Paternò, famiglia (secc. XIV-XV). Antica e illustre famiglia feudale siciliana di origini incerte. Secondo una tradizione non verificabile, diffusa da G. Delaville Le Roulx (Cartulaire général de l'Ordre des Hospitaliers de Saint Jean de Jerusalem, Paris 1897) e poi ripresa anche nella storia genealogica di F. Paternò di Castello, i Paternò giunsero in Sicilia durante la conquista del conte Ruggero, al seguito del cavaliere provenzale Roberto di Embrun, appartenente al ramo dei conti di Barcellona che nel 1070 ottenne la signoria di Paternò e Buccheri prendendone il nome. A Roberto successe il nipote, Roberto II Paternò e a questi il figlio, Costantino II, conte di Buccheri e Martana, marito della pronipote di Ruggero d’Altavilla, Matilde dell’Aquila, Drengot e Altavilla contessa di Avenel. Alcuni eruditi del XVIII secolo (A.M. Lupus, Dissertatio Chronologica, paleographica, Ecclesiastica, Panormi 1734; G.L. Castellus, Siciliae et objacentium insularum veterum inscriptionum, Panormi 1784) hanno sostenuto la discendenza da una gens Paterna stanziatasi in Sicilia nel 233, la cui esistenza sull’isola è confermata da numerose lapidi ed iscrizioni d’epoca romana, riscoperte a partire dalla metà del XVIII secolo. La teoria più accreditata rimane comunque quella che lega le sorti della casata alla famiglia reale d’Aragona quando, verso la metà del XIV secolo, un Giovanni figlio di Pietro d’Aragona e signore di Paternoy giunse in Sicilia (V. Amico, Catana illustrata, Catania 1741-46; G.B. Di Crollalanza, Dizionario storico-blasonico, Pisa 1886; A. Mango di Casalgerardo, Nobiliario di Sicilia, Palermo 1912). Il legame dei Paternò con la Corona d’Aragona sarebbe testimoniato dallo stemma della casata, identico a quello della famiglia Aragona Maiorca, linea cadetta oggi estinta e simile a quello dei Conti di Barcellona e di Aragona, con l’aggiunta di una cotissa d’azzurro per segnalarne la derivazione in linea secondogenita.
In ogni caso, già ai tempi di Re Ruggero i Paternò compaiono in documenti pubblici, sempre col grado di nobili o cavalieri del Cingolo Militare. Il documento più antico relativo alla famiglia, una bolla di papa Gregorio VII del 1083, menziona Gualterio Paternò in qualità di arcivescovo di Palermo. In sette documenti successivi, dal 1106 al 1197, vengono citati i discendenti del capostipite della casa. In epoca aragonese i documenti si moltiplicano e si trovano membri della famiglia nell'entourage del governo e della corte di Federico III e Ludovico, anche grazie ad una politica di alleanze e matrimoni con le maggiori famiglie nobili siciliane.
Stabilitasi definitivamente a Catania a partire dal XV secolo, la famiglia si divise in sei rami: i principi di Biscari, baroni d’Imbaccari e Mirabella, di S. Filippo di Ragusa, Regalsciacca, Spinagallo, Baldi, Cubba, Ragona e Sparagona, Bidami ed Aliminusa; i duchi di Carcaci e baroni di Bicocca; i marchesi di S. Giuliano; i marchesi di Raddusa; i principi de Manganelli e duchi de Palazzo; i marchesi del Toscano. Nel complesso, alla casata vanno ascritti i possedimenti di principati (Biscari, Sperlinga), ducee (Carcaci, Furnari, Palazzo, Paternò), marchesati (Capizzi, San Giuliano, Manchi, Sessa, Toscano), baronie (S. Alessi, Aragona, Cuba e Sparacogna, Alzacuda, Baglia) e dogane (Milazzo, Baldi, Belmonte, Bicocca, Bidani, Biscari, Burgio, Capizzi, Castania, Cuchara, Cugno, Donnafugata, Gallitano, Gatta, Graneri, Intorrella, Imbaccari e Mirabella, Manchi di Bilici, Manganelli di Catania, Marianopoli, Mirabella, Motta Camastra, Murgo).
Capostipite di tutti e sei i rami fu probabilmente Giovanni Paternò il Vecchio (ca. 1345-1400), figlio di Michele, nato qualche anno prima del 1347 quando rimase, ancora fanciullo, orfano. Unico superstite della famiglia, visse a Catania negli ultimi anni del regno di Federico III e sotto re Martino il Giovane presso il quale ebbe grande influenza, ricostituendo l’antico patrimonio e la prolifica stirpe della casata. Asceso rapidamente a grande autorità, entrò stabilmente nel governo civile di Catania, in un’epoca in cui a livello dell’amministrazione locale, le cariche preminenti venivano sempre più ed in modo specifico riservate ad esponenti dell’ordine militare, feudatari e cavalieri. Nel 1364 fu nominato Vicesecreto di Siracusa da Federico IV, carica che gli fu confermata nel 1375 e resa vitalizia nel 1393, con la facoltà di farsi sostituire nell’incarico pur mantenendone il provento annuo di 20 onze d’oro. Il 18 novembre 1377 il nobile Giovanni di Paternione, di Catania, sottoscrisse l’atto di compravendita del luogo chiamato Nessima, appartenente alla Camera Reginale, per 50 onze, in qualità di “magister secretus et generalis procurator” di Artale di Alagona.
Alla morte di Federico, schieratosi contro le fazioni baronali avverse alla regina Maria e al suo tutore Artale Alagona, Giovanni ottenne nel 1389 l’incarico di Giudice di Catania. Dopo il matrimonio di Maria con l’infante Martino, la sua lealtà alla Corona venne ricompensata con la conferma degli antichi privilegi. Dai due sovrani gli furono quindi commissionati una serie di incarichi, come si legge nell’ordine indirizzato al Vicesecreto di Noto per mettere a disposizione di Giovanni quelle somme che potessero servigli per il disbrigo di “aliquibus nostris negotiis arduis” (9 settembre 1392). Venti giorni dopo un altro ordine, stavolta diretto al Capitano di Mineo, gli attribuì il possesso della baronia della Nicchiara o Cuchara, non lontana da Lentini. Proprio a partire dal 1392 iniziò a comparire nei diplomi regi con il titolo di Milite e Consigliere.
Nel 1393, con lo scopo di essere impiegato per “aliis servitiis Nostrae Curiae”, i sovrani lo sollevarono dall’incarico di secreto di Siracusa – pur mantenendo la rendita annua – e contemporaneamente gli concessero l’investitura del feudo di Burgio con le sue saline, Maucino, Beliscari, Binvini e Trifiletta, con una rendita di 60 onze d’oro, sottoposto al servizio militare di un cavallo armato ogni 20 onze. Alla concessione del feudo si oppose Guglielmo Raimondo Moncada, che ne ottenne la cessione da Martino: il feudo fu quindi successivamente oggetto di un processo di rivendicazione di Gualterio, figlio di Giovanni, nel 1407. Per compensare la perdita di Burgio, nel 1393 Giovanni ricevette in concessione dai sovrani beni per cento onze d’oro da prelevarsi sul terzo spettante al re sui beni burgensatici confiscati a Tommaso de Massaro, partigiano del ribelle Artale Alagona, nonché un cortile con due case site nei pressi del palazzo dei Paternò nel Foro Lunare e che furono successivamente trasformate “cum sumpto et labore dicti Iohannis pro ornamento Domus suae, ac Civitatis Nostraequae delectationis non modicae”.
Nel 1395 Giovanni ebbe l’incarico regio di recarsi a Siracusa e Noto a presiedere l’elezione degli ufficiali pubblici. Nello stesso anno si dimise dall’ufficio di Vicesecreto di Siracusa, ormai sostituito dalla carica di Secreto e Maestro Procuratore del Fisco indipendenti dal Maestro Secreto del Regno. Nel 1397 fu nominato Maestro Razionale della Magna Regia Curia: la carica gli venne confermata a vita nel 1399; l’anno successivo, gli venne anche affidato l’incarico di sovrintendere i restauri dell’abbazia di Nuova Luce presso Catania. Il 1 luglio 1398 ottenne infine la baronia di Murgo e del caricatore di Agnone: nello stesso anno fu nominato Vicario Generale del Regno.
Dei cinque figli di Giovanni con Sibilla Spatafora, tre ebbero ruoli di particolare rilevanza: Niccolò, secreto e maestro procuratore di Catania nel 1397 e 1409; Benedetto, senatore di Catania dal 1413 al 1427 e ambasciatore presso papa Bonifacio IX; ma soprattutto Gualtiero Paternò, frequentemente citato dalla letteratura feudistica più antica, autore di un consilium in calce ad una decisione del vicario generale del Tribunale Episcopale di Catania nel 1425. Addottoratosi a Padova intorno al 1400, anche grazie ad un sussidio di sei onze annue concessogli dal re Martino per gli studi nel 1397, fu nominato giudice della Gran Corte nel 1405, 1409, 1416; nel 1415 diventò Giudice della Corte Patriziale di Catania; nel 1420 Governatore della Camera Reginale di Siracusa; dal 1422 Protonotaro del Regno a vita. Consigliere regio e ambasciatore presso papa Martino V, fu legatissimo agli ambienti di corte, ricevendone favori e titoli (principe di Biscari, barone d’Imbaccari, Burgio, dei porti e delle marine di Val di Noto, del portolano di Agrigento, dei supplementi di Mazara, Trapani, Sciacca).
Molti del resto furono i Paternò giuristi e giurisperiti attivi a Catania, secondo un sistema monopolistico che vide gli stessi individui ricoprire, a rotazione, numerose cariche: giudici della curia patriziale, della corte capitaniale o delle prime appellazioni, iudices della curia vescovile, assessori degli appelli della curia, membri del collegio dei giuristi dello Studio ma soprattutto,
giudici della Gran Corte. I prestigiosi incarichi di governo furono acquisiti dalla famiglia anche in virtù dei numerosi privilegi reali di autonomia in favore di Catania e soprattutto dell’istituzione, nel 1432, della mastra nobile: un elenco di abilitati a concorrere all’assunzione delle cariche amministrative provenienti dalle famiglie di antica cittadinanza e di acclarato prestigio, nella quale i Paternò furono iscritti come la famiglia più antica.
La continuità nella gestione degli uffici fu certamente una carta vincente per la famiglia Paternò.
Come membri della mastra, insediati nel cuore del meccanismo istituzionale cittadino e dunque in grado di controllare tutti gli aspetti della vita urbana e di chiudere gli spazi di mobilità politica ad ogni diversa soluzione che non fosse quella della cooptazione limitata e concordata, ottennero infatti, nel corso del XVI secolo, ben 20 designazioni a patrizio e 103 a giurato, mantenendo costantemente – dai primi anni del Quattrocento alla fine del Cinquecento – posizioni di primo piano.
Nelle gerarchie ecclesiastiche va infine annoverato Giovanni (1429-1511), arcivescovo di Palermo, cardinale per nomina di Giulio II e tre volte Presidente del Regno (1507, 1510, 1512), che compì una brillante e veloce carriera ecclesiastica: Priore, poi Arcidiacono della Cattedrale di Catania, infine Abate di S. Maria di Nuova Luce prima e di S. Martino delle Scale poi, venne eletto nel 1478 Vescovo di Malta da Ferdinando il Cattolico e, dopo 12 anni, ottenne l’arcivescovato palermitano. Giovanni ebbe un’enorme influenza sulle vicende politiche e religiose del Regno, ma fu anche un mecenate e protettore di numerosi artisti.
La storia della maggior parte delle famiglie della nobiltà siciliana del XIV e XV secolo è ancora quasi tutta da farsi. Per i Paternò, utili informazioni si ricavano dalle storie genealogiche ed in particolar modo dalla Genealogia Domus Paternonum scritta nel 1525 dal senatore Alvaro Paternò (Archivio di Stato di Catania, Atti del Notaio Principio Pappalardo di Catania, 9 gennaio 1676), cfr. F. Paternò Castello, L’inventario e il testamento di Alvaro Paternò, in Archivio Storico per la Sicilia Orientale, 26 (1930), pp. 67-144. Per l’ampiezza e l’autorevolezza della documentazione allegata v. anche S. Paternò e Colonna, Storiografia della Casa Paternò, Catania 1642. Informazioni biografiche sulla famiglia, seppure poco attendibili, si trovano anche in F. Mugnos, Teatro genealogico delle famiglie nobili, titolate, feudatarie ed antiche del fedelissimo regno di Sicilia viventi ed estinte, Palermo 1647, s.v. Paternò, p. 27; Id. Teatro della nobiltà del Mondo, Napoli 1680, s.v. Paternò, p. 297. La genealogia più completa sulla famiglia resta quella di F. Paternò di Castello, I Paternò di Sicilia, Catania 1936.
Sulla casata dei Paternò v.: B. Muscia, Sicilia Nobilis sive Nomina et Cognomina Comitum, Baronum, et Feudatariorum Regni Siciliae Anno 1296 sub Friderico II vulgo III et anno 1408 sub Martino II Siciliae Regibus, Roma 1692; V. Amico, Catana illustrata, sive sacra et civilis urbis Catanae historia, 2 voll., Catania 1741-46 (rist. an. Catania 1990); G.B. Di Crollalanza, Dizionario storico-blasonico delle famiglie nobili e notabili italiane estinte e fiorenti, 2 voll., Pisa 1886 (rist. an. Bologna 1981), II, p. 295; A. Mango di Casalgerardo, Sui titoli di barone e di signore in Sicilia. Ricerche storico-giuridiche, Palermo 1904; Id. Nobiliario di Sicilia. Notizie e stemmi relativi alle famiglie nobili siciliane, 2 voll. Palermo 1912; V. Spreti, Enciclopedia storico-nobiliare italiana, V [P-R], Bologna 1932.
Per la genesi e l’evoluzione della nobiltà civica catanese, nella quale si inserisce a pieno titolo la storia della famiglia Paternò v.: M. Gaudioso, Genesi e aspetti della ‘Nobiltà Civica’ in Catania nel secolo XV, in Bollettino Storico Catanese, 6 (1941), pp. 34-38; V. D’Alessandro, Politica e società nella Sicilia Aragonese, Palermo, U. Manfredi Editore 1963; D. Ligresti, Patriziati urbani di Sicilia: Catania nel Quattrocento, in Il governo della città. Patriziati e politica nella Sicilia moderna, Catania 1990, pp. 17-70; P. Corrao, Governare un regno. Potere, società e istituzioni in Sicilia fra Trecento e Quattrocento, Napoli 1991, in part. le pp. 250, 417; E.I. Mineo, Famiglie e identità aristocratiche in Sicilia nel tardo medioevo, Catania 2000; Id., Nobiltà di Stato: famiglie e identità aristocratiche del tardo Medioevo : la Sicilia, Roma 2011.
Sul ruolo dei Paternò all’interno della mastra nobile di Catania e sugli uffici ricoperti nell’amministrazione locale v.: Biblioteca Regionale di Catania, Notamento degll’officiali di questa clarissima città di Catania, 3 V 42.
Per indicazioni sui feudi e i pubblici uffici ricoperti da vari esponenti della famiglia nei secc. XIV-XV v.: I capibrevi di Giovanni Luca Barberi, 3 voll. a cura di G. Silvestri, Palermo 1879-1888 (rist. an.: Palermo 1985); San Martino De Spuches, La storia dei feudi e dei titoli nobiliari di Sicilia, Palermo 1924, I, q. 39, p. 138; V q. 585. Allegato A, p. 57, VI, q. 759, p. 107.
Fonte essenziale per la storia dei Paternò e del loro patrimonio è l’archivio di famiglia, conservato presso l’Archivio di Stato di Catania, Fondo Paternò di Raddusa di Catania (1345-1870), cfr. G.I. Cassandro, Le pergamente dell’archivio Paternò-Raddusa, in Notizie degli Archivi di Stato, 2 (1942), pp. 229-232; M. Gaudioso, Archivio Paternò di Raddusa, ibid., pp. 41-42. Molte notizie sono ricavabili dai registri della Real Cancelleria del Regno di Sicilia, conservati nell'Archivio di Stato di Palermo e contenenti la documentazione regia, cfr. in particolare Archivio di Stato di Palermo, Real Cancelleria (1392, f. 91; 1395, f. 46; 1395-96, f. 81; 1396, f. 45; 1397-98, f. 41; 1396-99, f. 44; 1397, ff. 44 e 66; 1401, f. 10; Abbatiarum Regni. Abbatia S. Mariae de Nova Luca, f. 143). I Paternò compaiono anche nei documenti del monastero di San Benedetto di Catania, per il quale v. M.L. Gangemi, San Benedetto di Catania. Il monastero e la città nel Medioevo, Messina 1994.
Su Roberto di Embrun e i conti di Barcellona v. G. Delaville Le Roulx, Cartulaire général de l'Ordre des Hospitaliers de Saint Jean de Jerusalem, Paris 1897, t. II, docc. 1347, 1441, 2069, 2155.
Sulla gens Paterna e le epigrafi ad essa collegabili: A.M. Lupus, Dissertatio Chronologica, paleographica, Ecclesiastica in Veteri Graeca Inscriptione, Minio Conscripta Severae Martyris Epitaphium Referenti, Panormi 1734; D. Sestini, Lettere scritte dalla Sicilia (Firenze 1779-84), Firenze 1776; G.L. Castellus, Siciliae et objacentium insularum veterum inscriptionum nova collectio prolegomenis et notis illustrata, et iterum cum emendationibus, et auctariis evulgata, Panormi 1784.
Su Giovanni Paternò il Seniore si vedano: Biblioteca Comunale di Siracusa, Liber Privilegiorum et diplomatum nobilis et fidelissimae Syracusarum urbis, I, ff. 171v-174r; Il cartulario della famiglia Alagona di Sicilia. Documenti 1337-1386, a cura di A. Giuffrida, Palermo 1978, p. 89; P. Corrao, Governare un regno cit., pp. 532, 536, 543, 558; G.M. Agnello, Ufficiali e gentiluomini al servizio della Corona. Il governo di Siracusa dal Vespro all’abolizione della Camera Reginale, Siracusa 2005, pp. 127, 188; A. Marrone, Repertorio della feudalità siciliana (1282-1390), Palermo 2006, p.327.
Su Gualtiero Paternò, nonostante la letteratura più antica sia confusa, lacunosa e viziata da errori v. A. Gloria, Monumenti della università di Padova, Padova 1886, I, p. 562; II, p. 368; F. Marletta, I siciliani nello studio di Padova nel Quattrocento, in Archivio Storico Siciliano, 2-3 (1936-1937), pp. 155-156. Informazioni su Gualtiero e più in generale, sul tema dei giuristi e del personale di governo nel Regnum in età aragonese: A. Romano, Giuristi siciliani dell’Età aragonese. Berardo Medico, Guglielmo Perno, Gualtieri Paternò, Pietro Pitrolo, Milano 1979, pp. 152-160; A. Romano, “Legum doctores” e cultura giuridica nella Sicilia aragonese. Tendenze, opere, ruoli, Milano 1984; P. Corrao, Governare un regno cit., in part. pp. 389 e 558, dove si fornisce una breve cronologia delle cariche assunte; G. Pace, Giuristi e apparati di Curia a Catania nel Quattrocento, in Chiesa e società in Sicilia. I secoli XII-XVI. Atti del II Convegno Internazionale organizzato dall’arcidiocesi di Catania (25-27 novembre 1993), a cura di G. Zito, Torino 1995, pp. 67-89. Su Gualtiero il Giovane v. G. Pardi, Titoli dottorali conferiti dallo studio di Ferrara nei secoli XV e XVI, Lucca 1900, p. 16. Sull’arcivescovo Giovanni: G.E. Ortolani, Biografia degli uomini illustri della Sicilia, ornata de’ loro rispettivi ritratti, compilata dall’avvocato Giuseppe Emanuele Ortolani e da altri letterati, 4. voll., Napoli 1817-1821, v. III; G.L. Barberi, Il ‘Magnum Capibrevium’ dei feudi maggiori, a cura di G. Stalteri Ragusa, Palermo 1993, I, pp. 86, 226, 277, 347; II, 674, 706, 710.