SIBILLA, Gaspare. – Nacque a Roma tra la fine del 1722 e l’inizio del 1723 da Paola Pilli e da Pietro, detto Domenico di Gaeta. La numerosa famiglia risultava residente nella parrocchia di S. Angelo in Pescheria nella Pasqua del 1723, dove era da poco giunta con Gaspare appena nato.
Le notizie biografiche ne attestano una vita assai semplice. Nel 1755 egli compare nello Stato delle anime dei Ss. Apostoli sposato con Maria Dolci, vedova, dalla quale non ebbe figli, e con cui risiedeva in una modesta abitazione in via S. Croce dei Lucchesi.
Non si hanno notizie certe sulla sua formazione. Si suppone abbia frequentato lo studio dello scultore Pietro Bracci, con il quale, tra il 1764 e il 1769, collaborò alla realizzazione del monumento funebre di papa Benedetto XIV in Vaticano. A tale data Sibilla poteva già dirsi «inventore e scultore» di esperienza, come si ricava dalla firma che appose sull’allegoria del Disinteresse da lui stesso realizzata per il sepolcro papale. I modi e lo stile della figura, tuttavia, dimostrano una forte aderenza all’impianto formale dell’anziano Bracci, per cui è possibile confermare il profondo ascendente di quest’ultimo sul più giovane Sibilla.
Le sculture d’invenzione a lui attribuibili con certezza, numericamente scarse, si collocano per lo più entro un arco temporale limitato, tra gli inizi del 1750 e il 1770: dopo tale data l’artista fu infatti impegnato a tempo pieno nella preparazione di quello che divenne il museo Pio-Clementino in Vaticano. Al 1750 risale il suo più antico titolo artistico, il primo premio della classe di scultura dell’Accademia di S. Luca, mentre ancora in questi anni va collocata una prima commissione da scultore autonomo, la figura di S. Michele Arcangelo per S. Andrea delle Fratte (Guerrieri Borsoi, 2002, p. 152).
Tra il 1757 e il 1759 Sibilla ottenne, tramite Bracci, dei piccoli incarichi presso la fabbrica di S. Pietro; nel 1758 lavorò su due busti di marmo per la chiesa di S. Agostino, mentre sono dubbie sia la sua paternità di altri due busti in questo contesto sia la precedente realizzazione, nel 1755, della Carità e della Purezza in S. Antonio dei Portoghesi (p. 153). Nel 1760 eseguì il monumento di Diego Morcillo nella SS. Trinità degli Spagnoli; nel 1761 realizzò le figure della Provvidenza e della Speranza per il sepolcro di Maria Amalia di Sassonia in S. Giacomo degli Spagnoli (Chracas, 1761, p. 2). L’anno successivo scolpì due angeli in marmo in S. Maria in Trastevere per il cardinale Enrico Stuart duca di York; tra il 1764 e il 1765 lavorò su due busti, ancora per la biblioteca del convento degli Agostiniani. Un’ultima opera «d’invenzione», attribuitagli dal Chracas (1777, p. 15), è il monumento al cardinal Nicola Antonelli in S. Giovanni in Laterano.
Se per la produzione scultorea la critica rilevò fin da subito i limiti stilistici e la carenza «d’ingegno» di Sibilla, è pur vero che egli diede il meglio di sé come restauratore, «pieno di diligenza, attenzione e pazienza» (De Rossi, 1827, p. 33), nella carica di soprintendente del laboratorio di restauro nell’allora nascente museo Pio-Clementino. Nel 1770, dopo aver effettuato una perizia delle sculture della collezione Mattei per conto di Clemente XIV, venne nominato ministro spacciatore e sostituto direttore della Calcografia Camerale, mandato che divenne effettivo nel 1773; la determinazione d’incarico, tuttavia, prevedeva che si occupasse anche «di restaurare tutte le statue e i marmi» acquistati per il nuovo museo in Vaticano. Tale ufficio, dunque, non solo comportò un radicale mutamento nella carriera di Sibilla, ma costituì anche una moderna figura professionale preposta alla conservazione del patrimonio artistico pontificio: quella del restauratore stipendiato dallo Stato, addetto alla cura delle collezioni di antichità in vista del loro allestimento (Piva, 2007, pp. 22 s.). Per un compenso di 12 scudi al mese, Sibilla era chiamato a rinunciare a ogni guadagno in proprio e a dedicarsi essenzialmente alla gestione del laboratorio: dal coordinamento dei restauri e dei numerosi collaboratori, alla stima dei lavori, alle perizie sui nuovi acquisti, al controllo degli scavi camerali, alle richieste per i rimborsi spese, finanche alla supervisione organica delle due sedi – la Torre dei Venti nel cortile del Belvedere e lo studio in via dei Cappuccini. Già nel 1772 tale prestigioso, e impegnativo, incarico gli avrebbe valso l’elezione ad accademico di S. Luca, su mozione di Anton Raphael Mengs.
In questi anni, Roma in genere costituiva un terreno fertile per il restauro della statuaria antica; si restaurava non solo per il nuovo museo pontificio, ma anche per un fiorente mercato di collezionisti stranieri che qui trovava pezzi antichi ampiamente reintegrati da spedire all’estero. Numerosi furono gli scultori romani che si reimpiegarono, e fecero fortuna, in tale attività. Sibilla, da parte sua, sarebbe rimasto fedele alla sua missione in Vaticano, tanto che non accumulò mai particolari ricchezze personali. Nondimeno, acquisì fin da subito un ruolo centrale nella preparazione del Pio-Clementino, come pure stima incondizionata da parte del curatore del museo, Giovan Battista Visconti – che ne apprezzava in particolare la dedizione nel seguire «in tutto e per tutto le mie osservazioni ne’ restauri da farsi, purché mi prendessi la briga di esprimerli […] sempre in iscritto» (Guerrieri Borsoi, 2002, p. 158). Nel suo laboratorio Sibilla seguiva una ripartizione sistematica dei lavori tra sé e i suoi aiuti, in modo da intervenire con metodo sull’enorme quantità di sculture destinate alle gallerie papali. Le operazioni di restauro iniziavano con l’elaborazione, in stucco o in creta, di un bozzetto dei frammenti mancanti; Sibilla era solito occuparsi personalmente di tale aspetto, tecnicamente il più creativo, poiché da esso dipendeva la riuscita globale dell’intervento. A seguire, le maestranze dei formatori plasmavano un calco in gesso dei modelli a grandezza naturale. I pezzi venivano poi riprodotti in marmo tramite l’uso di telai metrati, strutture da cui pendevano fili di piombo utili alle misurazioni. La scelta del marmo da impiegare in questa fase era seguita dallo stesso Visconti. Si procedeva quindi con la commessura, ossia l’ancoraggio delle integrazioni moderne alla statua antica, operata dagli scalpellini, e la finitura delle superfici da parte dei lustratori, che eseguivano anche la patinatura ultima del pezzo (Piva, 2007, pp. 133-157).
Tra il 1773 e il 1782 dal laboratorio di Sibilla uscirono centinaia di sculture antiche restaurate e ampiamente reintegrate, ancora presenti oggi in Vaticano: tra le prime, le figure colossali del Nilo, che fu ripulito delle incrostazioni e completato di molti dettagli, e del Tevere; la celebre Cleopatra (Arianna addormentata); il bassorilievo di Catone e Marzia; il busto di Antinoo; il Centauro con la lepre e Cupido; le due statue di Diana e Giunone; i gruppi del Centauro marino e della Scrofa con i porcellini; e l’importante gruppo di Apollo e le Muse, le quali furono integrate anche con teste non pertinenti. Degli ultimi anni sono i restauri dell’Esculapio e Igea, dei Cioci in stile egizio e del sarcofago di S. Elena, che di fatto fu completato da Giovanni Pierantoni, successore di Sibilla alla direzione del laboratorio.
Si spense il 24 maggio 1782 a seguito di una malattia repentina. Al decesso fece seguito la benedizione di papa Pio VI, a conferma della stima e della reputazione di cui godette come scultore restauratore nell’ambiente artistico pontificio.
Chracas, Diario ordinario di Roma, 31/1 (1761), 6798, p. 2, 15/2 (1777), 222, p. 15; G. De Rossi, Lettera sopra il restauro di un’antica statua di Antinoo, e sopra il restauro degli antichi marmi nei tre secoli precedenti al nostro, in Nuovo giornale de’ letterati, 1826 (XIII), 28, pp. 23-38; M.B. Guerrieri Borsoi, G. S. “scultore pontificio”, in Sculture romane del Settecento, a cura di E. Debenedetti, II, La professione dello scultore, Roma 2002, pp. 151-189; R. Carloni, Per Gioacchino Falcioni, Ferdinando Lisandroni e G. S., in Antologia di belle arti, 2005, n. 67-70, pp. 98-111; C. Piva, Restituire l’antichità. Il laboratorio di restauro della scultura antica del Museo Pio-Clementino, Roma 2007, pp. 22 s., 133-157; R. Randolfi, Dai Lante ai Borghese: la storia del mezzo busto di Giunone attraverso le perizie di Papaleo, Pacetti, D’Este e il restauro di Sibilla, in Strenna dei Romanisti, MMDCCLXII (2009), pp. 559-566; Ead., La Venere e fanciullo dei Lante: da Papaleo a Sibilla e Pacetti, da Winckelmann e D’Este ad Albacini e Benaglia, questioni di restauro, perizie e iconografia, in Collezionisti, disegnatori e teorici dal Barocco al Neoclassico, a cura di E. Debenedetti, Roma 2009, pp. 281-290; Ead., Un dono prezioso: il mezzo busto di Antinoo del Museo Pio Clementino e i rapporti tra Clemente XIV, il cardinale Federico Marcello Lante e G. S., in L’età di Papa Clemente XIV. Religione, politica, cultura, Atti del Convegno, Sant’Arcangelo di Romagna… 2005, a cura di M. Rosa - M. Colonna, Roma 2010, pp. 259-280; P. Baraldi et al., Il restauro di una grande scultura in terracotta. Un modello di G. S. per il restauro del Nilo Vaticano: trattamento di pulitura laser, in APLAR3: il laser e i laser. Applicazioni laser nel restauro, Atti del Convegno, Bari… 2010, a cura di A. Brunetto, Padova 2011, pp. 33-43; G. Spinola, Criteri e modalità degli interventi della seconda metà del ’700 sulla scultura antica negli allestimenti dei Musei Vaticani, in Ergänzungsprozesse. Transformation antiker Skulptur durch Restaurierung, a cura di S. Kansteiner, Berlin 2013, pp. 93-108; C. Valeri, Scienza antiquaria e restauro dei marmi antichi tra XVI e XVIII secolo. Alcuni esempi dai Musei Vaticani, ibid, pp. 23-42; A. González-Palacios, Il Nilo in bigio del Museo Gregoriano Egizio, in Giovanni Battista Piranesi: predecessori, contemporanei e successori, a cura di F. Nevola, Roma 2016, pp. 331-334.