BINOMIO
. Dal latino medievale binomium. Nel libro X di Euclide sono classificate, in varie specie irriducibili le une alle altre, le radici delle equazioni di secondo grado e delle equazioni biquadratiche a coefficienti razionali. Euclide distingue sei specie di binomî (ἐκ δύο ὀνομάτων) ed altrettante specie di residui (ἀποτομή). Le prime corrispondono a somme (p. es. 3 + √5, √2 + √3, ecc.), le seconde a differenze (p. es. 3− √2, ecc.). Questa nomenclatura complicata è stata a poco a poco abbandonata. Mentre ancora in Ghaligai (Arithm., 1552, fol. 75) "binomio è una linea che per meno di due nomi non si può dire", e parimenti in Bombelli (1572, Alg., p. 73) "il binomio è una quantità composta di due nomi aggiunti insieme dissimili", il Descartes (1637, Geom., III, p. 373) parla già di un binome composé de la quantité inconnue + ou − quelque autre quantité. Dal Newton in poi (1676), i matematici hanno chiamato binomio la somma di due quantità qualsiasi, positive o negative.
Hanno grande importanza nell'algebra gli sviluppi delle potenze di un binomio. Dapprima è stato trovato lo sviluppo delle potenze intere e positive. Euclide (II, 4) dimostra geometricamente la formula: (a + b)2 = a2 + 2 ab + b2.
La formula analoga per il cubo di un binomio non si trova enunciata esplicitamente nei matematici greci, sebbene essa sia stata adoperata più volte da Diofanto (p. es. IV, 9). È enunciata, nel 1228, da Leonardo Pisano (Opere, Roma 1857, I, p. 378): Cum linea divisa in duo partes fuerit, erunt cubi ipsarum proportionum cum triplo multiplicationis quadrati unius cuiusque sectionis in aliam, aequales cubo totius lineae.
Le potenze successive di un binomio sono state, forse per la prima volta (verso la fine del sec. XI d. C.), calcolate dal matematico persiano Omar al-Khayyāmi. Nella sua Algebra, pubblicata e tradotta da F. Woepke, Parigi 1851, p. 13, egli dice: "Gl'Indiani possiedono dei metodi per trovare i lati dei quadrati e dei cubi... Io ho insegnato a trovare i lati dei quadrato-quadrati, dei quadrato-cubi, dei cubo-cubi, e così via, ciò che non era stato fatto precedentemente." Questo passo lascia capire che a lui si debbono gli sviluppi delle potenze intere del binomio e il loro uso per le estrazioni di radici. Non conosciamo quale metodo egli adoperasse, ma è probabile che a lui si debba la scoperta e l'uso della tavola dei coefficienti binomiali, sotto forma di triangolo, la quale si può continuare con successive addizioni.
Difatti questa tavola si trova posteriormente tanto in Occidente quanto in Oriente. Il matematico cinese Chu Shih-chieh la pubblicò nel 1303, senza darla per sua. Egli probabilmente la prese dai matematici persiani od arabi che stavano alla corte di Qubilai. La tavola è facilmente intelligibile, ed indica la formazione dei successivi coefficienti per addizioni successive.
In uno scolio a un manoscritto greco del sec. XIII dei Data di Euclide (Scholia cod. Vat. gr. 1038, fol. 129-v, pubblicato da Heiberg in: Euclidis, Opera Omnia, VIII, Lipsia 1916, p. 290) è disegnato in una tavola il triangolo aritmetico con cifre greche. I coefficienti sono chiamati δυαδικαὶ συζυγίαι, τριαδικαὶ συζυγίαι, cioè combinazioni binarie, combinazioni ternarie, ecc. ed è accennata la regola della loro formazione con moltiplicazioni successive.
Il primo libro stampato in Europa in cui si trova la stessa tavola, assai simile a quella cinese, è un trattato di aritmetica di Petrus Apianus (Bienewitz), stampato nel 1527. La tavola appare nel frontespizio senza schiarimenti. Successivamente essa fu riprodotta nella Arithmetica integra di Stifel, pubblicata a Norimberga nel 1544; egli pure però non se ne dice autore, ma la espone come già nota. Egli non l'adopera che per l'estrazione delle radici.
Nel 1547 Lodovico Ferrari (III Cartello, pag. 25; V Cartello, pp. 47-57) afferma che l'invenzione dello Stifel era stata pubblicata assai concisamente e con molta oscurità, e quindi, nel risolvere varî quesiti postigli da Tartaglia, illustra e spiega con esempî i metodi di Stifel.
N. Tartaglia (1500-1557) nel suo Trattato di Aritmetica, Venezia 1556, tradotto in francese e pubblicato a Parigi nel 1578, e nel 1613, dà (II, parte II, f. 71, c. 21) la stessa tavola, con varie considerazioni sulle sue proprietà.
Nel 1557 Maurolico (1494-1575) scriveva, nella sua Arithmetica, (pubblicata in Venezia, 1575, lib. I, parte II, prop. 22) la regola dello sviluppo della quarta potenza di un binomio. Dopo aver calcolato i cinque termini che lo compongono m = b4, n = b3c, o = b2c2, p = bc3, q = c4, egli dice: aggregatum ex m q, ex quadruplo ipsorum n p, et ex ipsius o sextuplo, est secundus quadratus totius b c. Cioè in simboli moderni: b4+c4+4 (b3c+bc3)+6 b2c2 = (b+c)4.
Maurolico, fiero della sua scoperta, dopo l'enunciato aggiunge: haec est conclusio... in qua possumus nobis laudem totam vindicare quod necubi hactenus neque apud graecos neque apud latinos sit demonstrata.
R. Bombelli nella sua Algebra, Bologna 1572, p. 65, dà i coefficienti binomiali fino alla potenza settima e ne insegna l'uso per l'estrazione delle radici.
F. Vieta (1540-1603) nella sua opera postuma Ad logisticam speciosam notae priores, Parigi 1631, dà pure, nella prop. IV, gli sviluppi delle prime sei potenze del binomio.
I coefficienti binomiali si possono anche calcolare direttamente per mezzo di successive moltiplicazioni, senza bisogno di costruire prima il triangolo aritmetico. Questo importante risultato si trova già nei manoscritti inediti di T. Harriot (Boll. di Bibl. e Stor. delle Mat., Torino i902, p. 4). I risultati del Harriot sono stati pubblicati dal Briggs nella sua Trigonometria Britannica (1633, p. 20).
B. Pascal (1623-1662) nel suo Traité du triangle arithmétique, composto nel 1654 e pubblicato a Parigi nel 1665, raccoglie i risultati degli autori precedenti, che probabilmente conosceva quasi tutti, tanto lo Stifel (di cui adopera la parola cellula per indicare il posto occupato dai numeri del triangolo aritmetico), quanto Maurolico, ecc.
I coefficienti del binomio sono stati indicati con varî simboli Cm, n,
mn ,... e sono stati chiamati con varî nomi: unciae dagli algebristi (Oughtred, Harriot...) ovvero numeri figurati (Fermat, Pascal...). Questi coefficienti hanno grande importanza nell'analisi combinatoria e nel calcolo delle probabilità.
Lo sviluppo del binomio per esponenti negativi e frazionarî è stato scoperto dal Newton verso il 1666, mentre cercava di semplificare i risultati delle interpolazioni del Wallis nella Arithmetica Infinitorum (1655). Egli riuscì dapprima a calcolare lo sviluppo di
dove m è un intero positivo. L'osservazione che la stessa regola vale per
ossia (1 + x)-1 (Cavalieri, in Torricelli, Op. Geom., 1644) gli permise di intuire il teorema che, posto che m sia un numero razionale positivo o negativo, ed x 〈 1, allora:
questa notazione è moderna.
L'enunciato del Newton è il seguente (lettera del Newton al Leibniz del 13 giugno 1676):
ubi P + P Q significat quantitas cuius radix vel etiam dimensio quaevis, vel radix dimensionis investiganda est. P, primum terminum quantitatis eius, Q, reliquos terminos divisos per primum. Et
numeralem indicem dimensionis ipsius P + P Q; sive dimensio illa integra sit, sive (ut ita loquar) fracta, sive affirmativa, sive negativa... Denique, pro terminis inter operandum inventis, usurpo A, B, C, D, etc., nempe A pro primo termine
B pro secundo
A Q, et sic deinceps.
Per dimostrarla, il Newton probabilmente elevava ambo i numeri alla potenza n, denominatore dell'esponente frazionario che compare nel primo membro, essendosi persuaso che, con qualche cautela, le regole dell'aritmetica ordinaria sono valide anche per le serie infinite.
Eulero (Novi Comm. Petrop., t. 19, 1774, p. 109), dopo aver sviluppato con semplicità e chiarezza le dimostrazioni appena accennate del Newton, intuì che la formula valeva anche per valori irrazionali dell'esponente. Il Cauchy nella Analyse Algébrique (1821) perfezionò le dimostrazioni di Eulero. Ma il primo studio completo della validità dello sviluppo in serie di (1+x)m per tutti i valori di x e di m, è stato compiuto dall'Abel nel 1826 (Œuvres, Cristiania 1881, t. I, p. 223). Egli dimostrò che lo sviluppo vale, essendo x e m numeri reali, per x in valore assoluto minore di 1, per ogni valore di m; per x = 1, vale per m > − 1, e infine per x = − 1, vale per m > 0, e vale solamente in questi tre casi.
Bibl.: Per più complete notizie storiche si veda: U. Cassina, Storia del triangolo aritmetico, in Boll. di Matematica, 1923.