TELLINI, Enrico
Dizionario Biografico degli Italiani, Volume 95 (2019)
Nacque a Castelnuovo di Garfagnana (Lucca) il 26 agosto 1871 dal magistrato Angelo e da Egidia Masini. Ebbe due fratelli, Carlo, magistrato, poi presidente del tribunale di Pistoia, e Alberto, avvocato del foro di Firenze.
Crebbe in un ambiente di orientamento sabaudo e legato al conservatorismo moderato, trascorrendo i primi anni di vita a Pontremoli, dove il padre presiedeva il tribunale. In Lunigiana frequentò le scuole elementari e le classi ginnasiali inferiori presso il seminario vescovile. Nel 1884 entrò come allievo al collegio militare di Firenze, ove viveva allora lo zio, il dottor Francesco Tellini, marito della contessa Caterina Ambrosini di Sala e padre di Teresa, cugina alla quale Enrico si mostrò sempre legatissimo e che avrebbe poi sposato Franchino Franchini, rampollo di una delle più influenti casate della Valdinievole.
Conseguito il diploma, entrò a far parte dell’artiglieria del Regio esercito; dopo pochi mesi fu nominato ufficiale di Stato Maggiore e nel 1900 passò all’Ufficio ordinamento del ministero della Guerra. Dopo un decennio di incarichi burocratici e amministrativi, nel corso del quale rafforzò le sue convinzioni nazionaliste, partecipò alla guerra di Libia. Capitano, fu tra gli artefici degli allestimenti difensivi (le ‘ridotte’) attorno alla città di Derna, e ricevette il battesimo del fuoco respingendo nel febbraio e nel marzo 1912 gli attacchi dei libici guidati dagli ufficiali ottomani. Quindi fece parte della spedizione in Cirenaica della 4a divisione del generale Giulio Cesare Tassoni, che nel corso del 1913 riuscì a mettere in sicurezza tutto l’entroterra. Durante questa operazione, la defezione per motivi di salute di un superiore gli aprì le porte dello Stato Maggiore e una collaborazione più stretta con Tassoni, che continuò anche in altre azioni militari contro i ribelli.
Il 18 giugno 1913 Tellini fu insignito della croce di cavaliere dell’Ordine militare di Savoia e, al rientro in patria, promosso maggiore. Il credito conquistato in Libia gli offrì ulteriori possibilità di carriera. Allo scoppio della Prima guerra mondiale, i ripensamenti italiani rispetto agli impegni assunti con l’adesione alla Triplice alleanza complicarono i rapporti con l’Austria, consigliando forse un avvicendamento del personale diplomatico e Tellini fu così nominato nuovo addetto militare presso l’ambasciata a Vienna, mostrando doti d’intelligenza e sensibilità politica. A ridosso del 24 maggio, venne richiamato a Roma: promosso tenente colonnello, passò a dirigere l’Ufficio situazione del Comando supremo e venne poi inviato sul fronte del Trentino, svolgendo attività di intelligence e di coordinamento logistico, in contatto con l’Ufficio informazioni del Comando di Luigi Cadorna. La crisi sopraggiunta in seguito alla Strafexpedition austriaca nel maggio 1916 evidenziò anche una qualche sua corresponsabilità. Come è noto, Antonio Salandra si dimise e ci fu un primo parziale rivolgimento dei ruoli militari. Tellini fu promosso colonnello, ma sollevato dal suo incarico. Chiese allora di poter guidare un reparto in battaglia, e gli venne affidata la brigata granatieri ‘Lombardia’. Militare di formazione classica, coerente con l’impostazione data da Cadorna alla guerra, Tellini condusse i suoi uomini quasi sempre in onerosi attacchi all’arma bianca, partecipando tra il settembre e il novembre 1916 alla settima, ottava e nona battaglia dell’Isonzo, e ancora all’undicesima nell’agosto 1917, culmine di una estate inquieta segnata dalla stanchezza per la guerra, dalle tensioni sociali e dall’appello di Benedetto XV per la pace contro l‘«inutile strage». In un breve testamento vergato da Tellini proprio nel mese di agosto di quell’anno, egli ribadiva l’adesione a una guerra per lui santa e giusta, combattuta per «l’onore dei popoli liberi» e per una «Italia moralmente e socialmente migliore» (Giannasi 2008, p. 23). Dopo qualche settimana fu però spostato al comando dell’artiglieria della 36a divisione in Carnia, di lì a breve travolta dalla disfatta di Caporetto. Ferito al volto e fatto prigioniero, fu liberato poco prima della fine del conflitto, insignito della medaglia d’argento al valor militare, promosso generale e inviato a combattere in Albania, per buona parte in mano italiana.
I confini del Paese, riconosciuto come principato autonomo nel 1913 al termine delle guerre balcaniche anche per fermare ulteriori aspirazioni territoriali di Grecia, Serbia e Montenegro, su impulso di Roma e Vienna, erano stati definiti da un protocollo della Conferenza degli ambasciatori, organismo istituito alla fine della Prima guerra mondiale che riuniva i rappresentanti delle maggiori potenze al fine di dirimere controversie internazionali e diplomatiche. Il conflitto mondiale complicò questo processo di indipendenza: i greci sostennero a sud un governo autonomo, il Nord passò in mano a ribelli filoserbi, l’Italia intervenne sulla base del patto di Londra, che le assegnava la città di Valona e un protettorato su tutta l’area. Ma il discorso pronunciato al Congresso da Woodrow Wilson nel gennaio del 1918 in cui presentava i 14 punti del suo programma di pace, fornì una rinnovata legittimazione alle aspirazioni della comunità albanese, che espresse un Comitato per l’indipendenza e avviò una durissima guerriglia.
Tellini arrivò in Albania in questo contesto, e combatté con valore nella primavera-estate del 1920, meritandosi la croce ufficiale dell’Ordine militare di Savoia nella difesa di Valona. Poco dopo, con il ritorno al governo di Giovanni Giolitti e con l’aumento delle tensioni interne e anche delle proteste per l’invio di altre truppe in Albania, l’Italia abbandonò l’area mantenendo solo un presidio sull’isola di Saseno, all’imbocco del golfo di Valona, strategica per proteggere le rotte navali.
La questione albanese restò così un campo di tensione diplomatica e geopolitica, uno dei molti connessi al processo di attuazione dei trattati di pace. Il luogo di confronto avrebbe dovuto essere la neonata Società delle Nazioni, con il suo consiglio, ma alcune controversie vennero affidate ancora alla Conferenza degli ambasciatori che dovette occuparsi anche dell’Albania: dopo consultazioni di tutti i soggetti interessati, nel novembre 1921 ne sancì i confini e nella primavera seguente nominò una sua delegazione incaricata di recarsi nel Paese adriatico a picchettare le frontiere (Micheletti 2005, pp. 72 s.). La Conferenza fu presieduta dall’Italia, che scelse di inviare Tellini, proprio per l’esperienza maturata in questo lembo dei Balcani. Il generale toscano incontrò gli altri membri della commissione a Parigi e a Firenze, iniziò i suoi lavori sul posto nel marzo 1922, interrompendoli nell’inverno successivo, per poi riprenderli nel 1923. La situazione non era affatto semplice e presentava una serie di fronti aperti: la Grecia più volte palesò la sua avversione verso la commissione; gli albanesi avrebbero preferito un ruolo diretto della Società delle Nazioni; il neonato Regno dei Serbi, Croati e Sloveni non era ancora stato riconosciuto da tutti i Paesi europei, per cui la delimitazione dei confini albanesi poteva costituire un riconoscimento de facto e creare qualche problema. Di tutto questo Tellini scrisse più volte sia alla Conferenza che al ministero degli Esteri italiano, mostrandosi un militare dalla grande sensibilità giuridica e diplomatica (Spinedi 2005, pp. 87-88), rivelatasi anche nella decisione di incaricare i delegati inglesi e francesi di occuparsi della zona nord, lasciando agli italiani i confini meridionali: qui le scorrerie di bande albanesi in territorio greco si intensificarono durante l’estate 1923, rendendo ancora più difficili le relazioni tra i due Paesi.
Il 27 agosto 1923 venne programmata una perlustrazione nella valle del Drin, a sud di Scutari. Assieme al maggiore Luigi Corti, ufficiale medico, al tenente Mario Bonaccini, suo aiutante da campo, e all’autista Remigio Farnetti, Tellini partì molto presto da Giannina, in territorio greco, diretto verso il posto di frontiera di Kakavia, accompagnato da un interprete e dalla delegazione albanese; lungo il tragitto si aggiunse quella greca guidata dal colonnello Dimitrios Botzaris. La zona era impervia. L’ordine del convoglio – prima i greci, poi gli albanesi e infine gli italiani – si ruppe quando l’auto dell’ufficiale greco fu costretta a fermarsi per un guasto. Botzaris avvertì i militari di stanza a Kakavia di preparare una scorta che consentisse alle delegazioni italiana e albanese di iniziare la ricognizione ufficiale dell’area anche senza la sua presenza, ma gli italiani non arrivarono mai a destinazione. Nei pressi di Zopi, una cinquantina di chilometri da Giannina, in un punto in cui la strada tagliava una boscaglia, dei banditi lasciarono passare l’auto albanese e poi sbarrarono il passaggio alla Lancia italiana, scaricando le loro armi sui passeggeri: Tellini tentò inutilmente la fuga, ma venne freddato a una ventina di metri dall’auto, sul ciglio della carreggiata. Fu lo stesso Botzaris a scoprire la scena del massacro. Non vi fu alcun furto ai danni delle vittime. Le tracce che si inoltravano nei boschi in direzione del confine albanese furono seguite senza fortuna. Vennero disposti blocchi a tutti i posti di frontiera e alla delegazione albanese venne chiesto di rimanere a Kakavia. Nonostante fosse stata istituita subito un'inchiesta, affidata al comandante della gendarmeria dell’Epiro e alla locale procura, non si riuscì a individuare i responsabili e questo esasperò i rapporti diplomatici. Per i greci, gli assassini avrebbero fatto parte di una banda albanese, dal momento che Tirana non avrebbe accettato una ridefinizione dei confini, timorosa che se ne potessero avvantaggiare i suoi ‘vicini’. Per gli albanesi, così come per l’Italia, la colpa era invece dei greci, e Benito Mussolini vide subito la possibilità di palesare finalmente una politica estera ‘fascista’, inaugurando un nuovo corso. Al potere da meno di un anno, aveva frenato sino a quel momento la sua insofferenza verso Francia e Inghilterra che, nei Balcani, sostenevano l’una il neonato Regno dei Serbi, Sloveni e Croati, l’altra appunto la Grecia. Adesso, invece, decideva di cambiare registro.
Così, nonostante la delegazione guidata da Tellini agisse per conto di forze alleate, Mussolini scavalcò gli organismi internazionali: il 28 agosto mobilitò una squadra navale composta da quattro corazzate e ordinò all’ambasciatore italiano ad Atene di trasmettere al governo ellenico un ultimatum. Di fatto, pur senza accusare mai direttamente la Grecia di essere il mandante, il governo italiano la riteneva responsabile diretta di un atto di terrorismo poiché era avvenuto entro i suoi confini. Questa scelta coincise con una fervente campagna contro il Paese greco che infiammò l’Italia non appena giunse la notizia del massacro di Giannina, con cortei e manifestazioni spontanee in moltissime città, e scontri tra i militari schierati a difesa dei consolati greci presi d’assalto da gruppi di ex combattenti e di fascisti già dalla sera del 29 agosto, che spesso asportavano, simbolicamente, stemmi e bandiere. A Genova alcuni fascisti apposero, sopra le targhe viarie di ‘vicolo dei Greci’ e ‘piazzetta dei Greci’, dei cartellini con su scritto ‘via Generale Tellini’, assieme a ghirlande e al tricolore.
Il 30 agosto la Grecia accolse solo parzialmente l’ultimatum italiano, rifiutandosi di porgere scuse ufficiali, di aprire un'ulteriore inchiesta e di pagare al governo italiano un risarcimento di 50 milioni di lire (De Felice 1966, pp. 561-562). Così, dopo aver riscontrato un sostanziale consenso da parte del re, il 31 agosto Mussolini diede ordine di occupare Corfù. La Grecia ricorse alla Società delle Nazioni, mettendo inizialmente in crisi Roma che, avendo scelto di farsi giustizia da sola, ne aveva violato gli articoli 12 e 15. La sua posizione era quindi illegittima, come avrebbe confermato anche Dionisio Anzilotti, esperto di diritto internazionale e membro italiano della Corte permanente di giustizia internazionale de l’Aja, informalmente interpellato dalla diplomazia italiana in quei frangenti (Marchisio 2005, pp. 50-51).
La situazione si fece difficile. In Italia la vampata nazionalista e anti-greca proseguì, alimentata dalle false notizie che vennero fatte circolare intenzionalmente: a proposito della morte di Tellini e degli altri componenti la delegazione, i quotidiani scrissero di un agguato effettuato sparando centinaia di proiettili esplodenti, di cadaveri che sarebbero stati deformati con i calci dei fucili, di un eccidio organizzato direttamente dalla guarnigione greca (Giannasi 2008, pp. 126-132). Ex combattenti e arditi si attivarono per giorni, pronti anche ad organizzare eventuali spedizioni oltre l’Adriatico.
L’Italia però superò la crisi. L’azione diplomatica riuscì a presentare l’occupazione di Corfù non come un atto di guerra ma come un’azione risarcitoria preventiva rispetto al massacro di Giannina. E le esigenze della Realpolitik spinsero Francia e Gran Bretagna ad accogliere la richiesta italiana che a discutere della controversia fosse non la Società delle Nazioni – Mussolini minacciò di uscirne – come aveva chiesto la Grecia, ma la Conferenza degli ambasciatori (sotto la cui egida aveva d’altra parte operato la missione di Tellini). Questa il 13 settembre adottò una risoluzione favorevole all’Italia, che il 27 si ritirò da Corfù, anche a seguito del pagamento – da parte del governo greco – della cifra richiesta come indennizzo (un milione di lire) da destinare alla famiglia Tellini e, si può ipotizzare, in parte anche ai congiunti delle altre vittime (Franchini 2011, p. 70).
Mussolini uscì vincitore. Salandra, delegato italiano alla Società delle Nazioni, riconobbe nelle sue memorie come «il prestigio del nome italiano si accrebbe, per un atto di forza compiuto sia pure in difformità delle nuove norme – tutt’altro che certe e sicure – del diritto internazionale» (De Felice, pp. 562-563). Le ripercussioni positive furono cospicue anche in politica interna: Mussolini consolidò il suo ruolo dentro l’alleanza di governo, legittimandolo di fronte al ‘partito del Re’ e anche tra la gran parte dei popolari e del mondo cattolico. In quelle giornate convulse le notizie vennero veicolate dalla Agenzia Stefani e, l’ufficio stampa, in mano al fidatissimo Cesare Rossi, svolse un ruolo puntuale di controllo e censura anticipando, attorno alla crisi di Corfù, quella funzione manipolatoria dell’informazione destinata poi a diventare un elemento consustanziale al fascismo. Quasi tutti i quotidiani – non solo quelli fedeli al regime – contribuirono a costruire l’immagine di un Mussolini «cervello di Cavour e pugno di Crispi», capace di condurre «l’Italia di Vittorio Veneto» verso la sua «quarta civiltà» (La Garfagnana, 13 settembre 1923).
La mobilitazione del Paese si trasformò poi in un rituale collettivo della patria assieme nazionalista e in camicia nera al rientro in Italia delle salme dei martiri, giunte a Taranto la sera del 20 settembre e sbarcate la mattina seguente, dinanzi a banchine già piene di gente. Il corpo di Tellini venne accolto dalle autorità religiose e civili e dal fratello Carlo. L’altro fratello, Alberto, rimase a fianco della anziana madre a Villa Collemandina in Garfagnana, dove la donna aveva ricevuto il 13 dello stesso mese le condoglianze ufficiali dello Stato e una lettera di vicinanza da parte del re. I feretri attraversarono la città listata a lutto, salutati dalle evoluzioni di una squadriglia di idrovolanti e dai fiori lanciati dai balconi. Giunti alla stazione di Taranto, furono caricati su un treno speciale che partì alla volta di Roma. Nelle principali stazioni toccate dal convoglio vennero organizzate cerimonie, picchetti d'onore, benedizioni religiose. Il 22 settembre, all’arrivo a Ciampino, le spoglie di Bonaccini, Corti, Farnetti e Tellini vennero traslate su una locomotiva imbandierata che fece il suo ingresso alla stazione Termini, omaggiata da Mussolini, dalle autorità e dagli ambasciatori, tra gli altri, di Inghilterra, Spagna, Francia e Giappone. Da qui il corteo funebre, organizzato nei minimi dettagli e circondato da una grande folla, transitò da piazzale dei Cinquecento, per proseguire poi in via Nazionale e in via IV Novembre e giungere alla basilica dei Ss. XII Apostoli, ove si tenne la funzione religiosa. Alcuni aeroplani sganciarono volantini commemorativi a ricordo delle vittime.
La sera, la salma dell’autista Farnetti venne condotta nella vicina Frascati. Il 25 settembre Palermo accolse con una grande cerimonia cittadina l’arrivo delle spoglie del maggiore Corti, e nello stesso giorno un rituale identico salutò il ritorno a Modena del corpo del tenente Bonaccini. L’apice di questa liturgia nazionalista, rimbalzata dai quotidiani in tutto il Paese, avvenne però a Firenze, dove giunse il feretro di Enrico Tellini, che sfilò dalla stazione sino alla chiesa di S. Lorenzo e, al termine della cerimonia religiosa, sostò a lungo in piazza Cavour. Migliaia di persone parteciparono qui al «più schietto degli incensi, la più ardente delle plaudi alla religione della patria», un rito collettivo accompagnato dall’inno del Piave che mise insieme l’omaggio dei reparti dell’esercito e della milizia, degli ex combattenti, delle vedove e degli orfani di guerra ai saluti romani delle associazioni fasciste (La Nazione della Sera, 25 settembre 1923).
Nei fatti, si sancì così l'appropriazione fascista dei martiri di Giannina e, in particolare, della figura del generale Tellini, che fascista però non era mai stato. A fine ottobre il compositore spezzino Pietro Donato pubblicò L’Eccidio della Missione Tellini, poema dal linguaggio sacrale e carnale, a tratti violento, fortemente anti-greco, che usava a pretesto il massacro per mitizzare la figura di Mussolini.
Il generale ricevette l’onorificenza postuma della commenda dell’Ordine militare di Savoia e fu sepolto a Firenze nel cimitero monumentale di Trespiano, tumulato in un mausoleo costruito appositamente per onorarne la memoria. Nel primo anniversario della morte, venne apposta una lapide in piazza Umberto I a Castelnuovo di Garfagnana, e la famiglia elargì un contributo di 50 milioni al locale ospedale. Diverse le strade ‘via Tellini’ o ‘via Generale Tellini’ che gli furono intitolate, presumibilmente negli anni Venti e Trenta (ancora oggi a Livorno, Piombino, Milano, Crotone, Pontremoli, ecc.). Nel 1935 fu inaugurata a Genova una casa littoria a lui intitolata, seguita dall’istituzione – nel 1936 – del ‘Gruppo Gen. Tellini’ nella Federazione genovese dei fasci di combattimento. E, nel 1941, in occasione del 18° anniversario del massacro, venne inaugurato un monumento in suo onore a Tirana, in un’Albania ormai da due anni occupata dal fascismo.
Negli anni della Repubblica rimase della vicenda un ricordo assai sfumato. Solo in occasione dell’eccidio di Kindu (in cui, nel novembre 1961, morirono 13 militari italiani impegnati in una missione ONU nella Repubblica del Congo), comparve un articolo che richiamava la analoga sorte della missione guidata da Tellini (Il Tempo, 22 novembre 1961).
La questione della legittimità della occupazione di Corfù come risposta all’eccidio della delegazione italiana rimase, invece, al centro delle discussioni degli studiosi del diritto internazionale, ritenuto un caso di scuola riguardo alle responsabilità degli Stati per azioni di terrorismo compiute entro i loro confini o da organizzazioni presenti sui loro territori, e destinato a tornare di grande attualità all’indomani dell’attentato dell’11 settembre 2001 e del conseguente attacco degli Stati Uniti all’Afghanistan (Il caso Tellini, 2005).
Nel 2000 lo storico greco Aristotele Kallis scrisse che, nonostante i punti oscuri, l’imboscata sarebbe stata pianificata in Albania per far ricadere la colpa sul governo greco (Kallis 2000, p. 68). A oggi, in realtà, non si conoscono né i responsabili né i mandanti.
A partire dagli anni Cinquanta del Novecento, i cimeli, gli oggetti e i ricordi di Tellini furono raccolti a Buggiano (Pistoia) nella villa della famiglia Franchini, custode della memoria familiare del generale, di cui rilanciò il ricordo pubblico con convegni e iniziative scientifiche. A Magnano, frazione del comune di Villa Collemandina, resiste ancora oggi la targa commemorativa collocata il 30 settembre 1923 sulla facciata di villa Tellini per ricordare la «vita operosa» di un soldato e diplomatico che «dedicò ogni energia del forte animo alla grandezza d’Italia e per l’Italia la vita cento volte esposta nelle battaglie cruente», caduto come «gloriosa vittima di ignobile attentato nel compiere opere di pace e di giustizia».
Fonti e Bibl.: Roma, Archivio centrale dello Stato, Ministero dell'Interno (1814-1986), Gabinetto (1814-1985), Archivio del sottosegretario di Stato Aldo Finzi (1922-1925), b. 2, carte Tellini; Ministero degli Affari Esteri, Commissione per la pubblicazione dei documenti diplomatici, I Documenti diplomatici italiani, Settima serie (1922-1935), I (31 ottobre 1922 - 26 aprile 1923), Roma 1953; pp. VII, 37, 46-54, 91-96, 525; Id., II (27 aprile 1923 - 22 febbraio 1924), Roma 1955, pp. 126-151, 195-197, 211-268, 310-311.
D.J. Hill, The Janina-Corfù affair, in American Journal of International Law, 18 (1924), pp. 98-104; E. Di Nolfo, Mussolini e la politica estera italiana (1922-1933), Padova 1960, pp. 82-85; R. De Felice, Mussolini il fascista (1921-1925), Torino 1966, pp. 561-563; P. Pastorelli, L’Albania nella politica estera italiana 1914-1920, Napoli 1970, pp. VII, 44, 142; T. Argiolas, Corfù, 1923, Roma 1973; Le truppe italiane in Albania (1914-1920 e 1939), a cura di M. Montanari, Roma 1978, p. 215; P.J. Yearwood, “Consistently with Honour”: Great Britain, the League of Nations and the Corfu crisis of 1923, in Journal of Contemporary History, 21 (1986), n. 4, pp. 559-579; A. Kallis, Fascist ideology. Territory and expansionism in Italy and Germany, London 2002, pp. 65 ss.; Il caso Tellini. Dall’eccidio di Janina all’occupazione di Corfù, a cura di O. Ferrajolo, Milano 2005 (L. Tosi, La crisi di Corfù tra sicurezza collettiva e politica di potenza, pp. 29-44; S. Marchisio, Il caso Tellini: uso della forza nel diritto istituzionale e nel “diritto delle genti”, pp. 45-66; L. Micheletta, La lotta per il “limes” greco-albanese e l’eccidio Tellini, pp. 67-85; M. Spinedi, L’apporto del caso Tellini alla determinazione delle regole in materia di responsabilità degli Stati, pp. 87-112; O. Ferrajolo, Il diritto e la prassi: spunti metodologici sul caso Tellini, pp. 113-134; A. Giannasi, L’eccidio Tellini. Da Gianina all’occupazione di Corfù, Civitavecchia-Roma 2008; G. Villari, La presenza italiana in Albania 1918-1920, in Italia Contemporanea, 256-257 (2009); Il generale Enrico Tellini. La vicenda internazionale, i suoi rapporti con Borgo a Buggiano, a cura di A. Giannasi - L. Franchini - O. Nardini, Borgo a Buggiano 2011 (in partic. A. Giannasi, Enrico Tellini, la vita di un generale, pp. 15-52; L. Franchini, Aspetti giuridici del caso Tellini, pp. 61-71); J. Barros, The Corfù incident of 1923: Mussolini and the League of Nations, Princeton 2017; L. Franchini, Le famiglie Franchini e Tellini, in La nobiltà pesciatina, le alleanze matrimoniali e le dimore storiche, a cura di D. Donatini - V. Papini, Lucca 2017, pp. 135-145.
Per le fonti a stampa, tra le altre: La Stampa, 29 e 30 agosto 1923; 22 e 26 settembre 1923; 28 agosto 1941; 10 novembre 2001; Il Corriere della Sera, 29 agosto 1923; Il Giornale d’Italia, 3 settembre 1923; La Tribuna, 10 e 23 settembre 1923; La Garfagnana. La Sentinella Apuana, 13 settembre 1923; La Nazione della Sera, 15 settembre 1923; Il Giornale d’Italia, 28 ottobre 1923; Il Serchio, 7 settembre 1924; Il Tempo, 22 novembre 1961.
Altri documenti sono rinvenibili tra le carte della famiglia, conservate dal professor Lorenzo Franchini.
Per le informazioni biografiche: La vita di Enrico Tellini, in Federazione genovese dei Fasci di Combattimento, Gruppo rionale “Generale Tellini”, Bollettino, I (1936), 2; A. Giannasi, Enrico Tellini, la vita di un generale, in Il generale Enrico Tellini. La vicenda internazionale, i suoi rapporti con Borgo a Buggiano, a cura di Id. - L. Franchini - O. Nardini, Borgo a Buggiano 2011.
Il poema di sacralizzazione del martirio del generale e della delegazione italiana è di P. Donato, L’Eccidio della missione Tellini, La Spezia 1923.