Wilder, Billy
La perfezione della commedia
Moderni, spregiudicati, travolgenti nel ritmo, basati sul meccanismo del rovesciamento e del travestimento, i film di Billy Wilder sono percorsi da una vena malinconica e spesso amara. L’America del regista, vista attraverso la carica eversiva della sua ironia e del suo sguardo critico di europeo, svela i limiti di molti miti scintillanti, lasciando affiorare tracce di solitudine e di disperazione
Austriaco di famiglia ebraica, Samuel (detto Billy) Wilder nacque a Sucha, nella Galizia austroungarica, nel 1906: la cultura mitteleuropea d’origine e le esperienze fatte a Vienna e proseguite a Berlino come giovane reporter furono molto importanti per la sua futura attività di regista. Nel 1933 l’avvento del nazismo lo convinse ad abbandonare Berlino e a recarsi a Parigi, e quindi a Hollywood. Qui con Charles Brackett costituì una delle più acclamate coppie di sceneggiatori del tempo, autrice di commedie indimenticabili.
Ben presto il desiderio di realizzare opere completamente sue, impedendo ad altri di cambiare le battute che scriveva, spinse Wilder a passare dietro la macchina da presa come regista. Egli non diresse solamente film brillanti, ma si impegnò anche in altri generi, come nel caso del drammatico Viale del tramonto (1950), insuperata riflessione sul cinema hollywoodiano, sui miti che è in grado di costruire e poi distruggere, come accade alla diva del muto incapace di accettare il trascorrere del tempo.
Ma fu soprattutto nelle commedie che, utilizzando tutti i procedimenti del comico, Wilder sviluppò un’idea essenziale e nuova per il cinema di Hollywood, ossia che ogni individuo è estremamente complesso ed è pronto a cambiare personalità a seconda delle circostanze della vita. Per questa ragione i suoi personaggi spesso fingono di essere altro rispetto a quello che sono e in qualche modo, indossano una maschera.
Il tema del cambiamento, della metamorfosi, della finzione domina due straordinarie commedie del regista, entrambe interpretate dalla radiosa Audrey Hepburn: Sabrina (1954) e Arianna (1957).
Sabrina si apre proprio come una favola: una fanciulla è innamorata di David, viziato rampollo di una ricchissima famiglia presso la quale suo padre presta servizio come autista. Durante un soggiorno a Parigi per seguire un corso di cucina avviene la metamorfosi: Sabrina da adolescente timida si trasforma in una donna affascinante, sofisticata al punto da far innamorare David al suo ritorno. Per impedire questo legame, socialmente sbilanciato, il fratello maggiore Larry decide di fingersi innamorato della ragazza per allontanarla da David e rimandarla a Parigi. Ma è a questo punto che la struttura classica della commedia romantica si rovescia: infatti il fratello più vecchio, responsabile e meno affascinante, si innamora veramente di Sabrina e finisce per conquistarla.
Nel 1959, in un bianco e nero ricco e morbidamente privo di contrasti, Wilder girò una commedia perfetta, A qualcuno piace caldo, esilarante farsa dell’America del proibizionismo e del cinema dei gangster. Ancora una volta il regista rovescia le convenzioni del genere cinematografico e fa iniziare il film con una strage, quella realmente avvenuta a Chicago, il giorno di S. Valentino del 1929, esito di una lotta tra bande. Testimoni involontari sono due jazzisti di quart’ordine, Joe (Tony Curtis) e Jerry (Jack Lemmon). Per far perdere le proprie tracce i due, terrorizzati, si travestono da donne e divenuti Josephine e Daphne si aggregano a un’orchestra femminile diretta a Miami. Dell’orchestra fa parte la tenera, bellissima, sensuale cantante e suonatrice di ukulele Zucchero Candito, interpretata da Marilyn Monroe. Le avventure, i travestimenti si susseguono senza sosta. Finché, in un finale travolgente, Zucchero si innamora di Joe che si è finto miliardario per conquistarla, mentre di Daphne-Jerry s’invaghisce un miliardario vero che, di fronte alla rivelazione che Daphne è un uomo, risponde con la famosa battuta: «Nessuno è perfetto».
Wilder diresse numerose altre commedie di straordinario successo e di grande intelligenza, molte delle quali interpretate da Jack Lemmon, l’attore che più di ogni altro predilesse perché ideale interprete del suo uomo della strada, spesso ingenuo e disarmato, ma in grado di ritrovare dentro di sé la propria perduta dignità, come il piccolo impiegato della commedia dolce-amara sulla solitudine della grande città, L’appartamento (1960), premiato con l’Oscar come miglior film.
Lemmon interpretò anche Irma la dolce (1963) e Che cosa è successo tra mio padre e tua madre (1972) e, in coppia con Walter Matthau, Non per soldi... ma per denaro (1966), Prima pagina (1974), satira dissacrante del mondo della stampa, e Buddy Buddy (1981), ultimo film dell’ormai anziano regista, che morì a 96 anni nel 2002.