BIGAMIA (VI, p. 987)
Storia. - L'istituto della bigamia come reato autonomo, distinto dallo stupro e dall'adulterio, sembra sconosciuto ai giuristi romani: e infatti il termine bigamus si trova solo in fonti tardive (Isidoro di Siviglia, IX, 7,15; Gregorio Magno, Epist., 141) e in glosse, talvolta nel senso di "binubo".
Il matrimonio romano classico, infatti, non richiede per la sua esistenza giuridica alcuna forma legale, ma l'affectio maritalis, cioè l'intenzione effettiva e continua dei coniugi di essere marito e moglie, e l'honor matrimonii, cioè la compartecipazione di un coniuge al rango e alla dignità sociale dell'altro; la cessazione di tale volontà implica necessariamente lo scioglimento del matrimonio. Dato questo concetto, si comprende che esso dovesse valere anche per giudicare il caso in cui una persona già unita con altra in iustae nuptiae, venisse a stringere con una terza un altro rapporto sessuale. Tale rapporto, a seconda delle circostanze, delle condizioni dei contraenti e delle loro intenzioni, poteva essere considerato sia come adulterio, sia, nel caso che il rapporto avesse carattere continuativo, come concubinato o come un altro matrimonio. In quest'ultimo caso il nuovo matrimonio stretto da uno dei coniugi era considerato per lo più come una prova manifesta della volontà di sciogliere il precedente vincolo e quindi dava luogo al divorzio. Dato, infatti, il concetto rigorosamente monogamico del matrimonio romano era impossibile ammettere nella medesima persona la coesistenza di due volontà giuridicamente valide dirette a costituire due diversi rapporti matrimoniali.
In diritto classico si poteva quindi reprimere penalmente come adulterio la relazione sessuale temporanea di persona unita in iustae nuptiae con altra persona libera e ingenua, che non fosse l'altro coniuge, relazione non basata sull'affectio maritalis e sull'honor matrimonii. Ma in nessun momento si poteva avere la coesistenza di due società matrimoniali e quindi la figura giuridica della bigamia. L'editto del pretore comminava l'infamia contro qui bina sponsalia binasve nuptias in eodem tempore constitutas habuerit, non presupponendo tuttavia l'esistenza giuridica di due matrimonî contemporanei, ma esclusivamente perseguendo il fatto di cercare di costituire più unioni stabili anche se giuridicamente tali da non potersi considerare come matrimonî.
Si sostiene comunemente che Diocleziano avrebbe riconosciuto la bigamia come reato autonomo, sottoponendola a pena da valutarsi ad arbitrio del giudice (Cod., V, 5, de inc., 2); il rescritto è però interpolato (E. Volterra) come altre fonti sembrano confermare.
Nel diritto del basso impero si comincia a reprimere il reato, oltre che con la comminazìone dell'infamia, anche con pene severe, afflittive, pur non avendolo ancora elaborato compiutamente dal punto di vista dottrinale e facendolo ancora rientrare in altre figure di crimini, senza attribuirgli una configurazione autonoma. Va del resto notato come il sistema istituito dagl'imperatori cristiani nella loro lotta contro il divorzio rendesse impossibile il caso, che si presentava nelle fonti classiche, di un matrimonio il quale scioglieva ipso iure il matrimonio precedente, o di un matrimonio succedente immediatamente a uno già sciolto. Nel diritto giustinianeo e poi nel diritto bizantino sembra che per la bigamia fosse comminata la pena di morte (cfr. Teofilo, Paraphr. ad inst., I, 10, 6).
Nei diritti germanici il reato di bigamia è severamente represso, e il principio monogamico ripetutamente affermato e difeso. Alla donna in un primo tempo è persino vietato di far divorzio e anche il divorzio da parte dell'uomo è limitato ad alcuni casi. Più tardi anche alla donna è permesso il ripudio, ma solo in determinati casi. Non è vietato passare a nuove nozze. La Chiesa, già nel sec. IV, sembra restia ad accogliere questo principio (concilî di Arles, di Elvira, di Vannes), mentre più tardi decisamente lo combatte (concilî di Nantes e di Cartagine). Il divieto di nuove nozze è stabilito da Carlomagno nell'admonitio generalis, c. 43, e nel Capitulare missorum speciale dell'802, c. 22. In quasi tutte queste legislazioni la moglie o la fidanzata che si unisce in matrimonio con un altro, vivente il marito o il fidanzato, e il complice della donna sono puniti con pene pecuniarie e talvolta anche afflittive: meno gravi sono invece le pene stabilite per il binubo e la sua complice. Negli statuti la pena della bigamia è assai varia; mentre in alcuni di essi è stabilita una multa e una somma a favore della prima moglie, in altri invece sono sanzionate contro il coniuge bigamo gravissime pene afflittive, quali l'amputazione del piede o della mano, il carcere e, in taluni statuti, anche la morte.
Nel diritto canonico contro i bigami è prescritta la scomunica.
È da notare lo stato della dottrina e della pratica dopo l'emanazione della Peinliche Gerichtsordnung di Carlo V, nei riguardi del reato di bigamia, e dell'interpretazione dell'art. 121 che a quel reato si riferisce. Secondo alcuni è prescritta la pena capitale, secondo altri una pena più mite. In Sassonia invece è stabilita la pena di morte per ogni sorta di bigamia.
Bibl.: Per il diritto romano: Th. Mommsen, Römischer Strafrecht, 701; E. Volterra, Per la storia del reato di bigamia in diritto romano, in Studi in memoria di U. Ratti, Milano 1934, p. 387 segg. Per il diritto intermedio, cfr.: A. Pertile, Storia del diritto italiano, Torino 1892, V, p. 533 seg.; D. Schiappoli, Diritto penale canonico, in Enciclopedia del Pessina, I; per i pratici soprattutto Carpzovius, Practica nova rerum criminalium, Francoforte 1758, passim.
Diritto penale vigente. - Il progetto definitivo (VI, pp. 987-988) e il codice penale del 1930 (art. 556; titolo XI, Dei delitti contro la famiglia, capo I, Dei delitti contro il matrimonio) sopprimendo la condizione che il primo matrimonio sia valido, e parlando soltanto di matrimonio avente effetti civili, sia esso valido o invalido, hanno introdotto una profonda innovazione. Solo l'inesistenza di un matrimonio precedente (per identità di sesso, mancanza di consenso, ecc.) esclude il delitto di bigamia, non la sua nullità o annullabilità (nullità propriamente detta per la presenza di un impedimento dirimente assoluto, annullabilità in seguito a un impedimento dirimente relativo). Alle osservazioni fatte a tale proposito (VI, p. 987) si può aggiungere questa, che cioè il legislatore penale ha voluto coordinare la disposizione del cod. pen. con la norma dell'art. 56 del cod. civ., in base alla quale non può contrarre altre nozze chi è vincolato da un matrimonio precedente, sia esso valido o invalido. Lo stesso principio afferma il Codex iuris canonici (can. 1069, § 2).
Il cod. pen. richiede la preesistenza di un matrimonio avente effetti civili: quindi si riferisce non solo al matrimonio civile, ma anche al canonico, al quale, per virtù dell'art. 34 del concordato del 1929, sono riconosciuti gli effetti civili. Questi però si producono solo dopo la trascrizione del matrimonio canonico, per cui un matrimonio canonico non trascritto non può essere considerato agli effetti penali come presupposto del delitto di bigamia. Il nuovo matrimonio contratto dal bigamo deve pure avere effetti civili.
La pena è della reclusione da uno a cinque anni. Alla stessa pena soggiace anche colui che, non essendo coniugato, contrae matrimonio con persona legata da matrimonio avente effetti civili. È circostanza aggravante l'avere indotto in errore la persona, con la quale s'è contratto matrimonio, sullo stato proprio o di lei.
La disposizione del progetto Rocco per cui il reato si estingue per effetto della dichiarazione di nullità del primo matrimonio o dell'annullamento del secondo per causa diversa dalla bigamia è passata anche nel cod. pen. del 1930. Il reato è estinto anche rispetto a coloro che sono concorsi nel reato, e, se vi è stata condanna, ne cessano l'esecuzione e gli effetti penali.
Per chi ritiene che il delitto di bigamia sia istantaneo, esso si consuma con la celebrazione del secondo matrimonio avente effetti civili. Tuttavia la disposizione, già nel codice del 1889 e nel progetto Rocco, la quale, applicando alla bigamia in tema di prescrizione una regola propria ai delitti permanenti, stabilisce che il termine della prescrizione per il delitto di bigamia decorre dal giorno in cui è sciolto uno dei due matrimonî o è dichiarato nullo il secondo per bigamia, è passata anche nel cod. pen. del 1930 (art. 557).