FANELLI, Lelio Maria
Mario Castellana
Nacque a Martina Franca (Taranto) nel 1793, da Angelo Martino e Cecilia Grazia Alò.
Appartenente a una famiglia agiata con diversi componenti che ebbero incarichi pubblici, come il nonno Ambrogio sindaco e appartenente alla fazione dei cosiddetti ‘ducalisti’, e il padre che grazie ai contatti con i liberali locali fu presidente della Municipalità durante la breve esperienza repubblicana di Martina Franca del 1799 da essere schedato come ‘reo di Stato’ insieme ad altri familiari, rimase orfano a undici anni del padre e a sedici della madre; e come tutti i figli delle classi agiate frequentò le uniche scuole esistenti, quelle private, in una città che allora contava circa ventimila abitanti, e gestite dal clero caratterizzato dalla presenza di molti validi latinisti, come Don Nunzio Carrieri che gli permise di acquisire una buona conoscenza del latino. Ma le stesse famiglie, molte delle quali dedite al commercio e all’imprenditoria, si adoperarono per permettere ai loro figli di avere anche una formazione scientifica di base, ritenuta indispensabile grazie alle sollecitazioni provenienti dalla cultura illuministica dell’epoca, sino a far venire da Barletta, dove insegnava, il carmelitano martinese Luigi Basile; questa figura fu determinante per la formazione del giovanissimo Fanelli, assiduo frequentatore delle sue lezioni che si tenevano presso il convento del Carmine in quanto, insieme ai vari discepoli, mise in campo un articolato percorso di studi con diverse discipline scientifiche come le matematiche, la chimica, la fisica, la geografia insieme con la storia, la filosofia ed il diritto naturale. E con tale densa attività didattica si arrivò a ‘convertire il Carmine di Martina in un vero Ateneo’, come ebbe a dire Gaetano Giucci nello stendere il profilo biografico dello stesso Fanelli nel 1845 in occasione della sua nomina di Deputato della Società Economica di Terra del Lavoro per rappresentarla all’VII Congresso degli scienziati italiani, che si tenne a Napoli nello stesso anno e che vide la partecipazione di molti studiosi in scienze naturali provenienti dai diversi Regni. Questa solida formazione di base, corredata anche dal primo apprendimento della lingua francese e dovuta al fatto che venne a formarsi durante il breve regno murattiano, gli permise di seguire a diciotto anni nella sua città lo studio del diritto sotto la guida del giureconsulto Antonio Caroli che gli fornì gli strumenti più idonei per inoltrarsi in tale campo coltivato in seguito.
A ventuno anni nel 1814 si trasferì a Napoli dove portò a termine gli studi giuridici col continuare a coltivare nello stesso tempo gli interessi verso le scienze esatte e naturali frequentando assiduamente società e accademie; venne in tal modo in contatto con diversi studiosi che operavano nella capitale del Regno che gli permisero di approfondire e ampliare le conoscenze scientifiche, quelle astronomiche in particolar modo, in quel periodo dominate dai successi della meccanica celeste di Laplace, le cui opere diventarono punto di riferimento per il giovane Fanelli che ne tradusse una con l’idea di tradurne altre. Come dirà in seguito in diversi scritti, il suo obiettivo fu quello sin dall’inizio di “farne tesoro per i propri lumi” a partire dagli studi giuridici per estenderle ad altri campi, come quello politico ed educativo in primis. In tali campi si riteneva necessario mettere in atto dei processi per “rigenerare la patria” la cui “aurora” fu vista già operante sotto il regno di Carlo III con l’auspicio che fossero portati a termine dai nuovi “illuminati regnanti’ come Ferdinando I, esigenza ben espressa nel Programma che precede il Digesto delle Due Sicilie, iniziata negli anni ‘20. Fu non meno decisivo per la sua formazione il biennio tra il 1818 ed il 1919 trascorso a Roma, dove frequentò l’Archiginnasio della Sapienza oltre ad essere nominato membro dell’Accademia degli Arcadi; in questo primo periodo napoletano e romano ebbe così modo di irrobustire il proprio bagaglio culturale col fare sue, grazie agli stretti rapporti con varie figure, molte delle idee circolanti nel panorama del pensiero filosofico-scientifico e politico del tempo, oltre a perfezionare la conoscenza della lingua francese. Per poter avere un confronto diretto con alcuni dei protagonisti dell’epoca in tali campi, voleva recarsi a Parigi e ad altre capitali europee; ma non gli fu possibile in quanto non poteva disporre dei pur cospicui e ricchi beni di famiglia che per varie vicende erano in mano ad altri parenti.
Tornato a Napoli sul finire del 1819, per quasi solo un anno esercitò la professione di avvocato, attività che gli permise di recarsi in Sicilia per un contenzioso e al ritorno, in seguito ad una malattia che lo tenne per alcuni mesi chiuso in casa, iniziò a concepire le linee portanti dell’enciclopedico lavoro Digesto delle Due Sicilie, articolato in quattro volumi poi apparsi tra il 1830 ed il 1850, dove emerge la sua poliedrica figura di storico, giureconsulto, di economista, molto attento già ai problemi sociali e educativi, alla geografia del territorio e alle componenti umane, frutto della piena metabolizzazione delle idee dei Lumi sulla scia dei precedenti lavori di Antonio Genovesi e di altri più noti protagonisti del pensiero napoletano. Lasciata la professione di avvocato, si impegnò in un primo lavoro di natura storica sulla figura di Gioacchino Murat nel 1821 con l’idea di fondo che molti progetti avviati da questa figura, come quelli rivolti a riformare l’apparato amministrativo e giudiziario del Regno, potevano essere utili da portare a termine; a tal fine indirizzò gli sforzi già nelle prime fasi della sua attività e in linea con le speranze di rinnovamento avanzate dai re borbonici negli anni ’20 con la promessa della stessa Costituzione, idee che rimarranno costanti nel suo percorso, grosso modo venute a maturazione all’interno di una cornice tardo-illuministica, e caratterizzate in particolar modo dalla loro estensione in diversi campi anche eterogenei tra di loro, com’era nello spirito del tempo.
I primi lavori avevano come obiettivo la stesura di nuove norme nel campo del diritto civile col portare a termine nel 1829 il Corpo di diritto positivo e pratico; a tal fine era rivolto l’intenso e collaterale lavoro di traduzione sia dal latino come l’opera di J. G. Heineccius, Gli elementi del Diritto Civile secondo l’ordine delle Istituzioni di Giustiniano che dal francese di diversi trattati di G. B. Perrin, di G. Grenier e di altri sulla teoria del codice civile, sulle nullità in materia civile, sull’effetto retroattivo delle leggi, sui privilegi e ipoteche; queste opere risentivano dell’effetto apportato nel periodo napoleonico dai cambiamenti apportati nell’ordinamento dello Stato d’oltralpe, a cui avevano dato il loro decisivo contributo i cosiddetti idéologues come ad esempio A.L. C. Destutt de Tracy, la cui opera Elementi di ideologia già circolava in traduzione italiana negli anni della formazione del giovane Fanelli che venne, pertanto, ad abbeverarsi a tali fonti. Tali sollecitazioni sono sempre combinate con l’idea della necessità di riformare le strutture portanti dello Stato, dopo l’abolizione delle leggi feudali, per far fronte alle diverse esigenze e dare adeguata voce ai nuovi attori sociali ed economici in campo, come viene ben chiarito nel Programma che precede il Digesto delle due Sicilie; quest’opera, attraverso l’organica rielaborazione delle leggi del Regno, ne tracciano un non comune panorama storico e finalizzato a far prendere coscienza dei problemi esistenti per gettare le basi di una politica lungimirante più attenta ai nuovi bisogni emergenti in campo sociale e alle esigenze specifiche dei singoli territori. Tale approccio sarà il filo conduttore poi ben presente nei tre volumi del Manuale di geografia del Regno di Sardegna anche “per avere coscienza della grande famiglia umana”, come viene affermato nella prefazione, lavoro portato a termine negli anni ’50 quando Fanelli si stava rendendo conto, anche grazie all’attivismo politico nelle file mazziniane del più noto e figlio Giuseppe, della possibile nascita del nuovo Stato.
Venute meno quelle speranze di rinnovamento sul finire degli anni ’20, concentrò la sua attività in campo scolastico, ritenuto strategico per le sorti di uno Stato, col diventare direttore generale dei collegi e delle scuole del Regio Albergo dei Poveri; nello stesso tempo si impegnò molto nel mondo della beneficenza nella realtà napoletana e soprattutto nell’ambito dell’editoria scolastica per fornire agli studenti di ogni grado gli strumenti di base per avviarli allo studio delle varie discipline dalla storia alla letteratura con privilegiare quelle scientifiche come l’astronomia e la geografia, oltre a curare nel 1845 la terza edizione con varie aggiunte del volume Fatti principali narrati della storia universale di G. G. Bredow dove si insiste sul metodo di come insegnare i saperi storici, sulla loro divisione e utilità. Tale intensa attività, accompagnata anch’essa dalla traduzione dal francese di opere pedagogiche come il Trattato sull’educazione di J.-B. Blanchard e di altre come I precetti d’Igiene privata di I. Bourdon ma sempre finalizzate al miglioramento delle condizioni di vita degli studenti, si tradusse poi in una cornice teorica delineata nella memoria Asili infantili. Scopo, necessità di questa grande istituzione del 1860, dove si ribadiva l’importanza di avere in ogni paese del Regno quella che Fanelli chiamava già pionieristicamente in questo scritto ‘scuola dell’infanzia’ con annessa scuola primaria con i relativi programmi e modalità di svolgimento; sulla scia di tale idea fu elaborato il Progetto di Regolamento per le scuole maschili del Grande Albergo de’ poveri, poi non realizzato per varie ragioni di carattere interno e sia per le note vicende politiche. Connessa a tale costante impegno didattico fu l’attenzione rivolta al ruolo delle biblioteche che riteneva necessarie in ogni famiglia e in ogni paese col diventare proprietario nel 1859 del giornale napoletano L’Epoca; non a caso sin dall’inizio tale giornale fu indirizzato ad essere uno strumento per “l’istruzione degli uomini di qualunque stato e a formare con il tempo la biblioteca di ogni famiglia”. Diventato consigliere provinciale di Napoli dopo l’Unità, ebbe nel 1864 l’incarico di Presidente della Commissione provinciale delle biblioteche, impegno che culminò nello scritto del 1865 Fondazione di biblioteche comunali nella provincia di Napoli, sempre con l’obiettivo dell’”innalzamento morale e intellettuale del popolo”.
Contestualmente a tale impegno e sempre sorretto dall’idea che ‘i lumi’ dovessero essere da guida per aprire nuovi sentieri in altri campi per renderli al servizio del paese e della sua prosperità, è l’attività, a partire dal 1840, di socio nella Società Economica di Terra del Lavoro; tale Società fu creata nel 1810 nel decennio murattiano per ammodernare soprattutto il comparto agricolo e poi, tra alterne vicende, rifinanziata dai governi borbonici per essere anche di supporto al nascente apparato industriale negli anni ’50 che si concluse, com’è noto, con la costruzione a Pietrasarsa del primo nucleo industriale italiano. A tale Società, Fanelli diede un consistente contributo sia col partecipare alla pubblicazione dei fascicoli della rivista La Campania Industriale, rivista nata nel 1840, e sia allo sviluppo della relativa biblioteca avvenuta nel 1844 da ‘essere proposta a modello per le altre Società economiche meridionali’. E in tale veste, pur socio in veste di giureconsulto come molti altri del resto, indirizzò gli studi verso il mondo agricolo, convinto della necessità di una sua profonda trasformazione in senso industriale, come stava avvenendo nei vari paesi europei, per essere in grado di raggiungere per alcuni prodotti di prima necessità per il popolo, come il grano ed il latte, l’autosufficienza, ritenuta strategica per la stabilità economica e politica di uno Stato moderno; l’intenso e non secondario lavoro in tale attività di ricerca di nuove modalità di produzione e di sperimentazione dei prodotti lo portò a rappresentare la Società nella Sezione di Agronomia e Tecnologia all’VII Congresso degli scienziati italiani che si tenne a Napoli tra settembre e ottobre del 1845, come risulta dagli atti e dalla relativa adunanza del 5 ottobre, il cui presidente, il conte Freschi, a nome dei componenti invocò la necessità dell’’unità scientifica italiana’, esigenza largamente condivisa dai partecipanti alle diverse sezioni.
In tale Congresso, prima avversato dal sovrano e poi accettato grazie alla mediazione di Carlo Luciano Bonaparte, Fanelli lesse una comunicazione col darne ai presenti copia dal significativo titolo Primi rudimenti dell’umano sapere; in essa viene ben espressa, grazie alla sua lunga esperienza didattica, quella strategia sempre rivolta da una parte a dissipare “i pregiudizi’ sulle conoscenze scientifiche e dall’altra a fornire in modo chiaro a chi non ha una ”profonda istruzione”, pur avendone le capacità, dei “semi che potrebbero fruttificare molto in ingegni potenti”. Si recepiscono in tale breve scritto non a caso alcune idee di impronta positivistica che stavano venendo a maturazione in quel periodo, nel presentarlo come “un manuale dei manuali, un catechismo dei catechismi” per essere da guida nella conoscenza e nella sperimentazione dei prodotti agricoli sempre con la convinzione che il destino di una comunità si gioca in base alle scelte che ivi si operano e col “concorso di poche costanti volontà’ come stava avvenendo nella sua città di origine presa ad esempio come Martina Franca, dove all’epoca erano già in atto diverse attività commerciali e imprenditoriali; ma Fanelli era dell’avviso che tali attività da sole non potevano reggere se non si gettavano le basi di un vero e proprio programma di politica scientifica da mettere in atto in modo diffuso nelle varie parti del Regno. Mentre in Francia si mettevano in piedi dei politecnici a livello nazionale riservati alle élites dirigenziali, si auspicava per il Regno di Napoli avviare dei processi incentrati sulla cultura scientifica di base per permettere alle classi meno agiate di accedervi con delle proposte miranti a istituire “un istituto agrario, una scuola di veterinaria ed una sezione di economia civile”, oltre a fare pozzi artesiani per la siccità” là dove c’era bisogno come nelle Puglie, cose che avverranno com’è noto molto più tardi.
Tali esiti di vera e propria filosofia civile che caratterizzano il percorso messo in atto da Fanelli si possono comprendere meglio se si tiene presente il fatto che sin da giovane si è nutrito in modo costante dei risultati scientifici del suo tempo e in particolar modo delle idee di Pierre Simone de Laplace, lo scienziato più noto all’epoca, sino a tradurne nel 1820 Saggio filosofico sulla probabilità con l’idea di voler tradurre un’altra opera, lavoro poi non fatto, come si afferma nella prefazione; e tale lavoro di traduzione di diversi scritti di altri autori è continuato per diverso tempo, da essere, pertanto, un non secondario capitolo del suo percorso concretizzatosi nella traduzione delle opere di Dominique Rivard come Il Trattato del Calendario e Il Trattato della sfera, sempre con l’obiettivo di fidarsi della scienza anche nelle cose più tipicamente umane, di “usare il buon senso nelle cose umane guidati dalle sue acquisizioni” per non essere in balia del “puro caso o di entità di cui non si sa niente”, come spesso si afferma. Diventa necessario, per capire i nuclei del suo pensiero, dare uno sguardo alle prefazioni dei lavori di traduzione in quanto si rivelano molto istruttive dove spesso si presenta come “l’amico dell’Umanità e del progresso”; e se viene scelta in età giovanile e non a caso l’opera di Laplace sulla probabilità, è perché tale teoria, di cui si auspica che “il Parlamento possa istituire una cattedra, ci dà dei giochi una più interessante cognizione e dovrebbe entrare nel sistema della pubblica amministrazione”. Si ritiene che essa “è il buon senso ridotto a calcolo: fa valutare con esattezza ciò che gli spiriti giusti sentono per una specie d’istinto”, ci fornisce un dono razionale quali sono “i metodi analitici, logica fina, la verità dei principi per gli stabilimenti di pubblica utilità, da applicare alla filosofia naturale e alle scienze morali; e anche nelle cose che non possono essere assoggettate al calcolo offre le vedute le più sicure per guidarci nei nostri giudizi (in campo giuridico ad es.), ci evita le illusioni che ci portano agli errori. Queste sono le ragioni che mi hanno determinato a presentare e a tradurre quest’opera”.
Alla luce di queste strategiche indicazioni acquista più senso la stessa molteplicità di interessi che hanno interessato il percorso di Fanelli che agli occhi odierni può sembrare una figura dedita per lo più alla divulgazione scientifica; ma se inserito nel contesto e nello spirito dell’epoca, da una parte è stato in grado di cogliere la portata epistemologica dei contenuti veritativi impliciti nelle scienze del suo tempo e, soprattutto, di trasportarli in altri settori come nell’ambito degli studi giuridici per poi approdare alla nascente scienza agronomica che non aveva solidi fondamenti e di cui avvertiva la necessità per potersi costituire come tale. Questo è stato il suo modo di essere ‘scienziato’ col capire, per usare dei suoi termini, che un ‘seme’ fiorito proficuamente in un campo, come nella meccanica, può ‘fecondare’ in altri campi e permettere la nascita e lo sviluppo di ulteriori teorie con allargare il raggio delle nostre conoscenze; e questo suo vero e proprio lascito epistemologico che ha saputo individuare come frutto dell’interazione tra discipline, si può meglio apprezzarlo alla luce del fatto che è venuto a maturazione nel corso del ‘900 in quel vasto capitolo della filosofia della scienza, settore specifico di indagine nato per cogliere le diverse dimensioni storico-teoretiche della prassi scientifica. Dall’altra parte, con una sensibilità ante litteram contemporanea, nella filosofia civile messa in cantiere Lelio M. Fanelli ha ben compreso il ruolo della scienza nell’educazione non solo dei giovani ma dell’intero paese con la necessità di investire in primis sul capitale umano e di fornire gli strumenti per una vera e propria società della conoscenza, obiettivo del più genuino e sano pensiero illuminista, perseguito in modo coerente e senza cedimenti, sino alla morte avvenuta a Napoli molto presumibilmente nel 1870.
Opere: non esiste una bibliografia critica dei molteplici lavori di Fanelli che spaziano in vari campi, spesso interconnessi tra di loro, da rendere non congruo col suo pensiero il tentativo di catalogarli in settori codificati. Pertanto ci limitiamo a fornire un elenco non completo in ordine cronologico delle opere, molte delle quali hanno avuto più edizioni nel corso del primo Ottocento, col tralasciare le brevi prefazioni ai diversi libri tradotti: Vita di Gioacchino Murat, re di Napoli aumentata da notizie, Napoli, Dai Torchi di Luca Marotta, 1821; Lezioni cosmo-geografiche per servire d’introduzione alla geografia descrittiva, Napoli 1823 (cinque edizioni sino al 1842); Corpo di diritto positivo ovvero Legislazione e giurisprudenza per lo Regno delle Due Sicilie, voll. I-VI, Napoli 1829-1842; Nuovo compendio di geografia fisica, storica e commerciale, Napoli, Rondinella, 1838 (1858); Primi rudimenti dell’umano sapere, Napoli, Stamperia del Fibreno 1845, seguito da Rudimenti di grammatica italiana, 1850 (?); Lezioni di morale sociale, Napoli, Rondinella, 1947; Manuale di geografia del Regno di Sardegna, Napoli, Rondinella 1853; Secondo fior di memoria, ovvero antologia di prose italiane per la puerizia, Napoli, Stamperia del Fibreno, 1854; Lezioni di storia sacra, Napoli, Rondinella, 1856; Degli asili infantili, Scopo, necessità ed importanza di questa grande istituzione sociale, Napoli, Stamperia del Fibreno, 1860; Fondazione di biblioteche comunali nella provincia di Napoli, Napoli 1865. Rimasto incompiuto un Dizionario di lingua italiana.
Fonti e Bibl.: AS, Napoli, Pubblica Istruzione Fondo Real Albergo dei poveri. C. Giucci, Degli scienziati italiani formanti parte del VII Congresso degli Scienziati in Napoli nell’autunno del 1845. Note biografiche, Napoli, Stamperia del Fibreno, 1848, pp. 386-390 e Lelio M. Fanelli in “L’Amico delle scuole popolari”, 1866, p. 282; A. D’Ambra, “Il partito liberale napoletano, in “HistoriaRegni”, 9 dicembre 2018; A. Marra, La società economica di Terra di Lavoro. Le condizioni economiche e sociali dell’Ottocento borbonico. La conversione unitaria, Milano, F. Angeli Ed., 2006, pp. 194-195 e Uomini e istituzioni. Giovanni Sannicola e Lelio Maria Fanelli. ‘Il potere dell’istruzione’, in “Archivio storico per le province napoletane”, 2007, n. 125, pp. 465-477; G. Oldrini, La cultura filosofica napoletana dell’Ottocento, Roma-Bari, Laterza, 1975, pp. 44 e 146-147; W. Palmieri, I Soci della Società Economica di Terra di Lavoro (1810-1860), in “Quaderno del CNR”, n. 142, 2009, pp. 2-35; A. Scirocco, Stampa periodica e istruzione in Terra di Lavoro, in Caserta e la sua Diocesi in età moderna e contemporanea, Napoli, Esi, 1995, pp. 27-45; G. Semeraro, Rei di Stato di Martina nella rivoluzione del 1799, in “Umanesimo della Pietra”, n. 25, dicembre 2019, pp. 179-181; R. Tumino, Fanelli Lelio Martina, http://dbe.editricebibliografica.it/cgi-bin/dbe/Scheda?884; Personaggi di Martina Franca, Fanelli Avv. Lelio Maria, https://sites.google.com/site/personaggidimartinafranca/fanelli-avv-lelio-maria