Matilal, Bimal Krishna
Filosofo indiano (Joynagar, Bengala Occidentale, 1935 - Oxford 1991). Dopo aver studiato in profondità sanscrito e filosofia indiana (soprattutto Navyanyāya) a Calcutta, concluse il dottorato alla Harvard University dove studiò con Quine e Dagfinn Føllesdal. Dal 1964 insegnò in univv. statunitensi e canadesi e infine a Oxford. La sua opera è animata dal tentativo di mostrare il contributo che l’indagine sulla filosofia indiana può fornire al dibattito contemporaneo. Elabora perciò strumenti, anche formali, comuni ai due mondi e in quest’ottica va inteso anche il suo sforzo di individuare possibili traduzioni per i termini dell’epistemologia e della filosofia del linguaggio indiane. Vicino alla filosofia analitica, adopera per es. il linguaggio formale del Navyanyāya (➔) per trattare paradossi logici ben noti in Occidente, quali il problema dei referenti di espressioni come ‘la barba di Platone’. Seguendo alcune intuizioni di Russell e collegandole al pensiero di Nāgārjuna, analizza inoltre l’indefinibilità del «mondo oggettivo», poiché ogni nostro atto cognitivo implica qualche forma di costruzione o manipolazione. È bensì possibile che il linguaggio abbia un referente oggettivo su cui basarsi, ma esso elude certamente una corrispondenza biunivoca con ogni singolo oggetto del mondo ‘reale’. Inoltre, qualsiasi tentativo di definire il mondo oggettivo porta a circolarità. In ambito comparativistico, M. rifiuta il relativismo di chi sostiene che i temi filosofici di diverse culture non siano comparabili accostando invece realismo morale (secondo cui esistono valori morali minimi comuni) e pluralismo. La vastità apparentemente eclettica dei suoi interessi trova una giustificazione teorica nella convinzione che, per evitare pregiudizi come quelli che hanno contrassegnato l’approccio occidentale alla filosofia indiana e per comprendere un pensiero nel suo sviluppo e nel suo progressivo interrogarsi, bisogna confrontarsi con tutti i suoi aspetti, compresi epica, letteratura, dharmaśāstra (ossia i testi giuridici sanscriti, i quali si occupano di regolare la convivenza umana), ecc. In partic. nei saggi raccolti in Ethics and epics (post., 2002), M. si interroga sull’apparente mancanza di una filosofia morale in India e mostra come però l’indagine morale sia rintracciabile altrove nel panorama della cultura indiana, ossia nei dharmaśāstra e nell’epica, illustrando altresì le differenze implicite in un approccio narrativo alla morale.