BIGARELLI
Famiglia di scultori originari di Arogno (Canton Ticino), attivi in Toscana e in Trentino nel 13° secolo.Lanfranco, noto dai documenti come padre di Guidobono B., è da identificare con ogni probabilità (Garzelli, 1969; Ascani, 1991) con Lanfranco da Como che firma nel 1226 il fonte del battistero di S. Giovanni in Corte a Pistoia, a pianta quadrata, con vasca ellittica munita di sedili e quattro pozzetti angolari, rivestita da formelle marmoree con grandi cornici rettangolari concentriche, decorata all'esterno con specchiature marmoree recanti motivi geometrici a intarsio su cui spiccano corone e losanghe fogliate a rilievo, spesso arricchite da testine antropozoomorfe e racchiuse da cornici, pure scolpite a motivi vegetali. Due delle specchiature, in marmo rosso a cornici lisce, sono probabilmente frutto del documentato restauro condotto nel 1256 da Bontadeso di Barroccio. Si tratta della più antica opera sicuramente eseguita dai B., che si inserisce quale significativo episodio nella nutrita serie di fonti e recinzioni presbiteriali a plutei intagliati e intarsiati della Toscana romanica. Il fonte di Pistoia rappresenta infatti il punto di congiunzione - cronologica e stilistica - tra i plutei elegantemente geometrici di tradizione pisanolucchese e fiorentina, quali soprattutto quelli provenienti dal battistero di Firenze del 1202 ca. (Mus. dell'Opera di S. Maria del Fiore), e le successive elaborate, esuberanti creazioni dei B. come il fonte del battistero di Pisa, di Guido (1246). Nel fonte di Pistoia la partizione interna, memore di opere fiorentine come il pulpito di S. Miniato al Monte, si affianca a un'impaginazione dei quattro lati esterni schematicamente rispondente ai prototipi pisani rainaldeschi e guglielmeschi (Pisa, Mus. dell'Opera della Primaziale Pisana). L'originalità di Lanfranco risiede nell'abile elaborazione geometrica delle cornici fogliate e delle tarsie: si nota una maggiore articolazione rispetto agli esempi precedenti, un gusto decorativo vivace ma moderato dal rilievo non alto e dagli ampi piani riservati alle tarsie stesse o addirittura monocromi. Altra caratteristica dello stile di Lanfranco è l'inserimento di protomi umane e animali, tra cui i simboli degli evangelisti, che mostrano forme di derivazione guidettesca. Riprova di uno stretto nesso tra Lanfranco e la taglia di Guidetto è lo smembrato ambone della chiesa abbaziale di Buggiano Castello (Val di Nievole), probabile opera dello stesso Lanfranco, di struttura e caratteristiche stilistiche prossime al fonte di Pistoia ma ancora più vicino, nelle tarsie e nelle cornici fogliate, alle decorazioni della facciata della cattedrale lucchese. Lo stesso gusto è presente nella recinzione presbiteriale della cattedrale di Pistoia (ora smembrata tra la cripta del duomo e le chiese di S. Francesco e di S. Giovanni Fuorcivitas), l'opera più vicina al fonte pisano di Guido (Ascani, 1991). Dai documenti noti lo scultore risulta già morto nel 1246 (Guidi, 1929).Di Bonagiunta B., padre del più noto Guido e verosimilmente fratello di Lanfranco, non restano opere certe. La sua attività, come quella di Lanfranco, è da ipotizzarsi all'interno delle botteghe ticinesi attive con Guidetto alla facciata del duomo di Lucca, città in cui egli è documentato nel 1203. Il fatto che sia citato come testimone in un atto stipulato nel convento di S. Ponziano rende probabile la sua attività di lapicida nel rinnovamento del chiostro del medesimo complesso, avvenuto in quell'anno (Dalli Regoli, 1986), mentre nulla di sicuro è possibile asserire sulla sua eventuale partecipazione alle opere eseguite dalla stessa taglia a Firenze e a Prato. Bonagiunta era sicuramente già morto nel 1244 (Bacci, 1910).Guidobono di Lanfranco B. è documentato dal 1246 al 1258, anno del testamento dell'artista (Guidi, 1929), fonte privilegiata di notizie sulla sua opera. Dalla documentazione che lo riguarda è possibile stabilire la sua attività nei cantieri di S. Martino a Lucca, del duomo di Trento - della cui opera egli si dichiara creditore per un totale di 242 lire veronesi - e dei conventi dei Francescani e dei Domenicani ancora a Trento; lascia inoltre parte della sua eredità ai lavori delle chiese di S. Romano, di S. Giovanni e di S. Martino a Lucca (opere murorum) e all'Opera del battistero di Pisa, città nella quale dice di contare diversi debitori, tra cui il maestro Nicolao de Pisis, identificato con Nicola Pisano (Supino, 1916; Nicco Fasola, 1941).Guidobono va identificato con Videbono bigarelli de Arogno, documentato a Trento (Zanolini, 1899). L'attività trentina di Guidobono va inquadrata nella fase edilizia del duomo di Trento verosimilmente databile al quarto decennio del Duecento, la cui decorazione scultorea è talvolta confrontabile con le coeve esperienze toscane (Ascani, 1991).Maggiore è stata l'attenzione che la critica ha rivolto alla ricostruzione dell'attività di Guidobono in Toscana: l'assenza di un riscontro documentario ha reso possibile l'attribuzione allo scultore di opere prossime allo stile di Guido B. ma verosimilmente non di sua mano. Il nome di Guidobono è stato così accostato al portale destro della facciata di S. Martino a Lucca con Storie di s. Regolo (Salmi, 1928), alle Storie di s. Martino nel portico della stessa cattedrale (Lazzareschi, 1931; Kopp, 1981) e ad alcuni capitelli del battistero di Pisa (Baracchini, Caleca, 1973), spesso messi in relazione con lo stile di Guidetto e con il fonte battesimale di Lanfranco a Pistoia (Toesca, 1927; Garzelli, 1969; Chiellini Nari, 1989). L'attività di Guidobono nel battistero pisano è stata in particolare riconosciuta in un gruppo di capitelli con testine antropozoomorfe assai levigate, dai tratti somatici tipicamente appiattiti e, in due casi, con caulicoli doppi a sferetta o con foglie di felce (Chiellini Nari, 1989), avvicinabili a un capitellino del pulpito di Guido in S. Bartolomeo in Pantano a Pistoia. Il complesso problema dell'attribuzione a Guidobono di questi capitelli, come delle sculture del portico di S. Martino a Lucca, resta ancora sostanzialmente aperto, malgrado si confermi ipotesi assai probabile l'identità dello scultore con il Maestro di s. Regolo; rilievo non sufficiente è stato dato invece al possibile coinvolgimento dell'artista nei cantieri di altri edifici della stessa città.Guido di Bonagiunta B. da Arogno è documentato dal 1239 al 1257, anno della sua morte. A lui si riferiscono numerosi documenti che ne attestano l'attività a Lucca e a Pistoia (Bacci, 1910; Guidi, 1929; Olivari, 1965; Garzelli, 1969), oltre a due iscrizioni, l'una sul fonte del battistero di Pisa (1246, ma l'autenticità è dubbia), l'altra sul pulpito di S. Bartolomeo in Pantano a Pistoia (1250), che costituiscono i poli intorno a cui la critica ha cercato di raggruppare le sue opere. In un documento dell'agosto 1257 Guidobono di Lanfranco B., solvendo un debito in luogo di Guido, da poco scomparso, lo definisce suo fratre. Questo dato ha fatto ritenere (Guidi, 1929) che i due fossero figli della stessa madre e dei due diversi scultori Lanfranco e Bonagiunta documentati come i rispettivi padri. Tuttavia l'identico patronimico di B. affiancato ai nomi dei genitori farebbe ritenere che i due fossero piuttosto figli di fratelli (Ascani, 1991), relazione di parentela spesso resa in latino con la parola frater fin dall'antichità classica. La distinzione dagli altri maestri dallo stesso nome operanti a Lucca nel sec. 13° ha costituito per decenni un'intricata questione critica, complicata da un'errata datazione di Vasari, che dà al 1199 il pulpito di S. Bartolomeo a Pistoia (Vasari, Le Vite, II, 1967, p. 74), datazione poi riferita al pulpito del duomo pistoiese, i cui frammenti sono oggi visibili nella cripta (Calzecchi, 1939-1940; Salvini, 1966). Mentre già Cavalcaselle e Crowe (1875) separavano l'autore del fonte di Pisa e del pulpito di S. Bartolomeo a Pistoia da Guidetto da Como - che si ritrae e si firma su una colonnina del primo loggiato di S. Martino a Lucca -, Ridolfi (1882), Schmarsow (1890), Zimmermann (1897) e Bode (1905) parlavano di un unico artista. Venturi (1904) tornò a separare Guidetto da Guido B., e la distinzione, poi ribadita e provata da Salmi (1914), non ha subìto nella storiografia successiva sostanziali modifiche, almeno limitatamente alla personalità di Guido B. e a parte le precisazioni cronologiche apportate soprattutto dalla pubblicazione di alcuni documenti riguardanti lo scultore (Guidi, 1929).La prima opera certa di Guido B., il fonte del battistero di Pisa, appartiene già alla maturità dell'artista. Si tratta di una vasca ottagonale con quattro pozzetti circolari, rivestita internamente da lacunari marmorei rettangolari ed esternamente da sedici plutei anch'essi rettangolari che recano, entro cornici fogliate, corone a intagli fitomorfi contenenti rosoncini a forte rilievo e ornate da testine antropozoomorfe. Gli spazi di risulta sono riempiti con ornamentazioni geometriche e fitogeometriche a tarsie marmoree. L'opera, arricchita dalla tricromia rosso-bianco-nera degli elementi costitutivi, a livello sia strutturale sia decorativo e stilistico è coerente elaborazione delle precedenti opere guidettesche e bigarelliane. Oltre a generici raffronti con la pianta e con le lastre superstiti del fonte fiorentino è possibile istituire paragoni più stringenti con le opere di Lanfranco a Pistoia, a cui lo stesso Guido poteva avere collaborato in gioventù, nonché con alcuni plutei erratici (Pistoia, S. Andrea), da ritenersi forse opera autonoma di Guido. Il rilievo si fa a Pisa più alto e il gusto per l'ornamentazione esplode nelle virtuosistiche variazioni dei minuti motivi geometrici delle tarsie e nella ricchezza degli intagli dei rosoncini. La presenza delle testine diviene sistematica, anche se non pare possibile riconoscere un programma iconografico unitario. La cultura di Guido sembra dunque basarsi soprattutto sulle opere di Lanfranco e della taglia di Guidetto (Ragghianti, 1969), più che sul diretto ricordo dell'esperienza guglielmesca, mentre l'origine ticinese si avverte nella nitidezza e nella levigatezza delle testine.Il pulpito di S. Bartolomeo in Pantano a Pistoia, l'altra opera datata (1250) e firmata da Guido, è stato profondamente alterato nel 1591 dagli interventi dell'abate Alessandro da Ripa, in seguito ai quali le sue sculture vennero rimontate a costituire una cantoria, insieme a parti di un pulpito del 1239 di cui resta sconosciuta la provenienza. Le parti relative al 1250 sono state recentemente separate e il pulpito è stato parzialmente ricomposto. Si tratta di quattro specchiature figurate, con Storie di Cristo dopo la Risurrezione, cui se ne aggiungono tre a decorazione fitogeometrica, assai manomesse, oltre a due gruppi di lettorini e a sostegni con basi antropozoomorfe. La derivazione dell'opera, a livello strutturale, dal pulpito di Guglielmo (Cagliari, duomo), da tempo notata (Salmi, 1928), è stata riconosciuta pressoché unanimemente dalla critica. Per quanto riguarda l'autografia, essa viene limitata da alcuni studiosi alle parti figurate del pulpito (Salmi, 1928) o alle sole sculture presenti sulla cassa (Olivari, 1965). Stretti rapporti sono stati notati (Francovich, 1952; Salvini, 1966) con sculture campionesi padane, ma il linguaggio di Guido è sostanzialmente quello ticinese-lucchese dei maestri operanti nel portico del duomo di Lucca: infatti, ai rilievi della facciata di tale duomo, in particolare alle Storie di s. Martino e soprattutto all'architrave del portale centrale, rimandano particolarità compositive quali le proporzioni dei riquadri, le alte cornici superiori e laterali a fascia rientrante su cui poggiano teste e aureole dei personaggi, la distribuzione delle figure e altre numerose affinità formali e stilistiche.È verosimile che alcuni dei rilievi lucchesi, segnatamente l'architrave del portale maggiore del duomo e i due simboli degli evangelisti ai lati del portale in alto, siano opera dello stesso Guido, come da tempo ipotizzato (Salmi, 1928, gli assegnava l'intero portale; Olivari, 1966 e Garzelli, 1969, i soli simboli degli evangelisti; Baracchini, Caleca, 1973, architrave e simboli).Probabile opera dello stesso artista sono inoltre alcuni frammenti, a cui è stata riferita un'iscrizione del 1239, oggi separati e sistemati contro la parete sinistra della chiesa di S. Bartolomeo in Pantano: quattro storie dell'Infanzia di Cristo e alcuni frammenti decorativi a motivi vegetali intarsiati. Tanto le storie che la decorazione trovano confronti con il pulpito di Barga e con la scultura guidettesca della facciata di S. Martino, che sembra porsi quale principale riferimento stilistico per entrambe.A fianco delle opere sicuramente guidesche, numerose altre sculture sono state attribuite a Guido, qui prese in esame in base al luogo di conservazione, nell'impossibilità di una ordinazione cronologica certa. A Lucca, verosimilmente epicentro della vita e dell'opera dell'artista, gli è stato da più parti attribuito l'architrave del portale maggiore di S. Pietro Somaldi (Toesca, 1927; Salmi, 1928; Belli Barsali, 1968). L'opera, una Traditio clavium affiancata da due lacunari con racemi e rosoni fogliati, è prossima - e forse di poco successiva - alle sculture dell'architrave del duomo ed è ben situabile dopo il soggiorno pisano dell'artista, per gli evidenti richiami alle colonne dei portali del duomo e del battistero di quella città. Per la facciata della stessa chiesa la taglia di Guido avrebbe eseguito (Testi Cristiani, 1987) alcuni capitelli con la supposta collaborazione del giovane Nicola Pisano. Recentemente è stata ipotizzata la partecipazione di Guido alla decorazione scultorea della facciata della chiesa lucchese di S. Michele (Kopp, 1981).A Pisa sono stati attribuiti a lui o alla sua scuola alcuni capitelli della navata anulare del battistero (Belli Barsali, 1968; Ragghianti, 1969), che altri studiosi hanno avvicinato invece alla scuola di Guidetto (Biehl, 1926; Kopp, 1981; Dalli Regoli, 1986). I capitelli del battistero nel loro insieme risalgono con buona probabilità a un lasso di tempo piuttosto lungo all'interno della prima metà del secolo o addirittura a due separate campagne di lavori (Chiellini Nari, 1989); solo quelli che sembrano i più tardi (gli altri appaiono imparentati con la facciata di S. Martino a Lucca) trovano confronti con opere guidesche del periodo maturo, rispetto a cui sono però forse anteriori, e sono attribuibili genericamente alla bottega familiare dei Bigarelli. Il tetramorfo proveniente da Arena (Pisa, Mus. Naz. e Civ. di S. Matteo) è stato avvicinato all'ambito di Guido (Carli, 1974) e recentemente a lui attribuito (Testi Cristiani, 1987); la maggiore tensione espressiva, il panneggio più discosto e la tipologia fisionomica richiamano però le Storie di s. Regolo e la lunetta del portale maggiore del duomo di Lucca.Numerose opere scultoree pistoiesi, infine, sono state attribuite a Guido e ai suoi collaboratori; tra queste l'architrave di S. Pietro Maggiore deve essere messo in relazione piuttosto con lo scultore che eseguì il pulpito di Barga, come già notato dalla critica a partire da Papini (1909). La statua dell'arcangelo Michele (Pistoia, Mus. Diocesano), proveniente dall'oratorio di S. Michele in Cioncio, di iconografia simile alla coeva statua, al sommo della facciata di S. Michele a Lucca, è stata attribuita a Guido già da Schmarsow (1890) e generalmente da tutta la storiografia successiva, tranne Biehl (1910) e Kopp (1981), in base alle stringenti analogie con i gruppi angolari del pulpito guidesco di S. Bartolomeo a Pistoia. L'attività pistoiese di Guido potrebbe inoltre avere compreso le recinzioni presbiteriali di S. Andrea, oggi smembrate e conservate nella stessa chiesa. Si tratta di plutei a decorazione fitogeometrica sul tipo di quelli del fonte di Pisa, realizzati con largo impiego di aiuti. Ancora a Pistoia, nel 1252, Guido è documentato, con i suoi allievi Luca e Giannino, attivo in duomo per restauri (Bacci, 1910). Giannino è forse identificabile con Gianni da Como 'operaio maggiore' della cattedrale lucchese dal 1272 al 1295 e testimoniato nel 1291 (Salmi, 1939), ma non con Giannibono, figlio di Guidobono B., il cui nome non compare mai abbreviato.Restano ancora da chiarire i rapporti tra la famiglia di Adamo da Arogno (v.) e i B., probabilmente di parentela anche prima del matrimonio tra Guidobono e la sorella di Zanebono, nipote di Adamo. L'opera della nuova generazione della famiglia, originata da questa unione, e in particolare di Giannibono, figlio di Guidobono B., nel cantiere del duomo di Trento, è stata individuata (Ascani, 1991) nelle sculture dei protiri della cattedrale trentina, eseguite in stretta collaborazione con maestranze di diretta formazione cistercense.
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