Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Come tutti i fenomeni cui viene dato un nome a posteriori, il Biedermeier comprende in sé fatti comparsi in un dato periodo e in luoghi determinati che da principio sembrano indipendenti e spontanei, ma che acquistano progressivamente un carattere comune e riconoscibile, armonizzandosi e definendosi come stile. Il Biedermeier interpreta infatti il gusto della classe media nei Paesi di lingua tedesca tra il 1815 e il 1848.
L’aspirazione alla Gemütlichkeit
Dopo le guerre napoleoniche e la grande depressione conseguente al blocco continentale imposto all’Inghilterra, nei Paesi di lingua tedesca predomina su ogni altro il desiderio di pace. Si sviluppa così una particolare sensibilità che pervade ogni atteggiamento del vivere quotidiano e orienta il gusto verso ciò che è quieto, sereno, tranquillo e confortevole. La borghesia, che ha visto ridotto il proprio benessere fin quasi all’indigenza, riscopre il piacere della sicurezza e vuole vederla concretizzata nelle cose di cui si circonda; la casa diventa allora luogo e occasione per esercitare la riconquistata consapevolezza di sé e della propria autonomia. Molto di quanto si produce per l’arredo degli interni in Austria e in Germania tra il 1815 e il 1848 ubbidisce, anche se con diverse sfumature, ad alcuni principi fondamentali: la valorizzazione dei materiali di produzione e di lavorazione locali, la semplificazione dei volumi dei mobili atti a contenere e a sostenere (armadi, secrétaires, tavoli, étagères ecc.) e l’arrotondamento delle forme di quelli atti ad accogliere, come divani, sedie e poltrone. Ciò che interessa di più è una tranquillità del vivere, espressa nel termine Gemütlichkeit, che comprende comodità, benessere, agio, ma anche cordialità, giovialità e familiarità. Nel Settecento il termine Gemüt era usato con il significato intimista di “ciò che parla all’anima”, ma dopo il 1850 l’aggettivo gemütlich restringe il primitivo significato al semplice “essere di buon umore”.
La caratterizzazione degli interni, pervasi da calda, affettuosa e confortevole intimità (Stimmung), crea una progressiva contaminazione oltre il circoscritto ambito dell’arredo domestico e, da espressione decorativa, diventa tendenza estetica unificante. Al manifestarsi di una data esigenza, artigiani e artisti forniscono un’adeguata risposta; si viene così formando uno stile che nasce quasi per generazione spontanea sulla logica della domanda e dell’offerta. Il Biedermeier ricorda in qualcosa l’Impero, in qualcosa il Direttorio, in qualcosa il Regency, ma è soprattutto filosoficamente tedesco e concettualmente borghese: molto solido, pratico, pulito, un po’ goffo. Sarà consegnato alla storia come stile e come epoca – 1815-1835 in senso stretto, 1815-1848 in senso esteso – con un nome che gli viene dalla satira. Biedermeier deriva infatti dalla fusione di bieder, che significa “semplice, innocuo e onesto”, e Meier che, anche nelle varianti Maier e Meyer, è il nome più comune e diffuso in Germania: Gottlob Biedermeier, pacifico uomo qualunque, rispettoso dell’autorità e dell’ordine costituito, è il personaggio messo in caricatura nel 1855 da Ludwig Eichrodt e Adolf Kussmaul sul giornale umoristico “Fliegende Blätter”. Oggetto della parodia è un certo Samuel Friedrich Sauter, autore di un libro di poesie compiaciute, sussiegose e banali, giudicate come tipicamente piccolo-borghesi. Il gusto Biedermeier, che soddisfa pienamente le esigenze della generazione preindustriale, viene rifiutato dalla generazione successiva che si rende conto di vivere un tempo della storia in continua e febbrile evoluzione, che vuole viaggiare, esplorare, conoscere e non è più disposta a guardare il mondo dall’interno di un confortevole salotto. Quando, attorno al 1830, l’industrializzazione e lo sviluppo dei trasporti cominciano a produrre una vigorosa ripresa economica, si profila un insanabile contrasto tra l’arcaica gestione aristocratica delle monarchie, restituite ai rispettivi troni dal Congresso di Vienna, e una nuova società imprenditoriale ben decisa a gestire in proprio il potere. Nel 1848 il fuoco che cova sotto la cenere divampa in tutta Europa: dopo la fiammata rivoluzionaria, il mondo non è più lo stesso.
Declino e riscoperta del Biedermeier
La generazione del Quarantotto, quando non disprezza apertamente lo stile di vita dell’onesto cittadino in pantofole Herr Maier, lo giudica con ironia e sufficienza. Con il passare degli anni nuove mode, nuovi oggetti e nuovi mobili creano una desuetudine al Biedermeier e una distanza visiva dalla sua epoca. La pubblicazione di Das deutsche Zimmer (1866) di Georg Hirth, uno studio dedicato all’arredo di interni in Germania, assesta un colpo decisivo alla dignità del Biedermeier che viene giudicato assolutamente privo di qualità artistiche. Ancora Fritz Minkus nel 1895, sulle pagine di una rivista dedicata alle arti decorative, definisce il Biedermeier ridicolo, estremamente povero e irrimediabilmente mancante di gusto. Solo a partire dal 1896, in occasione di una mostra retrospettiva all’Österreichisches Museum für Kunst und Industrie di Vienna, si comincia a riconsiderare il Biedermeier come un fenomeno sociale ed estetico degno di essere rivalutato non soltanto in chiave nostalgica, anche se in questa occasione viene erroneamente inteso come versione semplificata dello stile Impero. Non si tiene conto, infatti, di alcuni aspetti fondamentali dell’arredo Biedermeier, quali la mobilità dei singoli pezzi e la comodità d’uso, estranee allo stile Impero. I mobili Impero vengono disegnati da architetti, mentre quelli Biedermeier sono prodotti direttamente da artigiani che impegnano la loro abilità per rendere giustizia dei materiali, esaltando le qualità intrinseche del legno di noce, di acero, di ciliegio, di pero e di betulla, vale a dire il colore naturale, i nodi, le venature. I mobili Impero sono pensati per riempire un dato spazio in un dato luogo e sono praticamente inamovibili, mentre quelli Biedermeier, “mobili” nel vero senso della parola, sono intercambiabili a seconda della necessità o del capriccio: il tipico e massiccio tavolo rotondo a base centrale è collocato di preferenza in un angolo, dove è utilizzato per il pranzo ma anche per la conversazione, la lettura e il lavoro; il secrétaire viene appoggiato al muro e serve, oltre che da scrittoio, a contenere piccoli oggetti, lettere, documenti, diari e album. I mobili Biedermeier sono concepiti come volumi geometrici semplici: le superfici curve sono ampie e lisce e talvolta piccoli pezzi, come tavolini da lavoro, sono sferici. Un’altra caratteristica di questi mobili è la misura verticale che difficilmente supera l’altezza di un uomo; essi, inoltre, possono essere versatili: uno sgabello può diventare scaletta per biblioteca, una scrivania può ospitare delle fioriere, alcuni divani contengono nei braccioli l’occorrente per giochi di società e ve ne sono con cassettini per servizio da fumo e nécessaire per ricamo. Gli artigiani tedeschi e austriaci evitano l’imitazione dello stile Impero ancora in voga in Francia e, anche per ragioni patriottiche, preferiscono documentarsi su raccolte di incisioni inglesi che circolano in Europa, traendo ispirazione soprattutto dall’ultimo periodo dello Sheraton. Il primo studio sull’originalità del Biedermeier è di Georg Himmelheber, ancora oggi il maggiore esperto in materia; nella sua opera Biedermeier Furniture (London, 1974), Himmelheber riconosce dignità di stile a tutte le espressioni artistiche del periodo, comprendendo nell’analisi architettura, scultura e pittura. Il rischio di forzare voci diverse nello stesso coro è tuttavia presente. L’estensione del termine Biedermeier alla letteratura, per esempio, è stato molto contrastato quando lo si è voluto riferire a una specifica periodizzazione letteraria, come per dare onnicomprensivo statuto a fatti diversi solo perché interagiscono nella stessa epoca e sul medesimo sfondo. Per quanto riguarda l’architettura Biedermeier, si ricordano artisti come Karl Friedrich Schinkel, per le qualità funzionali dello Schauspielhaus di Berlino, Christian Frederik Hansen, autore della chiesa di Nostra Signora di Copenhagen e Leo von Klenze, per la Gliptoteca di Monaco. Caratteristiche comuni di questi edifici sono le stesse che qualificano il mobilio Biedermeier: sobria interpretazione di elementi classici, prevalenza delle superfici lisce e delle forme geometriche semplici, corrispondenze strutturali fra interno ed esterno. Scultori sensibili all’atmosfera Biedermeier sono Bertel Thorvaldsen, autore di Cristo e Madre con Bambino, Christian Daniel Rauch, autore del Monumento Francke, Rudolf Schadow, Otto Sigismund Runge, Heinrich Kümmel, Gustav Bläser e Hermann Wilhelm Bissen.
La Stimmung
Il Biedermeier, proprio per la sua vocazione domestica e intimista, privilegia opere di piccole dimensioni: busti e miniature che vengono eseguiti anche con materiali modesti, come lo zinco, il ferro, il biscuit. La pittura Biedermeier celebra la natura, gli affetti, la serenità familiare, il silenzio, i buoni sentimenti e propone i generi che armonizzano con la Stimmung dell’interno borghese: ritratti, paesaggi, scene di conversazione, nature morte, prospettive architettoniche. È posta sempre grandissima attenzione alla verosimiglianza, resa con poetico realismo: spesso l’inquadratura incornicia una finestra vista dall’interno che racchiude a sua volta un paesaggio. Se il ritratto che rende l’immagine del personaggio serena e sorridente gode di grande fortuna, il Biedermeier celebra se stesso negli acquerelli di interno, dove ogni elemento dell’arredo è reso minuziosamente: come nello spazio raccontato da Adalbert Stifter nel romanzo Der Nachsommer, le cose vivono silenziosamente la celebrazione ossessiva dell’ordine in una realtà bloccata, affinché non si alteri nel tempo la loro perfezione cristallina. Gli acquerelli d’interno, infatti, sono un genere prediletto dalla borghesia, come prova di possesso dei beni rappresentati e testimonianza di una propensione al collezionismo: i ninnoli, le porcellane e i cristalli lavorati sono ordinati in apposite vetrinette o allineati sulle étagères. Distinguere tra i dipinti della prima metà dell’Ottocento un’arte Biedermeier è utile solo se ci si riferisce alla scelta dei soggetti e alla resa delle atmosfere; è indubbio che artisti come Ferdinand Georg Waldmüller, Georg Friedrich Kersting, Christoffer Wilhelm Eckersberg, Karl Gustav Carus, Julius Oldach, Wilhelm von Schadow, Johan Christian Dahl e Eduard Gaertner hanno saputo interpretare perfettamente sentimenti e ambienti Biedermeier, ma non per questo possono essere ritagliati dal più vasto contesto del realismo romantico di primo Ottocento.
Un tema diffusissimo nelle decorazioni è rappresentato dai fiori, usati anche per il loro valore simbolico: a mazzetti compatti (Biedermeier-Boukette), a ghirlande o piccoli e disseminati ovunque su tessuti, vetri, porcellane, spesso accompagnati da motti o dediche. Alla sobrietà dei mobili si contrappone la profusione di oggetti decorativi che vengono distribuiti ovunque possano essere appoggiati o appesi: su ripiani e mensole, in vetrine, scaffali e sotto campane di vetro. Tipico è il Ranftbecher viennese, il bicchiere dipinto che ha reso celebre il nome di Anton Kothgasser: svasato e a base sfaccettata è illustrato con scene di genere, allegorie e paesaggi. Ladislao Mittner, studioso della cultura tedesca, ricorda come il Biedermeier abbia in odio le forme vigorose, “grandi”; non crea e neppure vuole creare forme nuove, ma le rielabora tutte, e in questo senso si inquadra nella sua epoca come epigonismo della lindura, della grazia e della modestia, considerate anche come valori morali.