STIGLIANI, Tommaso (Tomaso)
Dizionario Biografico degli Italiani, Vol. 94, 2019
Nacque a Matera il 28 giugno 1573 da Giovan Domenico e da Geronima di Antonio d’Adamo, primo di almeno sei fratelli. La famiglia della madre apparteneva al notabilato locale, ma Stigliani non crebbe in condizioni agiate. Circolante tra gli avversari, ma mai verificata, la voce secondo la quale il padre «facea salnitro per la polvere della Corte» (Rizzo 1997, p. 288). Nulla di preciso si sa sulla sua prima formazione.
Giunse a Napoli forse già sul finire degli anni Ottanta. Per qualche tempo vi seguì le lezioni di medicina di Latino Tancredi. Al 1589 potrebbe risalire un sonetto per le nozze di Matteo di Capua, principe di Conca, e Giovanna di Zuñiga Pacheco. Fu probabilmente alla corte del Capua che conobbe Torquato Tasso (il sonetto da questi indirizzato a Stigliani è però un probabile apocrifo: Valese 2020) e strinse amicizia con Giovan Battista Marino. Era già a Roma durante la piena del Tevere del 24 dicembre 1598. A questo periodo risalgono i primi contatti con il cardinale Cintio Aldobrandini e, forse, con la famiglia Orsini.
Attorno all’estate del 1600 si trasferì a Milano per la stampa di un poemetto in ottava rima, il Polifemo, uscito quell’anno dai torchi dello stampatore Ponzio: il volume è dedicato a Ferrante Gonzaga, principe di Molfetta e signore di Guastalla, al servizio del quale Stigliani cercò di impiegarsi. Strinse rapporti con vari personaggi della nobiltà e della cultura milanese (Ferro 2011); cruciale il legame con Pirro Visconti Borromeo, che trattò per lui un impiego presso il duca di Mantova, Vincenzo Gonzaga, annunciando al sovrano la volontà del letterato di dedicargli «un poema ch’egli disegna». Il 14 aprile 1601, Visconti spedì a Gonzaga l’inizio del quarto canto del Mondo nuovo: è la prima notizia relativa all’elaborazione dell’opera più ambiziosa di Stigliani, alla quale avrebbe atteso per ben oltre un trentennio.
Nel 1601 fu a Venezia per la stampa della prima parte delle Rime, esile volumetto impresso da Gio. Battista Ciotti e dedicato ad Aldobrandini. Le Rime, aperte a un garbato sperimentalismo metaforico, furono accolte con favore dalla prima stagione barocca italiana, e affermarono Stigliani come una delle principali voci della nuova lirica. Seguirono un probabile rientro a Milano e un breve soggiorno a Torino compiuto forse nel 1602.
Dal febbraio 1603 fu a Parma, al servizio del duca Ranuccio Farnese, dove continuò a lavorare al Mondo nuovo. Il 17 luglio Ferrante Gonzaga ricevette copia di un canto, ma la favola del poema era ancora «distesa in prosa». Stigliani compose infatti il Mondo nuovo trasponendo in versi una redazione prosastica: una seriore stesura in prosa è testimoniata dal ms. de La Conquista degli Antipodi.
Stigliani rivide e incrementò la seconda edizione delle Rime (sempre presso Ciotti, 1605) in otto libri (Amori civili, pastorali, marinareschi e giocosi; Soggetti eroici, morali, funebri, e famigliari), tutti – a eccezione dei Soggetti morali – dedicati a figure illustri: Cintio Aldobrandini, Virginio Orsini, Ferrante Gonzaga, Fabio Visconti (figlio di Pirro), Ranuccio Farnese, Muzio Sforza, Ascanio Colonna. Gli indovinelli equivoci degli Amori giocosi attrassero l’attenzione della Congregazione dell’Indice che, nel novembre del 1605, propose la proibizione del volume. Il 3 dicembre fu dato ordine all’Inquisitore di Parma di interrogare «privatim» Stigliani; l’editto, confermato il 16 dicembre 1605, fu posto in calce all’edizione del 1607 dell’Indice. L’autore avrebbe tentato di espurgare il volume nel maggio del 1614, ma la sospensione non fu ritirata sino al 4 ottobre 1622.
Nel gennaio 1606 Stigliani seppe da Ferrante Carli che a tramare la proibizione delle Rime sarebbe stato proprio Marino: ricambiò il favore denunciando il napoletano presso l’Inquisizione di Parma. Sono i primi segnali di una lite che avrebbe profondamente segnato la sua vita e la storia letteraria di quegli anni.
Il 9 agosto Enrico Caterino Dàvila lo trafisse con un colpo di spada al torace, ma Stigliani riuscì inaspettatamente a sopravvivere e a ragguagliare dalla convalescenza Farnese (24 agosto). Forse temendo ulteriori conseguenze, riparò brevemente a Napoli. Ottenuto il perdono del duca, rientrò a Parma dove, a dicembre, fu eletto principe degli Innominati succedendo a Pomponio Torelli, animatore e ospite del sodalizio. Con la morte di quest’ultimo (1608) l’attività dell’accademia si sarebbe fatta meno intensa. A partire dal 1615, agli Innominati sarebbe subentrata l’Accademia degli Indivisi, nata nel 1615, di orientamento filomarinista e ostile a Stigliani.
Nel 1607 Marino visitò Parma al seguito di Pietro Aldobrandini, e proprio in quest’occasione Stigliani sostenne di avergli letto il canto XVI del Mondo nuovo, contenente le ottave del «pesciuom», che lo canzonavano e ne avrebbero suscitato le ire.
Prima del 1610 Paolo V Borghese lo nominò cavaliere di Malta «non di voto, ma di devozione»: il titolo, onorifico, non prevedeva benefici o commende (fu forse la nomina pontificale a dispensare Stigliani dall’esibizione dei quattro quarti di nobiltà). In questo periodo Tommaso avrebbe ricevuto anche l’incarico – mai portato a termine – di scrivere la storia della casa Farnese.
Piuttosto frequenti durante il periodo parmense i rientri a Roma. Fu iscritto all’Accademia degli Umoristi sotto il principato di Battista Guarini (1611), ma non prese mai parte alle sedute. Le preferì altri sodalizi, quale l’Accademia degli Ordinati, fondata nel 1608, dove si riunivano, fra gli altri, Giovan Battista Strozzi il Giovane, Giovanni Ciampoli e un’altra avversaria di Marino, Margherita Sarrocchi. Il 29 settembre 1611, da Roma, chiedeva un giudizio sul Mondo nuovo agli Insensati di Perugia (che poi lo ascrissero nell’aprile del 1626). In questi anni si fecero più stretti i rapporti con le famiglie degli Orsini e dei Cesarini, e in particolare con il giovanissimo Virginio, al servizio del quale sperava di potersi impiegare forse già dal 1608. A Parma strinse invece una profonda amicizia con il medico Pietro Magnani – professore presso lo Studio dal 1609 al 1620 –, che si prese cura anche del figlio illegittimo di Stigliani, Carlo (che nacque a Parma e intraprese poi la carriera ecclesiastica). Ancora negli anni Quaranta, l’autore ricordava Magnani e Cesarini quali i suoi amici più cari e rimpianti.
Nel 1617, dopo una discreta circolazione manoscritta, il Mondo nuovo fu impresso a Piacenza da Alessandro Bazacchi in una redazione in 20 canti, con dedica a Ranuccio Farnese. Il poema narra, mescolando verità storica e invenzioni romanzesche, la conquista delle Americhe da parte di Cristoforo Colombo. Il volume è chiuso da una lettera di risposta alle non poche critiche rivolte al poema da Aquilino Coppini, lettore di umanità dello Studio di Pavia. Il contratto con Bazacchi, che si vincolava a imprimere 800 copie entro il mese di maggio, fu firmato da Stigliani (che era forse stato finanziato dal Farnese) il 15 marzo. Presenti alla stipula il piacentino Francesco Duranti, poi curatore di parte della stampa, e il giovane Bernardo Morando (Fiori 1988).
Tra i più taglienti critici dell’edizione 1617 si segnalò Alessandro Tassoni, a sua volta impegnato, ma con ben minore coinvolgimento, nella stesura di un Oceano. Parere sfavorevole diede anche Belisario Bulgarini, i cui scambi con Stigliani sul Mondo nuovo risalivano al 1604 (Carminati 2007). A segnare negativamente la ricezione del poema, oltre ai problemi compositivi e linguistici, fu anche la polarizzazione dovuta dalla contesa con Marino, il quale peraltro, per mortificare l’avversario, compilò un elenco degli errori presenti nel poema. Di un «flagello che va attorno manoscritto sotto nome d’incerto benché sia del Marino in effetto» Stigliani parla nell’abbozzo di Arte poetica (c. 25v): delle critiche di «Falcidio», nomignolo spesso usato per il nemico, terrà conto anche nel postillato del Mondo nuovo del 1628.
La pubblicazione delle ottave dedicate al «pesciuom», trasparente e violenta caricatura di Marino, sancì la definitiva rottura con il rivale. Al 2 giugno 1619 risale la lettera difensiva di Stigliani, segnata da toni beffardi e aggressivi e forse inviata a Marino in versione differente da quella edita nel 1651.
Il 16 aprile 1619 Stigliani rispose ai rilievi mossi contro il Mondo nuovo dagli accademici della Crusca, dei quali postillò peraltro i Vocabolari del 1612 e del 1623; con i cruscanti Stigliani esibì un curioso oltranzismo di stampo trecentista, aperto all’apporto linguistico dell’amato Dante.
Nel 1621, dopo diciotto anni, Stigliani lasciava il servizio parmense, scontento della «poca provisione» concessagli dal duca, ma soprattutto della «lunga persecuzione» degli avversari (T. Stigliani, Lettere, 1651, p. 64). Dopo un breve soggiorno a Firenze, raggiunse Roma prima del 30 ottobre. Voci arrivate a Marino e da questi riferite a Ciotti collocherebbero in questo periodo anche un suo viaggio a Venezia.
A Roma risiedette dapprima in locande e pensioni, vivendo in grandi ristrettezze economiche. Presto ottenne però la protezione di Virginio Cesarini, che fino alla morte (1624) gli elargì 100 ducati annui. Attraverso Cesarini, Stigliani ricevette anche l’incarico di curare la stampa del Saggiatore galileiano (Roma, Mascardi, 1623): ne approfittò per interpolare nel testo dell’opera un inverecondo elogio del Mondo nuovo.
Forse già nel 1623, entrò a servizio del cardinale Scipione Borghese per intervento dello zio di Cesarini, Maffeo Barberini, il futuro Urbano VIII. Caduta la sospensione delle Rime, Stigliani dedicò proprio a Borghese la riedizione dell’opera, ora titolata Il Canzoniero (1623). Il volume, edito dall’erede di Bartolomeo Zannetti a istanza di Giovanni Manelfi, è sempre diviso in otto libri e aperto da una dedicatoria a firma del siciliano Francesco Balducci: segretario di Gian Antonio Orsini, Balducci fu legato a Stigliani da una singolare amicizia, non priva di forti tensioni e dissensi. Il Canzoniero, che si apre con due canzoni di Cesarini, ripropone gli Amori giocosi con gli ampi tagli imposti dalla censura, ma con l’aggiunta di tre idilli che parodiavano la poesia dei marinisti: l’Amante disperato (dedicato a Cesarini), l’Amante stoltisavio (indirizzato a Maffeo Barberini) e La Musa del secol nostro. Nella sua prefazione Balducci annuncia diverse opere di Stigliani, tra le quali lo Scherzo di Parnaso, «libretto giocondissimo» contro Marino e i marinisti che l’autore non intendeva dare alle stampe. Il Canzoniero conobbe una sola riedizione (Venezia, Deuchino, 1625).
Stigliani rimase al servizio di Borghese sino al 1631, con grandi difficoltà nel riscuotere la provvigione ordinaria, integrata con una pensione di 120 ducati annui, anche questa di impossibile riscossione. Poco dopo l’elezione di Urbano VIII, ebbe dal pontefice un’altra pensione di «40 ducati di camera» in Catalogna, poi annullata «per sentenza rotale» (T. Stigliani, Lettere, 1651, p. 71). Attraverso la mediazione di un personaggio influente presso la corte di Urbano, ne chiese e ottenne un’altra da 50 scudi, sospesa già nel 1626.
La morte di Marino (25 marzo 1625) rese più difficile la stampa dell’Occhiale, «apologia difensiva» annunciata già nel Canzoniero del 1623. Pubblicò l’ultimo dei quattro libri preventivati, dedicato alla censura dell’Adone (Parigi 1623). L’Occhiale (Venezia, Carampello, 1627) è ancora una volta prefato da Balducci, con dedica al conte d’Olivares. Stigliani certificò l’anteriorità dell’opera alla morte dell’avversario premettendo al testo una «fede» datata 28 ottobre 1625, sotto la quale apponevano le loro firme Lottario Conti, Ludovico Sanmartino d’Agliè, Francesco Bracciolini, Giuseppe Teodoli, Alessandro Angelico, Ferrante Carli, Andrea Boncompagni, Giuseppe Amicucci e Pompeo Garigliano. L’opera, che presenta Stigliani come un novello Castelvetro, è distinta in due Censure: la prima analizza il poema secondo le regole di un’Arte poetica che l’autore stava in effetti componendo (ce ne resta un abbozzo manoscritto); la seconda commenta minutamente i 20 canti dell’Adone, e si chiude con sette Tavole che riepilogano le improprietà lessicali e sintattiche del poema. Nell’Occhiale Stigliani attribuì versi di propria invenzione, contenenti metafore sregolate e ridicole, ai due poeti Sissa e Vannetti (dietro i quali si nasconderebbero due rimatori di fama locale, Lodovico Bianchi da Sissa e Bernardino Vannetti da Orciano). I nomi di Sissa e Vannetti compaiono anche nella finta missiva mariniana che Stigliani riuscì a far pubblicare tra le Lettere dell’avversario defunto (1627).
L’Occhiale avviò una delle più celebri polemiche letterarie del secolo: fra gli altri, presero le difese di Marino Girolamo Aleandro, Andrea Barbazza, Nicolò Villani, Giovanni Capponi e soprattutto Angelico Aprosio, autore tra il 1637 e il 1647 di ben cinque opuscoli antistiglianeschi. La voluminosa Replica di Stigliani ad Aleandro e agli altri avversari, già terminata nel 1647, è rimasta manoscritta.
Nella prima metà del 1628 il Mondo nuovo fu riedito in 34 canti, con prefazione di Balducci e dedica a Filippo IV di Spagna. Il 16 aprile Stigliani aveva spedito missive al re e al conte di Olivares per cercare di ottenere una pensione nel regno di Napoli: del resto, il poema era stato composto «in esaltazion della nazione spagnuola». Nel gennaio del 1630, Stigliani si rivolse infruttuosamente anche al duca d’Alcalà, viceré di Napoli, per ottenere una lettera d’accompagnamento al poema. Nel febbraio del 1632 tornò a chiedere una pensione alla corte di Madrid tramite Francisco de Borja y Aragón, principe di Squillace, già viceré del Perù ed estimatore del Mondo nuovo. Alla frustrazione per il mancato riconoscimento dalla Spagna è stata alle volte ricondotta la composizione di un poemetto burlesco, la Merdeide. Stanze in lode degli stronzi della Real Villa di Madrid, per la prima volta edito (a nome di «Nicolò Bobadillo») assieme alla Murtoleide mariniana nel 1629. L’attribuzione della Merdeide a Stigliani, solo tardo-settecentesca, è tuttavia poco persuasiva.
Attorno al 1631 entrò al servizio di Pompeo Colonna, principe di Gallicano, con provvigione di 15 scudi mensili. Nel dicembre fu a Napoli, dove assistette all’eruzione del Vesuvio. Forse durante questo soggiorno Stigliani sarebbe stato a un passo dal divenire governatore di Aversa per volontà del viceré Monterrey: gli costò il posto e «tremila scudi almeno» (Menghini 1890, p. 166) la prematura partenza di Colonna da Napoli. Fu anche accolto benevolmente da Giovan Battista Manso, ma non ascritto all’Accademia degli Oziosi per la polemica con Marino, che del sodalizio era stato principe.
Nell’ottobre del 1635, deluso dagli infruttuosi anni romani, scrisse a Balducci di essere pronto per rientrare definitivamente a Matera. Stigliani vi fondò un’accademia letteraria e, nell’agosto del 1636, la riconoscente città natale richiese al viceré di assegnargli 50 tomoli di grano e 15 ducati per l’affitto della casa e la pubblicazione dei libri ancora inediti (il decreto è edito in Gattini 1882, pp. 429 s.). Del 1639 è la stampa dell’Informatione […] delle ragioni di Matera contro gli Acheruntini (Lecce, Michieli), scritto con il quale Stigliani rivendicava a nome dell’Arcivescovado locale i diritti spettanti all’arcidiocesi di Matera contro le pretese di Acerenza. Nel 1643 la sede rivale affidò la replica a Scipione Errico, avversario di Stigliani anche nella polemica contro Marino.
A questo periodo datano le due importanti risposte «al Signor N.» (4 marzo e 15 maggio 1636, il personaggio è chiamato «Roderigo» nella seconda missiva), dove Stigliani discute con lucidità e acume degli esiti moderni di poesia e prosa: corrotta, la prima, dalla lezione di Marino; la seconda da quella di Giovan Francesco Biondi.
Verso la fine del decennio il felice rapporto con la comunità materana – dalla quale Stigliani si allontanò per qualche breve viaggio a Napoli (come nel 1637) – si interruppe bruscamente. Lo attestano due sonetti contro la «ingrata patria» dell’ultima redazione, manoscritta, del Canzoniero.
Stigliani rientrò così a Roma; non prima dell’agosto 1641, tornò con provvigione ridotta al servizio di Pompeo Colonna. Continuò ad attendere a una mai realizzata riedizione del Mondo nuovo postillando e correggendo un esemplare della stampa del 1628; nell’agosto del 1649 scriveva però a Giovan Angelo Maccafani che la pubblicazione del poema era stata impedita dalla morte di Manelfo Manelfi.
Al 1645 risale il ms. dello Scherzo di Parnaso, opera alla quale Stigliani aveva lavorato per più di vent’anni sulla scorta della mai sopita polemica con i marinisti. Lo Scherzo è diviso in due libri. Il primo, in versi, contiene due raccolte poetiche: La Zolfa (113 componimenti contro Marino e 34 contro altri avversari), dove Stigliani si lancia in un ossessivo gioco di variazioni pornografiche che insistono sul tema dell’omosessualità e incontenibile lascivia di Marino (fornendo però anche informazioni sull’ultimo periodo romano del poeta). Segue La Sfinge, dove compaiono gli indovinelli censurati delle Rime (edizione 1605), qui attribuiti però al pastore «Marino». Il secondo libro contiene prose: Il Ceretano, parodia della predicazione mariniana nelle Dicerie sacre (il cui autore è adombrato sotto il nome di «Falcidio Carpigna», Claudio Achillini sotto quello del «Dottor Graziano» e Girolamo Preti sotto quello del «Cantador Vanilio»); vi figurano poi il ragguaglio burlesco Il Menante e una sezione di Lettere facete.
Sempre al 1645 risalgono la plaquette impressa da Andrea Fei Sopra la nuova creazione di Papa Innocenzo X e la stampa napoletana presso Beltrano dell’Elegia d’Andromaco il Vecchio sopra la Tiriaca, probabilmente associabile a una permanenza napoletana di Stigliani al seguito del principe di Gallicano (al quale l’opera è dedicata).
Nel febbraio del 1646 Stigliani fu chiamato al servizio del cardinale Francesco Maria Farnese, ma scelse di non abbandonare Colonna, che il 27 ottobre di quell’anno fu però arrestato a Napoli per ragioni politiche e liberato solo nell’aprile del 1649. Agli anni della prigionia di Pompeo risalgono le 19 lettere nelle quali Stigliani, oltre a discettare con il padrone di questioni letterarie, si duole del difficile rapporto con Francesca d’Avalos, moglie del principe, e della paga scarsa e raramente erogata.
Di particolare importanza le Lettere, edite presso l’erede di Manelfi, Domenico, nel 1651: il volume raccoglie 92 missive, molte delle quali di notevole rilievo letterario. Stigliani pubblica qui anche una «Lettera ai lettori» della Grammatica, oggi perduta, dove allude al progetto di un Vocabolario. A quest’ultima fase della sua vita è da riferire l’amicizia con il futuro cardinale Giovan Battista De Luca, al quale intendeva dedicare il già annunciato Trattato sulla nobiltà. Il volume è chiuso da una sezione di epistole «in genere burlevole» che, con notevoli variazioni, riprende le Facete dello Scherzo di Parnaso. Qui figurano anche le tre missive a Marino, verosimilmente contraffatte, datate 1612-13.
Morì a Roma nel 1651, all’età di 78 anni (non accettabile la data del 29 gennaio, proposta da Giuseppe Gattini, perché da riferire con ogni probabilità a un omonimo).
Stigliani si lamentò sempre dell’ostracismo tipografico operato ai suoi danni da Marino e seguaci, che, a suo dire, avrebbero impedito con ogni mezzo le ristampe e la circolazione delle sue opere. Il suo libro più fortunato, l’Arte del verso italiano, uscì postumo per le cure di Pompeo Colonna nel 1658, e fu più volte ristampato tra Sei e Settecento; il trattato include anche il Rimario, annunciato sin dal 1623. Dopo la morte, i volumi e i manoscritti di Stigliani confluirono nelle collezioni librarie di Sforza Pallavicino, suo estimatore (lo elogiò come maestro di poetica nell’Arte dello stile, 1647) e osteggiatore del marinismo.
Opere: Il Polifemo, In Milano 1600; Delle rime […] Parte Prima, Venezia 1601; Rime […] distinte in otto libri […], Venezia 1605; Il Canzoniero, In Roma 1623, Venezia 1625 (gli idilli degli Amori giocosi sono editi in Besomi 1975); Del Mondo nuovo […] Venti primi canti, In Piacenza 1617; Il Mondo nuovo […] Diviso in trentaquattro canti, In Roma 1628 (un’edizione dei primi 20 canti è leggibile in García Aguilar 2003); Dello Occhiale, In Venezia 1627; Informazione del Cavaliere F. T. S. a N. S. Papa Urbano VIII delle ragioni di Matera contro gli Acheruntini per conto dell’Arciuescovado, in Lecce 1639; Del Cavaliere Fra T. S. sopra la nuova Creazione di N. Signore Papa Innocenzo decimo, Roma 1645; Elegia d’Andromaco il Vecchio sopra la Tiriaca tradotta di latino in toscano, In Napoli 1645; Lettere, Roma 1651 (in parte riedite in Marino 1911-1912). Lo Scherzo di Parnaso è edito in T. Stigliani, Lo scherzo di Parnaso. Contribución al estudio del antimarinismo, a cura di M.D. Valencia Mirón, Granada 1987. Mai ritrovati, tra le opere annunciate, il Vocabolario, la Grammatica e il Trattato sulla nobiltà. La Merdeide, di dubbia e tarda attribuzione a Stigliani, si legge in G.B. Marino, La Murtoleide, Spira 1629.
Fonti e Bibl.: La Replica ad Aleandri è conservata a Roma, Biblioteca Casanatense, mss. 900-901 (un suo abbozzo nel ms. 1169); lì conservati anche gli appunti per l’Arte poetica (ms. 1265/1) e la Storia della Conquista degli Antipodi, in prosa (ms. 1230). L’ultima redazione manoscritta del Canzoniero è a Napoli, Biblioteca nazionale, XIII, D, 60. Lo Scherzo di Parnaso (1645) è a Madrid, Biblioteca nacional de España, 1468. Il carteggio con Ferrante Gonzaga (20 febbraio 1603-4 aprile 1606) ancora non edito nella sua interezza è all’Archivio di Stato di Parma, Epistolario scelto. Le epistole a Ferrante Carli (Montpellier, Bibliothèque de l’École de medicine, ms. H 419) sono state edite e studiate in Delcorno 1975. Le lettere a Pompeo Colonna conservate nel ms. 1266 della Casanatense sono edite da Menghini 1890 (e in parte in Marino 1911-1912, vol. II). Per una lista dei postillati presso la Biblioteca nazionale centrale di Roma (e altre sedi), vedi Chiesa 2022. La storia censoria delle Rime è ricostruita da Carminati 2008. Per la situazione ecdotica delle opere stiglianesche: F. Chiesa, in Carminati - Landi - Chiesa - Cutrì 2022. Per l’Occhiale e la polemica sull’Adone vedi Frare 1997.
F.P. Volpe, Memorie storiche profane e religiose su la città di Matera, Napoli 1818, pp. 79-81; G. Gattini, Note istoriche sulla città di Matera, Napoli 1882, pp. 425-433; M. Menghini, T. S. Contributo alla storia letteraria del secolo XVII, Genova 1890; F. Santoro, Del Cav. T. S., Napoli 1908; Lirici marinisti, a cura di B. Croce, Bari 1910, pp. 3-19; G. Marino, Epistolario. Seguito da lettere di altri scrittori del Seicento, a cura di A. Borzelli - F. Nicolini, I-II, Bari 1911-1912; B. Croce, Versi tipici della poesia barocca, in Id., Nuovi saggi sulla letteratura italiana del Seicento, Bari 1931, pp. 11-19; F. Rizzi, Un poeta battagliero alla corte ducale di Parma: T. S., in Aurea Parma, XXXVI (1952), pp. 141-160; E. Contillo, T. S. e il suo antimarinismo, Matera 1963; O. Besomi, T. S. tra parodia e critica, in Esplorazioni secentesche, Padova 1975, pp. 53-151; C. Delcorno, Un avversario del Marino: Ferrante Carli, in Studi secenteschi, XVI (1975), pp. 69-155; M. Pieri, Contre S., in Per Marino, Padova 1976, pp. 105-216; R. D’Agostino, Tassoni contro Stigliani. Le «bellezze» del Mondo nuovo, Napoli 1983; M.D. Valencia Mirón, T. S.: nuovi contributi all’epistolario, in Atti dell’Istituto veneto di scienze, lettere ed arti, CXLV (1987), pp. 179-203; G. Fiori, Tommaso Stigliani e Piacenza: un documento inedito, in Bollettino storico piacentino, LXXIII (1988), pp. 229-233; G.P. Maragoni, S. «ne varietur». Appunti sulla riscrittura del «Polifemo», in Lettere italiane, 1989, 1, pp. 90-98; E. Bellini, Umanisti e Lincei. Letteratura e scienza a Roma nell’età di Galileo, Padova 1997; P. Frare, La «nuova critica» della meravigliosa acutezza, in Storia della critica letteraria in Italia, a cura di G. Baroni, Torino 1997, pp. 223-277; G. Rizzo, Lettere di Giuseppe Battista al padre Angelico Aprosio, in Studi secenteschi, XXXVIII (1997), pp. 267-318, in partic. pp. 270, 287 s.; M. García Aguilar, Un poema burlesco del siglo XVII italiano: «La Merdeide Stanze in lode delli stronzi della Real Villa di Madrid» de Nicolò Bobadillo, in Lengua y lenguaje poético, a cura di S. Porras Castro, Valladolid 2001, pp. 295-302; A. Tirri, «Canzone sulla Ragion di Stato» di T. S. a Raffaello della Torre, in Aprosiana, IX (2001), pp. 127-145; M. García Aguilar, La épica colonial en la literatura barroca italiana: estudio y edición crítica de «Il Mondo nuovo» de T. S., tesi di dottorato, Universidad de Granada, 2003; Q. Marini, La critica nell'età barocca, in Storia della letteratura italiana, a cura di E. Malato, XI, Roma 2003, pp. 391-424; M. Corradini, Questioni di famiglia. Tasso Marino Stigliani, in Studi secenteschi, XLVI (2005), pp. 45-69; C. Carminati, Narrazione e storia nella riflessione dei romanzieri secenteschi, in Narrazione e storia tra Italia e Spagna nel Seicento, a cura di C. Carminati - V. Nider, Trento 2007, pp. 37-108, in partic. pp. 95-102; Ead., Giovan Battista Marino tra inquisizione e censura, Roma-Padova 2008, pp. 20-28; E. Russo, Marino, Roma 2008; C. Carminati, Le postille di S. al «Ritratto del Serenissimo don Carlo Emanuello» del Marino, in Studi di letteratura italiana in onore di Claudio Scarpati, a cura di E. Bellini - M.T. Girardi - U. Motta, Milano 2010, pp. 443-477; Ead., Vita e morte del Cavalier Marino, Bologna 2011; R. Ferro, Antichi e moderni in Lombardia: Girolamo Borsieri poeta barocco, in Libertinismo erudito: cultura lombarda tra Cinque e Seicento, a cura di A. Spiriti, Milano 2011, pp. 97-125; A. Grassi, Una proposta di commento alle rime di corrispondenza del Marino: gli scambi poetici con lo S. e il Tasso, in l’Ellisse, VI (2011), pp. 108-138; A. Lazzarini, Una testimonianza di T. Stigliani. Palazzi e libri di disegno in una dichiarazione di poetica mariniana, in Italianistica, XL (2011), pp. 73-85; F. Bondi, La Festa e la Storia. Letteratura e cultura nel Seicento, in Storia di Parma, a cura di G. Ronchi, Parma 2012, IX, pp. 132-165; E. Russo, Castelvetro nel primo Seicento, in Atti e Memorie dell’Arcadia, II (2013), pp. 121-137; Id., Colombo in prosa e in versi. Note sul Mondo nuovo di S., in Epica e Oceano, a cura di R. Gigliucci, Roma 2014, pp. 79-98; C. Aloè, Gomitoli letterari nel Mondo nuovo di T. S., in Italique, XIX (2016), pp. 267-297; P.G. Riga, Giovan Battista Manso e la cultura letteraria a Napoli nel primo Seicento, Bologna 2018; E. Ciccarella, Alterità indigena e propaganda della conquista: l’epica americana di T. S., in Il mito del nemico. Identità, alterità e loro rappresentazioni, a cura di I. Graziani - M.V. Spissu, Argelato 2019, pp. 257-262; C. Carminati, Tradizione, imitazione, modernità. Tasso e Marino visti dal Seicento, Pisa 2020; F. Valese, «Stiglian, quel canto, ond’ad Orfeo simile». Varia fortuna di un apocrifo tassiano, in Studi secenteschi, LXI (2020), pp. 89-105; C. Acucella, «Col mezzo d’un buon occhiale»: T. S. lettore e critico dell’Adone, in Letteratura e Scienze. Atti delle sessioni parallele del XXIII Congresso dell’ADI (Associazione degli Italianisti), Pisa, 12-14 settembre 2019, a cura di A. Casadei - F. Fedi - A. Nacinovich - A. Torre, Roma 2021; Ead., Lo sconosciuto sodalizio degli Sfaccendati e il «nuovo Parnaso» di S., in Quaderni d’italianistica, XLII (2021), pp. 131-162: M. Pelosi, Aggiornamenti biografici su T. S., in Mathera, V (2021), 17, pp. 77-81; C. Carminati - M. Landi - F. Chiesa - M. Cutrì, Literatura italiana del seiscientos y filología de autor: tres ejemplos (Marino, S., Tesauro), in Creneida, X (2022), pp. 404-474; F. Chiesa, I postillati di T. S., in Studi secenteschi, LXIII (2022), pp. 301-309; P. Conte, Da una polemica letteraria a un conflitto politico: la contesa fra Matera ed Acerenza a metà ’600, fra «antimarinismo» e rivendicazioni cittadine, in Intellettuali e potere nelle periferie del Regno. Accademie, corti e città in Italia meridionale (sec. XIII-XVIII), a cura di C. Acucella - P. Conte - T. De Angelis, Potenza 2023, pp. 119-140.