Vedi BIBLIOTECA dell'anno: 1959 - 1994
BIBLIOTECA (v. vol. II, p. 93)
Il senso dell'espressione βιβλίων θήκη (per Isid., Orig., VI, 3,1 librorum repositio) rimanda alla cassa di legno (θήκη), solitamente nella casa greca al posto di armadi, che poteva servire anche come contenitore di pergamene. Nelle raccolte più ampie i rotoli (τόμοι, βιβλία, libelli), stipati uno sull'altro in serie e a gruppi (nidus), erano immagazzinati in scansie o scaffali separati e aperti (ττέγματα, loculamenta), oppure in armadi richiudibili (armaria). La lunghezza dei rotoli (perlopiù 20-30 cm, talora meno ma in casi eccezionali fin quasi a 40 cm) determinava la profondità di scaffali e armadi, oppure delle nicchie murarie previste per questi ultimi (v. infra).
Si presume che in Grecia le b. fossero introdotte già dai tiranni del VI sec. a.C. come Pisistrato di Atene e Policrate di Samo (Gell., VII, 17, 1-3; Ath., I, 3a), forse ispirandosi al modello degli archivi templari e di palazzo attestati nel Vicino Oriente e in Egitto, i quali contenevano soprattutto scritti sacri, documenti amministrativi, testi legali, corrispondenza diplomatica e annali. È probabile che tali primi archivi servissero non soltanto come base di un sapere aristocratico, che già allora non era più fondato unicamente sulla consuetudine e sulla tradizione orale, bensì anche al consolidamento della fiorente cultura letteraria (redazione delle opere di Omero). Nel V sec., con lo sviluppo della coscienza individuale e un benessere crescente, comparvero le prime b. private: Euripide dev'esser stato un divoratore di volumi (Alc., 962) e Socrate aveva già ragione a ironizzare sui meri collezionisti come Eutidemo (Xenoph., Mem., IV, 2, 1.8.10). Platone riuscì a costituire una b., che in seguito rimase a disposizione nell'Accademia anche dei suoi seguaci (Diog. Laert., III, 9.18; Procl., In Tim., I, 90 Diehl). Comunque Aristotele dev'esser stato il primo a disporre nel Liceo di una b. sistematica (Strab., XIII, I, 54) come strumento di lavoro indispensabile per le scienze sperimentali fondate da lui e dai suoi discepoli. Già nel IV sec. a.C. dalle scuole filosofiche vennero sollecitazioni a fondare b. di palazzo, ma non come archivi giuridici, bensì raccolte private signorili di testi letterarî e filosofici, quali approntarono Clearco di Eraclea nel Ponto (Memnon, FGrH 434, F1) o il re di Cipro, Nicocle di Salamina di Cipro (Ath., I, 3a).
La b. eretta nel museo del palazzo reale di Alessandria (Brouchèion) fece epoca; forse essa fu fondata già da Tolemeo I Sotere (322-283) sotto l'influsso del peripatetico Demetrio Falereo e di altri dotti della corte, e comunque Tolemeo II Filadelfo (283-246) la ingrandì sino a renderla la più grande del mondo. Furono acquistati manoscritti da tutti i paesi o eseguiti e catalogati duplicati; altri testi vennero emendati e tradotti: i dotti del museo infatti non vollero assolutamente limitarsi a raccogliere e custodire solo la letteratura greca, ma vi unirono anche i testi scritti in Egitto e nell'Oriente, dagli Ebrei ai Persiani. Tale concezione ecumenica non corrispondeva soltanto al nuovo interesse scientifico universale, ma anche alla pretesa dei Tolemei di ripristinare l'idea dell'impero mondiale di Alessandro il Grande. Di fatto, a quell'epoca, la b. del museo non fu superata da nessun'altra istituzione analoga. Già nel III sec. possedeva 490.000 rotoli, che dovettero accrescersi fino a 700.000 (Tzetz. in G. Kaibel (ed.), Comicorum graecorum fragmenta, I, I, Berlino 1899, 19,6 ss., 31,9 ss.; Gell., VII, 17,3). Probabilmente fu Tolemeo III Evergete (246-221) a fondare ad Alessandria, accanto alla biblioteca di palazzo, accessibile soltanto a una cerchia selezionata, un'altra b. (Rhakotis), che forse fu concepita come pubblica e che comunque in età imperiale si trovava nel cortile colonnato del Tempio di Serapide (Epiphan., Mensur., II; Aphthon., Progymn., p. 40 Rabe). Qui sembra essere stata proseguita, ma solo in una forma urbanizzata, l'altra tradizione orientale, quella della b. del tempio.
A causa della contraddittorietà delle fonti non si può conoscere con precisione il destino successivo delle due biblioteche. Durante il soggiorno di Cesare ad Alessandria (48 a.C.) in un incendio del porto e di una parte del palazzo dev'essere andata distrutta tutta la b. (Plut., Caes., 49; Gell., VII, 17,3; Dio Cass., XIII, 38,2), oppure solo un settore minimo (40.000 rotoli secondo Sen., Tranq., IX, 5). Ma poiché la b. del museo in epoca imperiale non aveva più alcun valore, e in età tardoantica era nota solamente quella del Serapeo (Amm. Marc., XXII, 16, 13 ss.; Oros., Hist., VI, 15,31), la prima dovette essere stata assai decimata, se non dall'incendio suddetto, sotto Ottaviano, il quale nel 28 a.C. istituì una grande b. nelle vicinanze del Tempio di Apollo Palatino in Roma, da lui stesso fondato (v. infra). Invece la b. del Serapeo sembra aver superato perfino la distruzione del Tempio di Serapide da parte dei cristiani (391 d.C.), in quanto dalla tradizione araba si può ricavare che sussistette forse fino all'VIII sec., anche se finora non sono stati trovati resti della b. del museo. Bisogna accontentarsi di una scarna descrizione di Strabone (XVII, I, 8, C 793 ss.), che tra le parti componenti del museo annovera solamente: un ambulacro colonnato (περίπατος), un'esedra, ambedue per lezioni o letture, e una grande sala (οίκος μέγας), in cui avevano luogo i simposi dei dotti e forse anche discorsi celebrativi e dibattiti. Egli non menziona neppure la b. vera e propria, quella in cui erano collocati i volumi. Ci si deve immaginare probabilmente una serie di locali a forma di magazzini nei porticati e in prossimità dell'esedra e all'òikos, da cui gli inservienti della b. traevano i volumi di volta in volta occorrenti. Ne abbiamo una conferma proprio dalla b. del Serapeo, sulla quale nel IV sec. d.C. Aftonio è ancora in grado di ragguagliarci (v. supra) che si trovava in locali chiusi (σηκοί) nel cortile colonnato del tempio. Le fondamenta del cortile e dei vani attigui dell'ampliamento romano del Serapeo sono state riportate alla luce; tuttavia non è più possibile alcuna sicura identificazione della biblioteca.
Un'immagine abbastanza attendibile e concreta si può ottenere dalle rovine della b. di Pergamo, della seconda età ellenistica. Essa fu fondata da Attalo I (241-197) e riccamente rifornita da Eumene II (197-159), incluso l'edificio i cui resti vennero scoperti dagli scavi tedeschi nel piano superiore del portico a due piani poggiato al pendio del lato Ν del recinto di Atena. Fra il tempio della dea e il palazzo del re poggiavano i quattro o cinque locali invisibili, concepiti come una sintesi fra la b. di palazzo e quella del tempio. Probabilmente erano collegati fra loro da porte, ma si aprivano soprattutto sul piano superiore del portico a due navate, verso S. Al centro del muro frontale del vano principale, lungo 16 m e largo 13,50 m, su un basamento, si innalzava la statua colossale in marmo di una Atena Parthènos di fattura ellenistica, ora a Berlino. Alla sua base si riconnette un podio continuo, che corre un poco scostato dal muro lungo i tre lati della sala, forse sorreggente le statue in bronzo di dotti e poeti, le cui basi con iscrizioni sono state ritrovate tra le rovine. Questo locale sfarzoso corrisponde sicuramente alla sala delle celebrazioni che Strabone vide nel museo di Alessandria. Il portico di fronte è dunque il peripato, che serviva a leggere e studiare. I tre ambienti adiacenti alla sala, ognuno di 13,50 m di lunghezza e 7 o 10 m di larghezza, devono aver ospitato i volumi. Rimane aperta la questione se qui abbiano effettivamente trovato posto i 200.000 rotoli che si tramanda possedesse Pergamo (Plut., Ant., 58,5), oppure se fossero necessari altri locali in edifici adiacenti. In ogni caso, al tempo di Eumene II il luogo dovrebbe essere stato ampliato.
Anche per le altre b. di età ellenistica, a noi note solo per via letteraria o tramite iscrizioni, bisognerà presupporre un'analoga disposizione volumetrica, con sala per le celebrazioni, nicchie di lettura (esedre) e spazi per i magazzini in un porticato. Così, ogni grande ginnasio greco possedeva una raccolta di libri per gli efebi, forse persino ampliata da loro stessi; tuttavia fra i porticati colonnati e le esedre delle rovine conosciute non possiamo identificare con sicurezza i modesti magazzini di una b., anche se questo tipo costruttivo addizionale, puramente funzionale, si trova ancora in epoca imperiale nell'Oriente greco. Ne è un buon esempio la b. a S della Stoà di Attalo, al margine dell'agorà ateniese, di cui oggi rimangono soltanto i muri maestri, ma che conosciamo meglio grazie a due iscrizioni. Essa venne donata nel 102 d.C. da Tito Flavio Pantainos e probabilmente era l'edificio sede di una scuola filosofica diretta da suo padre Flavio Monandro. A parte due ingressi e due botteghe rivolte sulle due strade, dal cui affitto la b. o la scuola traevano forse delle entrate, l'impianto consisteva in un piccolo peristilio di 4 colonne per 5, su cui si affacciavano un vano più ampio e due più piccoli lungo altri colonnati. Probabilmente i volumi menzionati dall'iscrizione erano collocati in uno dei locali più piccoli, o in entrambi, mentre il più grande va visto come un òikos, un luogo di riunione e di festeggiamenti. Un altro esempio di tale tipo edilizio si trova nel foro romano di Filippi. A fianco di un tempio e oltre il portico (stoà) che delimita il luogo, si ergono l'uno a fianco dell'altro tre locali, evidentemente due magazzini e una sala più vasta con un podio tutt'intorno, probabilmente l'òikos. Che si tratti di una b. se ne ha certezza dall'iscrizione sull'architrave del portico, la cui ornamentazione rimanda al secondo quarto del II sec. d.C.
Prima della fine della repubblica a Roma esisteva un archivio statale (tabularium), edificato nel 78 a.C., ma nessuna b. pubblica. Finché il potere politico rimase nelle mani dell'oligarchia senatoria, si conoscono solamente b. di proprietà di singoli aristocratici. Le più consistenti erano semplicemente bottino di campagne condotte in Grecia e in Asia Minore: Emilio Paolo, il vincitore di Pidna (168 a. C.), fece propria la b. del palazzo di Perseo di Macedonia (Isid., Orig., VI, 5,1; Plut., Aem., 28,10); nell'84 a.C. ad Atene L. Cornelio Silla s'impadronì di quella preziosa di Apellikon di Teos (Plut., Sull., 26,1; Strab., XIII, 1,54); infine L. Licinio Lucullo gettò le basi per la sua famosa b. razziando nel 71/70 a.C. i tesori librari di Mitridate VI (Isid., Orig., VI, 5,1; Plut., Luc., 41 s.). Oltre questi casi eclatanti c'erano ovviamente molte b. private, sorte con singole acquisizioni e trascrizioni: fra le altre si ricordano quella di M. Tullio Cicerone, T. Pomponio Attico, M. Terenzio Varrone e Catone l'Uticense. Giacché all'otium spettava lo studio di testi filosofici e letterari, queste b. private si trovavano perlopiù nelle villae suburbanae dei loro possessori. Dal punto di vista edilizio queste ultime seguivano il modello greco. A Tuscolo, Cicerone appoggiò la b. (come magazzino) a un colonnato, che chiamava «ginnasio superiore» ovvero «liceo» (Cic., Div., I, 8; II, 8). Una riprova dal lato archeologico viene dalla villa interrata presso Ercolano appartenente molto probabilmente a L. Calpurnio Pisone Cesonino, già scavata nel 1754. Più di 1800 rotoli si trovavano in armadi o scaffali, che stavano al centro e lungo i muri di una stanza di 3x3m. Questo magazzino si appoggiava a un portico esterno nelle vicinanze del piccolo peristilio e serviva solamente alla conservazione degli scritti soprattutto epicurei. Questo è l'unico caso in cui furono ritrovati rotoli di scritti, perciò si è potuto dimostrare che il piccolo vano era una biblioteca. D'altro canto nelle rovine di case di città o di ville, le b., che senza dubbio erano spesso presenti (Vitr., I, 2,7; VI, 4,1; Plin., Ep., II, 17,8), sono riconoscibili non soltanto dalla presenza di vani-magazzino, cubiculi o esedre e colonnati, ma anche da affreschi di poeti o filosofi, una decorazione impiegata frequentemente, come si riscontra appunto nelle case pompeiane, I, 10,4 e Ins. occ., VI, 17,41. Delle molte b. private testimoniate in età imperiale, e fino al V e VI sec. d.C. (Sidon., Epist. II, 9,4; VIII, II,2; Carm., XXIV, 90 ss.; Boeth., Cons., I, 5,6), non rimangono tracce dal punto di vista archeologico. Tuttavia con molta probabilità due ritrovamenti possono essere interpretati come b.: nel palazzo settentrionale di Masada sul Mar Nero, eretto da Erode il Grande, sulla terrazza di mezzo a S della thòlos in cui è da riconoscere non un tempio, bensì un belvedere, si trova un'esedra coperta, con 5 armadi a muro, forse contenenti i rotoli. Nella Villa Adriana presso Tivoli, nella parte orientale del c.d. Teatro Marittimo, il privatissimum circolare dell'imperatore, su entrambi i lati di un'esedra doppia si trovano due cubicula (XVII e XVIII), ognuno con una grande nicchia sul muro poco profonda, evidentemente per accogliere un armadio di libri. Dato che in questo complesso non si scorgono altri spazi per la b., che doveva sicuramente esserci, bisogna supporne qui una latina e una greca in miniatura.
La prima b. pubblica a Roma fu prevista da C. Giulio Cesare poco prima della sua morte: M. Terenzio Varrone doveva allestirla con un reparto greco e uno latino; ma gli eventi politici ne impedirono la realizzazione. Probabilmente urtava anche la connotazione monarchica che portava con sé una simile fondazione, elaborata sui modelli di Alessandria e Pergamo. Per tale considerazione è caratteristico che la prima b. pubblica di Roma venne fondata da C. Asinio Pollione in un rispettabile locale pubblico, l'Atrium Libertatis, che egli, grazie al bottino della sua campagna illirica, dopo il 39 a.C. ricostruì interamente o modificò soltanto (Plin., Nat. hist., VII, 115; XXV, 10; Suet., Aug., 29,5; Isid., Orig. VI, 5,2). Bisogna inoltre supporre che ci fosse una b. nella residenza ufficiale e archivio del censore e nel luogo dove avevano luogo le manomissioni (Liv., XLIII, 16,13; XLV, 15,5). Essa comprendeva non soltanto testi giuridici, ma forse tutti i rami del sapere divisi in un reparto greco e uno latino, poiché fra i ritratti di importanti autori qui disposti spiccava anche quello di M. Terenzio Varrone (morto nel 28 a.C.), onore singolare per un vivente. All'Atrium Libertatis non si conosce nient'altro, se non che doveva esser sito a Ν del Foro di Cesare e che il suo nome avrebbe dovuto indicare anche un cortile colonnato con locali attigui. Dunque la b. dovrebbe essere stata composta alla maniera greca da più vani collegati a un cortile colonnato.
Ottaviano - seguendo evidentemente il modello ellenistico - unì al suo palazzo una doppia b., che doveva stare presso la Porticus Danaidum (Suet., Aug., 29,3; Dio Cass., LIII, 1,3) posta a livello più basso. Molti metri al di sopra del livello originario, forse nemmeno allo stesso posto, si sono conservate le rovine del nuovo edificio domizianeo a S della Domus Flavia. Si tratta di due sale parallele, ognuna profonda 19,50 m e larga 17,50 m, che si aprono su un portico: chiaramente la b. latina e quella greca. I loro muri posteriori concavi erano dominati ognuno da una nicchia per statua, a cui in ogni sala si coordinavano - qui sta la particolarità - con simmetria speculare 18 nicchie a muro, alte 3,80 m, larghe 1,65 m e profonde 60 cm; 30 cm al di sotto di queste corre tutt'intorno un podio alto 1,20 m e largo 70 cm. Il podio, e da esso gli armadi dei volumi, sono accessibili direttamente dalla sala tramite una serie di piccoli gradini. Poiché la Forma Urbis disegna in entrambe le sale un sistema continuo di colonne, bisognerà supporre anche una galleria sorretta da colonne con una seconda serie di armadi, come sarà poi più tardi la regola. L'idea di eliminare gli armadi per i volumi nei magazzini stretti, e utilizzarli invece in una disposizione a file di tipo monumentale per cadenzare le pareti della sala di rappresentanza, sembra nuova e feconda di sviluppi futuri. Poiché non si può rintracciare alcun esempio nella Grecia orientale, il legame rappresentativo fra magazzino e sala di lettura o di celebrazioni pare essere un'invenzione tipicamente romana. Tuttavia fino a eventuali scavi futuri non si può dimostrare se la doppia b. domizianea riproducesse l'impianto augusteo. In ogni caso la costruzione originaria sicuramente non era più piccola, perché Svetonio riporta che in vecchiaia Augusto fece tenere spesso sedute del Senato nella presunta b. latina, il che sembra effettivamente possibile in una sala di 340 m2.
Di altre b. a Roma sappiamo solo da menzioni casuali. Fondate da Ottavia, sorella di Augusto, in memoria del figlio Marcello (m. 23 a.C.), nella Porticus Octaviae si trovavano una b. greca e una latina (Plut., Marc., 30,11), distrutte da un incendio forse nell'80 d.C. e fatte erigere nuovamente da Domiziano (Suet., Dom., 20). La b. imperiale privata della Domus Tiberiana fu resa accessibile agli studiosi nel II sec. d.C. ed esisteva ancora nel IV (Gell., XIII, 20,1; SHA, Prob., 2,1). Anche nel Templum Divi Augusti edificato da Tiberio e inaugurato da Caligola (Suet., Tib., 47; 74; Cal., 21) esisteva una b., probabilmente anch'essa ripristinata da Domiziano nell'88 d.C. (Suet., Galba, I; Mart., IV, 53, I s.; XII, 2, 7 s.), assieme ai lavori di rinnovamento del tempio, che era stato colpito da un fulmine (e d'allora in avanti chiamato anche «ad Minervam»), Anche nel Forum Pacis di Vespasiano doveva trovarsi una b. (Gell., V, 21,9; XVI, 8,2).
La B. Ulpia ci è giunta in resti considerevoli: eretta nel Foro di Traiano, sul retro della Basilica Ulpia in due ambienti ai due lati della colonna, insieme alla quale furono inaugurati il 113 d.C. Le due sale misuravano all'interno m 25 X 17; sui fianchi di ognuna di esse erano praticate 7 nicchie per armadi, e su ogni muro dirimpetto a ogni abside destinata alle statue, probabilmente altre due nicchie più piccole. Le sette nicchie si innestano 60 cm al di sopra di un podio alto 80 cm e nella loro struttura semplice, senza rivestimenti esterni, misurano 2 m di larghezza, 65 cm di profondità e forse quasi 4 m di altezza. Si accedeva al podio da due gradini, posti fra le basi di un colonnato, su cui certamente poggiava una galleria con una seconda serie di armadi e un altro piano cieco. Quindi ogni sala avrebbe avuto disponibili 36 grandi armadi: ciò spiega il grande valore che la B. Ulpia mantenne fino al periodo tardoantico. Due ambienti che si univano a NO, aperti sul portico, sono stati liberati dalle rovine. Potrebbe trattarsi di appartamenti privati oppure di uno scriptorium. Nella Forma Urbis l'abside orientale della Basilica Ulpia porta l'indicazione «Libertatis»; ne è stato facilmente dedotto che qui doveva esserci l'antico Atrium Libertatis, la cui funzione sarebbe passata alla Basilica e i cui archivi, con la doppia b. di Asinio Pollione, confluiti nella B. Ulpia. Tutte queste b. della città evidentemente avevano un carattere non solo letterario, svolgevano anzi in particolare una funzione archivistica di tipo politico e giuridico. Non può essere un caso il fatto che la Basilica Ulpia appartenga ai più importanti locali per la promulgazione di leggi e rescritti, come il Tempio di Apollo Palatino e quello del Divo Augusto, ognuno dei quali legato a una biblioteca.
Un'altra funzione avevano invece senza dubbio le b. delle terme, sulla cui esistenza a Roma abbiamo varie testimonianze. Esse erano site nei quartieri esterni dei grandi complessi di tipo imperiale e servivano al tempo libero dei frequentatori delle terme, forse anche all'insegnamento. Il loro raddoppiamento corrisponde alla separazione, mantenuta anche qui, in una biblioteca greca e una latina, come dichiarano le iscrizioni (p.es. CIL, VI, 8679); tuttavia per la simmetria costante di questi impianti ciò conduceva a distanziamenti assai poco pratici. Così le esedre (esistenti ancor oggi) semicircolari a cupola nella parte S delle Terme di Traiano, inaugurate il 109 d.C., distano fra loro c.a 280 m. Quella occidentale, meglio conservata, mostra due piani di nicchie nel muro, ogni cinque accompagnate da una intermedia più ampia (per statue), e fori di travatura per la galleria, che originariamente doveva essere sorretta da colonne. Questo è un chiaro esempio del fatto che anche gli armadi a muro erano disposti su due piani nelle più vecchie b. di Roma già menzionate. 15 cm al di sotto degli armadi del piano terra (altezza m 4,45, ampiezza m 2,06, profondità cm 73) corre tutto intorno un podio alto 60 cm e largo 1,40 m, sul quale poggiavano le colonne e da cui si potevano raggiungere gli armadi. Al di sotto di esso tre gradini concentrici, larghi c.a 1 m, conducevano al pavimento della sala; venivano certamente usati come auditorium per letture o lezioni. Ancora più imponenti erano le due b. disposte sul lato SO delle Terme di Caracalla. Le sale, qui disposte ad angolo retto (m 36,30 X 21,90), al piano terra avevano su ambo i lati un'abside per statue ogni 8 armadi (alti 4,30 m, larghi 1,77 m e profondi 75 cm), di fronte ai quali è posto un podio largo 1,20 m e alto 81 cm. Analogamente al Foro di Traiano, anche qui alcuni gradini fra le basi delle colonne pertinenti a questa struttura a galleria conducono sul podio. Per impedire la sottrazione dei volumi da parte degli utenti, le nicchie degli armadi s'impostano soltanto m 1,24 al di sopra del podio: dunque erano raggiungibili solo con scale dai bibliotecari; e lo stesso avveniva anche nel piano superiore. Nelle Terme di Nerone, rinnovate da Severo Alessandro, un'esedra semicircolare fornita di nicchie e un podio a colonne potrebbe essere stata una b., forse quella allestita da Sesto Giulio Africano (POxy., 412). Anche le Terme di Diocleziano devono aver avuto una b. doppia, magari la B. Ulpia trasportata fin lì (SHA, Prob., 2,1). Forse, per analogia con le Terme di Traiano, essa si trovava in due esedre di forma semicircolare, oggi distrutte, inserite nelle mura di cinta. Anche fuori Roma le terme potevano disporre di locali adibiti a biblioteca. Nelle Thermae Taurinae di Centumcellae (Civitavecchia) si è conservata una sala squadrata e decorata in marmo (m 12,20 X 7,70), con 11 nicchie complessive (larghe 1,68 m e lunghe 60 cm) poste immediatamente al di sopra di un podio che gira tutt'intorno (alto 60 cm e largo soltanto 45 cm). A destra e a sinistra della sala, oltre le latrine si aprono due sale più piccole, forse vani per l'amministrazione o la scuola.
Il tipo della b. che si ritrova nella città di Roma e consistente solitamente in una (o due) sale di rappresentanza con due piani di armadi a muro, accessibili tramite un podio oppure un piano-galleria collocato davanti, si diffonde anche fuori d'Italia. A Thamugadi (Timgad), nella Numidia, nel III sec. d.C. un ricco cittadino lasciò alla città 400.000 sesterzi per costruire una b., i cui muri maestri si sono conservati. La sala principale, con due locali aggiunti, è costruita come un semicerchio allungato (c.a 15 m X 10). La porta centrale dà su un colonnato a tre ali, i cui lati brevi presentano ognuno due vani quadrangolari con ampie entrate. Nella sala principale, su entrambi i lati di una edicola per statue sporgenti, quattro armadi a muro, larghi 1,25 m e profondi 75 cm, poggiano 75 cm al di sopra del podio, accessibile tramite due gradini fra le basi delle colonne. Le colonne poste di fronte ai muri testimoniano l'esistenza di una galleria, dunque un secondo piano di armadi. Il locale non doveva essere stato affatto coperto da una volta a botte e una semicupola, come è stato ricostruito, ma avrà avuto piuttosto un tetto a capriata.
Il tipo in uso nella città di Roma venne ripreso anche nelle regioni grecofone dell'impero, che fino al II sec. d.C. si attennero al tipo ellenistico, come si è visto. L'esempio più antico e meglio conservato è la B. di Celso a Efeso; pensata come luogo di inumazione del proconsole Tiberio Giulio Celso Polemeano, morto prima del 114 d.C., essa fu eretta dal figlio Tiberio Giulio Aquila, console nel 110: dunque fra il 113 e il 117 d.C. L'edificio a due piani, la cui facciata è stata restaurata dall'Istituto Archeologico Austriaco negli anni 1970-1978, è sita all'incrocio di importanti strade presso la porta meridionale dell'agorà inferiore. La sfarzosa facciata di marmo entro cui sono innestati tabernacoli, ampia 21 m e alta 16,30 m, si eleva sopra una scalinata di nove gradini. Tre portali fra quattro nicchie nella parete provviste di statue, che impersonano le virtù del defunto, conducono nell'unico locale della b., che offre uno spazio utile di 16,72 m in larghezza e 10,92 in profondità. La sala è notevolmente più piccola della facciata compressa nello spazio disponibile, poiché il tetto deve scolare le acque nelle strette grondaie che corrono intorno alla sala. Questi passaggi, dei quali quello a destra conduce subito alla stanza sepolcrale posta sotto l'abside, non comportano affatto, come si è spesso supposto, doppi muri per mantenere asciutti i volumi. Di qua e di là dell'abside, sul podio che gira intorno (alto 94 cm e largo 1,02 m), si trovano 5 armadi a muro di quasi 60 cm di profondità per 2,55 m di altezza, ma di ampiezze diverse. Come nella B. Ulpia i quattro nella parete frontale sono più piccoli (m 1,07) dei tre lungo i muri laterali, e fra questi gli armadi al centro sono appena più larghi di quelli ai lati (m 1,20 contro m 1,15). Sul podio resti della fila di colonne, degli appoggi dell'architrave e delle nicchie del secondo piano di armadi confermano anche in alzato la ripresa del modello romano. Ciò non meraviglia, in quanto si tratta dell'heròon di un proconsole, che essendo stato in precedenza curator operum publicorum conosceva perfettamente le abitudini costruttive della città di Roma; si sono potuti constatare forti influssi anche sulla tecnica costruttiva e nello stile dell'ornamentazione. La stessa idea di trovare la propria immortalità grazie all'attività intellettuale e alla tradizione scritta, incarnata dalla b., può essere stata indotta dal Foro di Traiano.
Altrettanto ben conservata è la B. di Adriano ad Atene, presumibilmente fondata nel 131/132 d.C. (Hieron., Chron., 282, 20). A E, sul lato di un possente peristilio di 100 colonne di marmo frigio (Paus., I, 18,9) c'è una b. centrale, con sale di ascolto ai lati fornite di file di sedili digradanti e due esedre, Sei altre esedre per l'attività scolastica interrompono i muri laterali del cortile colonnato, mentre a O l'unica entrata sottolinea la parte centrale della sfarzosa facciata esterna, di cui sono ancora in piedi le estremità a N. Si tratta senza dubbio del Mousèion fondato da Adriano, la scuola superiore di Atene, al cui centro si ergeva, giustamente, una biblioteca. L'affinità dell'intero complesso con il Forum Pacis a Roma non autorizza ancora a stabilire una identità col Pantheon ateniese, che Pausania (I, 18,9) distingue espressamente da questo edificio. Anche gli aggetti di grosso spessore sulla parete posteriore del locale adibito a b., ampio 23,28 m e profondo 15,78 m, non rimandano all'architettura a tabernacolo con cornicioni, bensì servivano alla stabilizzazione di una struttura architettonica a galleria su tre piani: difatti solamente qui si sono conservati indizi che fanno pensare a tre file di armadi (larghi m 1,22, alti m 2,82 e profondi 50 cm). I 66 armadi a muro che ne risultano complessivamente non sono molti di fronte ai 2 x 36 (e più grandi) della B. Ulpia a Roma. Non sorprende che Adriano, ad Atene, abbia privilegiato il tipo romano monumentale, piuttosto che quello ellenistico tradizionale.
Assai più semplice, ma ugualmente fornita di colonne è la b. sita nell'angolo NE dell'Asklepièion di Pergamo (m 18,50 X 16,50). Fu dedicata da Flavia Melitene insieme a una statua di Adriano, che stava nell'abside del muro frontale. Qui sembra che ci si limiti a una serie di 2x8 armadi a muro, forse raggiungibili da un podio in legno. Ancora su due piani, ma solo 12 complessivamente, gli armadi (ampi 1,20 m, alti 1,80 m e profondi 60 cm) ordinati nella b., non ancora totalmente disseppellita, di Nisa in Caria. La costruzione dovrebbe essere stata eretta nel II sec. d.C., ma molti problemi rimangono ancora insoluti. Si presenta ancora più modesto l'edificio G2 dell'Asklepièion di Coo, che forse fu eretto solo nel III sec. d.C. con materiali di recupero, ma potrebbe essere stato una b. della rinomata scuola di medici. La costruzione posta a fianco del tempio Β misura all'esterno m 11,70 x 9,40 e consiste di un atrio quadrangolare e due vani rettangolari connessi tra loro, ognuno dei quali presenta sul muro del retro una nicchia rotonda (per una statuetta), tre rettangolari (larghe 85 cm e profonde 45 cm) sul muro esterno e una sola su quello interno.
Molte altre b. sono testimoniate da iscrizioni sia nella parte orientale che in quella occidentale dell'impero romano, ma non sono state ancora ritrovate dagli archeologi. Roma, ancora nel IV sec. d.C., deve avere avuto 28 b. pubbliche, e le metropoli dell'Oriente, soprattutto Costantinopoli, non saranno state da meno. Dal IV sec. bisogna aspettarsi una b. in ogni chiesa vescovile, poi anche nei chiostri, sebbene forse all'epoca non fossero ridotte che a un vano con armadi di legno o scaffali di fronte a un muro, forse anche piccole nicchie murarie, e dunque irriconoscibili dal punto di vista archeologico. Infatti qui non c'era alcun bisogno della tipica forma edilizia adottata dalle b. pubbliche nella città di Roma.
Bibl.: In generale: K. Wendel, Geschichte der Bibliotheken. Das griechischrömische Altertum, bearbeitet von W. Göber, in Hdb. d. Bibliothekswiss., III, 19552) pp. 51-145 (di seguito citato come Wendel-Göber); W. Schubart, Das Buch bei den Griechen und Römern, Heidelberg 19623; J. Platthy, Sources on the Earliest Greek Libraries with the Testimonia, Amsterdam 1968; C. Wendel, Kleine Schriften zum antiken Buch- und Bibliothekswesen, Colonia 1974; J. Tønsberg, Offentlige biblioteker i Romerriget i det 2. Jarhundrede e. Chr. (con riass. in inglese), Copenaghen 1976; E. Makowiecka, The Origin and Evolution of Architectural Form of Roman Library (Studia antiqua, ι), Varsavia 1978; V. M. Strocka, Römische Bibliotheken, in Gymnasium, LXXXVIII, 1981, pp. 298-329; R. Fehrle, Bibliothekswesen im alten Rom (Schriften der Universitätsbibliothek Freiburg, 10), Wiesbaden 1986.
Sulle singole biblioteche. - Alessandria: F. Altheim, R. Stiehl, Die Araber in der Alten Welt. II. Bis zur Reichstrennung, Berlino 1965, pp. 23-33; Ρ· M. Fraser, Ptolemaic Alexandria, Oxford 1972, pp. 320-335; M. Sabottka, Das Serapeum von Alexandria, in Koldewey-Gesellschaft. Bericht über die 33. Tagung 1984, Bonn 1986, p. 20 ss. - Atene: Β. di Pantainos: J. Travlos, Bildlexikon zur Topographie des antiken Athen, Tubinga 1971, pp. 432-438; Η. Α. Thompson, R. E. Wycherley, The Agora of Athens (The Athenian Agora, XIV), Princeton 1972, pp. 114-116 (con bibl.); T. L. Shear Jr., The Athenian Agora: Excavations of 1971-1972, in Hesperia, XLII, 1973, p. 145 s., tavv. XXX a-b, pp. 385-389, fig. 6. - B. di Adriano: J. Platthy, op. cit., p. 113 s.; J. Knithakis, E. Symboulidou, in ADelt, XXIV, A', 1969, pp. 107-117; J. Travlos, op. cit., p. 244 s.; J. Tønsberg, op. cit., pp. 82-85; W. Martini, Zur Benennung der sog. Hadriansbibliothek in Athen, in Lebendige Altertumswissenschaft. Festschrift H. Vetters, Vienna 1985, pp. 188-191. - Civitavecchia: Thermae Taurinae: S. Bastianeiii, in NSc, 1942, p. 235 ss., 250 ss.; M. Torelli, in 5 1970, p. 234, s.v. Civitavecchia; W. Heinz, Die 'Terme Taurine' von Civitavecchia, ein römisches Heilbad, in AW, XVII, 1986, 4, pp. 22-43. - Efeso: Β. di Celso: W. Wilberg, M. Theuer, F. Eichler, J. Keil, Die Bibliothek (Forschungen in Ephesos V, 1), Vienna 1953, passim; F. Hueber, V. M. Strocka, Die Bibliothek des Celsus. Eine Prachtfassade in Ephesos und das Problem ihrer Wiederaufrichtung, in AW, VI, 1975, 4, p. 3 ss.; V. M. Strocka, Zur Datierung der Celsusbibliothek, in The Proceedings of the 10. International Congress of Classical Archaeology, Ankara-Izmir 1973, Ankara 1978, pp. 893-900; id., art. cit., pp. 322-329. - Ercolano: M. Gigante (ed.), Catalogo dei Papiri Ercolanesi, Napoli 1979. - Sul probabile proprietario della Villa: H. Bloch, L. Calpumius Piso Caesoninus in Samothrace and Herculaneum, in AJA, XLIV, 1940, p. 490 ss. - Filippi: J. Tønsberg, op. cit., p. 87 s. - Kos: P. Schazmann, R. Herzog, Kos, I, Berlino 1932, p. 49 ss. - Masada: V. M. Strocka, art. cit., p. 308, nota 27. - Nisa: J. Tønsberg, op. cit., pp. 95-98. - Pergamo: Wendel-Göber, p. 82 ss.; C. Wendel, op. cit., p. 18 ss., p. 144 ss.; J. Platthy, op. cit., pp. 159-165. - Asklepièion: C. Habicht, Die Inschriften des Asklepieions (Altertümer von Pergamon, 8,3), Berlino 1969, p. 29 s., n. 6, p. 84 s., n. 38; J. Tansberg, op. cit., pp. 98-100. - Pompei: V. M. Strocka, art. cit., p. 300 s. - Timgad: H. F. Pfeiffer, The Ancient Roman Theatre at Dugga, in MemAmAc, IX, 1931, pp. 157-165; J. Tønsberg, op. cit., pp. 106-109. - Ginnasi: J. Delorme, Gymnasion. Etude sur les monuments consacrés â l'éducation en Grèce, Parigi i960, p. 331 ss.; C. Wendel, op. cit., p. 13 ss; I. Papachristodoulou, Das hellenistische Gymnasion von Rhodos. Neues zu seiner Bibliothek, in Akten des XIII. internationalen Kongresses für klassische Archäologie, Berlin 1988, Magonza 1990, p. 500 ss.
Roma. - Atrium libertatis: Ch. Callmer, Athenaeum, in OpRom, VII, 1969, p. 278, p. 282 ss.; E. Makowiecka, op. cit., pp. 27-29; R. Fehrle, op. cit., pp. 58-61. - Tempio di Apollo Palatino: G. Carettoni, A. M. Colini, L. Cozza, G. Gatti, La pianta marmorea di Roma antica, Roma 1960, p. 77 s., tav. XXII; J. Tønsberg, op. cit., pp. 22-35; E. Makowiecka, op. cit., pp. 29-36. - Portico di Ottavia: J. Tønsberg, op. cit., pp. 35-37. - Domus Tiberiana: id., ibid., p. 38 ss.; R. Fehrle, op. cit., p. 67 s. - Tempio del Divo Augusto: J. Tønsberg, op. cit., p. 37 s. - B. Ulpia: C. Wendel, op. cit., p. 150 ss.; J. Tønsberg, op. cit., p. 45 ss.; V. M. Strocka, art. cit., p. 310 ss.; C. M. Amici, Foro di Traiano: Basilica Ulpia e Biblioteche, Roma 1982, p. 47 ss. - Terme di Traiano: E. Nash, Bildexikon zur Topographie des antiken Rom, II, Tubinga 1961, p. 472 ss.; J. Tønsberg, op. cit., p. 52 ss.; Κ. de Fine Licht, Untersuchungen an den Trajansthermen zu Rom, in AnalRom, VII, 1974, p. 5 ss., 13 ss. - Terme di Caracalla: J. Tønsberg, op. cit., pp. 55-57; V. M. Strocka, art. cit, p. 315 s. - Terme di Alessandro (Nerone) e Terme di Diocleziano: J. Tønsberg, op. cit., pp. 57-58.