BILANCIA (dal lat. bis e lanx "piatto"; fr. balance; sp. balanza; ted. Wage; ingl. balance)
Strumento che serve a pesare i corpi.
La più antica documentazione storica completa circa questo importante strumento ci è pervenuta attraverso le opere di Archimede. La bilancia è fondata sul principio della leva e consta appunto essenzialmente d'una leva a bracci eguali (giogo). All'estremità di tali bracci sono sospesi due piatti, mentre nel centro del giogo si trova un prisma triangolare P il cui spigolo poggia su di un piano d'acciaio o di pietra dura: e appunto grazie a tale spigolo il giogo può oscillare abbassandosi a destra o a sinistra. L'indice i, scorrevole davanti a una scala graduata, permette di rilevare se il giogo sia o no perfettamente orizzontale. Le viti v dànno modo di conseguire eventualmente tale orizzontalità. Acciocché l'equilibrio sia stabile occorre poi evidentemente che il centro di gravità del sistema formato dal giogo e dai piatti si trovi al di sotto del centro di sospensione del sistema stesso, cioè al di sotto del coltello P. D'altra parte s'intuisce che più i due centri saranno vicini, più la bilancia sarà sensibile, più cioè essa - traboccando alle minime differenze fra i carichi posti nei due piatti - permetterà di valutare pesi piccolissimi.
Inoltre, come dimostreremo, la sensibilità è tanto maggiore quanto più leggiero è il giogo. In pratica tale sensibilità si regola solo facendo variare l'altezza del centro di gravità del giogo, in modo che varî la sua distanza dal centro di sospensione. E ciò si ottiene, nel caso della bilancia in figura, alzando o abbassando il peso scorrevole lungo la vite t. Lo scopo che si raggiunge diminuendo la sensibilità d'una bilancia è sempre quello di ottenere una maggiore rapidità nell'atto della pesata, di ridurre cioè le eventuali oscillazioni dell'indice i intorno alla sua posizione di riposo.
Inoltre la bilancia dev'essere giusta; occorre cioè che quando i piatti sono carichi di pesi eguali, l'indice - dopo un certo numero d'oscillazioni - si fermi a zero, e ciò evidentemente accadrà soltanto nel caso in cui i due bracci siano eguali.
Affinché lo spigolo del coltello non si smussi occorre che esso poggi sul piano d'acciaio solo nel momento in cui occorre pesare. A tal fine vi è una vite M che permette d'innalzare l'asta orizzontale a, la quale procedendo verso l'alto, prende con sé il giogo e lo tiene sollevato in modo che non poggi più sul coltello. Le bilance di precisione sono chiuse in una custodia di vetro, protette così da eventuali azioni perturbatrici dell'aria. Il giogo inoltre deve risultare - sia per forma, sia per metallo componente - estremamente rigido, in modo da inflettersi meno che sia possibile sotto l'azione dei pesi. I piatti stessi, nel caso d'una bilancia molto buona, sono sostenuti da due coltelli posti alle estremità del giogo e con lo spigolo volto in alto, a differenza di quello del coltello centrale.
La teoria matematica della bilancia può essere facilmente stabilita, anche mettendosi nel caso più generale in cui i tre spigoli A, B, C, dei coltelli attaccati al giogo non stiano sopra un piano. Se B A C è la posizione di equilibrio del giogo girevole attorno ad A e simmetrico rispetto alla bisettrice di B A C, il centro di gravità del sistema dovrà trovarsi in un punto G della verticale di A. Mettiamo nel piatto che poggia su C un certo peso p. Il giogo s'inclinerà da quella parte di un certo angolo α. Evidentemente la sensibilità della bilancia potrà esser misurata dal rapporto w = α/p. La nuova posizione di equilibrio sia B′AC′, e il centro di gravità si troverà in G′. Se indichiamo con π il peso del sistema formato dal giogo e dai piatti, e con P ciascuno dei pesi (eguali) che già si trovavano sui piatti stessi, potremo dire che nella nuova posizione il sistema mobile della bilancia si trova in equilibrio sotto l'azione di tre forze: 1. la P + p applicata in C′; 2. la P applicata in B′; 3. la π applicata in G′. La somma algebrica dei momenti di tali forze rispetto al centro di sospensione A dovrà essere nulla, e avremo perciò:
Posto l = AB = AC, 2 β = BAC, m = AG, avremo:
L'equazione (1) diviene allora:
da cui:
Sviluppando e raccogliendo si ottiene:
Dividendo ambo i membri per cos α e risolvendo rispetto a tang α si ha:
L'angolo β può essere acuto, retto od ottuso. E poiché si è indicato con 2 β l'angolo dei due bracci del giogo, il giogo stesso sarà, nei casi rispettivi, concavo, rettilineo o convesso. Terremo presente nella nostra analisi che per angoli abbastanza piccoli tang α si confonde sensibilmente con α e che perciò la sensibilità w = α/p è direttamente proporzionale a tang α.
1. Se β 〈 90°, la sensibilità diminuisce col crescere del carico totale 2P + p, e, a parità delle altre condizioni, cresce con il crescere di l (pur senza essergli proporzionale). Inoltre anche se m è negativo essa può assumere un valore accettabile purché il denominatore nel suo insieme risulti positivo, ossia purché P non sia inferiore a un certo valore minimo che può essere determinato caso per caso.
2. Se β = 90° risulta sen β = 1, cos β = o, si ha quindi
In questo - che è il caso che si cerca di realizzare in pratica - la sensibilità è proporzionale alla lunghezza del giogo, e inversamente proporzionale al peso del giogo stesso e alla distanza fra centro di sospensione e centro di gravità. Inoltre la sensibilità stessa è indipendente dal carico iniziale. Si verificano insomma le leggi stabilite precedentemente.
3. Se β > 90°, poniamo β = 90° + β′. L'espressione della sensibilità diviene quindi
La sensibilità in questo caso aumenta con P. Ma tuttavia - affinché il denominatore sia positivo - occorre che P non superi un certo valore massimo. Quest'ultimo caso ha però poco interesse pratico, perché quando, come si cerca di ottenere in pratica, è β = 90°, questo angolo, sotto il carico, tende a diminnire e non ad aumentare, e tanto più diminuisce quanto più grande è P. Questa considerazione, che mostra come siano legate quelle grandezze P e β che si erano supposte astrattamente indipendenti, porta una notevole modificazione nella discussione del caso 1 e permette di rilevare che in tale caso la sensibilità non cresce con l come sembra osservando l'ultimo membro della (2), ma al contrario diminuisce.
Poniamo infatti che per effetto del carico iniziale 2 P, β sia diminuito, e divenga
dove K è una costante dipendente dalla rigidità del giogo. Per effetto poi della flessione del giogo anche il centro di gravità del sistema si abbassa e la distanza m si trasforma in m′ = m cos β′ / cos β.
Si deve aggiungere inoltre che, quando la forma del giogo che consente la massima stabilità è stata fissata, tutti i gioghi dovranno essere simili, e - quanto a quelli costituiti di uno stesso metallo - può dirsi che il loro peso risulterà proporzionale al cubo di una loro dimensione omologa, come, p. es., la lunghezza. Si avrà quindi:
Sostituendo nella (2) i valori β′, m′, π, avremo:
dove si vede che la sensibilità diminuisce con l'aumentare della lunghezza del giogo.
Siccome il caso 1 si verifica sempre - sebbene per piccolissime inflessioni - nella pratica, la sensibilità della bilancia si suole aumentare sia per mezzo di gioghi leggieri, sia cercando di render piccola la quantità m. Ma tuttavia non conviene rendere il giogo eccessivamente corto, perché anche ciò tenderebbe a diminuire la sensibilità della bilancia, e ciò per ragioni dipendenti dal fatto che il filo del coltello centrale più che un segmento è un piccolo tratto della superficie laterale di un cilindro. Esiste insomma nei singoli casi - come dimostra il calcolo - un certo valore determinato di l per cui α risulta massima. Questi studî, dovuti specialmente al Mendeleev, hanno portato, quando una grande sensibilità sia necessaria, all'impiego delle cosiddette bilance a bracci corti. Il giogo di tali bilance è quasi sempre in bronzo, ma quando esse servano per misurare dei pesi molto rilevanti, si adopera anche l'acciaio. Talvolta, e sempre allo scopo di raggiungere la massima leggerezza, il giogo è formato d'alluminio unito a piccole quantità d'argento. I coltelli sono generalmente d'acciaio temprato, più raramente di agata. Naturalmente occorre che gli spigoli dei tre coltelli siano non solo rettilinei, ma anche rigorosamente paralleli. Esiste uno speciale apparecchio (di Brauer) per la verifica di tale parallelismo. Poiché inoltre gli spigoli stessi debbono essere su uno stesso piano durante la pesata, e il giogo si inflette, occorre che lo spigolo del coltello centrale si trovi un po' al di sotto degli altri. Del resto questi ultimi sono mobili, e per mezzo di viti possono venire spostati leggermente in senso orizzontale o verticale.
Grazie ai continui perfezionamenti di cui è stata oggetto, la bilancia è oggi strumento perfettissimo, e la sua enorme sensibilità permette di valutare il peso di un chilogrammo con un errore più piccolo di 1/100 di milligrammo. Naturalmente assai maggiore è la sensibilità delle microbilance, come quella del Salvini: apparecchi in un certo senso diversi, di cui non facciamo cenno qui.
Determinazione del peso. - La bilancia va collocata su di un tavolo di marmo: le variazioni igrometriche dell'aria fanno variare diversamente il volume delle varie parti di un tavolo di legno e determinano così uno spostamento dello zero. Meglio ancora, lo strumento può essere collocato in una nicchia scavata nel muro e pavimentata in marmo; ma sempre dev'essere posta quanto più è possibile al riparo da variazioni di temperatura e da trepidazioni del muro stesso: per questo è bene che le viti della base (viti calanti) poggino su dischetti di gomma.
La pesata stessa poi non si può eseguire ponendo semplicemente su di un piatto il corpo da pesare, sull'altro un certo peso che valga a riportare la lancetta verticale fino allo zero della scala graduata. Così facendo non si terrebbe conto che, nonostante tutti gli sforzi compiuti dal costruttore, la lunghezza dei bracci, i loro pesi e i pesi dei piatti, anziché essere rigorosamente eguali, presentano sempre delle piccole differenze. I cosiddetti metodi di pesata servono ad eliminare le cause d'errore derivanti da tali difetti dell'apparecchio. I metodi sono tre: 1. metodo di Gauss, o della doppia pesata; 2. metodo di Borda o della tara; 3. metodo di Mendeleev, della carica costante o della sensibilità costante.
1. Si pone il corpo da pesare prima in un piatto e poi in un altro, e si determinano i due diversi pesi p1, p2 che fanno equilibrio al corpo sull'uno e sull'altro piatto. Se con l1, l2 indichiamo la lunghezza dei bracci da cui è sostenuto il corpo quando pesa rispettivamente p1 e p2, e con p indichiamo il peso (incognito) del corpo stesso, si avrà:
E moltiplicando membro a membro:
cioè:
Ma siccome quando due numeri sono poco diversi, alla loro media geometrica si può sostituire la media aritmetica, scriveremo:
D'altra parte dividendo membro a membro le (1) si ha:
formula che permette di determinare il rapporto fra le lunghezze dei bracci.
2. Si fa equilibrio al corpo da pesare, posto in uno dei piatti, per mezzo di pallini di piombo, limatura di ferro, stagnola, ecc.: per mezzo cioè della cosiddetta tara. Poi si leva il corpo e al suo posto si mettono dei pesi della bilancia, fino ad equilibrare la tara. Tali pesi dànno il peso del corpo primitivo anche se i bracci della bilancia non sono eguali.
3. Si tratta qui di pesare a carico costante, cioè a sensibilità costante, poiché, come abbiamo visto, la sensibilità dipende dal carico, dato che il giogo è sempre un po' incurvato. Se la bilancia è destinata a un carico massimo di 1 kg. per braccio, si pone in un piatto il peso di i kg. e nell'altro tanti piccoli pesi determinati, la cui somma valga sempre un chilogrammo. Alla fine di quest'operazione, se occorre, si assicura un esattissimo equilibrio della bilancia per mezzo di una piccola tara. Il corpo di cui si deve determinare il peso si pone poi in uno dei piatti, e dal piatto stesso si tolgono tanti pesi quanti sono necessarî a ristabilire l'equilibrio. La somma di quei pesi darà il peso del corpo.
La necessità di un'ultima cautela sorge dal fatto che il corpo da pesare, immerso naturalmente nell'aria, subirà per il principio di Archimede una spinta dal basso all'alto, cioè una diminuzione di peso la cui entità sarà funzione del volume racchiuso dalla superficie esterna del corpo stesso. V'influiranno inoltre la pressione dell'aria, la sua temperatura, il vapor d'acqua che essa contiene. E poiché il volume dei pesi - che pur subiscono tale spinta - sarà quasi sempre diverso da quello del corpo da pesare, la spinta stessa non agirà in modo eguale sui due bracci della bilancia; donde la necessità di una correzione, cioè di una riduzione del peso al vuoto. Vi sono delle bilance la cui custodia può agire come campana d'una macchina pneumatica. Tali bilance consentono di determinare direttamente il peso nel vuoto. Ma le difficoltà che s'incontrano quando si voglia realizzare un vuoto notevole con strumenti di tal genere, inducono a preferire la pesata nell'aria, seguita dalla suddetta correzione.
Bisogna tener presente che - come si disse in principio - una bilancia molto sensibile non è rapida nella pesata. Appena il giogo è lasciato libero di muoversi, la lancetta comincia ad oscillare da una parte e dall'altra di un certo valore (p. es. lo zero se i pesi segnati equivalgono al peso del corpo). Tali oscillazioni durano molto, e bisogna perciò - se si vuol pesare con relativa rapidità dedurre da esse il punto della scala in cui la lancetta tende a fermarsi. Tale punto è dato dalla formula
dove a e c sono i punti estremi (da una stessa banda rispetto ad n) di due diverse oscillazioni successive, e b è il punto estremo della prima oscillazione, ma dalla banda opposta rispetto ad n. La formula ora scritta deriva - come si vede subito - da una semplice media. Se ne hanno di analoghe per quattro o più termini. Ad ogni modo le oscillazioni osservate al microscopio debbono già essere estremamente piccole, e durante esse il giogo non deve avere alcun moto orizzontale: ché altrimenti nasce una forza centrifuga capace di spostare il punto n (v. anche peso).
Storia. - L'uso della bilancia sembra sia giunto in Europa soltanto nell'età dei metalli, per quanto sia presumibile che tale strumento fosse già conosciuto in Oriente nell'età neolitica per pesare l'oro, allora già largamente diffuso. È anche probabile che i ponti di passaggio per cui l'invenzione è giunta sino a noi siano state le isole di Cipro e di Creta. In quest'ultima infatti si è trovata una tavoletta iscritta del II Palazzo di Cnosso (prima metà del II millennio a. C.), nella quale fra i varî segni geroglifici v'è anche quello della bilancia, che pur nel suo schematismo è perfettamente riconoscibile negli elementi che la compongono. Essa consiste infatti nella leva a braccia eguali, alle cui estremità sono appesi i due piatti, e in un piede verticale che la sostiene. Particolare interessante, e che dimostra a quale alto grado di perfezione fosse giunto già allora questo strumento, è che la leva giuoca in una forcella che, offrendole un appoggio molto sottile, doveva renderla sensibilissima. Dello stesso tipo, per quanto più rozza, è la bilancia disegnata su una lastra di pietra della tomba di Kivik (Svezia), posta dal Montelius nella tarda età del bronzo.
Ben più preciso è il disegno delle bilance egiziane che spesso si presentano in rilievi e in papiri funerarî, come ad es. nel Libro dei Morti (Nuovo Impero, 1600-1100 a. C.). Nella scena del giudizio il cuore del defunto, simboleggiato da un vasetto globulare, viene pesato sulla bilancia. Questa consta di una leva, dalle cui estremità, a forma di calice, escono i fili che sostengono i piatti, e di un sostegno verticale, che porta in alto un capitello a fiore di loto aperto, e che s'incastra in basso in un alto piede a forma di campana. La leva probabilmente era unita al sostegno per mezzo d'un pernio sul quale oscillava.
Accanto alla bilancia retta da sostegno, che doveva servire soltanto per pesi molto forti, esistevano nell'età antichissima le bilance appese. Fra i primi esemplari di questo tipo sono due bilancette d'oro, trovate in una tomba di Micene (Atene, Museo Nazionale). Esse consistevano in un'esile verghetta d'oro, da cui pendono i fili, pure d'oro, reggenti i piatti sottilissimi, ornati nell'una di farfalle schematizzate, nell'altra di rosoni. Queste bilance erano simboliche, e forse stavano a significare la pesatura delle buone e cattive azioni nell'oltretomba.
Le bilance greche di età storica (σταϑμός, τάλαντον) sono conosciute solo attraverso monumenti figurati, perché nessun esemplare è giunto sino a noi.
Una delle rappresentazioni più antiche è quella data dalla coppa cirenaica detta di Arcesilao (v. figg., vol. IV, p. 20 seg.), perché vi è rappresentata appunto la figura del re di questo nome, intento a sorvegliare la pesatura e l'imballaggio del silfio. A destra, nella parte superiore della tazza, c'è il disegno di una trave a cui è appesa una bilancia. Il sistema di unione fra la leva e la trave è dato da un'asta che penetra con una piccola barra trasversale in un anello. L'asta è legata con corde da una parte alla trave e dall'altra alla leva della bilancia. Dalle estremità di questa, escono quattro fili, a cui sono appesi i piatti. Un'altra rappresentazione assai nota di un'anfora a figure nere, firmata dal pittore Talide (coll. Hope-Deepdene), ci dà l'immagine di una bilancia più rozza ed atta a sopportare pesi molto rilevanti. La leva è qui un semplice bastone, grosso nel mezzo ed appuntito alle estremità. Le corde che sostengono i piatti non partono direttamente da essa, ma si riuniscono intorno ad una piastrella appesa con un filo alla leva. Il sistema di sospensione di questa è strano, perché è serrata al centro da una corda legata in doppio, che può permetterle soltanto lievi oscillazioni. In un vaso più tardo della Magna Grecia (Leningrado, Museo dell'Ermitage), la bilancia è sospesa ad un arco, sostenuto da due montanti che poggiano su una base a gradini.
Neppure i numerosi scavi fatti in Etruria hanno ridato alla luce esemplari che si possano chiamare sicuramente etruschi; ma i monumenti figurati, specialmente ciste e specchi incisi, testimoniano chiaramente che la bilancia etrusca non differiva in nulla dalla greca.
La bilancia romana a braccia eguali (bilanx; trutina, secondo Vitruvio, X, 8, 4, è termine generale per la bilancia e per la stadera, come libra) ci è nota perfettamente attraverso monumenti figurati e numerosi esemplari usciti dagli scavi, specialmente da Pompei. Solamente con Roma s 'introduce il grande perfezionamento dell'indice, chiamato examen (v. Pers., Sat., 5, 101; Virg., Aen., XII, 725).
In un bassorilievo conservato nella chiesa di Torcello (Venezia) la figura del Tempo tiene in mano una bilancetta, che reca nella parte superiore una guaina, dentro alla quale evidentemente è immaginato l'indice. Bilance romane con la guaina e l'indice, posti sempre al disopra della leva, sono conservate nei varî musei d'Europa. Strano è un sistema di supporto a squadra che troviamo in un rilievo di Pola. La bilancia è retta da un sostegno verticale ad alto piede; da questo si stacca una barra che ferma uno dei bracci della leva, allo scopo naturalmente di evitare che il piatto caricato precipiti prima che sull'altro siano posti i pesi. La figura presenta una curiosa combinazione fra la bilancia a braccia uguali e la stadera. Essa si trova al Museo Nazionale di Napoli, ed è costruita come una comune bilancia a piatti, con una corta catena che la tiene appesa a un artistico sostegno ad arco. In più essa ha un contrappeso cursore fusiforme, che scorre su uno dei bracci: questo è segnato con delle divisioni, che permettono di stabilire la differenza fra due pesi posti nei due piatti. Non dobbiamo dimenticare infine una bilancia conservata al Museo archeologico di Firenze, che reca da un lato il solito piatto, mentre dall'altro ha un contrappeso fisso. S'intende che questo tipo di bilancia non doveva servire a stabilire il peso di un oggetto, ma solamente a verificare se il peso di esso corrispondeva a un principio stabilito.
È verosimile che, come ai nostri giorni, i Romani usassero la bilancia a piatti soltanto per pesature esatte di oggetti minuti, mentre per le merci grossolane dovevano servirsi della stadera, venuta dalla Campania e, a giudicare dal numero degli esemplari conservati, più diffusa della bilancia a braccia uguali (v. stadera).
Per i pesi usati nelle varie epoche v. peso.
Bibl.: L. Lorenzi, Sopra le bilancie degli antichi, Cortona 1742, pp. 93-102; O. Jahn, Darstell. d. Handwerkes und Händelverkehrs, in Ber. der sächs. Ges. der Wissenschaft, 1867, p. 100 seguenti; A. Baumeister, Denkm. des klass. Altertums, III, Monaco 1888, p. 2078; R. Forrer, Reallexikon der Altertümer, Berlino 1907, p. 881; Daremberg e Saglio, Dictionn. des antiq. grecques et romaines, III, p. 1222 segg.; R. Cagnat e V. Chapot, Manuel d'archéologie romaine, Parigi 1920, p. 253.