BIBLIOTECA
Trattare della b. medievale è compito non facile, sia per la mancanza di adeguata documentazione superstite architettonica e iconografica, sia per il succedersi di modelli bibliotecari diversi nel lungo corso del Medioevo, sia per la varietà di significato del termine bibliotheca, che può indicare non solo la b. come spazio fisico destinato alla conservazione o fruizione dei libri, ma anche, più genericamente, una raccolta di libri o un semplice scaffale, o talora anche la Bibbia. Peraltro, se si eccettua quest'ultimo significato, gli altri sono correntemente indicati dal termine armarium (v.), anch'esso quindi, al pari di bibliotheca, non scevro da valenze semantiche diverse. Tutto questo rende sovente le fonti letterarie di difficile interpretazione. Si cercherà comunque di individuare quelli che, tra Tarda Antichità e fine del Medioevo, sono stati i modelli bibliotecari di volta in volta dominanti sì da disegnarne formazione, fisionomia, funzione, incidenza.
La fine del mondo antico, segnando prima in Occidente e più tardi in Oriente la decadenza degli spazi urbani e la rarefazione della società colta, determinava l'abbandono e quindi la fine delle b. pubbliche. Queste a Roma, a detta di Ammiano Marcellino, già alla fine del sec. 4° risultavano chiuse sepulchrorum ritu (Rerum gestarum libri, XIV, 6, 18); il che certo valeva anche per la b. più celebre di Roma, l'Ulpia Traiana, che pur accoglieva, poco più tardi, la statua di Sidonio Apollinare. In Occidente questa crisi della conservazione pubblica è compensata ancora per qualche tempo dalle b. di grandi aristocratici, come quelle dei Simmachi e dei Nicomachi a Roma, o quella di Anicio Probo Fausto Niger, attestata più tardi a Ravenna. In Oriente resta roccaforte di tutela libraria la b. di palazzo a Costantinopoli, tracce della quale si ritrovano anche più tardi, in pratica per tutta l'età bizantina. Sul versante delle b. cristiane di istituzioni ecclesiastiche, esse nella Tarda Antichità vennero a strutturarsi sul modello romano (o greco-romano) più diffuso: due aule, una destinata ai libri latini, l'altra ai libri greci, ai lati di una sala di lettura o cortile o esedra. È questo il modello che si ritrova nella b. fondata da papa Ilaro (461-468) nell'area del battistero lateranense, anch'essa spartita in due aule, tanto che il Lib. Pont. parla di bibliothecae duo. L'istituzione si inquadrava nella cornice ambientale della sede pontificia del tempo, il Laterano, ed era mirata, come le b. di tradizione romana, alla conservazione ma anche alla disponibilità di libri, che erano per la più parte quelli della cristianità. Ugualmente in due aule, disposte ai lati dell'abside, è stata proposta l'identificazione di un'altra b. cristiana, annessa alla chiesa di S. Giovanni Evangelista a Ravenna, fatta edificare da Galla Placidia (ca. 426-430): si sono volute vedere tracce, tra l'altro, di nicchie incavate nelle pareti, funzionali alla conservazione dei libri, e di finestre. Altre b. restano in ombra, ma si ha qualche notizia della b. ecclesiastica di s. Paolino a Nola (353-431) e della b. fondata a Roma da papa Agapito (535-536) nel tentativo, fallito, di farne il centro di una scuola superiore.
Dai resti di questa b. - più tardi forse inglobata da Gregorio Magno nel complesso monasteriale di S. Andrea - si è potuto ricostruire un grande ambiente absidato a pianta rettangolare, in cui dovevano esservi armaria dislocati lungo le pareti. Si tratta di un modello greco-orientale diverso da quello tradizionale romano a due aule.Nell'Oriente cristiano tardoantico il modello che rimane prevalente è quello di una b. legata a una cerchia intellettuale, di solito a una scuola 'interna' e a un'attività 'editoriale': modello di ascendenza molto antica ed ellenistica, perpetuatosi in scuole cristiane come quelle di Alessandria in Egitto, di Cesarea e di Gaza in Palestina, di Nisibis in Siria. In Occidente, il tentativo di creare una b. di questo tipo è rappresentato, dopo quello fallito di papa Agapito, dall'istituzione di Vivarium, esplicitamente fondato dopo il 554 da Cassiodoro nelle sue terre di Squillace, in Calabria, sul modello offertogli da Alessandria e da Nisibis, ma nel contesto di una comunità monastica. Vivarium è concepito come milieu di lavoro intellettuale e di atelier di produzione libraria, attività delle quali era parte integrante la biblioteca. Questa era costituita da armaria numerati, nei quali erano riposti i codici acquisiti dall'esterno o prodotti nello stesso monastero, di contenuto sacro o profano, latini o greci (a questi ultimi era adibito un apposito armarium, l'ottavo). Cassiodoro distingue fra i suoi libri personali e quelli della b. del monastero, ma v'è da credere che la raccolta privata abbia finito con il confluire in quella comunitaria. Quest'ultima nel suo complesso, intesa come autori e opere che ne costituivano il repertorio, si può indirettamente ricostruire, almeno nelle linee fondamentali, attraverso quanto Cassiodoro stesso nelle Institutiones dice dei libri che a Vivarium si trascrivevano, si leggevano e si conservavano (mentre è da avvertire, d'altro canto, che non tutti i libri elencati nell'opera erano nella b. del monastero). La b. di Vivarium, tuttavia, pur se calata nell'esperienza monastica di Cassiodoro, va considerata - per tipologia, organizzazione, fini - come l'ultima b. tardoantica, piuttosto che come una delle prime b. medievali. È infatti sulle rovine del mondo antico che queste nascono, ma da istanze diverse e lentamente: sono b. di monasteri, cattedrali, corti.
La cultura del monachesimo primitivo risulta fondata sull'insegnamento orale, sui detti più che sullo scritto, sicché, quando si esaminano le fonti riguardo ai libri, ci si trova di fronte a modi assai lontani da quelli sottesi al concetto di biblioteca. Le prime testimonianze e regole di vita cenobitica, pur facendo di solito riferimento alla distribuzione di libri d'uso comunitario e alle ore dedicate alla lettura, sono mute riguardo a vere e proprie biblioteche. Nei Praecepta di Pacomio si parla di codici riposti, dopo la lettura, in uno spazio ricavato nella parete e in qualche modo strutturato a guisa di rudimentale armadio, nel quale risultano conservati anche oggetti domestici diversi. Questo modello orientale si ritrova, in pratica, anche nel primo monachesimo dell'Occidente medievale. Nella Regula magistri si menziona un'arca, una cassa, in cui si trovano conservati libri e, insieme a questi, fogli di pergamena non ancora utilizzata e documenti. Si coglie qui, nella sua fase larvale, quella che sarebbe stata la connessione strettissima di b., scriptorium (v.) e archivio nell'Alto Medioevo; ma va osservato che l'arca è conservata, con arnesi e altre casse di oggetti vari, in uno stesso stanzino, il quale perciò non costituisce uno spazio bibliotecario specifico. Nella Regola di s. Benedetto, la quale prescrive che tutti in tempo di Quaresima ricevano in lettura codices de bibliotheca, non si vuol significare altro che 'codici della Bibbia', i quali si devono ritenere conservati in qualche modesto ripostiglio. Sempre dalle prime regole monastiche risulta che a distribuire e a ritirare i libri, riponendoli dopo l'uso, era un membro della comunità a essi preposto, che tuttavia svolgeva mansioni varie, non la specifica funzione di bibliotecario. Alla stessa Regola benedettina questa figura risulta sconosciuta. I libri sono peraltro limitati ai testi liturgici e alle letture essenziali, come Sacre Scritture e qualche opera edificatoria.A quanto è stato prospettato, fu nel monachesimo irlandese e attraverso le sue fondazioni e proiezioni sul continente che il primitivo rifiuto ascetico-monacale della cultura venne superato da un nuovo sistema di educazione e di trasmissione del sapere, fondato su un tipo di formazione che - con espressione tratta dall'archeologia - è stato detto 'a frammenti di recupero': il patrimonio letterario, soprattutto grammaticale, di tradizione greco-romana, avulso dal suo contesto antico, veniva riconvertito in mero strumento tecnico; il che comportava una scuola, una certa lettura degli autori classici, un incremento dello studio dei testi patristici e di opere edificatorie. Sotto la spinta di queste istanze sorgono le prime b. benedettine e i primi scriptoria organizzati, che nell'Alto Medioevo sono inscindibili: la b. monastica trova concreto fondamento, infatti, non già nelle occasionali acquisizioni dall'esterno, ma nella produzione libraria interna; lo scriptorium è perciò funzionale all'accrescimento librario, il quale dipende soprattutto - sotto l'aspetto sia qualitativo sia quantitativo - dallo zelo e dagli interessi di abati, bibliotecari, monaci, in un'epoca in cui scrivere e far scrivere i libri è atto meritorio, offerto al Signore per la salvazione dell'anima.La stretta connessione in quest'epoca non solo tra b. e scriptorium, ma anche tra b. e archivio, faceva sì che in essa, insieme ai libri ma forse separati da questi, si conservassero anche documenti, regesta, formulari. Da tutto questo discende, sotto il profilo architettonico, la coincidenza o contiguità che nell'Alto Medioevo di solito si ha tra b. e scriptorium: si trattava infatti di uno o più armaria, armadi, o arcae, casse (ma l'uno e l'altro termine possono significare le due cose), nei quali erano conservati i libri o i documenti, e che si trovavano collocati nello scriptorium stesso o in una stanza-deposito al piano superiore cui si accedeva per una scala. Questa soluzione architettonica si trova nel piano dell'abbazia ideale di San Gallo (Stiftsbibl., 1092), progettata nel sec. 9°, nella quale b. e scriptorium sono collocati tra il presbiterio e il braccio nord del transetto della chiesa, mentre, sull'altro lato della chiesa, in perfetta corrispondenza, tra presbiterio e braccio sud del transetto, si trovano sacrestia nella parte inferiore e repositorio dei vestimenti sacri in quella superiore. Questa disposizione dei due ambienti ai lati della chiesa rappresenta forse l'evoluzione delle due aule bibliotecarie, greca e latina, di tradizione romana, secondo l'adattamento all'architettura ecclesiastica che se ne è voluto ricostruire per S. Giovanni Evangelista a Ravenna. Nel Medioevo - tramontato del tutto l'uso di libri greci - la relativa aula viene a evolversi in ambienti di altra destinazione. Isolata sembra la parvula, ma abbastanza capace, edecula, in pratica una costruzione monolocale, dovuta nel sec. 11° all'iniziativa dell'abate Desiderio a Montecassino, in qua libri reconderentur, a quanto attestano i Chronica del monastero: pur se non si può escludere che questa edecula facesse anche da scriptorium, sembra trattarsi piuttosto di una b. autonoma, indipendente da quest'ultimo, destinata soltanto alla conservazione dei libri.In certi casi - qualunque ne fosse la connessione con lo scriptorium - la b. monastica benedettina poteva raggiungere dimensioni notevoli, almeno a partire dal sec. 9°, a quanto mostra, ancora una volta, il piano di San Gallo. Alla stessa epoca si comincia a incontrare la figura del bibliotecario (detto bibliothecarius o librarius o armarius), il quale era il medesimo che sovrintendeva allo scriptorium e all'archivio e che spesso era il cantor (o praecentor); circostanza, quest'ultima, che si spiega ove si pensi che a custodire i libri del coro non poteva essere che il cantor, il quale finiva di solito con l'assumere - una volta accresciutosi il patrimonio librario del monastero e costituitasi saldamente la b. - la funzione di vero e proprio bibliothecarius. Le mansioni di quest'ultimo come tale consistevano nel custodire severamente i libri, quindi nel distribuirli a tempo debito per la lettura, riponendoli dopo la restituzione, secondo le consuetudini del monastero. Tra i secc. 9° e 11° non pochi monasteri europei - da San Gallo a Lorsch, da Fulda a Reichenau, da Corbie a Fleury, da Auxerre a Cluny, da Bobbio a Montecassino - raggiunsero un patrimonio librario cospicuo o assai cospicuo, a quanto risulta da manoscritti direttamente conservatisi e da fonti cronachistiche o catalogiche. Va osservato tuttavia che, pur se non vi furono monasteri senza libri, non tutti ebbero b. più o meno ampie o ben fornite, a quanto mostra l'interpretazione cellula ubi libri reconduntur, riferita nel sec. 9° a bibliotheca, che indica uno spazio assai stretto riservato ai libri. In ogni caso, qualsiasi ne fosse la strutturazione architettonica, la b. monastica fino al sec. 12° ca. è soltanto b. di pura conservazione, non di lettura, di consultazione o di studio.Nei monasteri i libri letti - con intenzioni, intensità, maniere differenti - erano soprattutto quelli che si distribuivano una volta l'anno, all'inizio del tempo di Quaresima, e che i monaci litterati leggevano nella cella o seduti nel chiostro (dove pare vi fossero anche appositi ripostigli per i libri), talora in viaggio o, d'inverno, accanto alla stufa comune; v'erano inoltre i libri liturgici, adoperati per il servizio divino, al loro posto sull'altare e nel coro o conservati in sacrestia, tra i quali si trovavano di solito i libri più preziosi per corredo illustrativo e valore delle rilegature; e ancora v'erano libri per letture quotidiane comunitarie, nel refettorio; infine libri per l'istruzione dei novizi o a uso della scuola, disponibili negli ambienti in cui erano specificamente adoperati. Gli abati potevano avere una loro speciale raccolta di volumi. Nella bibliotheca - finalizzata dunque non alla fruizione ma alla salvaguardia della cultura scritta nel suo complesso - venivano conservati, in pratica, i libri non letti per un certo periodo o non letti affatto, ma che comunque costituivano bene patrimoniale del monastero. I cataloghi medievali di libri riverberano questa realtà, giacché essi ora si riferiscono ai volumi conservati nella vera e propria b., senza tenere conto - si deve credere - di quelli 'in lettura' altrove nel monastero, ora documentano raccolte librarie parziali dislocate secondo criteri di fruizione; con l'avvertenza, inoltre, che questi cataloghi volevano essere soltanto inventari dei beni librari posseduti dalla comunità, senza alcun valore di referenti per la ricerca, la lettura o la consultazione di volumi inventariati.Altre b. saldamente attestate nell'Occidente medievale sono quelle annesse alle cattedrali, incrementate non tanto da un'organica attività scrittoria interna, come le b. monastiche, ma piuttosto da committenze di vescovi o di altri ecclesiastici di qualche rango rivolte all'esterno (soprattutto ad abbazie, ma talora anche a scribi professionali prezzolati). Questo tipo di b. aveva di solito il suo luogo fisico in una stanza sita a ridosso della chiesa, spesso di dimensioni piuttosto modeste. Inoltre, rispetto agli inventari di libri compilati nei monasteri, quelli delle cattedrali risultano numericamente irrilevanti e, a parte alcune eccezioni, testimoniano modeste quantità di volumi. Tutto questo sembra indicare che le raccolte librarie delle cattedrali erano formate in prevalenza da libri destinati all'uso (liturgico, edificatorio, scolastico), non all'accumulo patrimoniale, come in certe abbazie. Non mancano tuttavia cattedrali assai fornite di libri, come quella di Verona, dove, a parte i volumi già posseduti, al tempo dell'arcivescovo Pacifico - intorno alla prima metà del sec. 9° - venne prodotto un numero di libri assai elevato, più di duecento, cifra che impressionò gli stessi contemporanei. Più tardi, a partire dai secc. 12°-13°, le b. cattedrali seguirono destini diversi, correlati a situazioni varie: se alcune andarono disperse o rimasero chiuse e inerti, altre, trasformandosi secondo un nuovo modello - quello della b. di consultazione - creato dagli Ordini mendicanti, furono attive fino allo spirare del Medioevo e oltre.
Il sec. 12° segna il momento di rottura del modello di b. proprio dell'Alto Medioevo in conseguenza della riforma cistercense, la quale - con il suo programma di ritorno all'austerità dell'esperienza monastica primitiva - venne a determinare una trasformazione radicale del monastero all'interno e nel contesto sociale di riferimento. Già sotto il profilo architettonico si assiste alla separazione tra b., archivio e scriptorium; quest'ultimo di solito coincideva con la sala comune del monastero, destinata anche ad altre funzioni, ma poteva anche essere costituito da più scriptoria, verisimilmente stanzette individuali. La b., non collegata più in alcun modo con lo scriptorium, è ridotta all'origine a nicchia più o meno ampia, incavata nella parete, affacciata sul chiostro, fornita di porte le cui chiavi erano affidate al bibliotecario, ch'era ancora, secondo la consolidata tradizione delle consuetudini monastiche, il maestro del coro e il sovrintendente dello scriptorium. In certi casi, quando il numero dei libri aumentava, la b. poteva essere strutturata in più nicchie, affacciate sul chiostro o ricavate nella chiesa (per i libri liturgici) o nel refettorio (per le letture comuni), o anche, se i libri venivano ad accrescersi ancora, si poteva adibire a b. un altro ambiente, come parte della sacrestia a Fossanova, o costruire un'apposita sala, come a Clairvaux. In ogni caso si trattava pur sempre di un tipo di b. intesa non come spazio di lettura, ma come deposito di libri. La lettura si faceva soprattutto nel chiostro, sempre camminando, o anche nella sala comune. I monasteri florensi - sorti dall'esempio e dall'opera di Gioacchino da Fiore - seguono, impoverendolo, il modello di b. creato dai Cistercensi, alla cui esperienza spirituale del resto essi risultano ispirarsi.Una vera 'rivoluzione' del modello bibliotecario in ambito monastico fu operata nell'ultimo quarto del sec. 13° dagli Ordini mendicanti, Domenicani e Francescani (sui quali per certi aspetti vennero a modellarsi anche Agostiniani e Carmelitani), i quali crearono la grande b. di conservazione religiosa, tutta funzionale alla cultura scolastico-universitaria. Questa b. - chiamata di solito libraria e destinata a larga fortuna per più secoli - è costituita, sotto il profilo architettonico, da un'aula oblunga, percorsa al centro da un corridoio vuoto e occupata nelle due navate laterali da due serie, disposte in file parallele, di banchi di lettura con i libri a questi incatenati, offerti alla consultazione e allo studio. La pianta è in pratica quella della chiesa gotica, richiamando, al di là del fatto puramente architettonico, la concezione mentale sottesa alla civiltà del Gotico: la b. si fa urbana e ampia, divenendo lo scenario del libro, esposto e disponibile. Dalla b. di pura conservazione si è passati alla b. di lettura. Di conseguenza il catalogo, da semplice inventario, redatto soprattutto per documentare la proprietà di beni, diventa strumento finalizzato a segnalare la collocazione dei libri all'interno di una determinata b. o in altra b. dell'Ordine. Entra in uso anche il 'memoriale', una scheda sulla quale venivano segnati dal bibliotecario i volumi in prestito. Oltre alla b. di consultazione qui descritta, v'era una b. più fornita, detta segreta perché chiusa in armadi o circolante perché destinata al prestito. Sia la sezione aperta alla pubblica consultazione sia il deposito librario destinato al prestito erano incrementati da volumi di origine diversa: variamente acquisiti, scambiati, fatti ricopiare all'esterno del convento e - ove prodotti all'interno - trascritti non in uno scriptorium definito come spazio e come struttura organizzata, ma per iniziativa individuale (anche se controllata) o, spesso, a opera di scriptores assunti dall'esterno.Il tipo di b. creato nel sec. 13° dagli Ordini mendicanti fu recepito, in pratica, da tutte le istituzioni bibliotecarie dell'epoca: a essa si conformano le antiche b. cattedrali, su di essa si modellano le nuove b. dei collegi secolari annessi alle università, ed è a essa che queste ultime si ispirano quando, a partire dal sec. 15°, organizzano proprie biblioteche. Da questo stesso modello di b. religiosa non prescindono, inoltre, le b. private cardinalizie o dell'uomo dotto, maestro o dottore in teologia, diritto, medicina, le quali non sono altro che la proiezione in scala ridotta di quel modello, risultando anch'esse funzionali alla cultura scolastico-universitaria.
Le prime b. di corte medievali di cui si possono delineare certe afferenze o caratteristiche sono quelle dei Carolingi. Vi è notizia di un invio di libri greci a Pipino da parte di papa Paolo I, destinati probabilmente a incrementare una qualche raccolta libraria. Di più si conosce, da fonti di natura diversa, sulla b. di Carlo Magno. Questi fu di sicuro committente di libri (tra i quali spicca l'Evangeliario di Godescalco; Parigi, BN, nouv. acq. lat. 1203), e la sua corte e i libri che in essa circolavano - testi grammaticali, autori antichi e rarità letterarie - furono referenti di presenze dotte, di attività scolastica, di ripristino della correttezza linguistica, di tradizioni testuali; nulla tuttavia si sa della collocazione fisica precisa di questa b., se non che aveva sede ad Aquisgrana, né se ne riescono a cogliere in modi circostanziati indole e funzione. Il fatto che Carlo ne disponga la vendita alla sua morte per devolvere il ricavato a opere pie fa credere a una raccolta libraria personale dell'imperatore piuttosto che a una vera e propria b. di corte. Ugualmente si sono volute ricostruire a corte una b. di Ludovico il Pio e una b. di Carlo il Calvo, quest'ultima, peraltro, difficile da localizzare (forse a Compiègne), ma si tratta sostanzialmente, anche in questi casi, di b. personali. Più tardi, in età ottoniana, i libri di Ottone III rientrano senz'altro tra gli oggetti di possesso e d'uso privato dell'imperatore, sicché la loro sede cambia secondo gli spostamenti di Ottone. Questo tipo di b. personale riflette di volta in volta - attraverso i libri commissionati, acquisiti, ricevuti in dono - le esigenze d'apparato, gli orientamenti culturali, i legami di clientela del sovrano e del suo seguito.Le b. dell'aristocrazia laica, scarsamente attestate nell'Alto Medioevo - si pensi a quelle di Erardo del Friuli o di Eccardo di Macôn -, seguono lo stesso modello. Ed è su questo modello, pur se del tutto rinnovato, che più tardi, tra i secc. 12° e 14°, nasce la b. signorile, cavalleresca e cortese, priva di un preciso progetto culturale o di un canone fisso, non finalizzata ad alcun programma didattico o professionale, 'aperta' a possibilità di nuove accessioni. Il repertorio si mostra in prevalenza costituito, da una parte, di libri assai raffinati (bibbie, libri d'ore riccamente illustrati), dall'altra, di letteratura di intrattenimento (volgarizzamenti, cronache, poemi in versi, testi di narrativa o di tattica militare). I libri, in quanto raccolta 'privata' di chi li possiede, sono talora chiusi in casse invece che in armadi, così da poter seguire, quasi b. 'itinerante', il signore nei suoi spostamenti; mentre nel palazzo o nel castello essi sono conservati in luoghi sicuri, non attrezzati come spazi di lettura, la quale si faceva invece negli ambienti di soggiorno, di svago, di riposo.
Nel Tardo Medioevo, ad avvertire l'esigenza di istituire una b. pubblica furono gli umanisti, anche se le iniziative al riguardo intesero innestarsi su istituzioni preesistenti, in particolare sulle b. degli Ordini mendicanti, che ne costituivano, con la creazione della b. di lettura, una delle premesse fondamentali. L'altra premessa va cercata nella formazione, a partire dal tardo sec. 13°, di b. private di grandi intellettuali ecclesiastici o laici, di solito ancorate, fra Trecento e Quattrocento, alla cultura universitaria e alla b. di consultazione religiosa, sua depositaria, ma a cui gli umanisti cercano di contrapporre un modello alternativo, che mette al bando proprio i libri della vecchia cultura dando posto ai classici e alle stesse opere umanistiche. Si trattava dunque di trasformare la b. privata umanistica, trasferendone il concreto patrimonio e quindi i contenuti culturali, in b. pubblica, occupando i luoghi strategici della vecchia cultura, vale a dire gli spazi bibliotecari degli Ordini mendicanti, o tentando di crearne di nuovi. Di qui, soprattutto nel corso del Quattrocento, i lasciti librari non solo di grandi umanisti, ma anche di altri colti collezionisti a favore di istituzioni religiose, con l'intento che fossero messi a disposizione di un vasto pubblico colto; anzi la stessa passione per i libri negli umanisti venne ad alimentarsi dal vedere trasformata la propria b. privata - da rendere ricca il più possibile, senza risparmiare spese e fatiche - in b. pubblica. Altre volte i lasciti librari si indirizzarono a città e comuni, sempre con l'intento che questi trovassero per i volumi una sede adeguata alla pubblica consultazione. Tuttavia il modello bibliotecario proposto dagli umanisti, tanto diverso da quello tradizionale e assai innovativo soprattutto sotto l'aspetto dei contenuti culturali in esso insiti, incontrò difficoltà e resistenze nel suo volersi innestare su istituzioni preesistenti o non preparate a recepirlo: alcuni progetti non andarono in porto, altri vennero realizzati con forte ritardo, a fatica, parzialmente o in forme ibride.Fu altrimenti, invece, che quel modello s'impose e risultò vincente, quando per iniziativa di Cosimo de' Medici e a opera di Tommaso Parentucelli, il futuro papa Niccolò V (1397-1455), venne a definirsi, sul piano del repertorio, quel canone bibliotecario che, conciliando e superando lo schema religioso tradizionale della cultura ufficiale e quello classicistico nuovo degli umanisti, venne largamente assunto dai grandi signori italiani del Quattrocento, grazie anche a una 'industria' libraria in piena espansione (si pensi a Vespasiano da Bisticci). Nascono così quelle che, pur con una certa forzatura, si possono chiamare b. di Stato - di nuova formazione o innestate su b. cortesi e signorili già ricche - quali dei Medici a Firenze, degli Sforza a Milano, dei Malatesta a Cesena, dei Montefeltro a Urbino, degli Aragona a Napoli. La b. di questo tipo è per lo più fondata sul canone di Parentucelli: è oggetto di cura assidua da parte del signore; è costituita del tutto o quasi da libri nuovi fatti eseguire appositamente per essa; è aperta all'uso pubblico di dotti, uomini eminenti, cortigiani; è affidata di solito a personale specializzato. Questo stesso modello è alla base dell'istituzione a Roma a opera di Sisto IV, con bolla del 15 giugno 1475, della b., cristiana e umanistica, della Chiesa, la b. Vaticana, che venne a porsi come modello insuperabile non soltanto delle b. ecclesiastiche ma anche delle b. pubbliche in assoluto.
Nel mondo bizantino le b. monastiche rimasero nel solco di una certa continuità con il monachesimo primitivo: i manoscritti prodotti erano sovente destinati alla vendita o venivano venduti perché non ritenuti altrimenti utili; le raccolte librarie risultano povere, limitate a opere di carattere teologico o edificatorio o d'uso liturgico. Non a caso, sotto il profilo architettonico, il monastero bizantino di solito non ha larghi spazi, o non ha spazi, destinati a una biblioteca. Il monachesimo greco-orientale fu in pratica senza ordini e senza istituti disciplinari saldamente costituiti e praticati, a parte il modello di ϰοινόβιον tracciato da s. Teodoro Studita, che tuttavia non fu né rigido né dominante. Ed è proprio tra le regole della constitutio monastica studita che s'incontra qualche attenzione a un uso comunitario del libro, pur se si parla non di una βιβλιοθήϰη ma di un τόποϚ τῶν βιβλίων, semplicemente il 'luogo in cui si trovano i libri', distribuiti e ritirati da un βιβλιοϕύλαξ, un 'custode dei libri', al suono del σίμαντϱον; doveva trattarsi, molto probabilmente, di una sala comune, dove, insieme ai libri, si conservavano altri oggetti d'uso e nella quale i monaci si recavano, tra l'altro, per la pratica di lettura edificatoria prevista dalla constitutio.Dalle poenae monasteriales studite emerge un'attività scrittoria in qualche modo regolata, ma di certo non rigidamente coordinata né finalizzata a un forte accrescimento della b. come negli scriptoria di certe grandi abbazie dell'Occidente. Nel mondo bizantino s'incontrano monaci che scrivono e illustrano libri, ma di solito in forme indipendenti da regole o indirizzi tecnico-formali comunitari. Le rare b. monastiche ben fornite di libri, come quelle della Grande Lavra al monte Athos o di S. Giovanni Teologo a Patmos o del monastero di Chora a Costantinopoli (da identificare con la βασιλιϰή βιβλιοθήϰη ricordata da Massimo Planude), acquisirono di certo il loro patrimonio non tanto da una produzione interna - pur attestata, ma che tutto lascia credere modesta - ma soprattutto dall'esterno. Molti libri venivano fatti scrivere per essere offerti a un'istituzione monastica; v'erano inoltre non pochi laici alfabetizzati, o magari colti, che scrivevano libri da sé o possedevano una b. privata, che lasciavano in eredità al monastero; v'erano donazioni di libri d'apparato da parte di imperatori e dignitari di corte. Lo stesso monaco, se colto, aveva ricevuto una formazione intellettuale prima di entrare nel cenobio, dove si ritirava con i suoi libri. La b. monastica bizantina è dunque costituita per la più parte di donazioni, lasciti, offerte: fattori che determinano la misura della sua consistenza.Mancano a Bisanzio b. annesse alle chiese metropolitane; vi furono grandi ecclesiastici dotti e possessori di molti libri, ma le loro collezioni si devono ritenere d'uso privato. Solo l'Accademia patriarcale a Costantinopoli, in quanto sede di insegnamento, aveva una b. di consultazione, che si faceva risalire al tempo del patriarca Sergio (610-638), ma resta dubbio se essa fosse frequentata da un pubblico più largo di quello dei διδάσϰαλοι dell'Accademia stessa.Sempre a Costantinopoli v'era la b. imperiale fondata da Costanzo II nel 357 e rimasta in vita per tutta l'età bizantina; b. di pura conservazione, accessibile solo agli imperatori, alle cerchie di corte e - quando nel sec. 11° Costantino Monomaco istituì la scuola di retorica/filosofia e di diritto - agli scolarchi forse della prima, certo della seconda di queste scuole. Essa in epoca tarda è descritta nella specie di una loggia di marmo fornita di panche e tavoli di pietra oltre che, ovviamente, di libri. In età tardoantica questa b. era alimentata soprattutto da una produzione libraria interna, affidata a scribi greci e latini; ma nel periodo medio e tardobizantino non sembra possa postularsi l'esistenza di un vero e proprio atelier di corte. Vi doveva essere a Costantinopoli un artigianato di alto livello che riceveva committenze dagli stessi imperatori, dai dignitari della sua cerchia, da funzionari d'alto rango. Non si ha invece alcuna notizia solida circa una b. annessa alla c.d. Università di Costantinopoli; e anzi è in discussione la stessa realtà istituzionale di quest'ultima. Mancano, più in generale, notizie di b. pubbliche nel mondo bizantino fino a tutto il 12° secolo. E anche più tardi, nel periodo dell'impero di Nicea (1204-1265), non si sa molto delle b. pubbliche fondate da Giovanni III Vatatze o di quelle che Teodoro II Lascaris fece rifornire di libri ordinando che questi fossero accessibili a quanti volessero leggerli o studiarli. La b. bizantina resta, nel suo modello più paradigmatico, privata; anzi, i secc. 13° e 14° segnano il culmine del collezionismo librario dei bizantini.Discorso più articolato è da farsi per le b. italo-greche: di queste, fino allo spirare del sec. 11°, e perciò proprio nel periodo di dominazione bizantina nell'Italia meridionale e in Sicilia (prima che questa, con l'inizio del sec. 10°, cadesse definitivamente in mano araba), sfuggono fisionomia e consistenza, pur se la circolazione di manoscritti greci in quell'ambito, saldamente attestata almeno in Calabria a partire dal sec. 10°, fa ritenere che vi fossero piccole raccolte librarie di monasteri e chiese. Ma di vere e proprie b. italo-greche si può parlare, paradossalmente, soltanto a partire dall'età normanna, quando vengono a formarsi raccolte consistenti come quelle dei monasteri di S. Maria del Patir a Rossano o del SS. Salvatore a Messina, ove i libri si producono all'interno del monastero stesso o anche si acquisiscono dall'esterno. In questa tendenza all'accrescimento librario interno agisce il modello occidentale di tradizione benedettina. Mancando una documentazione adeguata resta incerta, piuttosto, la strutturazione architettonica della b. monastica italo-greca, pur se, anche in questo caso, può aver agito il modello benedettino di b. non destinata alla lettura ma solo alla conservazione. Più tardi, per l'età sveva, si hanno notizie circostanziate della b. del monastero italo-greco di S. Nicola di Casole in Terra d'Otranto: essa acquisiva libri dall'esterno e ne distribuiva in prestito, pratiche che ne mostrano l'ispirazione al modello bibliotecario greco-orientale piuttosto che occidentale come in Calabria o Sicilia. Nella stessa Terra d'Otranto - forse ad Aradeo - è attestato pure, fra i secc. 13° e 14°, un tipo di b. di scuola, non monastica, finalizzata allo studio della lingua greca, a una certa attività letteraria, alla conoscenza dei testi liturgici.
Bibl.:
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Nell'Islam a libri e b. venne attribuita grande importanza. Tralasciando la bibliofilia e la formazione di collezioni private (Pinto, 1928, pp. 143-147), l'istituto della b. pubblica attraversò tre fasi (Eche, 1967). La prima, quella del bayt al-ḥikma (casa, stanza della saggezza), è un'istituzione semipubblica che, pur essendo di proprietà del califfo o di un bibliofilo, è aperta in modo non occasionale agli studiosi. Ospitata in una o più stanze di un edificio più grande (per es. il palazzo del califfo), è diretta da un ṣāhib (direttore) o da un khāzin (bibliotecario). Tratto caratteristico del bayt al-ḥikma è che in esso si effettuavano traduzioni, principalmente dal greco (con ḥikma si intendeva soprattutto la filosofia greca), ma anche dal siriaco, dal mediopersiano e dal latino. Gli impiegati (bibliotecari, traduttori, copisti) e gli studiosi, sul modello del museo di Alessandria, alloggiavano nello stesso palazzo che ospitava la b. e vi componevano le loro opere. Già al tempo del primo califfo omayyade Mu῾·awiyya (661-680) si ha notizia dell'esistenza di un bayt al-hikma a Baghdad, nella residenza stessa del califfo. Sotto il califfo abbaside al-Ma᾽mūn (813-833), questa istituzione raggiunse il suo apogeo; in quest'epoca la b. fu anche sede di dispute dottrinarie e centro di diffusione della dottrina mutazilita.La vera e propria b. pubblica (dār al-'ilm, casa della scienza) nacque nel mondo islamico all'inizio del sec. 10°, solo dopo che l'istituto del waqf (manomorta o donazione pia) ebbe riconoscimento legale. B. pubbliche sorsero a Mossul, Basra, Baghdad, Tripoli (Siria), Gerusalemme, Cairo. Il dār al-῾ilm è una b. ospitata in un locale indipendente e costituita in base al regime del waqf. Vi si coltivavano tutte le branche del sapere e, in particolare, le scienze religiose e la letteratura araba, segno dell'ampiezza raggiunta dal movimento scientifico musulmano. Gli studiosi, soprattutto se stranieri, vi venivano ospitati: alcuni ricevevano uno stipendio per condurvi ricerche. La presenza di studiosi comportava lo svolgimento di lezioni e lo sviluppo dell'insegnamento: la b. pubblica fu così, accanto alla moschea, l'antesignana della madrasa, l'università araba. Di grande importanza fu il dār al-῾ilm del Cairo, fondato nel 1004 dal califfo fatimide al-Ḥākim (995-1020), che diventò ben presto centro di propaganda ismailita; fu disperso nel 1171, in occasione della conquista di Saladino. Anche gli altri dār al-῾ilm erano più o meno legati alla propaganda antisunnita: quello di Tripoli, fondato dalla famiglia sciita dei Banū ῾Ammār; quello di Gerusalemme, fondato dai Fatimidi; quello di Baghdad, voluto dal ministro buyide Sābūr b. Ardashīr (m. nel 1025). Altre importanti b. sorsero in varie città della Persia, per es. a Rām Hurmuz nel sec. 10° e a Shīrāz, fondata dal buyide ῾Aḍud al-Dawla (m. nel 983). La b. di Rayy fu saccheggiata dalle truppe ghaznavidi nel 1029, trasportata a Ghazna e in seguito distrutta (1155) dal ghūride ῾Alā᾽ alDīn Ḥusayn. In Occidente, tra le raccolte private, famosissima fu la b. dei califfi omayyadi di Spagna a Córdova, fondata da al-Ḥakam II (961-976).L'ultimo stadio nello sviluppo della b. pubblica medievale islamica è quello della b. annessa a una madrasa o ad altri istituti quali moschee, ospedali, conventi, mausolei, che si sviluppò in connessione con il ripristino dell'ortodossia sunnita: la madrasa, infatti, è una vera e propria scuola di stato, i cui insegnanti sono in possesso di un diploma ufficiale e i cui studenti sono destinati a ricoprire incarichi pubblici. B. annesse sorsero in tutto il mondo musulmano; famosissime, a Baghdad, la b. della madrasa Niẓāmiyya, fondata nel 1066 dal ministro selgiuqide Niẓām al-Mulk (m. nel 1092), e quella della madrasa Mustanṣiriyya, fondata dal penultimo califfo abbaside al-Mustanṣir (m. nel 1242). Molte delle b. annesse di epoca medievale furono distrutte tra il sec. 13° e la fine del 14°, nel corso delle invasioni mongola e timuride. In epoca posttimuride, importanti b. sorsero anche nell'India moghul e nella Turchia ottomana.Le b. pubbliche disponevano di locali con gli scaffali, in cui erano conservati i libri, di sale deputate alla lettura, di stanze dove i copisti alle dipendenze della b. copiavano i manoscritti, e anche di sale in cui si tenevano riunioni letterarie o di altro genere. I libri erano collocati di piatto negli scaffali, che erano suddivisi in caselle, come mostra una miniatura rappresentante l'interno di una b. pubblica, forse quella di Mossul (Grohmann, 1926, p. 433, fig. 1). Il contenuto di ogni scaffale, che non superava l'altezza d'uomo, era registrato su di una striscia di carta incollata all'esterno. I libri erano disposti secondo la classificazione tradizionale delle scienze: prima le scienze religiose, poi le lettere, infine le scienze filosofiche. La b. disponeva anche del catalogo a volume, in cui i libri erano registrati secondo la medesima classificazione per materie: esso costituiva quindi un catalogo topografico e metodico allo stesso tempo. Le b. pubbliche generalmente erano aperte tutti i giorni. Il prestito esterno era concesso: esso fu responsabile, accanto a distruzioni e saccheggi, della dispersione di molte b. medievali.
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