BILANCIA
. In economia politica hanno notevolissima importanza la bilancia commerciale e la bilancia dei pagamenti. Col primo nome s'intende genericamente il bilancio del dato e dell'avuto da una collettività nei confronti dell'estero, in un determinato periodo di tempo, escluse le partite in conto patrimoniale; si parla invece di bilancia dei pagamenti quando si tiene conto anche di queste ultime partite.
Bilancia commerciale. - Sono quindi comprese nella bilancia commerciale le importazioni e le esportazioni, i noli, le rimesse degli emigranti, le spese dei forestieri, gl'interessi sui capitali investiti all'estero, ecc. Non sono invece compresi i movimenti dei capitali, e cioè la compra-vendita di titoli esteri, l'emissione e il rimborso di prestiti esteri, gl'investimenti, le partecipazioni, gli spostamenti di fondi fra banca e banca, ecc.
La bilancia commerciale intesa nei limiti della definizione non dev'essere necessariamente in pareggio, ma può essere in pareggio, o può presentare un saldo attivo o passivo. Se presenta un saldo attivo, vuol dire che, nel periodo considerato, il paese ha dato più di quanto ha ricevuto, e quindi la sua situazione di debito e credito rispetto all'estero è migliorata. Ha fatto investimenti o ha rimborsato precedenti debiti. La bilancia, in tal caso, è economicamente attiva. È invece economicamente passiva quando si chiude con un saldo passivo. In tal caso vuol dire che il paese ha dato meno di quanto ha ricevuto, e ha colmato la differenza, o contraendo debiti con l'estero o riscattando crediti precedentemente concessi. Possono infine le partite attive e passive della bilancia esattamente compensarsi. In tal caso vuol dire che la massa dei debiti e dei crediti che il paese ha con l'estero resta, nel suo ammontare totale, invariata. La bilancia è allora economicamente in pareggio.
Quello che segue è uno schema teorico della struttura della bilancia.
Il capitolo I si riferisce al movimento d'importazione e d'esportazione delle merci. All'atto in cui le merci varcano il confine, la dogana registra quantità e prezzi. I valori dichiarati all'esportazione sono al netto delle spese di trasporto e di assicurazione, che sono a carico dell'importatore straniero; le stesse spese sono invece a carico dell'importatore nazionale per le merci importate e per questo sono comprese nei valori dichiarati all'importazione.
La differenza trova la sua rispondenza nel cap. III, in cui sono comprese all'attivo le somme dovute alla marina nazionale e alle compagnie d'assicurazioni nazionali per il trasporto e l'assicurazione delle merci estere, trasportate e assicurate da nazionali, senza che vi sia, al passivo, la corrispondente partita per le merci nazionali, trasportate o assicurate da armatori o da assicuratori stranieri.
Le statistiche doganali registrano ancora, per quanto imperfettamente, il movimento dei metalli preziosi e dei biglietti di banca, nei limiti in cui essi passano la frontiera, come merci. Parte del flusso dei metalli preziosi e dei biglietti di banca, e la totalità del flusso della moneta fiduciaria (divisa estera) sfugge invece a ogni rilevazione diretta in quanto passa la frontiera sulla persona dei viaggiatori o sui furgoni della corrispondenza postale (cap. II). Esso non è quindi suscettibile di valutazione diretta e solo può essere calcolato in via presuntiva, con larga approssimazione, in riferimento ai fatti economici da cui esso trae origine. Appunto questi fatti economici sono contemplati nei successivi capitoli della bilancia (dal cap. III al cap. VIII).
Il cap. III si riferisce alle partita di dare e avere, cui dà luogo il movimento dei trasporti internazionali (viaggiatori e merci). Abbiamo già detto perché debbono essere comprese all'attivo le somme riscosse dalla marina nazionale, dalle compagnie di assicurazioni nazionali per il trasporto e l'assicurazione delle merci straniere, eseguiti da armatori o da assicuratori nazionali; e non debbono invece essere comprese le analoghe somme pagate alla marina ed agli assicuratori stranieri per il trasporto e l'assicurazione di merci nazionali. Le spese che si riferiscono al movimento dei viaggiatori debbono essere registrate tanto all'attivo (movimento di stranieri eseguito da vettori nazionali), quanto al passivo (movimento di nazionali eseguito da vettore straniero).
Debbono infine essere registrate le somme date e ricevute per noleggio di navi: e cioè tanto le somme ricevute per noleggi di navi italiane da parte dell'estero quanto quelle date per noleggio di navi estere da parte di nazionali. Debbono ancora essere registrate, rispettivamente all'attivo e al passivo, le spese della marina straniera per vettovaglie, diritti di porto, tasse nei porti nazionali e le analoghe spese della marina nazionale nei porti esteri. Come pure i saldi attivi e passivi fra amministrazioni interessate, per i servizî cumulativi di transito e di trasporto internazionali (ferroviarî, postali, ecc.). Tutte queste partite sono, sia pure con larga approssimazione, accertabili attraverso i bilanci e le statistiche compilate dalle società di navigazione, dalle compagnie di assicurazioni, dalle amministrazioni postali e ferroviarie, e via dicendo.
I capitoli IV e V si riferiscono al movimento di moneta, provocato dal movimento delle persone, escluso quello inerente ai servizî di transito internazionali, di cui si è già tenuto conto. Contemplano quindi somme mandate o portate in patria dai nazionali residenti temporaneamente o permanentemente all'estero, somme da questi portate all'estero o comunque a loro inviate dalla patria; nonché spese dei turisti stranieri in patria e dei turisti nazionali all'estero, del corpo diplomatico o consolare, ecc.; quindi: rimesse di emigrati e spese di forestieri, ecc. Sono in complesso partite suscettibili non di un accertamento rigoroso, ma solo di una stima, risultante da una valutazione intuitiva degli organi amministrativi, che per ragioni del loro ufficio sono più vicini ai fatti che formano oggetto dell'esame. Tali organi sono le banche, le amministrazioni postali, gli uffici turistici, gl'istituti per il lavoro all'estero, ecc.
Per ciò che si riferisce poi al cap. VI, le diverse forme, in cui il capitale nazionale è investito all'estero o il capitale estero è investito all'interno della nazione (v. qui) sono: a) beni immobili (terre, fabbricati); b) titoli pubblici e privat) (azioni, obbligazioni); c) partecipazione a imprese industriali e commerciali; d) crediti a governi, municipî, enti pubblici; e) investimenti in operazioni bancarie a breve scadenza. Tranne che per le somme corrispondenti alla lettera d, che sono direttamente e rigorosamente accertabili, tutte le altre non sono suscettibili che di stima indiretta. Per gl'investimenti a lunga scadenza, contemplati alle lettere a, b, c, gli organi che meglio sono in grado di fare la stima sono gli uffici finanziarî, attraverso cui - secondo le varie modalità peculiari alle singole legislazioni - passa la parte della materia che forma l'oggetto della rilevazione. Viceversa per le operazioni bancarie a breve scadenza (depositi, crediti commerciali, investimenti speculativi ed arbitraggi, su valuta e su titoli, commissioni bancarie, ecc.) la stima non può essere fatta se non dagl'istituti bancarî, che hanno la consuetudine del lavoro commerciale con l'estero e soprattutto dall'istituto di emissione.
Le partite corrispondenti al cap. VII infine, determinate dai trattati di pace e in generale dagli accordi internazionali sono rigorosamente e facilmente accertabili.
Se si esamina, in concreto, quale sia stata nelle sue linee essenziali la struttura della bilancia commerciale italiana nel secondo quindicennio del sec. XX, si rileva che, secondo i calcoli dello Stringher, del Mortara, del Credito italiano, la nostra bilancia commerciale, negli anni che immediatamente precedettero la guerra, presentava un leggiero saldo attivo che di anno in anno andava lentamente ma continuamente aumentando. Riproduciamo qui di seguito, schematicamente, le cifre relative al 1913, quali sono state ricostruite dallo Jannaccone:
La bilancia presentava in complesso un'eccedenza attiva di poco meno di 200 milioni di lire, che erano impiegati nell'acquisto di titoli esteri; nel riscatto di titoli italiani, posseduti da stranieri; nella nazionalizzazione d'imprese estere operanti in Italia. La guerra sconvolse questo equilibrio. Le cause che portarono lo sconvolgimento, in un primo tempo, e cioè durante il periodo delle operazioni militari (1915-1918) furono: la necessità di maggiori rifornimenti alimentari e soprattutto di materie prime industriali, indispensabili per la produzione del materiale bellico e per colmare le deficienze della produzione agricola, languente per scarsità di lavoro e di capitale; le deviazioni delle correnti del traffico mondiale, dovute alle particolari condizioni del traffico marittimo; l'assottigliamento di partite cospicue della bilancia, quali le esportazioni di manufatti industriali, le rimesse degli emigrati, le spese dei forestieri. Si sovrapposero a queste cause sul finire della guerra, e divennero, nel periodo immediatamente successivo (1919-1920), preponderante fattore di perturbamento, le fluttuazioni monetarie e le speculazioni bancarie e commerciali, conseguenza della instabilità e del disordine sociale che sconvolsero l'ordito di tutta la vita economica del paese. Le conseguenze sono eloquentemente espresse nelle seguenti cifre, in cui è ricostruita la bilancia commerciale di questo periodo critico (dati elaborati dallo Jannaccone):
Il disavanzo della bilancia è quindi di poco meno che 27 miliardi nel quadriennio 1915-1918, e di poco più di 16 nel triennio successivo con una media quindi di circa 7 miliardi all'anno nel primo periodo e di poco più di 5 nel secondo. Nel settennio il paese si è indebitato rispetto all'estero per un ammontare di circa 43 miliardi di lire. I debiti del primo quadriennio, furono, per la massima parte, debiti dello stato, che durante la guerra fruì dei crediti concessi dai governi alleati, segnatamente dagli Stati Uniti e dall'Inghilterra. L'onere che ne risultò (debito di guerra) fu sistemato nel 1925 e nel 1926, e oggi non pesa sulla bilancia commerciale, in quanto il servizio dei relativi interessi e ammortamenti viene eseguito con proventi che hanno la loro origine nella quota spettante all'Italia sulle riparazioni tedesche. Per la parte residua nel primo quadriennio, e per la sua totalità nel triennio successivo, l'indebitamento assumeva pro tempore principalmente la forma di debiti a breve scadenza delle banche italiane verso l'estero.
Lentamente e faticosamente le banche e il tesoro riuscivano a consolidare il debito soprattutto attraverso le sottoscrizioni ai prestiti nazionali, eseguite patriotticamente dagl'Italiani residenti all'estero. Ma per lunghi anni e precisamente fino al discorso di Pesaro (settembre 1926) i saldi debitori delle nostre banche rispetto all'estero pesavano su tutta l'economia del paese, provocando, nelle alterne vicende delle fluttuazioni stagionali, quelle violente e subitanee fluttuazioni del cambio, che crearono le più gravi preoccupazioni a quanti, in quegli anni, ebbero posti di comando nell'industria e nella pubblica finanza. La sistemazione del debito privato e pubblico con l'estero fu dovuta alla ferma politica finanziaria adottata e seguita dal governo dopo il 1922. La bilancia commerciale del 1921 è l'ultima che si chiude con un notevole saldo passivo. Il disavanzo si attenua sensibilmente nel 1922, si riduce a zero nel 1923, si trasforma in avanzo nel 1924, migliora nel 1925.
La bilancia commerciale del 1925 è la più favorevole che l'Italia abbia avuto dalla guerra in poi. Possiamo schematicamente costruirne i saldi: saldi attivi per noli, noleggi, assicurazioni, servizî cumulativi internazionali: milioni di lire 1000; rimesse degli emigranti, al netto delle rimesse portate dagli emigranti all'estero: 3500; spese dei forestieri in Italia, al netto di quelle degl'Italiani all'estero: 3300 (totale: 7800 milioni di lire); saldi passivi per differenza fra importazioni ed esportazioni: milioni di lire 5200; per interessi, dividendi e partite minori: 600 (totale: 1800 milioni di lire). La bilancia del 1925 è, quindi, economicamente attiva per una somma di 2 miliardi in cifra tonda. L'avanzo consente un flusso di capitale italiano all'estero, che avviene principalmente sotto forma di partecipazione a prestiti pubblici (polacco, austriaco, ungherese, germanico, ecc.) e consente ancora di migliorare la situazione dei saldi bancarî, appesantitasi nel periodo dell'immediato dopoguerra. La situazione si rovescia, sotto questo rapporto, nell'anno successivo 1926, in cui si registra nuovamente un flusso di capitale estero in Italia. Ma non si tratta, questa volta, di prestiti di consumo, sul genere di quelli contratti dallo stato - con la garanzia dello stato - durante la guerra o nell'immediato dopoguerra. Sono invece finanziariamente industriali, cioè debiti a lunga scadenza, fatti in vista di rafforzare la compagine produttiva del paese, contratti e garantiti direttamente fra privati. È significativa la fiducia che i banchieri esteri, soprattutto americani, vengono così a mostrare verso l'industria italiana. È significativo, altresì, che le disponibilità in divisa estera che ne risultano consentono: 1) di normalizzare pienamente i rapporti di debito e di credito fra le banche nazionali e le banche estere, e per questo verso l'operazione più che un nuovo debito del paese verso l'estero rappresenta la consolidazione del debito fluttuante preesistente; 2) di costituire le riserve necessarie per la sistemazione monetaria, e per questa parte l'operazione rappresenta, dal punto di vista patrimoniale, una partita di giro.
La normalizzazione della situazione bancaria fu il presupposto necessario per la stabilizzazione della moneta, che avvenne nel dicembre del 1927, le cui vicende, universalmente note, debbono qui essere ricordate solo per i loro riflessi sulla bilancia commerciale del paese. Il biennio 1926-1927 si deve dividere, a questo effetto, in tre periodi. Il primo (gennaio-agosto 1926) è caratterizzato da un violento deprezzamento monetario, espressione della speculazione internazionale che si accanisce contro la lira in una battaglia, in cui sullo sfondo economico operano principalmente fattori politici. Il discorso di Pesaro capovolge la situazione e dà inizio al secondo periodo della rivalutazione monetaria (agosto 1926-maggio 1927). Il corso dell'oro che era a 589 nell'agosto 1926, precipita a 434 in dicembre, a 429 in marzo 1927, a 358 in maggio. Il terzo periodo (giugno-dicembre 1927) segna la stabilizzazione di fatto, che precede la stabilizzazione legale sulla quota di 366,6. Il riflesso di tutto ciò sulla bilancia commerciale è chiaramente indicato dalle cifre seguenti in milioni di lire oro (vecchia parità):
Le precedenti cifre sono ufficiali. È opinione generale, peraltro, che quelle delle esportazioni dal gennaio al novembre 1926 siano troppo basse e debbano essere rettificate. Ma anche ammettendo una maggiorazione del 15%, come propone l'Ufficio centrale di statistica, il senso del movimento non risulta modificato. È da ricordare anche, per giudicare nettamente del confronto fra il secondo ed il terzo periodo, che normalmente il peso delle importazioni grava nel primo semestre dell'anno assai più che nel secondo.
Considerata sinteticamente per tutto l'anno la situazione per ciò che si riferisce alle importazioni ed alla esportazione, non è nel 1927 diversa da quella del 1925, e se, nel 1927, la bilancia commerciale non si chiude in avanzo come nel 1925, ciò dipende dalla contrazione delle rimesse degli emigranti e delle spese per i forestieri, che da circa 7 miliardi a quanto ammontavano in complesso nel 1925 scendono nel 1927 a poco più di 5. Viceversa migliora lievemente il saldo per interessi attivi e passivi, effetto degl'investimenti e dei rimborsi del 1925, nonostante il maggiore onere inerente alla trasformazione dei debiti esteri, operata nel 1926. Complessivamente, la bilancia commerciale del 1927 si chiude in pareggio.
Nuove difficoltà sorgono nel 1928. Continua la flessione delle rimesse degli emigranti e delle spese dei forestieri: si accentua l'onere per i debiti con l'estero, non tanto in conto capitale, quanto in conto interessi, mentre la vischiosità dei prezzi interni che ritardano a livellarsi sul nuovo valore della moneta tende nuovamente a gonfiare artificialmente le importazioni. A questi fattori che avevano la loro origine nella situazione preesistente si sovrappongono: il peso di annate agricole poco propizie, nonostante gli sforzi per l'incremento della produzione agricola; le difficoltà che derivano dal deflusso della crisi di borsa che comincia a delinearsi negli Stati Uniti, e avrà la sua risoluzione solo nell'autunno del 1929. Queste e altre circostanze determinano, poco dopo la stabilizzazione, una situazione nuova, per cui si rende necessario - per regolare i conti con l'estero - attingere alle riserve della Banca di emissione, che da 12.516 milioni (31 marzo 1928) discendono rapidamente fino a 10.005 milioni di lire (30 aprile 1929); da allora in poi (giugno 1930) segnano però un continuo per quanto lento incremento, anche perché si risentono gli effetti delle condizioni favorevoli dell'annata agraria 1929, del successo della battaglia del grano, della smobilitazione delle borse americane.
La situazione patrimoniale dei debiti e dei crediti con l'estero (v. bilancia dei pagamenti) è così prospettata, il 4 giugno 1930, dalla direzione generale del tesoro: controvalore in lire del complessivo importo nominale di tutti i prestiti contratti all'estero, compreso il prestito statale 7% (Morgan) e i prestiti delle città di Roma e di Milano: 7200 milioni; investimenti all'estero della Banca d'Italia in crediti fruttiferi e in buoni del tesoro di stato stranieri: 5000 milioni; prestiti esteri collocati in Italia (prestiti statali polacco, austriaco, ungherese, tedesco, romeno, greco, bulgaro, albanese, brasiliano, buoni cinesi, obbligazioni comunali e provinciali ungheresi): 1600 milioni; oro italiano depositato a Londra: 2000 milioni; quota mobilizzabile assegnata all'Italia dal piano Young; circa 190 milioni all'anno, per 37 anni; crediti per forniture a governi esteri coperti dalla garanzia statale per i crediti all'esportazione: 400 milioni circa; crediti del tesoro verso la Romenia e l'Austria: 300 milioni; fondi del tesoro depositati all'estero: 100 milioni.
In conclusione, il miglioramento della nostra bilancia commerciale trae la sua origine da cause permanenti: la saggia politica finanziaria, che ha resistito ad ogni pressione di ulteriore svalutazione e che in momenti critici ha saputo manovrare le riserve e, ciò che è ancora più difficile, ha saputo contrarre gli impegni a vista; lo sforzo costante per l'incremento della produzione del paese soprattutto nel campo dell'agricoltura. Su questi fattori assai più che sul flusso delle rimesse degli emigranti e delle spese dei forestieri si basa oggi l'equilibrio stabile della bilancia commerciale italiana.
Bilancia dei pagamenti. - Per vedere chiaramente come la bilancia dei pagamenti si riconnetta alla bilancia commerciale, e in che cosa ne differisca si supponga di considerare un paese, la cui bilancia commerciale comprenda le sole voci seguenti: a) importazioni; b) esportazioni; c) spese di forestieri; d) interessi per capitali nazionali investiti all'estero e per capitali esteri investiti nel paese. Assunto come moneta il grammo d'oro, si supponga che il valore delle esportazioni e delle importazioni sia rispettivamente di 1000 e 1400 milioni, che le spese dei forestieri si possano valutare a 200 milioni, che gl'interessi riscossi per capitali investiti all'estero ammontino a 80 e quelli pagati per capitali esteri investiti nel paese a 150 milioni. La bilancia commerciale si presenterà allora nello schema seguente:
e si chiuderà quindi con un saldo passivo pari alla differenza
Esso indica che di altrettanto il paese considerato si è indebitato rispetto all'estero nel periodo cui la bilancia si riferisce. L'indebitamento deve risultare direttamente dalle variazioni della situazione patrimoniale, che deve chiudersi con lo stesso saldo passivo. Si presenterà per esempio come nel quadro seguente:
In generale, detto dH il saldo (attivo o passivo) della bilancia commerciale nell'intervallo dt e detti C (t), D (t) rispettivamente l'ammontare totale dei crediti sull'estero e dei debiti verso l'estero al tempo t, dovrà essere identicamente per ogni t
la differenza C − D misura in ogni istante la situazione patrimoniale del paese rispetto all'estero e il suo differenziale dC − dD ne misura la variazione in ogni intervallo infinitesimo dt. La formula (1) si può scrivere
e in questa forma significa che le partite della bilancia commerciale e quelle che esprimono le variazioni della situazione patrimoniale si possono comprendere in uno stesso conto, che formalmente si chiude sempre in pareggio. Il pareggio si ottiene sommando algebricamente il saldo della bilancia preso col proprio segno; le variazioni nella massa dei crediti presi con segno contrario; le variazioni nella massa dei debiti prese col proprio segno. Il che significa poi attribuire lo stesso segno positivo: a) alle partite attive della bilancia; b) alle diminuzioni di credito (rimborsi); c) agl'incrementi (accensioni) di debito; e lo stesso segno negativo: a) alle partite passive della bilancia; b) agl'incrementi (concessioni) di credito; c) alle diminuzioni (riscatti) di debiti.
E poiché le partite attive della bilancia, i rimborsi dei crediti dall'estero, l'accensione di debiti all'estero corrispondono, per ciò che riguarda il movimento di cassa, a riscossioni; e, per contrario, le partite passive della bilancia, le concessioni di nuovi crediti, i riscatti di debiti precedenti dànno luogo a pagamenti, l'unico conto che in tal modo ne risulta è un conto dei pagamenti internazionali. Esso si dice bilancia dei pagamenti ed è sempre formalmente in pareggio.
Nel caso particolare sopra considerato esso assume la forma:
In generale esso avrà la struttura indicata nello schema seguente:
Ecco quale fu, p. es., la nostra bilancia dei pagamenti (in milioni di lire) per il decennio della guerra e del dopo guerra (1915-1924), come è stata ricostruita dallo Jannaccone.
Ritorniamo ora alla formula (2). Assunto l'oro (il grammo di oro) come moneta, immaginiamo C, D, H, valutati in questa unità e diciamo: dx, il flusso monetario valutato in oro, nell'intervallo dt, assunto con segno positivo, quando si dirige verso l'estero; dy, il volume fisico delle merci e dei servizî esportati nell'intervallo dt; dz, il volume fisico delle merci e dei servizî importati nell'intervallo dt; p, l'indice dei prezzi di esportazione, in oro, al tempo t; q, l'indice dei prezzi d'importazione, in oro, al tempo t; i, il saggio d'interesse per i capitali investiti all'interno al tempo t; j, il saggio d'interesse per i capitali investiti all'estero al tempo t. Il saldo dH della bilancia commerciale si esprimerà allora con:
e l'equazione (2) che esprime il pareggio della bilancia dei pagamenti nell'intervallo dt diventa allora
o anche
x′, y′, z′, C′, D′, essendo - con evidente significato dei simboli - le derivate, rispetto al tempo t, rispettivamente delle funzioni x, y, z, C, D.
Per vedere qual è il meccanismo, attraverso il quale avviene in ogni istante il pareggio della bilancia dei pagamenti internazionali, occorre indagare come sono determinate in ogni istante le quantità che figurano in (3). Siffatta indagine rientra nel problema generale della dinamica economica e non può evidentemente essere compiutamente fatta in questa sede: se ne può indicare quel tanto che è essenziale per rendersi conto del modo come il meccanismo funziona. Rappresentiamoci, per questo, due figure astratte che diremo rispettivamente del consumatore (o homo øconomicus) nazionale, e del consumatore (o homo øconomicus) straniero; e cerchiamo di esprimere sinteticamente, attraverso i loro giudizî, i motivi delle innumerevoli azioni economiche individuali, attraverso cui all'interno e all'estero si compiono le operazioni del commercio internazionale.
Il consumatore (homo øconomicus) nazionale si troverà di fronte a problemi di questo genere: 1. Fino a qual punto mi conviene esportare e fino a qual punto importare merci e servizî? 2. Fino a qual punto vendere o comprare oro? 3. Far debiti all'estero o concedere crediti all'estero? Di fronte ad analoghe domande si trova il consumatore straniero.
Il classico schema dello Jevons dà una risposta adeguata a siffatti interrogativi.
Il consumatore nazionale dirà: Cesserò di esportare e di importare, quando l'ultima cosa importata avrà per me lo stesso pregio dell'ultima cosa che è stato necessario esportare per comperare la prima. Cesserò di inviare oro, quando l'ultimo grammo d'oro esportato avrà per me lo stesso pregio dell'ultima cosa importata, che avrei potuto comprare col primo. Cesserò di contrarre debiti all'estero quando giudicherò che il carico futuro, che deriva dall'ultimo debito contratto, presenta, per me, oggi, lo stesso onere che mi verrebbe dal privarmi di tanto oro quanto sarebbe necessario per evitare quel debito. Cesserò di concedere crediti all'estero, quando giudicherò che il vantaggio futuro che mi viene dall'ultimo credito concesso, avrà per me, oggi, lo stesso pregio dell'oro che potrei realizzare vendendo quel credito. Analoghe risposte darà il consumatore straniero.
Le risposte dell'uno e dell'altro esprimono, ciascuna, quattro condizioni (equazioni) che legano fra di loro le quantità che figurano in (3). In tutto quindi otto condizioni (equazioni), che, unitamente alla (3), formano un sistema di 9 equazioni che legano fra di loro le derivate delle quantità esportate ed importate (moneta e merci) al tempo t:
i prezzi al tempo t:
le funzioni:
esprimenti la situazione dei crediti e dei debiti al tempo t, e le loro derivate C′ D′, esprimenti, sempre al tempo t, le variazioni di quella situazione. Siffatte nove equazioni (differenziali) nelle nove incognite (α), (β), (γ) si dicono le equazioni differenziali del commercio internazionale. Eliminando da esse le tre quantità (α) e le quattro (β), si ottengono due equazioni differenziali del primo ordine in C, D, che determinano queste funzioni in ogni istante t, successivo a un istante iniziale t0 quando siano noti i valori stessi di C e di D nell'istante iniziale t0. Mercé le equazioni che hanno servito per l'eliminazione si determinano poi successivamente le tre (α) e le quattro (β). Il che significa in sostanza che il flusso dell'esportazione e dell'importazione di merci, servizî, oro; i prezzi in oro delle cose esportate e importate; i saggi d'interessi interno ed esterno; le variazioni della situazione patrimoniale, dipendono in ogni istante dalla situazione patrimoniale iniziale e da tutti quegli elementi che concorrono a dare le risposte di cui nello schema Jevonsiano sopra considerato. Siffatti elementi, in realtà, non sono soltanto quelli che si riferiscono direttamente ai problemi del commercio internazionale, ma sono connessi a tutti i motivi che determinano, in generale, tutte le azioni economiche. La risposta al quesito 1°, p. es., involge la conoscenza o la previsione dei prezzi, dei costi di produzione, dell'elasticità della domanda all'interno come all'estero; cioè, in sintesi, di tutti gli elementi che concorrono a determinare, in ogni istante, l'equilibrio economico.
Insomma le equazioni differenziali del commercio internazionale non costituiscono che parte di un sistema più generale, in cui figurano tutte le variabili che in un determinato istante individuano il commercio stesso. Siffatto sistema è quello che si esprime scrivendo che il commercio internazionale tende a livellare tutti i costi comparati.
Abbiamo fin qui supposto che tutti i valori che figurano nell'equazione che esprime il pareggio della bilancia dei pagamenti siano espressi in una stessa moneta d'oro. Ci resta a vedere come si modifica l'aspetto esteriore del fenomeno, quando le diverse partite della bilancia vengano valutate in monete diverse.
Per fissare le idee supponiamo precisamente che la (3) esprima la nostra bilancia dei pagamenti e che tutte le partite che corrispondono a riscossioni dall'estero siano valutate nella nostra moneta, cioè in lire, mentre quelle che corrispondono ai pagamenti all'estero siano valutate in una stessa moneta estera, per esempio in dollari. Diciamo allora u, v, il prezzo d'un grammo d'oro rispettivamente in lire e in dollari, e γ il cambio del dollaro, cioè il prezzo in lire di un dollaro. Sarà evidentemente
e moltiplicando membro a membro i termini di questa equazione con quelli di (3), detti
avremo
equazione, nella quale il pareggio della bilancia è espresso nella particolare forma in cui è atto a porre in luce le mutue interferenze del cambio con gli elementi proprî della bilancia (quantità e prezzi delle merci e dei servizî esportati e importati). Evidentemente nella (6) è implicita l'ipotesi che le due monete (nel caso presente lira e dollaro) siano convertibili in oro ad un corso fisso, determinato dalla parità monetaria: cioè che le quantità u, v e quindi anche γ siano costanti.
In quest'ipotesi, nelle equazioni del commercio internazionale non figurano se non nove incognite - come prima - e nessuna modificazione essenziale è da apportare al ragionamento precedente, che indicava come le incognite vengono determinate.
Il pareggio della bilancia avviene attraverso all'oscillazione delle quantità e dei prezzi, e queste si producono in modo che in ogni momento il rapporto
resta costante.
Praticamente l'invarianza di questo rapporto è mantenuta attraverso le fluttuazioni di X′, D1′, C2′: cioè attraverso il passaggio d'oro e soprattutto di fondi fra banca e banca.
La cosiddetta manovra del saggio dello sconto praticata dalle banche e soprattutto dalla banca di emissione ha appunto lo scopo di spingere i capitalisti (nazionali e stranieri) ora agl'investimenti all'interno ora a quelli all'estero secondo le alterne vicissitudini dell'ora. Se, p. es., la banca d'emissione vede che le sue riserve in oro o in divisa estera tendono pro tempore ad assottigliarsi, perché al corso fisso del cambio il mercato domanda più dollari di quanti ne offre, eleva il saggio dello sconto. I creditori stranieri sono invogliati in tal modo a non realizzare immediatamente il loro avere; i nazionali che posseggono crediti sull'estero sono invogliati a realizzarli immediatamente ed in tal modo l'equilibrio fra domanda e offerta tende a ristabilirsi. E analogamente, mutatis mutandis, quando, verificandosi la tendenza delle riserve a crescere, la banca d'emissione diminuisce il saggio dello sconto. Diversamente accadrebbe, se una delle due monete, p. es. la lira, avesse rispetto all'oro un valore variabile. In tal caso, se al cambio del giorno sono domandati più dollari di quanti ne sono offerti, non vi è elevazione del saggio d'interesse che possa invogliare a mantenere i crediti all'interno. Tanto il creditore straniero quanto il nazionale che ha crediti all'estero non sanno a qual cambio potrebbero domani realizzare il loro avere, e, tranne che non si propongano essi stessi di speculare sulle oscillazioni del cambio, preferiscono non correre l'alea d'una perdita. Se ad un certo cambio la domanda supera l'offerta, l'equilibrio non può ristabilirsi se non attraverso un inasprimento del cambio fino al punto in cui domanda e offerta si compensano. Il che significa, dal punto di vista formale, che nelle equazioni del commercio internazionale vi è un'incognita in più, il cambio γ; le incognite del sistema non sono più nove: sono dieci. In questo non può, nemmeno in prima grossolana approssimazione, essere scritta una decima equazione, la quale contenga, insieme con γ, solo le altre nove incognite del sistema. Non può, perché il prezzo del cambio è connesso al corso dell'oro (prezzo di un determinato peso d'oro) e questo a sua volta dipende dall'inflazione monetaria, cioè dalla quantità di moneta (lire) in circolazione e da tutti gli elementi ad essa connessi (attività commerciale, velocità di circolazione della moneta, inflazione creditizia, ecc.).
Concludendo: in regime di cambio instabile le condizioni che determinano il flusso e il valore in moneta nazionale delle partite che figurano nella bilancia dei pagamenti non possono esser determinate prescindendo da quelle che determinano l'equilibrio economico interno. Verità questa, in regime di cambio instabile, universalmente percepita; non nella forma teorica qui enunciata, ma nella forma pratica, in cui p. es. è percepita dalla donnetta che recatasi a far la spesa, si sente dire che il prezzo è cresciuto perché è cresciuto il cambio. Le fluttuazioni del cambio dànno origine, in questo caso, alle fluttuazioni delle partite della bilancia dei pagamenti: fluttuazioni in quantità e fluttuazioni in valore. E queste a loro volta provocano nuove fluttuazioni del cambio, in un sistema di mutua dipendenza, le cui interferenze, tanto i teorici quanto i pratici, ciascuno a modo suo, più o meno confusamente intuiscono, ma che fino ad oggi nessuno, né teorico, né pratico, è riuscito a definire e a fissare nettamente.
Bibl.: La Società delle Nazioni richiede periodicamente ai diversi governi gli elementi per la costruzione della bilancia dei pagamenti dei singoli stati. Siffatti elementi insieme con quelli che possono essere desunti dalle pubblicazioni finanziarie di tutto il mondo sono pubblicate annualmente nel Memorandum sur le commerce international et sur la balance des payements e precisamente nel primo volume che porta il sottotitolo Aperçu général du commerce mondial et balance des payements. Per ciascuna bilancia sono pure indicate le fonti dirette e indirette, da cui le notizie sono tratte.
Notizie sulla bilancia italiana, nel periodo contemporaneo, sono pure nei Documenti sulla condizione finanziaria ed economica dell'Italia, comunicati al parlamento dal ministro De Stefani l'8 dicembre 1923 e nelle pubblicazioni seguenti, eseguite per cura del Ministero delle finanze: M. Alberti, Gli svolgimenti monetarî in Italia; Le esperienze monetarie prima e dopo la guerra in Italia; La tecnica delle stabilizzazioni, Roma 1927; G. Borgatta, La stabilizzazione dei cambî e la bilancia italiana dei pagamenti, Roma 1927. Segnaliamo ancora l'ottima monografia dello Jannaccone, La bilancia del dare e dell'avere internazionale con particolare riguardo all'Italia, Milano 1927, pregevole per la fine e sobria analisi teorica e per la discussione dei dati relativi alla bilancia italiana dell'ultimo venticinquennio.
L'analisi teorica delle partite della bilancia dei pagamenti forma d'ordinario oggetto di studio nelle riviste economiche e finanziarie ed è poi parte integrante dei trattati generali di economia politica e dei trattati speciali sul commercio internazionale, sulla moneta, ecc. Segnaliamo fra le riviste: Italia: Giornale degli economisti e Rivista di statistica; Riforma sociale; Politica; Economia; Bollettino di notizie economiche pubblicato dall'Associazione fra le Società per azioni. - Francia: Économiste français; Journal des Économistes; Bulletin quotidien de la Société d'études d'informations économiques; Bulletin de la Banque nationale française; Bulletin trimestral du Ministère du travail. - Inghilterra: Economist; Statist; Board of Trade Journal; Economic Journal. - Stati Uniti d'America: Federal reserve bulletin; Review of Economic Statistics; Quarterly Journal of Economics. - Germania: Die Bank; Vierteljahrshefte zur Konjunkturforschung; Frankfurter Zeitung; Wirtschaft und Statistik. - Fra le opere vedi: A. Cabiati, Il ritorno all'oro, Milano 1925; E. Rosboch, La riforma monetaria italiana, Milano 1927; R. G. Hawtrey, Monetary Reconstruction, Londra 1923; id., The gold standard in theory and practice, Londra 1927; id., Currency and credit, Londra 1928; G. Cassel, Money and Foreign Exchanges after 1914, Londra 1923; trad. francese, Parigi 1923; J. M. Keynes, Monetary Reform, Londra 1923, trad. ital. di P. Sraffa, Milano 1925; P. Meynal, Créances et dettes internationales, Parigi 1926; C. E. Bonnet, Les expériences monétaires contemporaines, Parigi 1926; C. Rist, La déflation en pratique (Angleterre, États-Unis, France, Tchéco-Slovaquie), Parigi 1927; K. Helfferich, Money, voll. 2, Londra 1927; J. van Walré de Bordes, The austrian crown, its depreciation and stabilisation, Londra 1924; S. S. Katzenellenbaum, Russian Currency and Banking 1914-24, Londra 1925; F. W. Taussig, Free trade, the tariff and reprocity, New York 1920; Henderson, L'exportation des capitaux anglais durant et après la guerre; W. R. Burgess, The reserve banks and the money market, New York 1927.