblioteche monastiche più conservatrici poterono sottrarsi all'introduzione del libro letterario classico. Il culto del codice antico, anche inelegante, ma filologicamente prezioso, per quanto caratteristico delle tendenze umanistiche fiorentine, non è senza precedenti né in Italia, né all'estero. Così, se il libro greco affluisce in quantità nelle biblioteche italiane del Quattrocento, esso non era sconosciuto in Occidente neppure nel periodo di maggiore ristrettezza di cultura classica. Biblioteche private di carattere classico, che ricordano nella loro tendenza e precedono le raccolte umanistiche, non mancano, specialmente in Italia e in Francia. Per il periodo degli Ottoni basti il richiamo alla ricca raccolta di più di cento volumi, fra cui opere di Aristotele e Cicerone (circa a. 965) del celebre grammatico, filosofo e grecista Gunzone di Novara, passata in Germania, e alla grande biblioteca privata di Benedetto di S. Michele (morto nel 1091), in cui non potevano mancare codici di autori classici; cfr. Mabillon, Annales ord. S. Benedicti, IV, app. 726.
Più tardi, agli albori dell'Umanesimo, è il Petrarca (De remediis utriusque fort., I, 43) che ci avverte dell'improvviso sorgere di biblioteche private, il cui contenuto non era di certo né esclusivamente, né preponderantemente di opere ascetiche. Un registro della metà del Trecento, d'ignota provenienza, ma di biblioteca privata italiana, riferito da A. Goldmann nel Zentralblatt f. Bibliotheksw., IV, p. 141 segg., è di schietta intonazione classica, come lo sono, prevalentemente, quelli della biblioteca di Tommaso di Campo Fregoso (1425), di maestro Ugolino di Nuzio di S. Vittoria (1408), di Paolo Guinigi da Lucca (1431), di casa Pallavicini (prima metà del sec. XV, con parecchi libri francesi) e, un secolo prima, del maestro Cino da Pistoia (1337). In nessun paese l'influenza dell'Umanesimo italiano fu così forte come in Germania. Qui il terreno era preparato dallo sviluppo culturale della borghesia. Patrizî, maestri, ecclesiastici si provvedono già nel Trecento di raccolte private di manoscritti che aumentano nel Quattrocento con lo sviluppo del commercio librario. In questo periodo anche la nobiltà tedesca s'interessa della letteratura nazionale: il duca Lodovico di Brieg che, secondo il testamento del 1360, aveva raccolto una non spregevole biblioteca, Jacob von Reichertshausen che possedeva con i suoi 160 manoscritti una delle migliori raccolte di letteratura tedesca, i Wintler di Runkelstein, Ulrico di Rappoldstein e nel secolo seguente la figlia di Lodovico III del Palatinato, Matilde, che raccolse nel suo castello di Rottenburg sul Necker quasi un centinaio di opere letterarie medievali, ne sono esempî insigni. A metà del Quattrocento cominciano le più antiche biblioteche civiche della Germania.
Dal concilio di Costanza in poi il nostro umanesimo vivifica, senza scuoterne il fondamento scolastico e nazionale, queste correnti di cultura. L'esempio più cospicuo di biblioteca umanistica tedesca è dato da quella di Nicolò Cusano (morto nel 1464); esso è seguito dal patrizio augustano Gossembrot e dal barone Albrecht von Eyb. Sotto l'umanista principe palatino Filippo anche la biblioteca del castello di Heidelberg s'informa ai nuovi indirizzi. Sorretto efficacemente dalla stampa, l'Umanesimo tedesco al principio del Cinquecento non solo plasma le biblioteche dei nuovi umanisti, quali Hartmann Schedel di Norimberga, Corrado Peutinger di Augusta, Giovanni Reuchlin di Pforzheim; ma ha, per opera di Giacomo Fugger, un' importanza non lieve per gli inizî della biblioteca pubblica palatina di Monaco (1558) e, mediante il norimberghese Pirkheimer, per le raccolte principesche di Massimiliano I.
Rimane a dar conto sommariamente delle principali raccolte di inventarî medievali e dl cataloghi moderni di manoscritti. Gli inventarî medievali ci dànno modo di ricostrui, e l'entità delle rispettive biblioteche. Di carattere generale, ma da usare con molta precauzione sono i Catalogi bibliothecarum antiqui di G. Becker, Bonn 1885. Comprende l'indicazione succinta e l'apparato critico della storia dei singoli cataloghi medievali della Germania, Francia, Inghilterra, Italia, Olanda, Spagna e Portogallo l'opera insigne di T. Gottlieb, Über mittelalterliche Bibliotheken, Lipsia 1890; allo stesso autore dobbiamo pure un'opera analoga per l'Austria: Mittelalterliche Bibliothekskataloge Österreichs, Lipsia 1915. Dl quelli tedeschi, austriaci e svizzeri diede recentemente un'accurata descrizione P. Lehmann, Mittelalterliche Bibliothekskataloge Deutschlands und der Schweiz, I, Monaco 1918 (per i vescovadi di Costanza e Coira). Per la Francia si dovranno consultare gli inventarî portati nel secondo e terzo volume di L. Delisle, Le cabinet de mss. de la Bibliothèque nationale, Parigi 1868-81.
Per i cataloghi moderni dei manoscritti delle singole biblioteche si rimanda ai rispettivi articoli sotto il nome delle biblioteche stesse o della città; cfr. O. Bacci, Indagini e problemi di storia letteraria italiana, Livorno 1910, p. 125 segg.; G. Mazzoni, Avviamento allo studio critico delle lettere italiane, 3ª edizione, Firenze 1922.
Bibl.: Sulle biblioteche medievali in genere, v.: E. Edwards, Memoirs of librairies, Londra 1859; T. Gottlieb, Über mittelalterliche Bibliotheken, Lipsia 1890; Ehrle, Historia biblioth. romanorum pontificum, Roma 1890; W. Wattenbach, Das Schriftwesen im Mittelalter, 3ª ed., Lipsia 1896, pp. 570-641; G. Salvioli, L'istruzione pubblica in Italia nei secoli VIII-X, Firenze 1879; F. Milkau, Die Bibliotheken, in Die Kultur der Gegenwart, I, i, 2ª ed., Lipsia 1912, p. 587 segg.; G. H. Hörle, Frühmittelalterliche Mönchs- und Klerikerbildung in Italien, Friburgo in B. 1914; G. Manacorda, Storia della scuola in Italia, I; Il Medioevo, Palermo 1914; F. A. Gasquet, Monastic life in the Middle Ages, Londra 1922; K. Löffler, Deutsche Klosterbibliotheken, 2ª ed., Bonn 1922; A. Hessel, Geschichte der Bibliotheken, Gottinga 1925. V. anche la bibl. di biblioteca: Età moderna.
Sulle biblioteche bizantine: di consultazione generale, K. Krumbacher, Geschichte der byzantinischen Literatur, 2ª ed., Monaco 1897. Sull'importanza delle biblioteche bizantine per i rinvenimenti umanistici, R. Sabbadini, Le scoperte dei codici latini e greci, Firenze 1914.
Sulle biblioteche arabe medievali, v.: Quatremère, Le goût des livres chez les Orientaux, in Journal Asiatique, s. 3ª, VI (1838), pp. 35-78, e le aggiunte di Hammer-Purgstall, ibid., s. 4ª, XI (1848), pp. 187-98; J. Ribera, Bibliófilos y Bibliotecas en la España Musulmana, Saragozza 1896 (ristampata con l'aggiunta di molte annotazioni importanti dello stesso Ribera, in Disertaciones y opúsculos, Madrid 1928, II, pp. 181-228); G. Zaidān, Ta'rikh at-tamaddun al-islāmi (Storia della civiltà musulmana), III, Cairo 1904, pp. 208-12; A. Grohmann, Bibliotheken und Bibliophilen im islamischen Orient, in Festschrift der Nationalbibliothek in Wien, Vienna 1926, pp. 431-42; W. Heffening, in Enciclopedia dell'Islām, s. v. Kitābkhāna, ed. francese, II (1927), col. 1106 segg.; O. Pinte, Le biblioteche degli Arabi nell'età degli Abbassidi, in Bibliofilia di L. Olschki, XXX (1928), dispense 3-5, pp. 139-165; M. Meyerhof, Über einige Privatbibliotheken im Fatimidischen Ägypten, in Rivista degli studi orientali, Roma 1930, vol. XI.
Età moderna. - Il passaggio dalla biblioteca medievale a quella di tipo moderno avviene nei secoli XVI e XVII. Lentamente, perché alcune inveterate consuetudini bibliotecniche sopravvivono ancora a lungo, le biblioteche esistenti si orientano verso le mutate condizion; dei tempi, mentre i nuovi istituti, per quanto conformati esteriormente sulle linee tradizionali, sono in realtà animati di uno spirito nuovo che si estrinseca in procedimenti tecnici più moderni. Fra le cause esterne di questo rinnovamento primeggia l'Umanesimo per cui il libro assume un valore diverso dal tradizionale e i codici classici si moltiplicano smisuratamente. A queste nuove tendenze si deve il principio della biblioteca pubblica che, formulato nel testamento del Niccoli (1430) e sanzionato da Nicolò V, trovò la sua applicazione nell'apertura della Vaticana voluta liberalmente da Sisto IV (cfr. su ciò specialmente Wattenbach, Das Schriftwesen im Mittelalter, cit., pagine 599-613). Tale innovazione d'origine italiana varcò le Alpi e si fece strada nelle principali biblioteche principesche, per esempio in quella di Fontainebleau di Francesco I, diretta dal Budé e dal Lascaris; nella palatina di Heidelberg di Filippo del Palatinato, in quella di Konigsberg fondata dal duca Alberto di Prussia, in quella di Dresda di Augusto di Sassonia, ecc. Nei paesi protestanti, dopo le devastazioni di librerie conventuali avvenute durante la sommossa dei contadini (1524-25) e da parte delle soldatesche ugonotte (1562) e nella secolarizzazione delle badie inglesi (circa 1550), la Riforma intensifica e irradia il bisogno del libro quale elemento di cultura e porta alla creazione di nuove e importanti biblioteche civiche (Amburgo, Augusta, Norimberga) e universitarie (Lipsia, Leida, Jena, Konigsberg, Marburgo, ecc.), tutte più o meno accessibili a ogni studioso.
Enorme influenza sull'evoluzione della biblioteca ebbe la sostituzione del libro al manoscritto. All'inizio del Cinquecento il commercio librario si diffonde in tutto l'occidente: Basilea, Venezia e Lione sono per qualche decennio i centri più importanti. L'accuratezza nella revisione delle edizioni classiche di Erasmo, della sodalitas Basiliensis e di Sicardo, la perfezione tecnica ed artistica di Aldo Manuzio vincono l'opposizione delle biblioteche verso il libro. Dalle biblioteche umanistiche l'innovazione passa alle raccolte principesche e alle pubbliche o civiche; più tardi alle religiose, prima naturalmente alle universitarie. Da noi sono probabilmente la Vaticana e la Marciana le prime ad accettare in vasta misura l'innovazione.
Queste due cause esterne ebbero ripercussioni notevoli sull'organizzazione bibliotecnica. È noto per es. che Vespasiano da Bisticci poté provvedere a Cosimo in 22 mesi 200 volumi manoscritti valendosi di 45 copisti; che Federico di Montefeltro, signore d'Urbino, spese per la sua raccolta 30.000 ducati occupando 30 o 40 copisti, e che Nicolò V impiegò per la Vaticana numerosi filologi e trascrittori. In questi casi, in modi diversi, il rapporto medievale fra biblioteca e schola scriptorum si scioglie: alla produzione di codici a cura della biblioteca si sostituisce l'acquisto. Per altre vie le universitarie erano arrivate a risultati identici. L'Umanesimo, acuendo il bisogno del libro, aveva già iniziato e maturato questo mutamento, che il trionfo della stampa portò rapidamente alle più insperate conseguenze.
Se la biblioteca è privata dell'aumento regolare ma lentissimo dovuto ai proprî trascrittori, essa aumenterà il suo patrimonio mediante l'acquisto, cioè con una dotazione. Le nuove biblioteche cinquecentesche hanno un conveniente assegno, e lo ricevono quelle preesistenti; i trattatisti, cominciando da Sir Humphrey Gilbert (sec. XVI) s'occupano di questo problema; i nuovi ordini religiosi, esempio insigne i gesuiti, inserirono negli statuti articoli che prescrivono l'acquisto annuo di opere per le rispettive biblioteche. Nel corso del Cinquecento hanno per esempio regolari dotazioni quella della Certosa di Pavia, la Palatina di Vienna (1579) e di Monaco e quella dell'Ateneo di Daventer (Overijssel); durante il Seicento cominciarono a percepirne l'università di Padova, quella del capitolo di Magonza, dell'Ateneo di Amsterdam, mentre sorgono da noi con dote o con fondi proprî di incremento l'Angelica di Roma (1605), la civica di Rimini (1619), l'Ambrosiana (1609), la Riccardiana e probabilmente altre ancora.
L'introduzione del concetto della dotazione porta lentamente a quello del bibliotecario amministratore dei fondi. Ma di qui anche la necessità d'introdurre nella tecnica amministrativa uno o due registri di tipo nuovo, che divennero col tempo la chiave di volta della moderna biblioteconomia: il registro d'ingresso e i documenti di contabilità, cioè quanto occorre per documentare le accessioni, elencate in ordine strettamente cronologico, e le spese d'acquisto. Nella Vaticana il cardinale Marcello Cervino introduce quasi contemporaneamente un registro di mandati per le spese accompagnati da un indice alfabetico dei creditori e un registro d'ingresso, parallelo, con l'indicazione della data, del fornitore, del numero dei tomi e quello di catena, ma senza indicazione del prezzo, anno 1548 (cfr. P. Batiffol, La Vaticane de Paul III à Paul V, Parigi 1890). L'esempio italiano trovò imitazione non solo in Italia (p. es. l'Ambrosiana), ma anche all'estero (p. es. nella Civica di Danzica), ed è sancito in teoria dal mantovano Angelo Pietra (1586). Al principio del Seicento la Gambalunghiana di Rimini, la Cletham Library di Manchester e la principesca di Wolfenbüttel hanno dei regolari registri d'ingresso. Ma specialmente di là dalle Alpi il progresso tecnico è lento; e lenta è, di conseguenza, la rivalutazione dell'ufficio di bibliotecario. In Inghilterra, durante il regno di Elisabetta, esso è congiunto con quello di distiller of odoriferous herbs, cui è preposto il contabile di guardaroba che registra le fatture e i pagamenti; il vero bibliotecario che sceglie ed acquista è il re. A Berlino, nel Seicento, il titolare della biblioteca è il segretario particolare dell'elettore (alla corte di Savoia il protomedico) che sottostà ad un consiglio privato ed è assistito dal tesoriere; il bibliotecario gli propone l'acquisto dei libri. A Fontainebleau il bibliotecario, per tutto il Seicento, è sottoposto all'autorità del soprintendente edilizio; le spese sono liquidate dal re e pagate dal tesoriere. Nelle universitarie, specialmente straniere, il bibliotecario, ancora nel Seicento, non è che un dipendente del consiglio accademico: esso non può che comperare libri né ordinarli: può tutt'al più fare i cataloghi (Uppsala 1627) quando quest'attribuzione non sia di spettanza del senato accademico (Praga). Nelle conventuali il vero bibliotecario continua ad essere il guardiano, mentre il bibliotecario da lui dipendente ha, come nel Medioevo, mansioni d'ordine, ma nessuna autorità amministrativa.
(Su questo argomento cfr. E. Pastorello, Per la genesi storica dell'istituto amministrativo dell'"Ingresso" nelle biblioteche, Venezia 1920).
In questo periodo hanno singolare sviluppo le biblioteche principesche le quali, sia perché meglio dotate, sia per il fatto stesso di essere meno legate a secolari tradizioni, sono destinate a più rapida evoluzione. La biblioteca reale di Francia (Blois) si accrebbe con enormi spogliazioni di biblioteche principesche italiane; come Carlo VIII incamerò parte ingente della biblioteca aragonese di Napoli (1495), così cinque anni dopo Luigi XII spogliò la sforzesca di Pavia. Trasportata a Fontainebleau e successivamente ampliata, Francesco I, con l'introduzione della censura e del privilegio librario (1537-38), trovò modo, prima ancora dell'applicazione della legge sulla copia d'obbligo, di farvi affluire senza spese tutti i libri stampati nel suo stato. Le raccolte di Caterina dei Medici e del cardinale d'Amboise furono poi incrementi notevolissimi di questo istituto.
In Germania l'esempio di Augusto di Sassonia, di Alberto di Prussia, di Giulio di Brunswick, spinse gli altri principi a rivaleggiare nel lusso della biblioteca e del libro e nell'ampiezza degli acquisti; non meno valse come esempio la magnificenza con cui Herrera costruì nell'Escuriale le sale e gli scaffali per la biblioteca di Filippo II, aumentata della ricca raccolta del De Mendoza, e ordinata in 64 classi da Montanus. A Vienna gli Asburgi seguono nell'arredamento della Palatina le tradizioni spagnole e l'esempio dato da Alberto V di Baviera che, arricchita la biblioteca di Monaco con la preziosa collezione dell'orientalista Widmannstetter (1558), collocò i suoi 11.000 volumi in sontuose sale della nuova residenza. Prima a Vienna, poi a Monaco è introdotta la legge della copia d'obbligo, d'origine, come si è detto, francese. Come in Francia la Mazariniana diretta dal geniale Naudé, come in Milano l'Ambrosiana (v.), che conservava i tesori di Bobbio, dovuta all'ingegno di Federigo Borromeo e collocata in un magnifico palazzo, o la Vaticana diretta dal Baronio, con i cataloghi preziosi dei mss. redatti dai fratelli Rinaldi, cui, sotto Sisto V (1585-90), il Fontana eresse nuova sontuosa sede, così alla fine del Cinquecento in Inghilterra M. Bodley ripristina l'Oxoniana (1598-1603), che crebbe così rapidamente da render necessarî nel 1613 nuovi depositi con gallerie di accesso agli scaffali superiori, secondo il tipo dell'Ambrosiana e da reclamare dopo soli tre lustri la ristampa dei cataloghi.
Nel Seicento la biblioteca Vaticana riceve aumenti cospicui. Conquistata Heidelberg, Massimiliano di Baviera (1623) ne inviò al pontefice Gregorio XV la Palatina. Nel 1658 la biblioteca di Urbino fondata da Federico di Montefeltro passò alla curia romana cui, alla sua morte, Cristina di Svezia regalò la sua notevolissima biblioteca.
In tutta l'Europa occidentale, durante il periodo che va dal concilio di Trento all'illuminismo si diffondono lentamente, nelle biblioteche, i germi delle innovazioni tecniche ricordate più sopra e si preparano i grandi sistemi di classificazione e distribuzione razionale dei libri. Alla bibliothèque du roi, che sotto il ministro Colbert (verso il 1660) e sotto Luigi XV, epoca in cui affluiscono preziosi libri orientali, ha un periodo di grande prosperità, Clément suddivide e riordina i libri in 23 classi, procedendo alla compilazione del catalogo sistematico e all'inizio del nuovo inventario dei manoscritti.
In Germania la guerra dei Trent'anni non solo fa emigrare una parte notevolissima del materiale librario e dei manoscritti nella Svezia, ma fa anche retrocedere la cultura e diminuire l'interesse per il libro. Però, cessati i torbidi, ecco il duca Augusto ripristinare la biblioteca di Wolfenbüttel, spendere dal 1631 annualmente somme considerevoli per l'acquisto di libri e arrivare in un lungo periodo a raccogliere 26.000 voll. e 2000 mss., ordinati sul modello di Oxford in 20 classi. Con vecchi fondi acquisiti e prede belliche, Ernesto il Pio (m. 1675) costituì la biblioteca di Gotha nel 1661; Federico Guglielmo di Prussia riuscì a raccogliere una biblioteca di 20.000 voll. e 1600 mss., catalogati e suddivisi da Hendreich. Ma la fortuna della Germania fu di avere in Leibniz, bibliotecario prima ad Hannover (1676-1691), poi a Wolfenbüttel, un organizzatore e teoretico di prima forza, che elaborò le idee di Naudé, di Bury e Bentley e riuscì ad avere, forse unico del suo tempo, una visione più moderna della biblioteca quale essa si sviluppò un po' dovunque nel secolo seguente.
Il risveglio degli studî nell'età dell'illuminismo portò anche all'organizzazione e all'ordinamento delle biblioteche esistenti, per cui molte nuove se ne aggiungono di carattere enciclopedico. Le innovazioni bibliotecniche del periodo precedente si consolidano; ai vecchi cataloghi per materie, d'origine medievale, si sostituiscono nuovi, ma effimeri tentativi di cataloghi reali. La bibliografia (v.) ragionata si estende a tutti i rami dello scibile, ed assume, specialmente da noi, un carattere regionale. È l'epoca dei Marucelli, Giulini, Valletta; di A. Zeno, che raccoglie con zelo incredibile incunaboli, libri rari e codici - passati poi in gran parte alla Marciana - e del suo emulo, l'abate ferrarese Olivieri. Il catalogo di mss. della Laurenziana del Bandini, quello dell'Audiffredi della Casanatense, documentano la cultura e lo zelo dei bibliotecarî italiani del Settecento. Nel 1702 Rinaldo I d'Este chiama a dirigere la biblioteca ducale di Modena Ludovico Muratori, prima impiegato all'Ambrosiana; dopo la morte del padre Granelli (1770) troviamo là il Tiraboschi, e a Parma, come successore del padre Paciaudi (1756), l'Affò. L'impulso venne dalla Francia, dove i gesuiti con l'edizione degli Acta Sanctorum e i benedettinì di S. Mauro (Mabillon) seguono a breve distanza il Dictionnaire del Bayle e dove gli studî reclamano esatte catalogazioni (Monfaucon): Muratori e Magliabechi svolgono con molta autonomia il metodo di ricerca dei Maurini. IlMagliabechi, che Mabillon definì Museum ambulans et viva quaedam bibliotheca, lasciò per testamento al granduca di Toscana la sua ricchissima biblioteca (1714), che venne così a formare il nucleo principale dell'odierna Nazionale fiorentina (v. magliabechiana). E un uguale mecenatismo fu esplicato a Roma dal cardinale Casanate (v. casanatense). A Milano, sotto Maria Teresa, sorge una nuova biblioteca scientifica, la Braidense (1770). Fuori d'Italia il fatto più notevole è la fondazione del British Museum (1759; v. londra), a formare il quale concorrono le raccolte del presidente della Royal Society H. Sloane, di Cotton, di Harley, e della biblioteca di Giorgio II.
Un periodo di fiore attraversa la Palatina di Vienna, la cui prima non compiuta riorganizzazione risale all'enciclopedico Lambeck; essa ebbe un incremento ingentissimo per opera di Carlo VI, che acquistò la grande raccolta di Eugenio di Savoia, e deve al genio di Fischer von Erlach le sue sontuosissime sale. A Berlino Federico il Grande, dopo aver raccolto nei suoi diversi castelli belle biblioteche private, provvide (1772) se non all'organizzazione, per lo meno all'arricchimento della berlinese che crebbe rapidamente a 150 mila volumi. Ad Amburgo la Camera del commercio inizia una novità con la fondazione (1735) d'una biblioteca dedicata specialmente alla raccolta di libri sulla navigazione e sul commercio. A Pietroburgo Caterina II realizza il progetto di Pietro il Grande, fondando con la raccolta dei due bibliofili polacchi, i fratelli Zaluskij, cui poi si aggiunge quella del ministro Dubrowskij, la biblioteca imperiale. In Germania, dove nel Settecento non abbondarono i bibliotecarî di grande stile, le idee di Leibniz portarono ciò non ostante il loro frutto. Eckhart a Würzburg e specialmente Münchhausen (1770), Gesner, Heyne, Reuss (dal 1782) a Gottinga, creano il tipo della biblioteca universitaria moderna con cataloghi e registri perfezionati; i due ultimi riescono a costruire ciò che sembrava un'utopia, lo stretto nesso organico fra il catalogo e la disposizione materiale delle raccolte librarie.
Con la rivoluzione francese comincia per le biblioteche un nuovo periodo. Nel 1789 le biblioteche religiose francesi sono dichiarate patrimonio nazionale, nel 1791 sono confiscate quelle degli emigrati. Otto milioni di libri, di cui quasi due a Parigi, affluiscono ai dépôts littéraires che, in provincia, dal governo centrale sono affidati nel 1803 ai municipî per la fondazione di biblioteche comunali. Disordini amministrativi portano a dispersioni dolorose. A Parigi, con gli otto dépôts littéraires si arricchiscono le biblioteche dell'Arsenale, la Mazariniana, quella di Sainte-Geneviève e specialmente la B;blioteca Nazionale, aumentata dai continui e ingenti contributi delle biblioteche dei depositi provinciali e, per apposito decreto del 1805, con i doppioni di tutti gl'istituti francesi. Le campagne napoleoniche l'arricchiscono dei libri più preziosi dell'estero, di cui, dopo la caduta dell'imperatore, solo pochi ritornano alle loro biblioteche d'origine. La rivoluzione aveva abolito la carica del bibliotecario della Nazionale, sostituendovi un'amministrazione collettiva e irresponsabile di 8 conservatori, e provocando con ciò un regime non sano; l'ingegno di Van Praet (1837) seppe guidare l'istituto fra gli scogli pericolosi del nuovo riadattamento e portare ad esecuzione i due nuovi principî affermati dalla rivoluzione; la centralizzazione della ricchezza libraria nazionale e la pubblicità delle biblioteche. In Gemiania e in Austria la soppressione dei gesuiti (1773), in Baviera la secolarizzazione, per cui non meno di 150 biblioteche conventuali passarono alla palatina di Monaco (in minore misura si ampliarono le biblioteche pubbliche di Bamberga e di Würzburg), nella Germania centrale e settentrio1lale la scomparsa di numerosi principati, portarono ad un considerevole arricchimento e ad un accentramento delle masse librarie. Il principio della pubblicità delle biblioteche, le aumentate esigenze per il rapido sviluppo degli studî tedeschi, i compiti gravosi derivanti dall'enorme quantità dei libri affluiti, la mancanza di un corpo di bibliotecarî sufficientemente preparati, fece sentire e promosse la generale riorganizzazione delle biblioteche tedesche sul modello delle due universitarie di Dresda e Gottinga.
In Inghilterra, dove grandi spostamenti di raccolte librarie non han luogo, il genio dell'italiano Antonio Panizzi fa del British Museum la grande biblioteca nazionale. Gli riesce di ottenere aumenti notevolissimi di dotazione, di introdurre la rigorosa esecuzione del copyright, di avere delle donazioni importantissime (Grenville), dimodoché nel 1870 l'istituto possedeva già un milione di volumi; progetta e fa eseguire in 12 anni (1852) la grande rotonda con alcune centinaia di posti, separando la sala di lettura dai nuovi magazzini dotati di scaffali spostabili di ferro; compila infine con felici innovazioni i nuovi cataloghi alfabetici, che furono pubblicati dopo la sua morte (1887-1900).
L'esempio fu seguito dalla Biblioteca Nazionale di Parigi, dove la registrazione, l'ordinamento dei grandi fondi affluiti al principio del secolo e la completa catalogazione furono possibili soltanto dopo grandi ampliamenti e cambiamenti edilizî. L. Delisle, il padre dei moderni cataloghisti di manoscritti, direttore della Nazionale dal 1874, iniziò nel 1893 il catalogo dei libri a stampa universale, pubblicato dal 1896 in poi. Ma, all'infuori di questi due isolati esempî di sviluppo eccezionale di biblioteche, il progresso generale è lento, se pure costante. La nota caratteristica dello svolgimento nell'ultimo secolo è data dal fissarsi delle norme bibliotecniche in disposizioni legislative.
Nei diversi paesi lo stato non considera più la biblioteca come possesso privato del principe, ma come patrimonio inalienabile della nazione; il suo capo non è più un semplice custode ma un consegnatario responsabile. Delle norme che hanno regolato o regolano le biblioteche italiane si tratta di proposito qui di seguito. In Francia alla legge del 1839, in cui si provvedeva al riordinamento della Nazionale, segui nel 1859 (e 1897) un atto legislativo per le comunali e nel 1878 (1880,1881) per le universitarie. In Austria ad un primo decreto regolamentare del 1798 segue il regolamento delle biblioteche pubbliche del 1825; nel Belgio ciò avvenne nel 1821 e nel 1837. Cfr. per l'Austria: F. Grassauer, Handbuch fùr österreichische Universitäts und Studien bibliotheken, Vienna 1883. Per la Francia: U. Robert, Recueil des lois concern les bioliothèques publiques, Parigi 1883; per le universitarie (decreto del 23 agosto 1879), e le comunali (decreto 1 luglio 1897), la Bibliothèque de l'École des Chartes, XI e la Revue des Bibliothèques, XII, con esposizione critica. Per il Belgio: M. Rudelsheim, Quelques mots sur l'organisation des bibl. publiques en Belgique, Bruxelles 1904. Per la Germania: Koch, Die Preussischen Universitäten, Berlino 1839-1840 (i regolamenti delle universitarie sono di epoca diversa: Königsberg 1822, Breslavia 1821, Halle 1823, Rostock 1840, Giessen 1844, Kiel 1848; indicazioni nell'Intelligenzblatt del Serapeum, V-VIII). Per l'Olanda: P. Vanrycke, Les bibl. universitaires hollandaises, in Revue des Bibliothèques, XIV. Per l'Inghilterra, oltre a E. Edwards, Memoirs of libraries, cit., II, 1859; cfr. C. Häberlin, Die englische Bibliotheksgesetzgebung, ecc., in Zentralblatt für Bibl., X. Per la biblioteca imperiale di Pietrogrado cfr. il Règlement intérieur de la Bibliothèque imperiale, in Revue Britannique, VI, p. 182 segg.
La legislazione precisa le funzioni del bibliotecario, impone la tenuta del doppio catalogo alfabetico e per materie e ristabilisce le norme di compilazione, quella del registro d'ingresso, del catalogo topografico, dei libri contabili, regola il prestito (a domicilio, fuori sede, internazionale), stabilisce le norme d'acquisto librario e dell'uso della dotazione dà le istruzioni per l'uso della sala di lettura in modo pressoché eguale in tutti gli stati.
Ma lo stato non si disinteressa neppure delle biblioteche pubbliche che non sono di sua proprietà. L'innovazione, venuta dall'America (1849), fu accolta subito dall'Inghilterra (1850,1855) con la fondazione delle Free public city libraries e poi dall'Olanda, dove sorse un'associazione centrale per sale pubbliche di lettura e biblioteche, che è legalmente riconosciuta come ente giuridico. Il principio dell'innovazione consiste nell'autorizzazione a prelevare una imposta proporzionale per la creazione di biblioteche pubbliche parastatali, che in America ed in Inghilterra è deferita alla Library authority, la quale adempie il suo compito mediante speciali uffici detti Boards of Library Commissioners e negli stati latini dell'America meridionale Junta económica administrativa. Ad essi è affidata la piena responsabilità amministrativa e finanziaria delle singole biblioteche, che qualche volta sottostanno al controllo diretto della Library authority. L'autonomia delle biblioteche pubbliche in America, dove questi istituti non sono legati ad una tradizione storica, ha dato occasione a innovazioni tecnico-amministrative forse poco adatte alle nostre biblioteche statali, provinciali e civiche.
(V. tavv. CCXXI-CCXXVIII).
Bibl.: Cfr. sulle free public libraries specialmente Y. D. Brown, Manual of library economy, Londra 1907; W. G. Fletcher, Public libraries in America, Boston 1894; N. D. C. Hodges, Notes on English Public Libraries, in Library Journal, XXVIII; I. A. Jewett, Notices of Public Libraries in United States of America, Washington 1850; G. B. Meyer, Amerikanische Bibliotheken und ihre Bestrebungen, Berlino 1906; Wolfstieg, Die Organisation des Bibliothekswesens in den Veereinigten Staaten von Nordamerika, in Zentralblatt für Bibliotheksw., XXII.
Informazioni bibliografiche sulle maggiori biblioteche sono riferite negli articoli informativi sulle singole città. Per le principali pubblicazioni sulla storia delle biblioteche nell'età moderna, oltre alle opere generali nella bibliografia delle biblioteche nel medioevo, v.: G. Biagi, Le biblioteche nel passato e nell'avvenire, in Rivista delle biblioteche, XVI; J. Willis Clark, The care of books. An essai on the development of libraries and their fitting from the earliest times to the end of the XVIIIth century, Cambridge 1901; E. Edwards, Libraries and founders of libraries, Londra 1865; E. Morel, Bibliothèques, Parigi 1909; F. Petit-Radel, Recherches sur les bibliothèques anciennes et modernes, Parigi 1919; E. A. Savage, The history of libraries and book-collecting, Londra 1909.
Per la storia delle biblioteche nei singoli stati: America latina: V. G. Quesada, Las bibliotecas europeas y algunas de la América latina, Buenos Aires 1877; Austria, Cecoslovacchia, Ungheria: J. Bohatta e M. Holzmann, Adressbuch der Bibliotheken der öster-unga. Monarchie, Vienna 1900; Belgio: I. Namour, Histoire des bibliothèques de la Belgique, Bruxelles 1840; Francia: Annuaire des bibliothèques et des archives publiée par le Ministère de l'instruction publique, Parigi 1866; J. Gautier, Nos biblioth. publ., Parigi 1902; G. Richou, L'administration des bibliothèques publiques, Parigi 1885; Germania: K. Dziatzko, Entwicklung und gegenwärtiger Stand des wissenschafltichen Bibliotheken Deutschlands, Lipsia 1893; Petzhold, Adressbuch der Bibliotheken Deutschalnds, Dresda 1875 (anche per l'Austria, la Cecoslovacchia e la Svizzera); Inghilterra: R. Juchhoff, Englische Bibliotheken, in Zentralblatt für Bibliotheksw., XLII; Beriah Botfield, Notes on the cathedral libraries of England, Londra 1849; E. Baker, The Public Library, 1922; Italia: K. Dziatzko, Eine REis durch die grösseren Bibliotheken Italiens, in Sammlung bibliothekswissenscahftlicher Arbeiten, VI; (G. Biagi), Le biblioteche governative italiane nel 1898, ROma 1900; L. Perotti, Dizionario statistico geografico delle biblioteche italiane, Cremona 1907; J. v. Pflugk-Harttung, Iter italicum, I: Archiven und Bibliotheken, Stoccarda 1883; Olanda: Niederländischen Bibliothekwesen, 1914; Portogallo: Annaes das bibliothecas e archivos, Lisbona 1920; Russia: E. Sparn, Las grandes bibliotecas de la Rusia Europea, Cordova 1925; Spagna: G. Valentinelli, Delle biblioteche della Spagna, in Sitzungsberichte Akad. Wissenschaften in Wien, XXXIII, iv; Stati Uniti: Public Libraries in the U. S.of America; their history, condition and management, Washington 1876; A. E. Bostwick, The American Public Library, New York 1910; H. Escher, Aus dem amerikanischen Bibliothekswesen, Tubinga 1923; Svezia; G. Eneström, Schwedische Bibliotheken, in Zentralblatt für Bibliotheksw., IV; Svizzera: G. Sacconi-Ricci, Una visita ad alcune biblioteche della Svizzera, della Germania e dell'Austria, Firenze 1893, in Rivista delle biblioteche, IV.
Ordinamento delle biblioteche.
Il sec. XIX con lo straordinario incremento della stampa, a cominciare dal giornalismo politico, scientifico, tecnico, con l'applicazione del diritto statale di stampa a sempre più larghi confini in favore delle principali biblioteche di stato, con le relazioni internazionali degli studî sempre più strette, vede le principali biblioteche pubbliche assurgere a proporzioni non mai prima raggiunte, e sorgerne di nuove. Si può dire che gli spazî in addietro sufficienti ad una rispettabile biblioteca, ora basteranno appena ai cataloghi dei nuovi grandiosi archivî del libro. Anche la funzione della biblioteca pubblica, specialmente nella seconda metà del secolo, si allarga e acquista nuovo carattere: non più soltanto agli studî di pochi essa deve servire, ma alla cultura di tutti. Di fronte a questa nuova esigenza le grandi biblioteche nazionali si rinnovano negli edifici e negli ordinamenti. Allora l'Italia, impegnata nei problemi della sua liberazione, e poi, del suo assestamento politico, non poté partecipare a questi progressi in un campo in cui, durante il Rinascimento, era stata iniziatrice. E forse le stesse grandi tradizioni, più che le altre condizioni storiche, furono di ostacolo al sorgere dell'istituto che i tempi moderni richiedevano. Non senza ragione i paesi in cui il tipo della biblioteca moderna poté meglio delinearsi furono quelli che non avevano vecchi istituti da conservare e tradizioni culturali da rispettare.
Dal campo di attività sempre più largo e complesso che la biblioteca moderna rappresenta e dai progressi dell'ordinamento tecnico, dell'edilizia e dell'arredamento i confini della dottrina ed esperienza necessaria al bibliotecario sono stati così ampliati da costituire un nuovo dominio, che si comprende nel nome di scienza delle biblioteche o biblioteconomia (si usano anche altri termini come bibliologia (v.), bibliotecnica, bibliotecografia, e altri ancora più o meno significativi).
Ma comunque si intitoli questa scienza o, meglio diremo senza affatto diminuirla, "pratica" delle biblioteche, il nucleo fondamentale resta pur sempre la bibliografia nel senso più lato; ossia la conoscenza del libro e l'arte di descriverlo, con tutte le nozioni sussidiarie: paleografia, storia della tipografia e dell'ornamentazione del libro (miniatura, incisione, legatura), storia dell'erudizione, ecc. Poi, e insieme, tutto ciò che giova alla migliore sistemazione delle raccolte, alla redazione dei loro repertorî o cataloghi nelle forme più appropriate alla funzione di ciascuna biblioteca: che non sarà mai biblioteca degna, né grande né piccola, se in chi la governa non è ben chiaro l'indirizzo delle sue collezioni e dell'uso pubblico cui esse devouo rispondere. E tanto più preciso e costante deve essere questo criterio, quanto più grande è la raccolta, e quanto più si sviluppa, spesso farraginosa e quasi sconfinata, la produzione libraria.
Di questo dominio della scienza delle biblioteche qui è possibile accennare solo alcuni punti fondamentali, sull'ordine delle raccolte e i loro repertorî (v. anche bibliografia, bibliofilia, catalogo, incisione, incunabolo, legatura, libro, manoscritto, miniatura, paleografia, tipografia).
Sede e distribuzione dei servizî. - Dal sec. XVII e dal XVIII la consuetudine edilizia delle principali collezioni librarie presenta, per i volumi e i lettori, una grande aula, quale vediamo ancora in più d'una delle nostre vecchie biblioteche (ad es., nell'Alessandrina di Roma, nella Riccardiana di Firenze, ecc.). Le alte pareti sono rivestite di scaffali con numerosi ordini di palchetti, e non sempre con reti che difendano i libri, né con ballatoi che agevolino l'accesso agli ordini superiori; in basso, i banchi per altri volumi e le tavole per i lettori. Si moltiplicano i ballatoi, si aumenta la superficie scaffalata sviluppando absidi e alcove; esempî, la vecchia biblioteca di Wolfenbüttel, Sainte-Geneviève di Parigi e, ancora nella prima metà del sec. XIX, la Peadbody di Baltimora. Maestose aule, ma grande spazio perduto; difficile riscaldarle per i lettori e dannoso il caldo che s'accumula in alto per gli ordini superiori dei volumi; non sempre ben regolata nemmeno la luce. Del 1816 è un piano di grande biblioteca pubblica, sempre da menzionarsi, che va col nome di Leopoldo Della Santa, addetto alla Magliabechiana di Firenze, ma che si crede fosse suggerito da Vincenzio Follini, bibliotecario di quella grande raccolta. In questo disegno, che fu pregiato e riprodotto anche fuori d'Italia (Molbech, Om offentlige Bibliotheker, Copenaghen 1829), vediamo una distribuzione razionale dei locali per la pubblica lettura, per l'amministrazione, e per i magazzini librarî. Del 1832-43 è il grande edifizio per la biblioteca reale di Monaco di Baviera, che segna anche un progresso. Fra il 1852 e il 1857, nell'occasione del rinnovamento della biblioteca del British Museum di Londra, un modello notevole viene disegnato da A. Panizzi, nobile patriota italiano e soprintendente di quel grande istituto. Egli nell'amplissimo cortile quadrato del museo creò una grandiosa sala di lettura, di forma circolare, con cupola, e, negli spazî residui del quadrato, magazzini con ballatoi, con passaggi da un ballatoio all'altro, con buona illuminazione, grazie a conveniente disposizione dei pozzi o vani per la luce dall'alto e agl'impiantiti traforati; raccordando il tutto con il fabbricato preesistente. Nella gran sala di m. 42 di diametro, alla periferia, sotto alle alte finestre, stanno tre zone di scaffali con due ballatoi (oltre 60.000 volumi), di cui la zoria inferiore comprende i libri di consultazione (20.000 volumi) alla portata dei lettori. Nel mezzo della sala, i cataloghi, anche disposti in banchi circolari; e dentro al doppio anello così costituito dal catalogo, il centro di distribuzione e sorveglianza, che per separato passaggio comunica con i magazzini librarî. Da quest'anello centrale si partono a raggiera i comodi banchi per 364 lettori.
Ulteriori perfezionamenti portati in Inghilterra, in Germania, negli Stati Uniti d'America, alla sempre più conveniente distribuzione delle corsie per i libri, e alla costruzione degli scaffali col sostituire generalmente al legno il ferro, hanno determinato un tipo ormai prevalente nella costruzione di grandi biblioteche, che si può riassumere in questo schema. Dopo l'atrio e la guardaroba, la maggiore sala di lettura pubblica, strettamente collegata con la sala dei cataloghi, col centro di distribuzione e restituzione e con l'ufficio del prestito a domicilio. Altre minori sale riservate a speciali letture e lettori (manoscritti, libri rari, riviste, ecc.), nonché alla consultazione. Anche nella sala maggiore, se già essa non comprende, come nel British Museum, la sezione consultiva, non deve mancare almeno un'adeguata dotazione dei vocabolarî più in uso, e di alcune enciclopedie. È poi di grande vantaggio alla rapidità del servizio, nonché alla conservazione degli esemplari migliori della biblioteca, che, in contatto immediato col centro dei cataloghi, sia una speciale sezione con abbondanti manuali e con altri testi, in edizioni scolastiche o non di lusso, trascelti, secondo l'esperienza della più comune lettura pubblica, per rispondere prontamente a molte richieste spicciole.
Possibilmente le sale pubbliche devono essere tutte a un medesimo piano. In altra parte saranno i locali per l'amministrazione, per il museo della biblioteca, ossia per l'esposizione de' suoi cimelî, per i manoscritti e per gli stampati rari, per altre raccolte che convenga tenere distinte dal resto dei magazzini librarî. I quali, nelle vecchie biblioteche che siano adattabili ai nuovi bisogni, si debbono svolgere in parte separata; e così le aule o corsie con carattere storico-artistico, che nessuno può certo pensare a eliminare, potranno con qualche miglioramento essere adoperate ad uso, appunto, di museo o di particolari raccolte.
All'ingiro delle sale pubbliche, e, in tutti i casi, collegati perfettamente col centro dei cataloghi, si trovano i magazzini librarî. Per essi, per i locali di servizio, e per i sistemi migliori di illuminazione, aerazione e riscaldamento, vedi più avanti il paragrafo Architettura. Qui è da ricordare il gabinetto fotografico, aiuto essenziale ad ogni ragguardevole raccolta di manoscritti e stampati antichi.
Ordine delle raccolte e repertorî. - Il libro ch'entra in biblioteca per acquisto, per dono, per scambio, per legge o per altro titolo, deve anzitutto venire iscritto in un registro d'ingresso dove, in serie unica, queste accessioni sono indicate con la loro data, con numero progressivo, col titolo sommario di ciascun'opera o parte (ma con sufficiente precisione per identificarlo) e col prezzo pagato, o attribuito. Il numero progressivo del registro d'ingresso, riportato con numeratore automatico sull'ultima pagina del libro, e insieme il bollo di proprietà della biblioteca, che s'imprime sul frontespizio e sopra una determinata pagina interna, inscrivono il nuovo libro nel patrimonio della biblioteca. Perché poi il libro possa prendere il suo debito posto negli scaffali, con la "segnatura" che corrisponde a quella collocazione, ed essere quindi pronto ad ogni riscontro amministrativo e ad ogni altra ricerca, bisogna che venga descritto in una scheda, con tutte le note tipografiche e bibliografiche che meglio lo identificano, premesso il nome dell'autore o altra parola d'ordine che vale a designarlo. Questa scheda è fondamento ai tre repertorî o cataloghi, indispensabili a ogni collezione bene ordinata: il topografico, l'alfabetico, il sistematico. Per le pubblicazioni continuative, sia di singole opere, o di collezioni o collane, sia di riviste e atti accademici, è anche necessaria una scheda amministrativa che segua il corso della pubblicazione, registrandone via via tutte le parti o dispense ricevute. Perciò queste pubblicazioni sino al loro compimento o cessazione vengono tenute distinte dalle altre.
Il catalogo o inventario topografico indica la serie delle opere, così come sono collocate in ciascuna sezione, in ciascuno scaffale e palchetto; e questo registro, a tutti i suoi effetti, è bene sia tenuto a volumi piuttosto che a schede. L'alfabetico e il sistematico possono essere tanto a schede quanto a volumi: oggi prevale, soprattutto per l'alfabetico, l'uso della scheda; una per ciascun'opera. Ma anche i cataloghi a volumi sono stati, con varî metodi, congegnati in modo da permettere, inserzioni di nuovi fogli là dove più bisogna ampliare o rinnovare. Le schede più largamente usate sono quelle di formato oblungo, di mm. 125 per 75, adottate dall'Istituto internaz. di bibliografia di Bruxelles. E, almeno nei cataloghi ad uso pubblico, devono essere assicurate alle loro cassette con perni metallici o con altro mezzo, perché i lettori non possano spostarle né estrarle. Le cassette, se di numero limitato, possono disporsi sopra un banco, e in questo cago essere più capaci, ossia lunghe cm. 50 e oltre; altrimenti raccolte in armadî a casellario, che, con economia di spazio, si costruiscono, al pari delle cassette, anche in ferro. I casellarî sono dotati di mensole o tavolette per le cassette che si consultano; e le cassette hanno, internamente, dei sostegni mobili per reggere le schede e graduarne lo spazio via via che se ne aggiungono di nuove; e sono guarnite all'esterno di comode e solide maniglie, di targhette con la numerazione progressiva e con tutte le necessarie indicazioni lessicografiche. In un casellario alto circa due metri, anche con zoccolo abbondante, resta sempre almeno un metro e mezzo di altezza utile e comoda ai consultatori per estrarre le cassette. Queste non devono essere troppo pesanti: per le schede di mm. 125 per 75 una cassetta larga all'interno cm. 13,5, alta cm. 9, lunga cm. 35 e piena (pur sempre col margine di spazio indispensabile a svolgere le schede) contiene più di un mezzo migliaio di schede, e in un mq. di casellario se ne collocano una cinquantina, quindi oltre 25.000 schede. Certo conviene che la carta delle schede non sia troppo grossa; basta che sia di salda fibra: non mai cartoncino di fragile pasta, che occupa troppo spazio.
Che l'ordinamento dei volumi sui palchetti non possa seguire senz'altro l'ordine di accessione, e nemmeno strettamente i varî soggetti delle opere, è evidente, sol che si pensi alla varia compagine delle pubblicazioni, in volumi, in opuscoli, in fogli; ai molteplici formati; e insieme agli svariati modi di pubblicazione: opere subito complete; altre pubblicate in continuazione ossia in serie, e non sempre consecutiva, di parti, di volumi, di dispense; altre periodicamente continuative come le riviste, gli atti accademici, ecc. L'ordinamento per classi di materie apparisce senza dubbio come il più razionalmente mnemonico e desiderabile per ogni campo di studî: lo vediamo perciò in uso già in molti antichi inventarî di biblioteche. Ma allora la suppellettile libraria era limitata. Quando, per ovvie ragioni, si affacciò e divenne sempre più grave il problema dello spazio, acquistò favore la collocazione per formati, grazie alla quale, disposti i volumi per filari d'identica altezza, tutta la superficie fra palchetto e palchetto viene interamente utilizzata. Questa collocazione si può tuttavia combinare con quella per materia, almeno dentro a larghe classi. Certo il più stretto ordinamento delle opere per materia negli scaffali, anche se non può evidentemente raggiungere la precisione che si può col catalogo sistematico, rappresenta sempre grandi vantaggi per il lettore, quando, s'intende, egli sia liberamente ammesso ai depositi librarî. E questo concetto oggi prevale, soprattutto nelle biblioteche americane che hanno conformato ad esso l'ordinamento interno dei loro depositi, o almeno della parte più viva di essi. Ma non dappertutto né la struttura degli edifizî né le ragioni di custodia e conservazione consentono, soprattutto alle maggiori biblioteche, quest'uso così interamente libero.
Per avvicinare, il più possibile, l'ordinamento dei volumi negli scaffali alla classificazione delle materie sono stati escogitati parecchi ingegnosi sistemi, che tengono conto insieme della materia e dei varî formati, del modo di pubblicazione, della forma delle opere (sono p. es. distinti i dizionarî dai periodici della medesima scienza), della ripartizione geografica e dell'ordine alfabetico degli autori. Così il catalogo topografico diventa il più largo catalogo metodico.
La segnatura, che nel sistema di collocazione per formato fissa definitivamente i libri agli scaffali, senza possibilità fra essi di nuove inserzioni, diventa ora, di necessità, relativa: relativa, cioè, agli altri volumi; e, pur rappresentando con un gruppo di simboli (lettere e numeri), il posto effettivo occupato dall'opera nello scaffale, consente che le pubblicazioni già esistenti e le nuovamente pervenute, di uno stesso argomento, stiano sempre riunite. Fra questi sistemi, nei quali il simbolo adoperato per la classificazione corrisponde alla posizione dell'opera negli scaffali, i più usati sono il sistema "decimale" del Dewey, l'"espansivo" del Cutter, e il "misto" della Library of Congress di Washington. Dei primi due si è fatto cenno, come di metodi di classificazione bibliografica dello scibile, alla voce bibliografia (per il secondo, v. specialmente classificazione decimale). Qui si dànno le linee fondamentali del terzo, che dipende in qualche modo da essi, ed è, dopo quello del Dewey, il più diffuso.
La Biblioteca del Congresso adopera per la classificazione e collocazione delle opere, lettere dell'alfabeto e numeri. Una o due lettere indicano le classi principali, disposte secondo l'ordine seguente: A) poligrafia; B) filosofia, religione; C-G) scienze storiche e antropologiche; H-K) scienze sociali, politiche e legislazione; L) educazione; M) musica; N) belle arti; P) lingua e letteratura; Q) scienza; R) medicina; S-T) agricoltura, industria e tecnologia; U) scienza militare; V) scienza navale; Z) bibliografia e scienza libraria. Per la divisione delle classi servono altre lettere, che si uniscono alle prime, e per le sezioni e sottosezioni, i numeri della serie da 1 a 9999. Nel caso di ulteriori divisioni delle classi si aggiunge una lettera a quelle già in uso. Per le sezioni e sottosezioni si provvede con i numeri della serie indicata non ancora adoperati, o facendo uso dei decimali.
Per la classificazione dei soggetti, nella divisione interna delle classi, si segue in generale l'ordine seguente: 1. Forma (dizionarî o periodici, ecc.); 2. Teoria e filosofia; 3. Storia; 4. Trattati e opere generali; 5. Leggi e regolamenti; 6. Studio e insegnamento; 7. Soggetti speciali.
In alcuni casi è osservato l'ordine cronologico; in altri lo sviluppo dal generale al particolare. Per i soggetti speciali, alla segnatura, già determinata dalla classe e sue divisioni, si aggiunge la lettera iniziale del nome del soggetto. Particolari tavole accompagnano le classi, che comportano divisioni geografiche, divisioni per nome d'autore e per le biografie. Ogni classe ha poi un indice alfabetico dei soggetti con riferimento ai numeri di classificazione. Altri numeri e altre lettere servono a distinguere fra loro i libri dello stesso soggetto e a ordinarli secondo il nome dell'autore, l'epoca della pubblicazione, l'edizione, il numero dei volumi. ecc. Il sistema nel suo complesso permette sviluppi larghissimi e molta precisione nel differenziare i più particolari soggetti; ma il servirsene non è agevole e richiede molta pratica ed esperienza bibliografica.
A proposito dei vantaggi e limiti di questi modi di collocazionecatalogazione sistematica giova infine ricordare che anche i vecchi sistemi di classificazione, pur con le loro radici in tradizioni filosofiche o erudite da molto tempo sorpassate, ben possono tornare utili al ricercatore moderno, e non difficilmente venir ricollegati con gli stessi sistemi più recenti e con le loro nomenclature. Nell'adoperare questi nuovi repertori bibliografici lo studioso avrà sempre presente che la rapida ricerca di un soggetto, a colpo, in qualsiasi più ingegnoso prontuario, può, sì, corrispondere a una prima necessità d'informazione, ma non basta quasi mai alle complesse esigenzê della ricerca scientifica. Chi voglia penetrare i rapporti delle cose deve, soprattutto educando in sé l'intuito bibliografico, guardare ben oltre i limiti di un solo catalogo o scaffale.
Le norme seguite dai bibliografi nelle singole biblioteche variano moltissimo anche per il catalogo generale alfabetico, che è quello in cui sono registrati in un unico ordine lessicografico nomi di autori e pseudonimi e titoli di opere anonime. Per esso, e per gli altri cataloghi di una biblioteca e per i modi di catalogazione, v. catalogo. Qui è da riconoscersi la necessità che le regole del catalogo alfabetico si vengario sempre più uniformando, almeno per le biblioteche di ciascuno stato. Dove la tradizione di vecchi cataloghi contrasti in parte al pronto adempimento di questo desiderato, sarà necessario che le più essenziali particolarità di ciascuno, con opportuui richiami nei luoghi più adatti e con avvertenze ben visibili, vengano fatte presenti ai lettori. E nella sala dei cataloghi, e tanto più in una guida a stampa, non deve mancare l'indice descrittivo dei varî repertorî in uso, tanto dei cataloghi generali della biblioteca, quanto dei particolari inventarî e cataloghi illustrativi, di mss., d 'incunaboli, di carte geografiche, ecc
Grande sussidio ai cataloghi di ciascuna biblioteca e ad ogni ordine di ricerche è una buona sala o sezione di consultazione, che raccolga in ordine sistematico di materie (che qui deve prevalere su ogni altro) i principali repertorî bibliografici a stampa relativi all'indirizzo e agli studî di ciascun istituto, e sia dotata di proprî cataloghi. La biblioteca di consultazione, perché sia strumento efficace, dev'essere ben proporzionata; e, piuttosto che troppo ricca, scelta con gran cura, comprendendo non solo opere propriamente bibliografiche ed enciclopedie e dizionarî e prontuarî per ciascun ramo che vi si voglia rappresentare, ma anche singole monografie fondamentali, con preferenza per quelle fornite di buoni indici; e così gl'indici di grandi riviste e d'importanti serie o di corpi di scrittori e documenti; e lessici e "concordanze" di testi famosi, e biografie generali e special-. Dove lo consenta lo spazio, e soprattutto per gli studi storici, non mancheranno anche gli stessi corpi principali di documenti, ossia di fonti. Una sezione a sé di bibliografia generale rappresenterb la storia esterna del libro; i repertorî bibliografici nazionali, antichi e in corso, le monografie sulle principali biblioteche, i principali cataloghi a stampa di manoscritti, d'incunaboli, ecc., le storie della tipografia, degli editori, di tutte le arti illustrative del libro, i più notevoli cataloghi di vendite antiquarie, ecc.
Presentemente, tutti o quasi gli stati culti esigono in varie forme l'invio di un esemplare di ogni pubblicazione che veda in essi la luce; e radunano e conservano questi che si chiamano esemplari d'obbligo, di stato, in sedi centrali o regionali, in servigio e a documento della cultura e della storia nazionale; con vantaggio anche delle ragioni di proprietà letteraria e intellettuale, che in molti casi possono da questi depositi avere preziose testimonianze altrimenti irreperibili. Per l'origine del cosiddetto "diritto di stampa" e per la relativa legislazione nei varî stati, v. esemplari d'obbligo. Qui è solo da ricordare che una parte dell'attuale produzione tipografico-libraria, che per diritto di stampa o altrimenti perviene alle biblioteche, può e deve avere ordinamento soltanto archivistico, sia per non ingombrare i cataloghi, sia perché è anche più facile disporla in più semplici raggruppamenti, e perché alla sua conservazione conviene e basta un trattamento diverso da quello delle più alte categorie librarie. Ecco, ad es., alcuni gruppi da archiviare: atti e bollettini di amministrazioni centrali, provinciali, comunali; almanacchi, annuarî popolari, calendarî e orarî; avvisi murali; biografie minori, necrologie; cataloghi industriali; letture elementari, letture religiose; libretti e fogli d'educazione, di propaganda sociale e politica; memorie legali; rendiconti e statuti di istituti e società di beneficenza, commercio, industria; storie popolari, ossia fogli volanti per il popolo, ecc. Non è difficile fissare con sigle e numeri questi e analoghi gruppi, e tenerli in buon ordine per luoghi e anni, dotandoli, con gli stessi elementi, di un repertorio, e conservando gli esemplari generalmente in pacchi. In breve queste collezioni possono diventare, e diventano, preziose, appunto perché in generale sono stampati che vanno rapidamente dispersi e distrutti: il pregio in cui sono oggi, ad es., certi foglietti popolari anche di pochi decennî fa, e le raccolte degli stampati minori della guerra mondiale, mostrano l'importanza che acquistano in breve questi documenti, al loro primo apparire affatto negletti.
La produzione tipografico-libraria sempre più copiosa, e il suo accentramento, sono causa frequente di angustia di spazio, soprattutto nei maggiori depositi. Ma il problema dello spazio, che si presenta non di rado anche nelle biblioteche minori, non si deve risolvere con piccoli improvvisati ripieghi, come serrar troppo le file dei volumi nel palchetto, raddoppiarle, tentare scelte e surrogazioni singole e collocazioni provvisorie; ripieghi che danneggiano sempre l'ordinamento preesistente, senza portare sensibile vantaggio, resultando da ultimo, quando si è costretti a rimediarvi, più laboriosi che non gli sfollamenti e spostamenti di linea più larga. Questi, se predisposti in tempo, per sezioni già bene ordinate, con accurata misurazione degli spazî vecchi e dei nuovi, son forse meno gravi di quel che generalmente si crede; purché, s'intende, nessuno presuma di complicarli con selezioni o altre innovazioni durante il trasporto. Condizione essenziale alla buona riuscita di ogni tramutamento è che non si turbino in alcun modo le serie nel loro passaggio da una ad altra sede: poi, compiuta la traslazione, si potranno fare i miglioramenti che si desiderano. Non mancano ragguagli particolari di grandi traslazioni di biblioteche, compiuti così, felicemente e rapidamente.
Ricordiamo qui che un metro lineare di palchetto è capace di una trentina di volumi di formato medio, che in un mq. di parete scaffalata si possono computare, per questi formati, tre abbondanti palchetti, ossia un centinaio di volumi. Per il trasporto, un'asse o palchetto, in funzione di reggilibri, ossia con due solide fiancate e le loro maniglie, lungo cm. 90, largo 50, e quindi capace di m. 1,50 di volumi in quarto piccolo o in ottavo (e di assai più, per formati minori), si presta abbastanza bene, collocato che sia sopra una barella, o sopra un vagoncino; e questi reggilibri, numerati e incasellati ordinatamente nei furgoni, permettono il trasporto senza che si verifichi alcuno spostamento dell'ordine dei volumi.
Quanto è stato detto sin qui, se anche si riferisce anzitutto alle maggiori biblioteche, vale naturalmente, con i debiti adattamenti alle varie proporzioni e al diverso uso pubblico, per le altre minori più speciali raccolte; e anzitutto per le biblioteche universitarie e per quelle di accademie, d'istituti di cultura superiore, e simili. Le norme fondamentali d'ordine sono evidentemente indispensabili anche nelle raccolte più modeste o più popolari, come quelle per le scuole medie ed elementari, per altri istituti e circoli educativi e ricreativi, per i militari, per le officine, per gli ospedali e i convalescenziarî, ecc.
Ufficio del bibliotecario. - Di Antonio Magliabechi, formando il suo anagramma, fu detto Is unus bibliotheca magna; e in lode di altri eruditissimi si è ripetuto spesso ch'erano "una biblioteca vivente". Ma oggi non sarebbe questo un vanto ragionevole per il bibliotecario; ché male egli spenderebbe la sua memoria, anche se straordinariamente dotata, nel gareggiare coi prontuarî ormai copiosi che possediamo per ogni ordine di studî. Ben più utile e vasto campo egli ha, esercitando la mente a una funzione collegatrice, ordinatrice, in pro' delle sue raccolte e degli studî; così la sua dottrina ed esperienza può andare ben oltre i limiti dei singoli prontuarî e repertorî bibliografici, e diventar utile, nei più svariati campi, anche agli studiosi più dotti e meglio informati. Certo occorre perciò al bibliotecario non solo buona memoria versatile, non meccanica, non di soli frontispizî; ma larga cultura, conoscenza delle principali lingue, spirito alacremente osservatore; e molto gli giova anche l'esperienza diretta in qualsiasi campo particolare d'indagini, soprattutto storiche, donde siano mossi i suoi primi studî, pur se questa sua professione molto spesso gl'impedisce di proseguirli a proprio vantaggio. Perché egli deve tuttavia conservare la vivace curiosità del ricercatore, l'intuito per orientarsi subito, per valutare il carattere e l'orbita di ciascuna opera e il suo rapporto con le opere affini; il senso, insomma, dei raggruppamenti bibliografici, anche di quelli che via via si vengono delineando per nuovi campi dell'attività umana, anche per le classi di stampati più umili e in apparenza più confuse. E insieme, deve aver sempre innanzi a sé chiaro l'indirizzo cui sono destinate a rispondere le sue raccolte, piccole o grandi che siano; e a questi limiti tener fede, anche se non di rado e da più parti gli vengono consigli o stimoli a uscirne; senza pedanteria, ma saldo in questo e in ogni altro criterio ordinatore, poiché in questi istituti molto più vale la costante e sempre conseguente opera quotidiana, che non il rapido riformare.
Solo da questa non facile disciplina mentale il bibliotecario potrà ritrarre forza, autorità, conforto nell'esercizio del suo ufficio, che non sempre gli permette di assecondare i desiderî spesso unilaterali degli studiosi, sia per l'incremento, sia per l'uso pubblico delle raccolte. E a sé stesso per primo egli deve negare non poche soddisfazioni, che hanno, a cominciar da quella dei loro particolari studî, altri eruditi, bibliografi, collezionisti. Bibliografo certamente e bibliofilo anch'egli (non mai bibliomane); collezionista, ma con più largo orizzonte, con la continua visione del vario valore intrinseco e bibliografico delle opere, con riguardo non solo alle attuali correnti scientifiche e artistiche, e alle varie mode esteriori, ma alle vicende, ossia alla vita futura del libro, che può anche capovolgerne il pregio. Egli dev'essere ragionevole conservatore e insieme cauto rinnovatore; sempre geloso dei suoi vecchi cataloghi e repertorî, anche se li abbia egli stesso rinnovati e migliorati; e così di tutti i segni delle antiche provenienze dei suoi volumi, badando che nel rilegarli, nel restaurarli, non si perdano. Abbonderà di ex libris per ricordo dei doni e dei lasciti, per stimolo a nuove offerte; ma sarà anche cauto nell'accettare certi doni o legati, soprattutto se di carattere troppo estraneo all'indirizzo della biblioteca; ad ogni modo cercherà di evitare i vincoli che possono renderli più onerosi che utili. Dei doppioni pregevoli, che spesso risultano dai vecchi fondi, avrà presente sempre un preciso indice; ma anche qui procedendo con tutte le cautele necessarie prima di dichiararli duplicati disponibili, e preferendo, quando possa liberamente disporne, di combinare qualche buono scambio con altre biblioteche pubbliche, al metterli in commercio. E vigilerà sempre, affinché negli acquisti moderni si evitino doppioni; e non solo i veri e propri duplicati bibliografici, ma anche inutili ripetizioni delle stesse opere, che non difficilmente possono insinuarsi sotto il titolo, spesso fallace, di nuove e migliorate edizioni, o per via di estratti, e di altri rimaneggiamenti, frequenti soprattutto nelle grandi serie, nelle opere illustrate, con testo in varie lingue, ecc. Solo seguendo attentamente i cataloghi della produzione moderna e dell'antiquaria, e sapendo così cogliere le occasioni che abbondano nel mercato librario, egli potrà spendere con pieno vantaggio i mezzi di cui dispone: la dotazione della biblioteca, anche se larga, non sarà mai sovrabbondante, quando oltre ai libri desiderati, attuali, segnati da lui o consigliati da studiosi autorevoli (ma sempre da lui vagliati), egli tenga presenti le vecchie serie imperfette. Altrettanto si dica per la rilegatura, che vuol essere il più possibile estesa; sempre solida e decorosa, ma non mai con troppo dispendio nei fregi esteriori.
L'ufficio del bibliotecario si è affermato ormai dovunque come professione a sé, il cui esercizio richiede continua e molto varia operosità. Perciò la vecchia tradizione di considerarlo come un incarico quasi secondario, da potersi affidare a studiosi o insegnanti che abbiano anche altri impegni, si è generalmente chiusa, almeno per le grandi biblioteche, e anche per le universitarie. Per le biblioteche delle scuole minori e per le popolari bisogna tuttavia che chi ne assume la direzione abbia almeno qualche buona cognizione bibliotecnica, e la cultura necessaria ad esercitare insieme quella funzione educatrice che in esse è, se mai altrove, essenziale.
Bibl.: In generale: indicazioni copiosissime corredano il Gräsel, Handbuch der Bibliothekslehre, 2ª ed., Lipsia 1902 (trad. nella 1ª ed. anche in italiano da A. Capra, Torino 1893); indicazioni che sono da aggiornare con i volumi della Bibliogr. des Bibliotheks- u. Buchwesens, pubbl. dal 1905 al 1912 come Beihefte des Zentralblatts f. Bibliothekswesen, e con la Bibliography of Library Economy, ed. a cura di H. C. Canons dall'American Library Association (A. L. A.), Chicago 1927, comprendente le pubblicazioni periodiche dal 1876 al 1920. Dei trattati anteriori al Gräsel, ebbero efficacia nel progresso delle cognizioni tecniche e nella formazione dei bibliotecarî durante il sec. XIX: F. A. Ebert, Über offëntliche Bibliotheken, besonders deutsche Universitätsbiliotheken u. Vorschläge zu einer zweckmässigen Einrichtung derselben, Friburgo 1811; M. Schrettinger, Versuch eines vollständigen Lehrbuches der Bibliothekswissenschaft, Monaco 1808-1829; C. Molbech, Om offentlige Bibliotheker, Bibliothekarer og det man har kaldet Bibliotheksvidenskab, 1829; trad. sulla 2ª ed. danese in ted. di H. Ratjen, Lipsia 1833; E. Zoller, Die Bibliothekswissenschaft im Umrisse, Stoccarda 1846; J. Petzholdt, Katechismus der Bibliothekenlehre, Lipsia 1856 (di cui la prima edizione del manaule del Gräsel è un rifacimento, e che fu anche tradotto in italiano, con un appendice, da G. Biagi e G. Fumagalli, Milano 1894); E. Edwards, Memoirs of Libraries, including a Handbook of Library Economy, voll. 2, Londra 1859; id., Free town Libraries, their formation, management and history in Britain, France, Germany a. America, Londra 1869; la raccolta di monografie pubblicate dal Bureau of Education degli Stati Uniti: Public LIbraries in the U. S. of America, a cura di S. R. Warren e S. N. Clark, Washington 1876. Anche gli Italiani parteciparono al lavoro di sistemazione dell enorme bibliotecniche; v. Paciaudi, Il bibliotecario diretto nel formare, classare e continuare una pubblica biblioteca; memoria intorno alla Biblioteca Palatina di Parma, in Giorn. lett. (1785); ristampato nel 1815 coi tipi del Bodoni, e poi ancora in Roma 1863; D. Rossetti, Saggio di Bibliotecnia, Trieste 1832; T. Gar, Letture di bibliologia fatte nella R. Università di Napoli nel 1865, Torino 1868; G. Bonazzi, Dell'ordinamento delle Biblioteche, Parma 1889; e altri scritti registrati nell'edizione italiana del Petzholdt, p. 280 segg. e in G. Fumagalli, La bibliografia, Roma 1923. - Le trattazioni più notevoi posteriori alla seconda edizione del Gräsel sono: J. W. Clark, The care of books. An essay on the developpement of libraries and their fittings, 3ª ed., Cambridge 1909; G. Fumagalli, Biblioteche e cataloghi (cap. V del vol. bibliografia, 3ª ed. rifatta ed ampliata del Manuale di G. Ottino, Milano1916); J. D. Brown, Manual of Library Economy, memorial ed., rev. by W. C. Berwick Sayers, Grafton 1920; Gardthausen, Handbuch der wissenschaftlichen Bibliothekskunde, Lipsia 1920; P. Otlet e L. Wouters, Manuel de la bibliothèque publique, Bruxelles 1923; J. van Meel, Bibliothèques publiques, Anversa 1924; G. Bruni, La biblioteca moderna, Roma 1929.
Periodici: Le riviste spente sono elencate in Gräsel, p. 20 e segg. Le questioni bibliotecniche si seguono particolarmente sulle seguenti: Library Journal. Official organ of the American Library Ass. (dal 1876); Zentralblatt für Bibliothekswesen (dal 1884; e dal 1888 Beihefte); Rivista delle Biblioteche (dal 1888 al 1926); Revue des Bibliothèques (dal 1891).
Costituisce nella stessa varietà un corpo organico di monografie bibliotecniche la Sammlung Bibliothekswissenschaftlichen Arbeiten, iniziata nel 1887 da K. Dziatzko. Sono pure da ricordare qui per il loro contenuto miscellaneo il volume di Aufsätze Fr. Milkau gewidmet, Lipsia 1921 (29 studî sull'organizzazione e sulla storia delle biblioteche), e il vol. prevalentemente storico Biblioteche ed Archivio Vaticano. Biblioteche diverse, quinto della Miscellanea Ehrle, Roma 1924.
Atti di congressi: Gli atti della riunione di Parigi, del 1923, sono pubblicati in Congrès International des Bibliothécaires et des Bibliophiles tenu du 3 au 9 avril 1923. Procès verbaux et mémoires, pubbl. a cura di F. Mazerolle e Ch. Morlet, Parigi 1925. Del congresso mondiale di biblioteche e di bibliografia riunitosi in Roma dal 15 al 30 giugno 1929, notizie, in attesa della pubblicazione degli atti, son in Accademie e Biblioteche d'Italia, II (1929); III (1930).
Collocazione sistematica dei libri (sulla classificazione per materie v. bibliografia; classificazione decimale): oltre ai già indicati manuali di biblioteconomia, v.: G. Fumagalli, Della collocazione dei libri nelle pubbliche biblioteche, Firenze 1890; G. Bonazzi, Schema di catalogo sistematico per le biblioteche, Parma 1890; J. D. Brown, Manual of library classification, Londra 1898; E. C. Richardson, CLassification theorical and practical, New York 1912; W.C. Berwick Sayers, A manual of classification for librarians and bibliographers, Londra 1926; G. Bruni, La biblioteca moderna, cit., p. 73 segg., di cui ci siamo valsi. Sui tre sistemi americani, che hanno dato luogo a una ricca letteratura, basterà indicare i rispettivi testi: Melvil Dewey, Decimal classification, 1927, su precedenti edizioni rielaborato dall'Institut international de bibliographie di Bruxelles: Manuel du Répertoire biobibliographique Universel, Bruxelles 1905; id., id., traduz. italana a cura di V. Benedetti, Firenze 1897; C.A. Cutter, Expansive Classification, Boston 1891-93, 1926; U. S. Library of Congress Classification, Washington 1901.
Catalogazione (v. catalogo): Si registrano qui soltanto alcune opere con le quali si è cercato anche ufficialmente, di uniformare le regole del catalogo alfabetico, almeno per le biblioteche dei singoli paesi. Italia: G. Fumagalli, Cataloghi di biblioteche e indici bibliografici, Firenze 1887; Società bibliografica Italiana, Progetto di norme uniche per la compilazione dei cataloghi alfabetici, Pavia 1901; Ministero della pubblica istruzione, Regole per la compilazione del catalogo alfabetico, Roma 1922. - Francia: L. Delisle, Instructions élémentaires ete techniques pour la mise et le maintien en ordre des livres d'une bibliothèque, 4ª ed., Parigi 1910; Ledos, Usages suivis dans la rédaction du Catalogue général des livres imprimés de la Bibliothèque nationale, Parigi 1923. - Germania: C. Dziatzko, Instruktion für die Ordnung der Titel im alphabetischen Zettelkatalog der Königl. u. Universitäts-Bibliothek zu Breslau, Berlino 1886, trad. italiana a cura di A. Bruschi, Firenze 1887; Instruktionen für die alphabetischen Kataloge des preussischen Bibliotheken und für den preussischen Gesamtkatalog, Berlino 1899. - Inghilterra: Rules for compiling the catalogues in the department of printed books in the British Museum, Londra 1900. - Stati Uniti: Smithsonian Report, On the construction of catalogues of librairies and their publication, a cura di Ch. C. Jewett, Washington 1853, traduzione ital. di G. Biagi, Firenze 1888; Ch. A. Cutter, Rules for a printed dictionary catalogue, in Public Librairies in the U. S. of America, 1876 (ristampato in seguito più volte: 4ª ed., Washington 1904); American and British Library Association, Catalogue rules. Author and title entries, Chicago 1908.
Singole biblioteche. - Le biblioteche più notevoli sono menzionate tra gli istituti di cultura sotto il nome dei singoli stati e descritte storicamente sotto i nomi delle città che ne sono sede, salvo che abbiano, per tradizione, una loro individualità, o siano legate al ricordo d'un raccoglitore o di uno studioso; nel qual caso hanno una voce a sé (v. per es. le voci: ambrosiana; bodley, sir thomas; berlino; bobbio; fulda; montecassino; parigi; vaticana e così via). Nella bibliografia della storia moderna delle biblioteche, si sono indicate, per ogni stato, le fonti principali d'informazione. Un elenco degli istituti di qualche importanza, in tutto il mondo, con dati statistici e principali caratteristiche, è offerto dai due annuarî: Minerva-Jahrbuch der Gelehrten Welt (Berlino e Lipsia); Index Generalis. Annuaire général des Universités ecc., pubblicato sotto la direzione di R. de Montessus de Ballore, Parigi. Come supplemento al Minerva-Jahrbuch si è iniziata una raccolta di Minerva-Handbücher di cui il primo pubblicato è: Die Bibliotheken, ed. da D. A. Praesent, Berlino 1927. Intorno alle biblioteche italiane, notizie storiche, nell'Annuario degli istituti scientifici italiani, diretto da S. Pivano, II, Bologna-Roma 1920, e in: Consiglio nazionale delle ricerche, Enti culturali italiani, Bologna 1929, 2 voll.; cfr. anche, ma per la semplice elencazione, L. Perotti, Dizionario statistico-geografico delle biblioteche italiane, Cremona 1907, e l'Elenco delle biblioteche italiane a cura dell'Associazione Editoriale Libraria, Milano 1926. Le biblioteche statali hanno ciascuna una monografia illustrativa nel volume Le biblioteche governative italiane nel 1898, Roma 1900. Su tutte le biblioteche italiane, sulla loro storia, sui loro cataloghi a stampa, ricchissime indicazioni bibliografiche, disposte per ordine geografico, sono nella Bibliotheca Bibliographica Italica di Ottino e Fumagalli, Firenze 1889, 1895, I, p. 213 segg.; II, pp. 137 segg., e suppl. 1895-96. Suppl. a cura di E. Calvi, 3°, 1901, p. 25 segg.; 4°, 1902, p. 29 segg.; ed ora anche, con necessaria scelta, nell'utile volumetto di G. Fumagalli, La bibliografia cit., 1923. Opportuno intendimento è quello della Direzione generale delel biblioteche, di pubblicare nei suoi Annali, come già ha cominciato a fare, l'elenco completo dei cataloghi, anche mss. così delle biblioteche pubbliche governative, come di quelle dipendenti da altri enti che abbiano pregevoli raccolte e regolare ordinamento. Si veda: Accademia e biblioteche d'Italia (1927-28), n. 2 e segg. Con questi contributi si verrà a formare una guida alle biblioteche italiane, di grande aiuto nelle ricerche e utile anche a mettere in evidenza fondi poco conosciuti o del tutto ignorati.
Le biblioteche nell'amministrazione italiana.
La natura del diritto che ciascun cittadino ha di giovarsi delle biblioteche pubbliche, secondo il giudizio di S. Romano (Principî di diritto amministrativo italiano) non sembra in nulla dissimile dalla natura degli altri diritti a pubbliche prestazioni. Secondo una teoria diffusa, ma forse inesatta, la biblioteca si dovrebbe considerare come una unità di cose demaniali, e da ciò deriverebbe il diritto di giovarsene. Più correttamente è da ritenersi che, in quanto la si consideri come un bene, la biblioteca rientri nella categoria del patrimonio indisponibile dell'ente cui appartiene; mentre è da considerarsi come un pubblico istituto, in quanto il suo uso cade in valutazione da parte della generalità dei cittadini.
Il diritto di esservi ammesso, secondo il Romano, riveste quindi carattere personale e il suo esercizio viene ad attribuire all'amministrazione dei poteri di supremazia e, più specialmente, disciplinari. Ogni biblioteca potrà così stabilire delle norme, a seconda delle sue condizioni e dei suoi bisogni, che il pubblico ha l'obbligo di osservare per il retto funzionamento del servizio; è perciò passibile di espulsione temporanea o definitiva chiunque ne violi la disciplina e ne turbi la quiete. Le prestazioni che le biblioteche pubbliche rendono sono gratuite e consistono principalmente nel prestito dei libri o dei manoscritti, così entro la biblioteca come fuori di essa. Al primo ha diritto soltanto chi abbia oltrepassato il 18° anno di età e ne faccia volta per volta richiesta scritta e firmata; il diritto a questa forma di prestito - pubblica lettura - è limitato, quanto al genere delle opere, da speciali disposizioni. Il prestito fuori di biblioteca è locale se fatto a persona o istituto della città ove la biblioteca risiede, è esterno quando è fatto a biblioteche o a istituti di altre città del regno, è internazionale quando si effettua con biblioteche e istituti stranieri. Alcune biblioteche pubbliche godono di una personalità giuridica, altre invece non sono che istituti appartenenti allo stato, al comune, alla provincia, e anche ad enti istituzionali (accademie, università libere, ecc.). Di qui la conseguenza che esse sono rette ora da regolamenti proprî, ora da regolamenti dell'amministrazione cui si ricollegano. E però da osservare che alcune biblioteche, pure godendo di autarchia ai fini specialmente della loro gestione patrimoniale, possono considerarsi come governative per quanto riguarda il servizio pubblico che rendono.
A differenza di altri stati, l'Italia ha disciplinato con una legislazione uniforme le pubbliche biblioteche governative, ponendole alla diretta dipendenza del Ministero dell'educazione nazionale. E l'uniformità di ordinamenti le rende meglio aderenti alla necessità della cultura. Sono esse trentadue, e assumono diverse denominazioni a seconda delle loro origini, del loro carattere, delle loro funzioni. Sono chiamate "Nazionali" le biblioteche che, prima dell'unificazione del Regno, avevano sede nelle capitali dei maggiori antichi stati (Torino, Milano, Venezia, Firenze, Napoli, Palermo) e quella di nuova fondazione in Roma. Alle due Nazionali di Roma e Firenze è stata attribuita la qualifica di Centrali, come a quelle cui è fatto obbligo di raccogliere e conservare tutto ciò che si pubblica in Italia e che esse ricevono in virtù della legge sulla stampa, di arricchire le loro raccolte bibliografiche per modo da rappresentare compiutamente la storia del pensiero italiano, di curare l'acquisto delle più importanti opere straniere che illustrino l'Italia nella sua storia e nella sua cultura e di rappresentare per quanto è possibile, nella sua continuità e generalità, anche la cultura straniera. Organo centrale amministrativo delle hiblioteche pubbliche è la Direzione Generale delle Accademie e Biblioteche presso il Ministero dell'educazione nazionale, istituita con regio decreto 7 giugno 1926, n. 944: prima d'allora le biblioteche erano alla dipendenza della Direzione generale dell'istruzione superiore. L'avvenuto distacco amministrativo delle biblioteche, i cui compiti si differenziano così profondamente da quelli degli altri istituti egualmente dipendenti dallo stesso ministero, in una direzione a sé, è stato provvedimento fecondo di benefici risultati. Corpo tecnico consultivo della nuova direzione generale è la Commissione centrale per le biblioteche, composta di sette membri sotto la presidenza del ministro, creata con r. decreto 13 agosto 1926, n. 1613. Mediante altro provvedimento, r. decreto 7 giugno 1926, n. 944, veniva istituita la funzione ispettiva con la nomina di cinque ispettori superiori, tre bibliografici, scelti fra i funzionarî di grado più elevato del ruolo delle biblioteche, due amministrativi, facenti parte del personale del ministero.
A integrare l'opera dello stato con l'esercizio della tutela sulle raccolte bibliografiche che non sono alla sua diretta dipendenza e delle quali è ricco il paese, mira l'istituzione delle Soprintendenze bibliografiche create con r. decreto 2 ottobre 1919, n. 2074. Sono esse in numero di dodici, con giurisdizione regionale e con sede presso la biblioteca pubblica governativa maggiore del capoluogo, i cui direttori sono investiti della funzione di soprintendente. Essi agiscono direttamente e per mezzo degli ispettori bibliografici onorarî, nominati in virtù dei regi decreti 27 settembre 1923, n. 2320, e 13 agosto 1926, n. 1613. Compito principale delle soprintendenze è quello della tutela del patrimonio bibliografico nazionale, appartenga esso allo stato, o a comuni, provincie, istituti pubblici, civili ed ecclesiastici (fabbricerie, confraternite, capitoli, parrocchie, ecc.) e ad altri corpi morali legalmente riconosciuti, nonché a privati, a norma della legge 20 giugno 1909, n. 364 e successivo regolamento 30 gennaio 1913, n. 363. Gli ispettori onorarî, in numero di circa 400, costituiscono una rete di vigilanza in tutto il paese e coadiuvano i soprintendenti, a norma delle istruzioni impartite con circolare del 12 giugno 1928.
Dalla unificazione del regno fino al 1876 le biblioteche pubbliche governative furono rette dai vecchi ordinamenti particolari aventi le loro origini nella legislazione degli antichi stati. Una prima disposizione del nuovo regno che riguarda l'insieme delle biblioteche pubbliche, divenute proprietà dello stato, rimonta al 20 luglio 1869: con regio decreto di tale data veniva costituita una commissione con l'incarico di studiarne l'ordinamento generale, e con altro r. decreto del settembre successivo, nn. 5368, il governo ne accoglieva le conclusioni. Venivano così costituite due classi di biblioteche governative; la prima, di quelle destinate a conservare il loro carattere generale; la seconda, delle altre aventi carattere e funzione speciali. Questa disposizione, abolita nel 1873, veniva ripristinata nel 1876, con r. decreto n. 2974, ma con criterî un poco mutati: la prima classe comprendeva le biblioteche governative che già di per sé formavano un istituto autonomo; la seconda le biblioteche che servivano ad altro istituto. Con r. decreto del 30 gennaio 1876, n. 2979, essendo ministro dell'Istruzione pubblica Ruggero Bonghi, veniva promulgato un primo regolamento organico inteso a promuovere l'unificazione degli ordinamenti, dei servizî e del personale delle biblioteche pubbliche governative.
Il r. decreto 28 ottobre 1885, n. 3464, serie 3ª, provvide finalmente a dare un ordinamento uniforme e un assetto definitivo alle biblioteche: tale decreto va considerato come la nuova carta statutaria delle biblioteche italiane.
Nel corso degli anni il primo regolamento generale subì varie modificazioni, suggerite dagli accresciuti bisogni della cultura e dal conseguente estendersi dell'uso pubblico delle biblioteche, sino a quando, con r. decreto del 24 ottobre 1907, n. 733, venne sostituito dall'altro oggi in vigore, al quale portava qualche variazione il r. decreto del 2 maggio 1909,n. 450.
Il regolamento del prestito dei libri e dei manoscrittì che oggi è vigente, porta la data del 2 ottobre 1922,r. decreto n. 1557, in parte modificato con r. decreto 14 giugno 1923, n. 1470; altre modificazioni venivano apportate con l'altro del 7 gennaio 1909, n. 126, riguardante l'uso e la riproduzione dei cimelî e dei manoscritti.
Nell'intento d'uniformare sempre più i servizî delle biblioteche pubbliche governative, un'apposita commissione approntava un codice di norme per la compilazione del catalogo alfabetico; tali regole di catalogazione venivano rese obbligatorie con decreto ministeriale dell'11 giugno 1921.
Nel 1909, con r. decreto del 1° aprile, n. 223, il ministero provvedeva alla promulgazione di un breve regolamento di massima per le biblioteche governative speciali non aperte al pubblico. Per esso, le biblioteche annesse agl'istituti d'insegnamento superiore, agl'istituti e corpi scientifici e letterarî, agl'istituti di belle arti, ai regi conservatorî e istituti musicali, alle gallerie e ai musei, ai regi istituti d'istruzione media, sono considerate completamente indipendenti dalla locale biblioteca governativa e retti secondo gli ordinamenti proprî dei singoli istituti cui appartengono. Altre biblioteche di proprietà dello stato, ma non aperte all'uso pubblico, sono governate da singole disposizioni speciali; tali le biblioteche del senato e della camera dei deputati, dei varî ministeri, del consiglio di stato, dell'avvocatura erariale, degli archivî di stato, le biblioteche militari, carcerarie, ecc.
Per ciò che si riferisce alla loro gestione finanziaria, le biblioteche pubbliche governative, come gli altri uffici statali, debbono seguire le norme dettate dalla legge per la contabilità generale dello stato e dal relativo regolamento. Ma la custodia e la conservazione del materiale bibliografico sono governate dallo speciale regolamento 6 agosto 1927, n. 1917, sulla custodia, conservazione e contabilità del materiale artistico, archeologico, bibliografico e scientifico di proprietà dello stato.
Il personale che presta servizio nelle pubbliche biblioteche governative, qualificato tecnico, è inquadrato in uno speciale, unico ruolo a norma del r. decreto 7 maggio 1926, n. 944. Per la preparazione tecnica di questi funzionarî, non esistono, come in altri paesi, scuole professionali a sé, appositamente organizzate; ma presso l'università di Firenze, in forma più completa, e presso qualche altra del regno (Bologna, Padova, Roma), si tengono corsi di bibliografia, di paleografia e di materie più direttamente attinenti alle discipline bibliotecniche (v. Bibliologia). Ai posti di ruolo delle biblioteche pubbliche governative si accede mediante pubblico concorso per esame, ed altri esami debbono essere superati durante la carriera per il raggiungimento dei gradi superiori.
Provvedimenti legislativi di carattere generale dei quali le biblioteche pubbliche governative si sono molto avvantaggiate, sono:
1. L'editto Albertino per il diritto di stampa del 26 marzo 1848, successivamente esteso alle diverse regioni italiane a mano a mano che si andava realizzando l'unità nazionale. L'editto è stato riconfermato dalla legge 7 luglio 1910, n. 432, riguardante l'obbligo per lo stampatore o editore di consegnare al procuratore del Re del circondario o del distretto tre copie di ogni pubblicazione, prima di porla in commercio. Le copie, secondo un'ordinanza regolatrice del guardasigilli in data 7 luglio 1911, devono essere inoltrate, una per ciascuna, alle due biblioteche nazionali centrali di Roma e Firenze, e la terza alla biblioteca governativa locale, o, in difetto, ad altra biblioteca pubblica, a norma di apposita tabella annessa alla legge (v. esemplare d'obbligo).
2. Il r. decreto 7 agosto 1866, n. 3036, per la soppressione delle corporazioni religiose, in rapporto alle antiche biblioteche claustrali. Per esso, a norma dell'art. 24, libri, manoscritti, documenti scientifici che si fossero trovati negli edifici appartenenti alle case religiose e agli altri enti morali colpiti dalla legge di soppressione, si dovevano devolvere a pubbliche biblioteche, nelle rispettive provincie, mediante decreto del Ministero dei culti, prevî accordi col Ministero dell'istruzione. Molte di queste biblioteche furono incorporate con le biblioteche governative viciniori, altre, e in maggior numero, furono cedute ai comuni.
3. La convenzione fra l'Italia e altri stati firmata in un primo tempo a Bruxelles il 15 marzo 1886, relativa agli scambî degli atti ufficiali e delle pubblicazioni scientifiche e letterarie, e conseguente istituzione dell'ufficio degli scambî internazionali: istituzione della quale molto fruiscono le biblioteche italiane con la larga messe di doni che ad esse pervengono per il suo tramite. L'ufficio, annesso sin dalla sua fondazione alla Biblioteca nazionale centrale di Roma, con la creazione della Direzione generale delle accademie e biblioteche è passato alla diretta dipendenza del nuovo organo centrale, per r. decreto del 2 agosto 1927, n. 1635.
Le nuove direttive nel campo internazionale della cultura hanno designato le biblioteche pubbliche governative per il compimento di una nuova funzione. L'Istituto internazionale di cooperazione intellettuale, alla dipendenza della Società delle Nazioni, nel gennaio del 1928 radunava a Parigi una commissione di esperti allo scopo di organizzare un servizio internazionale di coordinamento delle biblioteche, valendosi dei servizî nazionali d'informazioni bibliografiche già esistenti e facilitandone la formazione e lo sviluppo là dove non esistono. Questi uffici centrali nazionali hanno lo scopo di orientare dotti e studiosi verso le raccolte librarie delle specialità che li interessano, e di dare, possibilmente, indicazioni delle biblioteche ove si trovino le opere e i documenti di cui abbisognano per lo sviluppo dei loro lavori. Il governo italiano ha dato tutto il suo concorso all'iniziativa.
Sulle biblioteche comunali lo stato non ha ingerenza diretta, ma su di esse, come su qualsiasi altra raccolta di carattere bibliografico, esercita la funzione di tutela per la conservazione e l'inalienabilità, a norma della legge 20 giugno 1909, n. 364. Tanto più allo stato spetta il diritto di tale vigilanza, in quanto alcune di esse sono consegnatarie del materiale bibliografico già di proprietà delle soppresse corporazioni religiose, e altre sono state scelte come depositarie degli esemplari d'obbligo. A richiesta, sotto determinate condizioni, le pubbliche biblioteche comunali possono essere ammesse al prestito reciproco con le governative, mediante decreto ministeriale rinnovabile ogni tre anni.
L'assistenza finanziaria dello stato, non regolata da norme legislative fisse, interviene però con relativa larghezza, valendosi di appositi fondi stanziati nel bilancio del Ministero dell'educazione nazionale sia con regolari sovvenzioni annue, sia, e più di frequente, con sussidî straordinarî, così per spese di arredamento e di acquisto di libri, come per restauri di pregevoli manoscritti e di antiche legature.
Altre biblioteche appartenenti ad altri enti rivestono la figura giuridica che è loro acquisita dalle tavole di fondazione, e ogni loro attività rimane sotto il controllo delle leggi comuni che regolano la materia delle persone giuridiche. Così avviene per le biblioteche seminarili, arcivescovili, parrocchiali, capitolari; per le biblioteche di ospedali, di congregazioni, di fondazioni pie; per quelle fondate da società private, per i gabinetti di lettura, per le biblioteche circolanti e per quelle annesse ad accademie ed istituti scientifici. Anche per queste non viene meno l'assistenza dello stato, più particolarmente quando si tratti di sovvenire lavori che tendono al restauro e quindi alla conservazione del materiale bibliografico, che è patrimonio di tutta la nazione.
Quanto alle biblioteche popolari lo stato non ha svolto in passato alcuna azione per la loro fondazione, il loro sviluppo, il loro funzionamento; ma si sono curati di esse enti, asgociazioni private, opere nazionali, comuni, autorità religiose. La Federazione delle biblioteche popolari con centro in Milano, la Federazione delle biblioteche circolanti e il Gruppo d'azione per le scuole del popolo pure di Milano, il Consorzio nazionale delle biblioteche in Torino, l'Associazione nazionale delle biblioteche delle scuole italiane in Bologna, l'Associazione nazionale per gli interessi del mezzogiorno in Roma, ed altri enti, hanno dimostrato notevole attività nel fondare questi istituti, e nell'incoraggiarne lo sviluppo, ma forse con risultati non conformi in tutte le regioni. Il decreto legge 2 settembre 1917, n. 1521, presenta un fondamento sufficientemente ampio per regolare, sviluppando le disposizioni in esso stabilite, l'importante e delicata materia. Quella legge prevede che in ogni comune debba sorgere una biblioteca per gli ex-alunni e per gli adulti: tale biblioteca, che è quindi già obbligatoria, è a carico del municipio e affidata alle cure dell'autorità scolastica. Questa base giuridica, la creazione di uno speciale organo al centro, l'opera assidua che al riguardo svolgono enti ecclesiastici e parastatali, dànno affidamento che una fitta e bene ordinata rete di tali biblioteche sorgerà tra breve in tutto il paese.
Bibl.: Per l'elenco delle biblioteche dipendenti dal ministero dell'E. N., v. L'Annuario; per tutte, statali e non statali, l'Annuario degli istituti scientifici italiani, dir. da S. Pivano, 2° (1920), Bologna; e l'Elenco delel Biblioteche d'Italia, a cura dell'Assoc. editor. libr. ital., Milano 1926. Le biblioteche dei RR. Istituti medî d'istruzione, elencate in Boll. Min. P. I., p. 2ª, 1928, n. 21. La Dir. gen. delle biblioteche ha, dal 1927, i suoi annali nella rivista Accademie e Biblioteche d'Italia.
Architettura delle biblioteche.
Disposizioni generali. - Tanto l'antico sistema di disporre gli scaffali lungo le pareti quanto quello di riunire nel medesimo locale libri e lettori, avevano parecchi difetti: perdita di spazio; necessità di scale mobili per prendere e riporre libri nei palchetti superiori di quegli alti armadî; perdita di tempo a causa dei lunghi percorsi da compiere, specialmente quando gli armadî erano a due piani; deterioramento dei libri, causato tanto dalla polvere prodotta dall'andirivieni delle persone e dalla conseguente ripulitura dei pavimenti, quanto dall'umiditò e dalle esalazioni dovute alla presenza delle persone stesse e da apparecchi di riscaldamento. Per evitare in tutto, o nella maggior parte, tali difetti, si segue oggi per le biblioteche pubbliche il criterio di separare la massa dei lettori dai locali destinati a magazzini di libri, disponendo però questi in modo che siano prossimi alle sale di lettura, anche quando esistono mezzi meccanici di trasporto dei libri dai magazzini ai locali di distribuzione. Se la biblioteca, oltre agli appositi locali per magazzino, ha scaffali per i libri anche in sale di lettura, allora in essi si tengono i libri più consultati, quali i dizionarî, le enciclopedie, i manuali, spesso in parecchi esemplari, i giornali, i periodici, le riviste; il pubblico può disporne senza speciale richiesta, e la sala si chiama "di consultazione" o "di studio".
Le biblioteche devono rispondere a due condizioni essenziali: sicurezza contro il fuoco e conservazione dei libri ed oggetti in esse raccolti. La prima condizione è soddisfatta quando l'edificio è completamente isolato e lontano da fabbriche facilmente soggette a pericoli d'incendio, e sia stato costruito a prova di fuoco, cioè con materiali incombustibili e sistemi costruttivi sicuri contro il fuoco. Per questo nei magazzini dei libri si deve sopprimere il legname: le scaffalature, compresi i loro palchetti, i solai, le chiusure, il tetto, si fanrio di metallo e di calcestruzzo cementizio armato e spesso tra loro solidali. Per la conservazione dei libri conviene che i magazzini siano esposti a levante, perché l'esposizione a mezzogiorno favorisce la nascita di insetti, e la tramontana mantiene l'umidità, dannosissima ai libri. Con le scaffalature metalliche si evitano la formazione del tarlo del legname e l'annidamento d'insetti; per contro, il metallo ha il difetto di condensare l'umidità dell'ambiente e di arrugginire, il che è dannoso ai libri. Questi inconvenienti però si possono evitare con una buona ventilazione e con ripetute verniciature. Le biblioteche devono sorgere possibilmente presso il centro della città, ma in luogo di non eccessivo transito di veicoli, sia perché il rumore da essi prodotto disturberebbe grandemente gli studiosi, sia perché la polvere che sollevano, penetrando nei magazzini, danneggerebbe i libri. Per ragioni di comodità e di conservazione, le biblioteche devono essere lontane da industrie rumorose o emananti fumi, gas e vapori.
Una biblioteca appartiene a quel genere di edifici, quali i musei, le pinacoteche e simili, le cui raccolte, crescendo mano mano, possono richiedere ampliamenti da effettuarsi altimetricamente o planimetricamente. Non è sempre possibile il primo sistema a causa di limitazioni regolamentari imposte all'altezza dei fabbricati; ma quando sia possibile, si dovranno sin dal principio della costruzione prendere i necessarî provvedimenti circa le fondazioni e il modo di rendere più facile e meno costosa la sopraelevazione. L'ampliamento planimetrico ha il vantaggio di permettere il duplice ingrandimento in estensione e in altezza; ma richiede un'area molto grande che difficilmente si può trovare disponibile nel centro della città. Con impianti di trasporti meccanici, da adottarsi sempre per le grandi e medie biblioteche, riesce indifferente per la sistemazione dei libri che l'ampliamento sia fatto con l'uno o con l'altro sistema.
Distribuzione interna. - I locali necessarî a una biblioteca si possono riunire in quattro gruppi: 1. magazzini per la custodia dei libri e dell'altro materiale di cui si è detto sopra; 2. locali per gli uffici di direzione e di amministrazione e per il ricevimento, registrazione e formazione dei cataloghi; per la legatoria, la stamperia e i servizî varî; 3. locali per il pubblico, sala dei cataloghi e della distribuzione dei libri; sala di lettura principale e sale di lettura speciali, per manoscritti, musica, disegni, atlanti, stampe, ecc.; luoghi di studio nei magazzini; guardarobe, lavabi, latrine. In biblioteche estere vi sono anche sale apposite per i ragazzi di età inferiore ai 16 anni: anzi in America vi sono biblioteche per i soli ragazzi (Childrens libraries); 4. alloggi per il custode, ed eventualmente per altro personale.
I primi tre gruppi è bene che siano riuniti in un unico fabbricato: il quarto sarà invece staccato ed isolato per ragioni di sicurezza contro il fuoco. A meno che non si tratti di piccole biblioteche a un solo piano, quelle di media e di grande importanza sono a due o più piani oltre il sotterraneo, dove le condizioni del sottosuolo lo consentano. Il pianterreno si destina al vestibolo, con adiacenti locali per biciclette e per il custode; ai locali di ricevimento, registrazione e classificazione dei libri; alla sala per i giornali e periodici; ai locali per i pompieri ed anche per uffici, nonché a sale per deposito e consultazione di materiale speciale, come per es. gli autografi. Al primo piano si dispongono la direzione e gli uffici, la sala di distribuzione dei libri e le sale di lettura. Il locale di distribuzione si colloca fra le sale di lettura e i magazzini dei libri e ad esso si deve poter accedere direttamente dallo scalone, possibilmente passando attraverso un atrio.
Dal locale di distribuzione, contenente i cataloghi, ostensibili al pubblico, ma che si possono però collocare anche in una sala apposita, si deve poter accedere direttamente alle sale di lettura, alle quali saranno annesse, in posizione comoda ma appartata, le latrine, provviste di antilatrina con lavatoi, direttamente illuminata ed aerata dall'esterno. Il sotterraneo si destinerà agli apparecchi per gl'impianti di riscaldamento e di ventilazione, di ascensori e montacarichi, di spolveratura meccanica, di posta pneumatica o meccanica; agli accumulatori elettrici per eventuale illuminazione di soccorso; a stamperia e legatoria, come pure a magazzino di libri, purché il suo pavimento sia costruito in modo da conservarsi asciutto, e i muri perimetrali siano isolati dal terreno mediante una intercapedine, la quale servirà anche ad illuminare convenientemente i locali del sotterraneo. Questo poi servirà ancora a deposito di duplicati, di oggetti di cancelleria, stampati, ecc., e del combustibile, che vi sarà introdotto in modo da non produrre polverio.
Magazzini dei libri, scaffalature. - Nelle moderne biblioteche i magazzini dei libri formano quasi sempre un unico vano, dal sotterraneo al tetto. In tutta l'altezza di tale vano s'innalzano le scaffalature metalliche, che portano i ballatoi di circolazione, suddividenti il vano in tanti piani, ciascuno dell'altezza di circa m. 2 o 2,20; cosicché si può accedere ai libri dei palchetti più alti senza sussidio di scale mobili. Ogni piano ha il pavimento metallico traforato per lasciar passare aria e luce, o di vetro o di marmo. I pavimenti metallici traforati hanno però il difetto di essere rumorosi e di lasciar passare la polvere, soprattutto prodotta dal passaggio delle persone. Ricoprendo i ballatoi metallici con linoleum, si possono evitare il rumore e la polvere. Questi ballatoi si fanno larghi m. 0,80 a 0,85, e sul loro parapetto si applica una tavoletta scorrevole, sulla quale si appoggiano i libri quando si levano dallo scaffale o vi si devono riporre.
La determinazione dello spazio occorrente a una libreria si fa in base al dato che ad ogni mq. di scaffale corrispondono circa 100 volumi. Riguardo all'altezza fra l'uno e l'altro palchetto si deve tener presente che i libri di formato in-folio richiedono un'altezza di cm. 75 a 80: quelli in quarto 42 a 45; quelli in ottavo 28 a 30, ed i formati in dodicesimo e in sedicesimo 20. II peso di una fila di libri, su un metro di lunghezza di un palchetto, è di circa kg. 20 a 25, e quello dei libri di uno scaffale alto m. 2,50 e largo 1 metro, di kg. 200 circa, supponendo però che nello scaffale i libri siano di vario formato, poiché se fossero, per es., tutti di formato grande, il peso potrebbe salire fino a kg. 500. Anche i palchetti si fanno metallici; e perché l'aria circoli meglio fra i libri, conviene che siano a stecche o di lamiera traforata. Il metallo più adatto è l'alluminio, perché non si arrugginisce ed è leggiero. Le stecche devono essere tali da non produrre sfregamenti sui libri quando si rimuovono: per questo molti preferiscono i palchetti pieni, ricoperti con linoleum. I palchetti a stecche presentano anche il vantaggio di lasciare scorrere con maggiore facilità i reggi-libri, o cantonali, che servono a sostenere una fila di libri, quando essa non è completa tra i fianchi dello scaffale. Varî sistemi si sono ideati per il più facile e pronto spostamento dei palchetti e per fissarli lungo le aste verticali delle scaffalature. Gli scaffali si dispongono normalmente ai muri di ambito, ciò che permette di illuminarli bene per mezzo delle finestre aperte fra l'uno e l'altro scaffale.
Ogni magazzino deve essere provvisto di una comoda scala, preferibilmente a giorno, con ascensore, e di uno o più montacarichi per i libri, salvo che vi sia un impianto speciale di trasporto meccanico, come nella Biblioteca pubblica di Boston e in quella di Washington.
Sale di lettura. - Si dispongono in luogo tranquillo e in modo che i lettori non siano disturbati dall'andirivieni di impiegati e fattorini. Il loro pavimento sia di materiale afono e non polveroso: per es. di tavolette di legno di essenza forte, asfaltate per disotto e poste su letto cementizio: oppure di linoleum o altro consimile materiale. Se le strade e le piazze che circondano il fabbricato sono rumorose, le sale di lettura si collocano nell'interno del fabbricato, disponendo lungo le vie i locali di ufficio, i magazzini e gli altri locali non destinati al pubblico.
In molte biblioteche il grande salone di lettura è nel centro dell'edificio. Esso può avere forma quadrata, rettangolare, poligonale, circolare, mista, ed essere coperto, con soffitto piano, da vòlta o da cupola.
Il nuovo salone della Biblioteca Ambrosiana (v.) di Milano (arch. A. Annoni), quasi quadrato, con lati di circa m. 15, ha soffitto piano luminoso; quello della Biblioteca nazionale di Parigi (arch. Labrouste) è coperto con tante serie di cupolette a vela con occhio centrale luminoso, sostenuto da leggiere colonnette metalliche; il salone della biblioteca del British Museum (arch. R. Smirke) è centrale e di forma circolare, coperto da cupola emisferica, e illuminato con finestre aperte nel tamburo cilindrico e con occhio luminoso al vertice della cupola; sotto alle finestre vi sono tre ordini di scaffalature; il salone della Biblioteca di Washington (architetti Smithmeyer e Pelz) è centrale, ottagonale, coi lati a nicchioni, coperto da cupola emisferica con lanterna superiore e finestre semicircolari nell'alto dei nicchioni; questi contengono varî ordini di scaffali, direttamente illuminati dall'esterno, poiché prospettano su cortili; il salone della biblioteca pubblica di Birmingham (arch. Martin e Chamberlain), contenente pure scaffali, è rettangolare ma con un lato a semicerchio, coperto con vòlta cilindrica di centine metalliche, illuminato dall'alto e da finestre fra le centine; il salone della biblioteca universitaria di Lipsia (arch. Rossbach) è centrale, per metà rettangolare e per metà semicircolare, illuminato da grandi finestroni nella parete curva e privo di scaffalature; il salone della biblioteca universitaria di Strasburgo (arch. Neckelmann) è centrale e quadrato, coperto da cupola, circondato da tre gallerie, e illuminato dall'alto e da tre grandi finestroni nel tamburo della cupola; il salone della biblioteca pubblica di Leningrado è notevole per la copiosa illuminazione consentita dal tipo della sua costruzione.
Ai lettori la luce dovrebbe sempre provenire dalla sinistra, quando il salone è illuminato lateralmente. Se le finestre sono da un lato solo, il locale non dovrà essere molto profondo e i tavoli saranno semplici, cioè con i lettori da una sola parte: se la luce è bilaterale i tavoli saranno ancora semplici, ma disposti su due file in senso inverso. Quando l'illuminazione è di sistema misto, o dall'alto, i tavoli possono essere doppî. La lunghezza dei tavoli riservati a ogni lettore varia da m. 0,65 (Biblioteca di Sainte-Geneviève a Parigi) a m.1, 27 (British Museum): la profondità da m. 0,56 (Biblioteca nazionale di Parigi) a m. 0,90 (Biblioteca Reale di Bruxelles). Per una comoda circolazione la distanza assiale fra i tavoli è di m. 1,80 a 2, se sono semplici, e di m. 3 a 3,50 se sono doppî. È bene munire i tavoli doppî di un diaframma longitudinale, sia per appoggiarvi un leggio, sia per ovviare alle distrazioni fra i lettori prospettantisi. Il piano del tavolo è ricoperto di cuoio, e ogni posto ha tutto l'occorrente per scrivere. Speciali tavoli a leggio si fanno per i giornali e per i disegnatori.
La superficie d'una sala di lettura si determina in base al numero dei lettori che deve contenere, all'esistenza o meno di scaffalature, al genere e disposizione dei tavoli, all'esistenza o meno del banco di distribuzione. Per le biblioteche di media importanza, e quando la sala sia bene ventilata, si può calcolare un metro quadrato per lettore; per quelle di maggiore importanza tale cifra si eleva sino ad oltre 3 mq. Lo spazio è assai meglio usufruito nelle sale rettangolari: le circolari, benché adottate in qualche celebre biblioteca, sembrano meno adatte.
Ventilazione e riscaldamento. - Se ai libri riescono dannose l'umidità e la polvere, riesce dannosa anche l'eccessiva secchezza dell'aria, specialmente se questa è inquinata da impurità derivanti da composti di azoto o di zolfo. Perciò è necessaria nei magazzini un'attiva ventilazione, ottenuta a finestre chiuse. Se i libri sono nella sala di lettura, bisogna tenere presente che la riunione di molte persone produce umidità, e quindi è necessario provvedere anche nelle sale di lettura ad un energico ricambio dell'aria, combinato col riscaldamento nelle stagioni dell'inverno e col rinfrescamento nell'estate.
Per il riscaldamento conviene ricorrere al sistema ad aria riscaldata col vapore a bassa o media pressione, e cioè alle camere di riscaldamento nel sotterraneo, dalle quali partono i condotti per l'aria calda sboccanti nei locali da riscaldare. Si hanno i seguenti vantaggi:1. d'introdurre dell'aria calda abbastanza pura, poiché le prese di aria esterna si provvedono di filtro che ne trattiene l'impurità e specialmente la polvere; 2. di sopprimere tubazioni e radiatori, i quali presentano sempre pericoli, specialmente se in essi circola acqua calda, poiché la rottura di un tubo o di qualche elemento dei radiatori, produrrebbe danni non lievi; 3. di regolare assai meglio la distribuzione del calore manovrando nelle camere d'aria calda i registri dei varî condotti. Le caldaie si collocheranno in un punto che permetta di trasportarvi il combustibile senza sollevare polvere, e che garantisca da pericoli di incendio; per il che si dovrà isolare bene il camino e munirlo di cuffia fumivora e atta a trattenere le scintille. Nelle sale di lettura si manterrà una temperatura dai 18° ai 20° e nei magazzini dai 13° ai 14°.
Illuminazione naturale e artificiale. - Si è già detto come si illuminano i magazzini; per essi si otterrà la massima utilizzazione dello spazio e una distribuzione uniforme di luce, facendoli su 5 o 6 piani, larghi circa m. 10 e illuminandoli bilateralmente e dall'alto. Con detta larghezza, con scaffalature lunghe m. 3,50 in doppia fila, alla distanza assiale pure di m. 3,50, basta una luce di mq.1, per ogni 35 mc. di locale. Se la distanza assiale si riduce a m. 1 ,80 e la lunghezza a m. 2,75 per i tre piani superiori, e a m. 3,50 per i due inferiori, è necessaria una luce di mq. i per ogni 25 mc. di locale. Se i varî piani dei magazzini si fanno in parte vetrati per lasciar passare la luce, si ricorrerà ai vetri Luxfer, o Soleil. Della illuminazione delle sale di lettura si è già detto più sopra.
Sarebbe superfluo insistere sulla necessità che tutti i locali siano bene illuminati; quindi se l'edificio avrà cortili, questi dovranno essere abbastanza ampî e tanto più ampî quanto più alti saranno i bracci dei fabbricati che li circondano. Per illuminare detti locali compresi fra altri, come potrebbe essere per es. la sala di distribuzione, da collocarsi, come si disse, fra le sale di lettura e i magazzini dei libri, si ricorrerà alla luce dall'alto, sia zenitale, sia fornita da finestroni aperti nei muri perimetrali del locale, sopraelevantisi sulle pareti del fabbricato che circondano il locale stesso.
Riguardo alla illuminazione artificiale si deve escludere quella a gas per i non pochi pericoli che presenta e per le sue emanazioni, dannose ai libri. Si adotterà esclusivamente la luce elettrica, ottenuta da corrente cittadina, o prodotta in luogo, prendendo tutte le precauzioni necessarie tanto nell'impianto di produzione, quanto nelle condutture, allo scopo d'impedire la formazione di corti circuiti. Nei magazzini si usano lampade a incandescenza; nei corridoi, passaggi, scale, lampade ad arco. Queste si possono adottare anche per le grandi sale di lettura, purché gli archi siano in numero tale, e così disposti, da diffondere uniformemente la luce mediante adattí riflettori.
Arredamenti e impiami di trasporto. - Oltre alle scaffalature, di cui si è già parlato, vi saranno scaffali per i giornali, armadî di sicurezza, per i libri, stampe e oggetti di valore; scalette doppie con ruote di gomma e sedie a due piani per la presa e ricollocamento dei libri contenuti nei palchetti più alti; carrelli con ruote di gomma per il trasporto dei libri; leggii e cavalletti mobili e fissi per atlanti e giornali; vetrine con o senza sottostanti armadî a tiretti per esposizione e raccolte di stampe, pergamene, ecc.; piedistalli girevoli con telai a cerniera per la mostra di lavori grafici, e con un basamento che contiene manuali, oppure i testi relativi ai lavori esposti; scatole a libro per fotografie e incisioni; cassette per monografie; armadî a tiretti per grandi stampe e carte geografiche e simili; armadî, stipi e tavoli per cataloghi e schedarî. Tutti questi arredi di legno, o metallici, devono essere solidi e semplici, e tali devono essere anche tutti i mobili degli uffici e i tavoli di vario tipo per i lettori e i disegnatori.
Sistemi di trasmissione e di trasporto. - La richiesta dal banco di distribuzione ai magazzini si fa per telefono, o, meglio, trasmettendo la scheda mediante la posta pneumatica. Il trasporto verticale dei libri si fa, come già si disse, con montacarichi, oppure con sistema a "paternoster", col quale i libri si trasportano in cestini, come avviene per i sistemi di posta meccanica (Boston e Washington).
Estetica. - La convenienza che la luce nelle sale di lettura non sia radente ai tavoli, ma scenda piuttosto dall'alto, per la qual cosa i davanzali delle finestre devono essere alquanto elevati dal pavimento; l'esistenza di scaffali lungo le pareti delle sale di lettura, sicché si usa di aprire le finestre al disopra di essi e quindi molto in alto; la suddivisione in tanti bassi piani dei magazzini dei libri, di modo che le finestre risultano molto prossime le une alle altre se ad ogni piano si aprono fra l'una e l'altra fila di scaffali; infine la necessità di dare all'edificio un aspetto adeguato alla natura ed importanza di esso, sono tutte condizioni che complicano il problema estetico, soprattutto quando le sale di lettura e i magazzini prospettano piazze e vie pubbliche. Nel caso che prospettino strade e contengano scaffali, si può prendere ad esempio la soluzione adottata da Labrouste per la biblioteca di Sainte-Genevièv- a Parigi, e quella simile dell'arch. Gaetano Koch per la biblioteca del Senato a Roma. Nel caso di magazzini a diversi piani verso via, un buon esempio si ha nella biblioteca di Augusta (arch. Steinhausser e Dülfer), in cui i grandi finestroni della facciata sono intersecati dai piani interni, ma senza compromettere l'estetica. Sarà migliore la soluzione secondo la quale i magazzini, i cui muri esterni vengono ad offrire l'aspetto di un alveare, si dispongono nell'interno dell'area, prospettanti cortili. Quanto allo stile architettonico, esso, oltre che dalle necessità costruttive e da quella ora accennata, dipenderà, come per ogni altro edificio, dalle condizioni d'ambiente, dall'arte locale e soprattutto dal gusto dell'architetto. Ricordiamo qui la Biblioteca nazionale di Firenze (arch. C. Bazzani) e la grande Biblioteca del Congresso a Washington, di stile classico italiano.
Esempî. - Parecchie sono le moderne biblioteche che soddisfanno allo scopo e alle condizioni sopra esposte nei riguardi della disposizione e distribuzione dei locali e dell'estetica. Fra esse vi è quella dell'università di Strasburgo, di cui la figura (p. 968) rappresenta la pianta del piano terreno.
In esso è ricavata centralmente la sala di lettura, quadrata, preceduta dalla sala di distribuzione, la quale comunica con i magazzini, circuenti la sala di lettura, mediante uno spazio che gira intorno alla sala stessa, e ha a destra la sala dei cataloghi e a sinistra quella di lettura dei giornali. Lungo la fronte, nello stesso piano, sono gli uffici, la guardaroba e la portineria di fianco al vestibolo di ingresso. Nel piano semisotterraneo sono la legatoria, le abitazioni del personale, i locali per il riscaldamento, ecc. Superiormente al piano rialzato sono i locali per magazzini di libri. La sala di lettura contiene 80 lettori: ciascuno ha un posto lungo un metro: i tavoli sono doppî, larghi m. 1,70, distanti fra loro m. 3,50. I magazzini sono di 8 piani, ciascuno dell'altezza di m. 2,20 e i loro solai sono a orditura di ferro con soletta cementizia. L'ultimo piano dei magazzini è illuminato dall'alto. Le scaffalature sono metalliche, del sistema Lipmann. Il trasporto dei libri è fatto con 5 montacarichi. Nella sala di lettura sono raccolti 33.000 volumi; nei magazzini 700.000, ma la capacità della biblioteca è di 2 milioni. Il pavimento della sala di lettura è di linoleum. Il riscaldamento di essa è ad aria riscaldata dal vapore: la temperatura nei magazzini può salire a 10°, anche quando la esterna scende a − 20° cent. L' illuminazione è elettrica, generalmente a incandescenza, ma nel salone vi sono quattro lampade ad arco di 2.000 candele ciascuna. Fu adottato lo stile rinascimento italiano.
Negli Stati Uniti d'America sono numerosissime le biblioteche pubbliche (Public Libraries o Free Libraries) alle quali molto spesso sono annesse sale per conferenze, per rappresentazioni drammatiche e musicali, o sale destinate a museo, e ciò per meglio conseguire il loro scopo che è quello di offrire al popolo, oltre la possibilità dello studio, l'attrattiva d'uno svago educativo e d'un passatempo elevato. Un esempio è fornito dalla biblioteca "Carnegie" a Pittsburg-Allegheny (arch. Smithmeyer e Pelz). Il fabbricato è a due piani, oltre il sotterraneo, bene illuminato per mezzo d'intercapedine aperta. I magazzini contengono 151.200 volumi e la grande sala di lettura è capace di 110 lettori: essa è di sera abbondantemente illuminata, perché appunto di sera la biblioteca è maggiormente frequentata. La sala per conferenze al primo piano, sopra la sala di lettura, è capace di 676 posti in platea e 188 nella galleria del primo piano. Il locale dello schedario è illuminato da due lucernarî. Al primo piano, sopra i locali dei magazzini, sono due locali destinati a museo e pinacoteca.
Si è già accennato al sistema di destinare alle varie materie, proprie sale di lettura; sistema già affacciato dal sîg. Poole, direttore della "Newberry and public Library" di Chicago, e che si ritiene conveniente non soltanto sotto gli aspetti della comodítà e dell'ordine, ma perché serve a risolvere più facilmente la questione degli ampliamenti. L'ultima parola in fatto d'edilizia e organizzazione di biblioteche pubbliche è stata detta negli Stati Uniti d'America, con le biblioteche di Detroit (1921), Cleveland (1925) e Philadelphia (1927).
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