BICICLETTA (fr. bicyclette; sp. bicicleta; ted. Fahrrad; ingl. bicycle)
Origine e sviluppo. - Un francese, certo de Siorac, forse più per diletto che per utilità, pensò per primo di riunire due ruote, una dietro l'altra, nello stesso piano verticale, per mezzo di un travicello di legno. Vi montò a cavallo, e puntando i piedi a terra, spinse la sua macchina e cominciò a correre. Parve un giuoco infantile e molti ne risero, tuttavia parecchi zerbinotti l'adottarono, per amore della novità. Un tedesco, Drais, la perfezionò, aggiungendovi una specie di manubrio per la direzione e applicandovi una sella per maggiore comodità. Ciò accadeva nel 1818. Le stampe del tempo misero in caricatura l'apparecchio, ma esso ebbe molta voga, specialmente fra gli eleganti del tempo, e dal suo perfezionatore Drais prese il nome di Draisine (v. fig.1). Ma questo tipo di bicicletta conservava sempre un' impronta infantile, dovendosi spingere col puntare i piedi a terra. Un altro francese, intorno al 1855, il Michaux, riuscì ad applicare alla bicicletta una serie di congegni da lui escogitati, in forza dei quali il primitivo giocattolo si trasformò in una vera e propria macchina di poca spesa e di molta utilità, perché moltiplicava la velocità di avanzamento. Si ebbe così il primo biciclo (v. fig. 2), formato da una ruota grande, a cui il ciclista, stando a cavalcioni in sella, imprimeva il moto direttamente per mezzo di una pedivella. Mentre questa faceva un giro, spinta dalla forza del piede, la ruota compieva pur essa un giro, ma avendo un diametro assai grande (un metro e più) lo sviluppo della sua circonferenza di contatto con la strada diventava pure molto grande (tre metri e più): così all'ordinario passo dell'uomo di 60 o 70 centimetri si sostituiva un giro di ruota di 3 metri e più. L'invenzione incontrò il generale favore, e altri inventori vi si dedicarono, perfezionandola in tutti i suoi organi. Anzitutto ai duri cerchioni di ferro cominciarono a sostituirsi anelli di gomma piena. Subito dopo si comprese come la ruota grande anteriore accoppiata con la piccola ruota posteriore non garantisse un equilibrio stabile, poiché bastava un semplice spostamento del corpo in avanti per fare spostare il centro di gravità dell'apparecchio; inoltre era difficile salire in sella, specialmente per uomini non più agili nelle loro mosse. Allora il Sargent pensò di equilibrare meglio il biciclo, servendosi di due ruote eguali e molto più piccole di quella grande fino a quel momento in uso, ideando quindi una bicicletta a ruote uguali, sufficientemente basse per potervi salire con facilità. Per ottenere la stessa velocità che si otteneva con la ruota grande, il Sargent immaginò la catena per la trasmissione del movimento alla ruota posteriore (moltiplica). La pedivella portata circa a metà, fra le due ruote, doveva portare calettata sul proprio asse una ruota dentata: la ruota posteriore alla sua volta doveva avere un'altra ruota dentata, più piccola: una catena di trasmissione, collegando le due ruote dentate, trasmetteva il moto impresso alle pedivelle, ingrandendolo in ragione dei rapporti fra le ruote dentate. Si veniva così ad ottenere una propulsione ugualmente veloce, senza gl'inconvenienti rilevati col biciclo. Restavano peraltro ancora dei difetti. La macchina era pesante: i ciclisti, compiuti appena 15 o 20 km., anche di via pianeggiante, giungevano trafelati; l'attrito delle ruote sui loro pernî e sulla strada erano troppo grandi per potersi superare con la forza dei muscoli; inoltre i piccoli ostacoli incontrati lungo la via davano scosse poco piacevoli e talvolta pericolose. A tutto questo si ovviò con le due ultime invenzioni che resero perfetta la bicicletta: i pneumatici e i cuscinetti a sfere.
Un veterinario inglese, certo Dunlop, il cui figlio, appassionato ciclista, si lagnava spesso degli urti, delle scosse e delle cadute causate dalla ghiaia delle strade, pensò di munire le ruote di un cuscinetto d'aria. L'aria, perché non sfuggisse, doveva essere racchiusa in un tubo di gomma sottile e molto flessibile, avvolto intorno ai cerchioni delle ruote, e riempito a pressione con l'aria. Dopo numerosi studî e faticose prove, i Dunlop, padre e figlio, riuscirono (1890) a costruire i cerchioni di gomma e a riempirli di aria compressa mediante una pompa, impedendone l'uscita con apposita valvola. La camera d'aria fu poi protetta da un copertone in tela e gomma, per impedirne le forature. Intanto s'inventavano, per i fini della grande meccanica, i cuscinetti a sfere che furono subito applicati alle biciclette, e alla fine del secolo passato la nuova macchina, ammirevole per la sua semplicità, praticità e sicurezza, si diffuse su vastissima scala. Impiegata dapprima ai fini dello sport (v. ciclismo), entrò ben presto nell'uso comune.
Pezzi che compongono la bicicletta (fig. 3). - Anzitutto il telaio, il quale forma l'ossatura della macchina. Si compone di tubi d'acciaio dello spessore da 7 decimi a 11/2 mm. e del diametro interno di circa 20 mm. secondo i tipi e le parti. Tali tubi, trafilati in barre lunghe da m. 3,50 a 4,50, sono tagliati secondo le dimensioni volute, quindi riuniti in modo da formare un quadrilatero che è quasi un trapezio a basi parallele. Il lato più elevato 1 prende il nome di tubo superiore, e fino dal 1900 fu fatto orizzontale. Il lato più piccolo 2 si chiama tubo di direzione, perché attraverso ad esso passa la forcella 3 che sostiene la ruota anteriore e per mezzo del xnanubrio 4 determina la direzione di marcia. Il lato inferiore 5 si chiama tubo inclinato; infine il lato 6 opposto e press'a poco parallelo a quello più piccolo si chiama tubo reggisella, perché su di esso si colloca il sellino. Questi tubi sono collegati fra loro per mezzo di altri corti tubi di maggiore spessore, ad imboccature multiple, chiamati pipe. Il quadrilatero cosi costituito solidamente porta due forcelle: una inferiore 7 e una posteriore 8, le quali col tubo reggisella formano un triangolo, pressoché equilatero, il cui vertice opposto al tubo reggisella sostiene la ruota posteriore.
Al lato minore del quadrilatero, ossia al tubo di direzione, detto anche di testa, si infila la forcella che sostiene il mozzo della ruota anteriore. Alla parte superiore, che forma il tubo della forcella, s'innesta il manubrio che serve al ciclista per guidare e sterzare a volontà. Per agevolare tale movimento di sterzo il tubo del manubrio ha un collarino detto collare stringisterzo, che gira sopra un cuscinetto a sfere. I telai per le biciclette da donna subiscono una trasformazione, allo scopo di permettere la salita e la discesa con la gonna. Il tubo superiore, invece di essere orizzontale, o almeno rettilineo (giacché un tempo era inclinato e ora sembra ritorni a una leggiera inclinazione), è curvilineo, abbassandosi fin quasi a toccare il lato opposto, ossia il tubo inclinato.
Si hanno poi le ruote; quella anteriore sostenuta dalla forcella di sterzo, e quella posteriore sostenuta dalle due forcelle, quella inferiore e quella posteriore. I mozzi di entrambe le ruote hanno cuscinetti di acciaio temperato con scatola a sfere che riducono al minimo l'attrito.
Nel punto più basso del telaio si ha un pezzo speciale in acciaio stampato (fig. 4) che consiste in un corto tubo orizzontale contenente l'asse centrale o albero delle pedivelle. A questo tubo se ne innestano altri quattro: due inclinati ad angolo leggermente acuto che ricevono rispettivamente il lato inferiore del quadrilatero e il tubo reggisella; e gli altri due, paralleli, e collocati orizzontalmente, servono per ricevere le due branche della forcella inferiore.
L'albero di trasmissione su cui sono calettate a 180°, ossia diametralmente opposte, le due pedivelle, poggia su due cuscinetti a sfere. Al detto albero è calettata una ruota dentata di diametro piuttosto grande; al mozzo della ruota posteriore è calettata una ruota pure dentata ma di diametro assai minore. Il rapporto fra le due ruote è molto variabile, secondo gli usi cui è destinata la bicicletta. Tale rapporto moltiplicato per il diametro della ruota posteriore costituisce la moltiplica.
Uniamo le due tabelle seguenti, date dal Touring club belga, con le quali si può calcolare le moltipliche più in uso nelle biciclette, e la velocità delle stesse contando il numero delle pedalate per minuto.
Il moto rotatorio della pedivella viene trasmesso alla ruota posteriore per mezzo della catena. Si è tentato di sostituire la catena con ingranaggi, ma non si sono avuti buoni risultati pratici. Per regolare la tensione della catena (che se troppo tesa aumenta l'attrito, se troppo lenta facilmente si stacca) vi sono i forcellini (fig. 5) o tendicatena, applicati alle estremità della forcella inferiore. Le viti di registrazione servono per l'appunto a regolare il tiraggio della catena. Uno dei perfezionamenti più efficaci è stato senza dubbio l'adozione del mozzo a scatto libero (fig. 6): la trasmissione fra l'albero della pedivella e la ruota dentata si stacca automaticamente quando il ciclista cessa di pedalare e permette che la bicicletta prosegua lo stesso la marcia per solo effetto dell'impulso ricevuto o della forza di gravità.
Le ruote hanno i raggi in fili di acciaio, fissati al cerchione in modo che lavorano soltanto a trazione, ciò che permette di ridurre al minimo il loro diametro. Il cerchione può essere di lamiera stampata o di legno compensato. Sul cerchione di acciaio o di legno si monta il copertone di tela e di gomma entro cui s'introduce la camera d'aria. Questa è munita di una valvolina che si apre quando si spinge l'aria nell'interno della camera e si chiude con la pressione interna, quando si cessa d'introdurre l'aria.
Al tubo reggisella s'innesta a cannocchiale il corto tubo portasella, cosi chiamato perché è quello che appunto regge il sellino, congiunto ad esso mediante un sistema di molle a spirale o, più raramente, a balestra.
Fra le parti accessorie, notevoli il reggifanale, il fanale, che può essere ad acetilene, a olio oppure elettrico. Vi sono ora in uso delle piccole dinamo che vengono azionate per frizione dalla ruota anteriore e generano una corrente che mantiene accesa la lampadina. (v. fig. 7). I freni sono di diverso genere: ordinariamente vi è un freno sul cerchione anteriore e un altro sul cerchione posteriore (fig. 8), ma può bastare anche il secondo soltanto. Ora sono molto in uso i freni Bowden a trasmissione flessibile e il freno contropedale, che consiste in un nastro di acciaio che si avvolge al perno centrale , ed è manovrato dal pedale. Si sono anche fatti dei mozzi centrali con cambio di velocità, in generale due, in analogia a quanto si pratica con le automobili, per poter superare con facilità le forti salite; ma hanno avuto scarsa applicazione, perché complicano eccessivamente la macchina senza dare vantaggi notevoli. Le pedivelle sono munite d; pedali che servono per appoggiarvi i piedi, e possono essere metallici, a forma di sega per impedire lo scivolamento della suola delle scarpe, oppure guarniti, allo stesso scopo, di gomma.
Ormai da diversi anni la forma generale della bicicletta, resa di una perfezione che sembra difficile poter oltrepassare, si è universalizzata, e, quel che è meglio, anche le principali dimensioni si sono rese pressoché uniformi in tutte le nazioni. Le varianti sono insignificanti. Per l'uso e le applicazioni della bicicletta, v. ciclismo.
Parte industriale. - Fabbricazione. - Le parti principali che compongono la bicicletta vengono costruite da grandi fabbriche specializzate.
Così per la fabbricazione dei tubi in acciaio trafilato a freddo una delle più conosciute è la Weldless; per la fabbricazione delle sfere assai rinomate sono in Italia le officine di Villar Perosa (Torino). Tutte le parti in acciaio temperato che formano lo sterzo sono preparate da altre case: p. es. la Weyesberg Kirschbaum di Solingen (Germania). Le catene si fabbricano in Inghilterra e in America ed è assai nota la casa Brampton Bros di Birmingham (Alabama). Le selle sono fornite da ditte specializzate (p. es. la casa Brooks pure di Birmingham); i copertoni e le camere d'aria sono forniti dalle grandi case che lavorano la gomma: notissima, in Italia, la fabbrica Pirelli. Così si hanno fabbriche specializzate per freni, fanali, manopole e via dicendo.
A Milano è stato anche tentato un nuovo sistema di fabbricazione dei telai. I telai sono stampati divisi in due parti secondo un piano verticale e longitudinale. e le due parti poi sono saldate insieme. Questo sistema, che ridurrebbe di molto il costo delle biciclette, non è però ancora industrializzato.
Una fabbrica di biciclette, perciò, ha molto ridotto il proprio compito, giacché si fornisce delle principali parti costituenti la macchina; ma deve poi lavorarle, prepararle, finirle e montarle: e per questo occorrono utensili speciali. I tubi vengono tagliati con seghe circolari e saldati fra loro o congiunti a mezzo di cannotti e di pipe con saldatura autogena ed elettrica. Le piegatrici servono a dare la foma voluta ai tubi che costituiscono il manubrio, a quelli che formano il telaio per biciclette da signora, ecc. Una serie di macchine automatiche occorrono per costruire tutti i piccoli e grandi bulloni, dadi, riparelle, forcelline, che servono per fissare i raggi delle ruote, le pedivelle, il mozzo. È necessario un riparto di dentatrici per le ruote a ingranaggio e per i mozzi a scatto libero; una sala di montaggio e una di prova. È infine indispensabile una sala per la verniciatura e per la nichelatura delle biciclette montate.
Occorre notare che molto spesso le fabbriche costruttrici di biciclette si forniscono, oltre che dei pezzi principali, anche dei pezzi di minor importanza (bulloni, dadi, chiodi, ecc.), cosicché l'opera della fabbrica si riduce molto spesso alla sola montatura e verniciatura.
Commercio. - La diffiusione della bicicletta in tutti i paesi civili è enorme. Se in parte è stata danneggiata dalla diffusione delle automobili, ha saputo rivalersene conquistando le campagne e penetrando ovunque vi sia una strada appena possibile. Si calcola che in Italia, per esempio, si abbia una bicicletta ogni 8 0 9 abitanti, nell'Emilia (Modena, Reggio, Parma) una ogni 4, in media. Il commercio di importazione ed esportazione, nel periodo degli anni 1925-26-27 (quest'ultimo soltanto fino al settembre), risulta rispettivamente di L. 421.848; 465.333; 182.805 per l'importazione, e di L. 5.308.158; 5.896.401; 3.203.115 per l'esportazione. Anche qui, come per le automobili, l'esportazione supera di molto l'importazione, e nonostante la crisi industriale mondiale l'esportazione si mantiene ancora discreta.
Produzione. - In Italia questa industria è stata introdotta un po' tardi, poiché appena nel 1881 fece la sua timida comparsa all'esposizione di Milano e soltanto nel 1885 nella grande metropoli lombarda nacque la prima e più importante fabbrica di biciclette: la ditta Bianchi, che si è successivamente sempre più ingrandita, e che anche attualmente tiene alto il prestigio dell'Italia sia per qualità sia per quantità di produzione. La Bianchi può fabbricare sulle centomila macchine all'anno: e ora si è ampliata per la costruzione delle motociclette e delle automobili. Un'altra ditta che acquistò grande fama è la Prinetti e Stucchi, ora cessata. Altre fabbriche sono la Umberto Dei, la Legnano, la Frera di Tradate. Ma ancora oggi la maggior parte delle macchine messe in commercio sono costruite da piccole fabbriche di montaggio, le quali prendono tutti i pezzi dalle più grandi officine.
In Europa, l'Inghilterra produce una grandissima quantità di biciclette e di parti che la compongono. Coventry è il centro di maggiore produzione. Il Belgio, a Herstal, ha pure numerose e importantissime fabbriche; la Germania e la Francia hanno una produzione considerevole. Ma le fabbriche più grandiose di tutte le serie di pezzi staccati sono negli Stati Uniti d'America (Buffalo, Birmingham, ecc.). I paesi ove conviene maggiormente l'esportazione sono la Spagna, la Russia, i Balcani e l'America del sud, benché ovunque sia contrastata dalla grande produzione degli Stati Uniti, che inonda tutti i mercati con i suoi prodotti finiti, o con le parti staccate, a prezzi di grande concorrenza, possibili a ottenersi soltanto con la perfetta organizzazione dei più razionali sistemi di lavorazione e di commercio.
Bibl.: Baudry de Saunier, Histoire Générale de la Vélocipédie, Parigi 1891; A. Mosso, La Fatica, Milano 1892; C. W. Leng, Bicycle and Motocycles repairing, America S. U. 1912; Roseo, L'industria e il commercio dei velocipedi nel mondo, Milano 1912; Alberti, Catalogo generale dei pezzi, Firenze 1920.